All’83' Dani Ceballos ha un mancamento. Alla fine dell’ennesima azione d’accerchiamento dell’Atalanta, che ha portato Ruggeri al tiro da buona posizione in area, il centrocampista spagnolo stramazza a terra con le braccia larghe. È tutta la partita che cerca di assorbire i tagli di Ederson e De Roon, schermare i tiri da fuori di De Keteleare e Samardzic, e ora sembra aver esaurito ogni stilla di energia rimasta nel suo corpo.
Sembra svenuto dopo una giornata di luglio passata sui mezzi pubblici di Roma. Intorno a lui si è formato un capannello di giocatori del Real Madrid in attesa che qualcuno porti dei sali per farlo rinvenire. Ci si può immaginare Tchouameni chiedere ai suoi compagni di non stargli troppo addosso, di lasciargli un po’ d’aria, chiedere di andare a trovare il ragazzo che si è incaricato di prendere un bicchiere con acqua e zucchero a Lucas Vazquez.
Fino a pochi attimi prima anche lui era rimasto a terra nel tentativo disperato di inalare qualche nuova molecola d’ossigeno ma dopo aver visto in che condizioni versava Ceballos deve aver rivalutato la sua condizione. Fabio Caressa, che commenta la partita per Sky Sport, scherza: «Quelli del Real Madrid sono tutti a terra».
Alla fine Ceballos si rialza, sembra avere un po’ di nausea, forse ha bisogno di un Polase, ma ce la fa, dice alla panchina, che si era preoccupata perché stava preparando un altro cambio. Tutto sommato mancano solo dieci minuti, deve aver pensato, ma resistere agli ultimi dieci minuti dell’Atalanta è uno sport a parte, dove i precedenti ottanta equivalgono a raggiungere l’ultimo campo base alle pendici del K2 prima di provare a scalare la cima.
Tra le due cose ci sono oltre tremila metri d’altitudine, ossigeno rarefatto o quasi assente, tempeste di neve: quasi letteralmente l’Atalanta di Gasperini quando gli avversari sono sul punto di dover chiedere una flebo.
Per Natale perché non regalare un abbonamento a Ultimo Uomo? Scartato troverete articoli, podcast e newsletter esclusive che faranno felici i vostri amici impallinati di sport.
La coscienza popolare, quella che si forma per intenderci nei gruppi Whatsapp del fantacalcio, ha cristallizzato questa sensazione nell’emoji della siringa, nel meme del bibitone. L’idea che non ci possa essere spiegazione plausibile per una tenuta atletica tanto eccezionale se non quella dell’aiutino chimico. Ovviamente sono supposizioni del tutto inventate, che però ci dicono quanto l'Atalanta possa essere stupefacente. Negli ultimi quindici-venti minuti gli avversari iniziano inevitabilmente a calare, a fare una corsa in meno senza palla, mentre l’Atalanta sembra ancora in ascesa verso il proprio picco, che forse è posto al minuto 120 o 150.
Quando la vista dovrebbe annebbiarsi, la squadra di Gasperini accelera. Segue l’attaccante che si abbassa ancora più in profondità, triplica i raddoppi sulle ricezioni avversarie al centro del campo, si butta in area avversaria senza palla con un altro uomo. Vederla raggiungere questi ritmi fa pensare all’impazzire delle molecole dell'acqua quando sta per arrivare ad ebollizione.
L’ultima volta che Atalanta e Real Madrid si erano incontrate, a metà agosto per la Supercoppa Europea, Daniele Manusia aveva utilizzato la metafora del motore per descrivere il diverso spessore tecnico e atletico della squadra di Ancelotti, che gli aveva permesso di vincere un’altra partita come se nulla fosse. “Mentre l’Atalanta ha iniziato ad allungarsi, a faticare a rientrare sugli strappi profondi degli attaccanti madridisti, quelli sembravano aumentare la potenza delle loro corse, la frequenza delle giocate. Il Real Madrid sembrava avere un motore troppo più grosso”.
A circa quattro mesi da quella partita, con l'Atalanta in testa alla Serie A e ai piani alti della classifica della Champions League, ci si chiedeva se la distanza tra le due non si fosse ormai appianata, se la squadra di Gasperini non avesse ormai un motore equivalente a quello del Real Madrid. Entrambi gli allenatori, prima della partita, erano d'accordo sul fatto che l'Atalanta è una squadra molto migliore rispetto a quella di quattro mesi prima. Forse però non era chiaro che non fosse questione di cilindrata, ma di quanto si riesce a tenere l'acceleratore a tavoletta prima che il motore si fonda.
Il primo tempo e la prima metà del secondo avevano di fatto confermato che le due squadre non potranno mai avere lo stesso motore. Il Real Madrid è entrato in campo con la precisa volontà di ristabilire le gerarchie, di far pesare il proprio ceto, e per farlo ha deciso di far sentire piccola l’Atalanta proprio nella cosa che pensa di saper fare meglio: giocare a ritmi elevati. E così Rüdiger si è dilettato fin dai primi minuti a bullizzare De Keteleare; Bellingham si è presentato nella sua versione più bossy, quella con cui prende a spallate gli avversari, li butta a terra, gli fa passare il pallone tra le orecchie mentre quelli devono ancora capire dove sta per atterrare; persino Mbappé, che è in un momento complicato, è sembrato inusualmente mobile senza palla, sempre pronto a scappare alle spalle della difesa nerazzurra.
La differenza, alla fine, l’ha fatta la lucidità dentro a ritmi così alti. La possibilità che dona il talento di fermare per un attimo il tempo, prendere la decisione migliore, mandare in controtempo l’avversario. In un certo senso, la partita di ieri ha dimostrato che contro certi giocatori l’applicazione così rigida delle marcature a uomo e delle scalate in avanti può essere un limite. Il gol del vantaggio, per dire, nasce dalla libertà di Vinicius di tagliare il campo in orizzontale fino alla fascia di Brahim Diaz, e dalla decisione di Hien di lasciare Mbappé per seguirlo a uomo. Sul numero 9 del Real Madrid è quindi dovuto scalare De Roon che nel tentativo di accorciare in avanti prima del dovuto ha scoperto lo spazio alle proprie spalle, in cui Mbappé è riuscito a infilarsi semplicemente lasciando scorrere il pallone sul proprio piede sinistro.
Pochi minuti dopo, un altro tentativo di accorciare in avanti ha rischiato di mandare l’Atalanta sotto di 0-2 dopo nemmeno un quarto d’ora. Lookman aveva appena avuto sul destro la palla del pareggio - un tiro da dentro l’area propiziato da un filtrante di De Keteleare su una palla recuperata in alto - e sul rilancio quasi a casaccio di Valverde, Hien si è fatto ingannare dal movimento di Mbappé, che era venuto incontro solo per scappargli alle spalle. È quello che succede quando guardi l’uomo senza guardare la palla.
Il rilancio di Valverde non era sui piedi di Mbappé ma nello spazio tra la difesa e il portiere, e Hien si è visto sorpassare dalla traiettoria che ha mandato Mbappé da solo davanti a Carnesecchi. Per fortuna dell’Atalanta, il 9 del Real Madrid ha tirato forte ma sui guantoni del portiere di Rimini.
Il sistema difensivo di Gasperini è sembrato inadeguato di fronte a una squadra come il Real Madrid anche sul gol che di fatto ha deciso la partita, l’1-3 di Jude Bellingham. Alla squadra di Ancelotti è bastato far scendere sulla mediana Vinicius per eludere il pressing avversario e subito dopo trovare un uno contro uno in area avversaria. Il brasiliano, teoricamente, doveva essere seguito a uomo da Hien, che però aveva troppa strada da percorrere, con la conseguenza che l’Atalanta si è ritrovata con un uomo in meno in difesa e Vinicius comunque libero di lanciare Bellingham, a quel punto isolato con De Roon, di nuovo unico presidio prima della porta di Carnesecchi.
Ovviamente per segnare bisogna anche avere la creatività del numero 5 inglese per spostare l’avversario con un doppio passo, ma proprio conoscendo il suo talento è paradossale che l’Atalanta abbia pensato di poterlo difendere in uno contro uno all’interno di un’area in cui a quel punto non erano più presenti difensori, se non Djimsiti.
È proprio in questi momenti, però, che l’esperienza Atalanta arriva al suo picco. Di fronte alle difficoltà Gasperini non aggiusta facendo compromessi, ma chiedendo ai suoi giocatori una fiducia ancora più cieca nelle sue idee, da setta religiosa. Se prima la richiesta era di sfondare un muro a spallate, adesso dovevano gettarsi direttamente nelle fiamme, ovviamente alla velocità con cui Bellanova si lancia su un avversario. Tornando alla metafora sul motore: questo è il momento in cui Gasperini affonda il piede sul pedale del gas.
Dal 62', quando cioè il Real Madrid ha segnato l’1-3 forse pensando che la partita fosse ormai finita, l’Atalanta ha cominciato a salire di livello. Sono questi i momenti in cui la squadra di Gasperini quasi letteralmente tambureggia, la si può sentire far rimbombare il campo come una mandria di gnu al galoppo, mentre l’aria intorno agli avversari sembra rarefarsi, le gambe diventare di pietra, la gola stringersi.
Nell’ultima mezz’ora di partita l’Atalanta ha tirato 9 volte, prendendo la porta in cinque di queste, tenuto il pallone per oltre il 60% del tempo, tentato 7 dribbling e superato l’avversario in cinque occasioni. Ha segnato il gol del 2-3, ma avrebbe potuto andare in rete in almeno un altro paio d'occasioni.
Al 79' abbiamo visto Vinicius provare di nuovo a scendere sulla propria mediana per gestire il pallone come nell’occasione del gol dell’1-3, e questa volta venire aggredito alle spalle da Hien come un corvo che l’ha presa sul personale, inseguirlo fino alla linea del fallo laterale, costringerlo a sbattere sul corpo di Ruggeri che era andato lì a raddoppiare. Sugli sviluppi di quella palla recuperata, Ederson si è guadagnato un fallo pericoloso dal limite dell’area passando tra Vinicius e Valverde con una specie di veronica, come se vedesse la realtà andare più lenta rispetto ai propri avversari.
È significativo che la partita, per l’Atalanta, alla fine sia stata decisa da un rimpallo nato da un raddoppio portato con troppa foga, e da un gol sbagliato su un cross calciato con troppa forza. Al Real Madrid, bianco come chi è nato per non sporcarsi di fango, il calcio per la prima volta deve essere sembrato una guerra d’attrito.
«Dobbiamo arrivare vivi a Natale», ha detto dopo la partita Carlo Ancelotti, dicendoci indirettamente di essere andati vicini a non sopravvivere. Come quando Muhammad Ali, dopo aver affrontato Joe Frazier per la terza volta, disse che il loro incontro era stato l'esperienza "più vicina alla morte" che avesse mai vissuto. Forse la metafora di Guardiola con la sedia del dentista non è più sufficiente a spiegare cosa si provi a giocare contro questa Atalanta.