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L'Atalanta sta meritando la Champions
06 mag 2019
Nella finale anticipata di Coppa Italia l'Atalanta ha avuto la meglio di una Lazio che ha commesso troppi errori.
(articolo)
9 min
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Gasperini sostiene di aver capito di avere una squadra “da Champions” soltanto due settimane fa, a Napoli, al termine della prima delle quattro vittorie consecutive che hanno portato l’Atalanta tre punti sopra il quinto posto e in finale di Coppa Italia. A seconda degli esiti, il finale di stagione determinerà il ricordo che conserveremo di questa Atalanta e del suo percorso, un ricordo fino ad oggi macchiato da una certa sensazione di incompiutezza.

Due stagioni fa arrivò quarta contro ogni pronostico, ma in un campionato che mandava in Champions solo le prime tre, e in cui il distacco dalla terza era di quattordici punti. Nella stagione passata ha eliminato l’Everton dall’Europa, tenuto testa a Lione e Borussia Dortmund, finendo però settima in campionato, senza neanche riuscire ad accedere alla successiva Europa League. Tutto molto emozionante, niente di veramente memorabile in un arco di venti o trent’anni.

La storia dell’Atalanta tornava a confermare i vincoli di un sistema bloccato come quello alla base del calcio europeo, e cioè l’impossibilità per una realtà minore di saltare fuori dai contorni della favola, della congiunzione favorevole, del miracolo di provincia, e di scriversi un vero lieto fine sul tavolo delle grandi aristocrazie.

L’espressione “ciclo” in qualche modo riconduce al punto di partenza, e il ciclo dell’Atalanta sembrava essersi chiuso dopo l’eliminazione sul campo del Copenhagen, e i nove punti raccolti nelle prime nove giornate che l’avevano lasciata quindicesima al termine del mese di ottobre.

Il rinvio sbilenco di Wallace finisce sui piedi di Freuler, con l’effetto di liberare Zapata dalla marcatura dedicata, tenendolo contemporaneamente in gioco. Poi il colombiano è geniale del primo controllo e glaciale dai 10 metri. L’Atalanta ha vinto con fortuna e talento: da grande squadra.

Diapositive da salvare per futura memoria

Al minuto 84, con il risultato già fissato sull’1-3, Djimsiti ha letto un filtrante fuori misura di Acerbi meglio di Correa, ha recuperato il pallone a 40 metri dalla porta e a testa alta lo ha condotto fino al limite dell’area di rigore, dove ha provato a pescare Zapata al di là della difesa laziale, con scarso successo.

Non esiste la cartina tornasole di una grande squadra, perché non c’è una sola strada che conduce a quella dimensione, ma una squadra in cui il difensore centrale agisce da trequartista a sei minuti dalla fine, in cui il secondo palo dell’area di rigore è regolarmente occupato dall’esterno di fascia, in cui il primo giocatore per palloni toccati e passaggi tentati è quello nominalmente deputato a fare l’ala sinistra, di sicuro dimostra di aver assimilato quei requisiti di intensità, duttilità e imprevedibilità che tutte le grandi squadre oggi sono chiamate a padroneggiare.

L’immagine permette di apprezzare tanto l’improvvida sortita del difensore svizzero, quanto la disposizione finale della Lazio, stretta in una difesa a quattro.

Altro brillante esempio della forza mentale e della modernità tattica dell’Atalanta è stata la partita di Gómez, risultato il migliore in campo con 40/53 passaggi riusciti, praticamente tutti dal centrocampo in su, 4/4 dribbling completati e 5 occasioni create. L’intelligenza del fantasista argentino ha permesso ai bergamaschi di ribaltare uno svantaggio maturato dopo neanche due minuti di gioco, quando il solito Parolo aveva raccolto nei pressi dell’area piccola una sponda di Caicedo, che aveva così giustificato la scelta di Inzaghi di preferirlo a Correa, proprio con l’idea di sfruttare i duelli corpo a corpo e le giocate in anticipo.

«Ormai ho degli allenatori in campo, che sono in grado con due parole di andare a cercare e magari poi a correggere la soluzione che ci mette in difficoltà, e così è stato anche un po’ oggi, perché la Lazio è una squadra pericolosa», ha commentato Gasperini a fine partita, probabilmente riferendosi a quei venti minuti iniziali in cui l’Atalanta era apparsa in grande affanno. A quel punto è salito in cattedra Gómez, che già al settimo minuto si era fatto apprezzare per un pallone ricevuto nella propria metà campo e poi quindici secondi dopo calciato alto sopra la porta di Strakosha, al termine di una rete di passaggi che aveva coinvolto De Roon, Hateboer, Ilicic e una sponda di Zapata.

Per tutto il primo tempo, si è visto Gómez abbassarsi al di sotto della linea di mediana per scombinare la fase di pressing della Lazio, con eccellenti risultati.

L’Atalanta non aveva le forze per contendere per novanta minuti il pallone alla Lazio, e ha saggiamente scelto di non farlo. Si è affidata alla propria tenuta difensiva, accontentandosi del 44,4% di possesso palla contro il 55,6% laziale, ma lo ha fatto con criterio, consapevole dei propri punti di forza, come dimostrano i 35 contrasti tentati e i 12 intercetti completati. Un’enormità, rispetto ai 20 contrasti tentati e ai 9 intercetti completati dalla Lazio.

In queste categorie spiccano le prestazioni di Hateboer e Castagne, che hanno raccolto rispettivamente 6/6 e 6/7 contrasti vinti, oltre al solito De Roon, che ai suoi 4/7 contrasti vinti ha aggiunto anche 3 intercetti. Il risultato è che la Lazio è passata in vantaggio al secondo minuto e da lì in poi non è più riuscita ad arrivare al tiro in area di rigore, perdendo progressivamente lucidità e precisione: nel primo tempo 5 tiri tentati di cui 4 finiti nello specchio, nel secondo tempo 3 tiri tentati, tutti da posizioni improbabili, tutti finiti lontano dai pali o sul corpo dei difensori dell’Atalanta.

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Tanto la mappa degli expected goal, quanto la loro mappa di progressione temporale, evidenziano la superiorità offensiva e difensiva dell’Atalanta. Il pallino verde del gol di Parolo è l’unico a occupare l’area difesa da Gollini; per tutto il secondo tempo la linea degli xG azzurra rimane piatta, mentre quella dell’Atalanta si impenna.

Gli appunti nella tasca di Inzaghi

Tra dieci giorni, Lazio e Atalanta si incontreranno nuovamente in questo stesso stadio per contendersi la Coppa Italia. Quindi, se per l’Atalanta questa vittoria rappresenta il treno luminoso che conduce al quarto posto e alimenta il sogno Champions League, quantomeno per la Lazio questa sconfitta rappresenta l’opportunità di fermarsi a riflettere su cosa non ha funzionato, e di trovare le contromisure necessarie a invertire i rapporti di forza.

Inzaghi ha iniziato la partita con il suo abituale 3-5-2, in cui l’unico vero ballottaggio coinvolgeva Correa e Caicedo, mentre sulle fasce il più affidabile Romulo è stato preferito a Durmisi, sempre affetto da acciacchi e fastidi. Il giocatore più coinvolto con il pallone è stato Wallace, 56 passaggi riusciti su 68 tentati, subito sopra Lucas Leiva con 56/62 e Luis Alberto con 54/68. In effetti le tre traiettorie di passaggio più percorse andavano tutte verso il difensore brasiliano, che ha ricevuto 14 passaggi da Leiva e 11 da Acerbi e Strakosha. I giocatori più cercati da Wallace sono stati invece Leiva e Immobile, serviti 9 volte ciascuno.

Questi dati sintetizzano abbastanza fedelmente la strategia offensiva della Lazio, che puntava a passare dai piedi dei difensori centrali (Strakosha ha tentato più passaggi corti, 17, che lunghi, 14) e poi a raggiungere immediatamente gli attaccanti (oltre ai 9 passaggi per Immobile, di cui 6 nel primo tempo, Wallace ha trovato anche 3 volte Caicedo, sempre nel primo tempo). È la stessa strategia che ha condotto al gol di Parolo: filtrante diagonale di 40 metri di Wallace verso Immobile, che poi è bravo a difendere il pallone con il corpo e a riciclarlo verso sinistra, dilatando gli spazi tra i difensori dell’Atalanta.

Ha funzionato finché l’Atalanta non ha trovato le energie per vincere i duelli corpo a corpo e la quadratura tattica per chiudere le linee di passaggio più pericolose. Il gol che porta in vantaggio l’Atalanta e indirizza in modo netto la partita nasce proprio da un passaggio sbagliato di Wallace, un appoggio incerto di prima intenzione in precarie condizioni di equilibrio, che Gómez intercetta e poi recapita a Castagne dopo aver messo a sedere Wallace due volte.

Nella prima metà del primo tempo, la Lazio è apparsa preparata anche sul piano delle marcature individuali, con Luis Alberto e Parolo sempre pronti a monitorare De Roon e Freuler, Immobile e Caicedo a disturbare la circolazione perimetrale, e i difensori molto aggressivi: in quest’azione, Bastos accompagna Ilicic anche negli ultimi trenta metri di campo.

Di sicuro, Inzaghi si è fatto sorprendere dalla posizione indecifrabile di Gómez, bravissimo ad assecondare il flusso dell’azione e a farsi trovare sempre pronto dove serviva, ma se la marcatura aggressiva di Bastos a tutto campo è riuscita in qualche modo a contenere Ilicic, resta da chiedersi come mai non abbia corso lo stesso rischio nei riguardi del fantasista argentino. Se non con Wallace, almeno con Lucas Leiva, a quel punto libero da compiti specifici di marcatura.

Pur appoggiandosi alla forza del suo sistema e dei suoi princìpi di gioco, l’Atalanta non è una squadra perfettamente prevedibile, sa cambiare forma a seconda del contesto di gioco, e così facendo costringe gli avversari a trovare contromisure. Inzaghi ci ha provato specialmente negli ultimi venti minuti di gioco, quando una pioggia torrenziale ha preso possesso del terreno di gioco e l’Atalanta è emersa attraverso la fisicità, altra dote indispensabile per una grande squadra, che ha portato all’autogol di Wallace viziato da un grande stacco di Djimsiti.

Con l’ingresso di Correa (3/6 dribbling completati) e Pedro Neto (qualche passaggio riuscito, un dribbling tentato senza successo, un cross tentato senza successo), Inzaghi ha aumentato la potenza offensiva della squadra sottraendo Bastos alla linea di difesa. La Lazio si è risistemata in una sorta di 4-3-3 con Luis Alberto e Correa sulla sinistra a scambiarsi i ruoli di mezzala e esterno offensivo, e da quel momento se non altro ha acquisito il controllo del pallone (67,5% di possesso nell’ultimo quarto d’ora).

Il tempo ci dirà se abbiamo assistito a una soluzione temporanea, figlia della disperazione e di una partita ormai persa, oppure a una chiave di volta in vista della finale di Coppa Italia. Specialmente considerando quanto l’Atalanta soffra le difese a quattro con i terzini molto coinvolti in fase di possesso, anche in tempi recenti, dal playmaking occulto di Asamoah alle percussioni con e senza palla di Malcuit.

Non c’è modo di attaccare la solida e organizzata difesa bergamasca senza attrarre fuori posizione gli esterni, lasciarli in inferiorità numerica e impedire loro di vincere vagonate di contrasti nei pressi della linea laterale.

Per Inzaghi è uno spunto interessante a cui aggrapparsi, dopo aver registrato un’altra partita incredibile di Parolo, che attraverso una sfacciata convinzione sembra schiudere infinite possibilità: va a spostare con il fisico De Roon e riparte palla al piede, si posiziona di spalle al suo difensore e va a pescare l’uomo da servire con l’esterno del piede, si lancia in scivolata e vince i contrasti di schiena. Sarà difficile fare a meno di lui in finale, pur con il ritorno di Milinkovic-Savic.

La squadra di Inzaghi conferma di avere ottime individualità (anche Acerbi è stato autore di una prestazione solidissima, non cedendo di un passo di fronte all’esplosività di Zapata) e qualche buco di organico che la panchina non riesce a colmare, tanto sulle fasce, quanto ai lati di Acerbi. Conferma anche di avere un’idea precisa di calcio, che purtroppo dipende molto dalla capacità di imporsi fisicamente, e per questo fatica a rivelarsi vincente, specialmente contro le grandi squadre.

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