Nel 2024 l'unica squadra ad aver battuto sia il Barcellona che il Real Madrid è stata l'Athletic Club, entrambe le volte in casa. È un dato significativo che ci dice principalmente una cosa: al momento nella Liga non esiste uno scenario più complicato che andare a dover vincere un big match a Bilbao.
L'atmosfera pesa moltissimo: i 50mila tifosi, ognuno con una sciarpa biancorossa, orgogliosamente alzata al cielo all’entrata in campo dei giocatori; gli altoparlanti dello stadio che scandisce il nome della squadra. È un ambiente vivo e ostile per la squadra avversaria, che deve gestirlo anche per il resto della partita: pochissimi turisti e un rumore assordante che copre i tifosi in trasferta.
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La squadra di Valverde, poi, punta a riportare in campo l’atmosfera sugli spalti e di cui si alimenta. L'Athletic fa un calcio aggressivo e offensivo, quello più vicino al credo del tecnico e in generale all’immaginario del calcio basco. C’è tantissimo lavoro sul pressing, la manovra con la palla non sarà armoniosa, ma è abbastanza pratica da portare i suoi talenti offensivi a toccare palloni in zone pericolose. La strategia è spesso volta a recuperare palla e spendere pochi passaggi per far arrivare il pallone sull’esterno, cioè sui piedi di Nico Williams o Berenguer, per arrivare al cross per chi si inserisce in area, come Iñaki Williams o Ohian Sancet. Come ha sintetizzato Relevo: l’Athletic sa quello che vuole. E da queste idee chiare possono arrivare anche combinazioni belle da vedere, perché il talento non manca. Guardate per esempio i gol di Sancet contro il Rayo Vallecano.
Ieri l'Athletic ha battuto il Real Madrid in casa per 2-1 e, al di là della notizia in sé, la cosa che fa più impressione è che il gruppo della squadra basca è di fatto lo stesso ereditato da Valverde tre stagioni fa, se non per qualche talento più giovane inserito strada facendo, come Nico Williams e Ohian Sancet. Proprio quest'ultimo si sta prendendo la sua parte di palcoscenico in questa stagione, con Valverde che lo ha trasformato nel centrocampista offensivo ideale per il suo 4-2-3-1: fisico slanciato, tecnico, dal calcio aggressivo e verticale. Abile nel controllare il pallone e perfetto per gli inserimenti dalla seconda linea e la conclusione in area. Siamo ad inizio dicembre e ha già segnato 7 gol in campionato.
Non è solo la qualità della rosa a rendere così difficile giocare a Bilbao, quanto proprio la comunione tra tifosi e stile di gioco, che ha forgiato una squadra altamente motivata, che non lascia mai la gamba, che non molla un centimetro nei duelli individuali e appare più reattiva nel leggere le linee di passaggio. I giocatori baschi vanno con fiducia sui palloni, entrano duri nei contrasti, corrono veloci, sembrano avere un pizzico di energia in più in ogni azione ed è quella che fa la differenza quando contro c’è un Real Madrid abulico, privato di Vinicius e alle prese col dilemma Mbappé.
Insomma questo è il segreto in piena vista che permette una squadra che si regge sul talento prodotto solo nei Paesi baschi di stare in lotta per la qualificazione in Champions League. Chissà, magari senza questa limitazione nazionalistica una squadra con la massa sociale e le strutture dell’Athletic Club potrebbe essere stabilmente la quarta forza della Liga, ma la storia non si fa con i se e con i ma, e poi avremmo avuto questa squadra, senza quella limitazione? L'Athletic è infatti una squadra con un’attenzione maniacale alle proprie giovanili e al territorio circostante, e questo nel tempo ha creato un rapporto unico tra la squadra e i propri tifosi, più vicino e umano rispetto a quello delle altre squadre, perché i giocatori stessi sono tifosi della squadra in cui sono cresciuti e parte della comunità fin da bambini.
I cicli del calcio contemporaneo sono sempre più brevi: basta che una squadra faccia un’ottima stagione che quelle più in alto nella catena alimentare arrivino a smembrarla. Giocasse in un’altra squadra, Nico Williams probabilmente l’avrebbe già lasciata dopo l’Europeo fatto in estate. Invece, nonostante i rumor di mercato, la nuova stella dell'Athletic è tornato col sorriso ad allenarsi e a giocare per la squadra che tifa, giocando accanto a suo fratello e con compagni di squadra che conosce da anni. Probabilmente andrà via comunque la prossima estate, ma non prima di aver permesso alla sua squadra di fare cassa dalla sua cessione e mostrarsi motivato a fare il meglio in campo. Anche così si riesce a mantenere la competitività senza poter fare effettivamente un mercato come tutte le altre.
L’Athletic Club, altra cosa da non sottovalutare, paga molto bene i suoi giocatori (anche grazie ad un regime fiscale regionale favorevole) e non c’è quindi tutto questo incentivo a lasciare la squadra se non per una situazione molto più vantaggiosa in termini economici e sportivi. Un altro vantaggio è quello di poter mantenere un gruppo più o meno costante per tanti anni. L'Athletic è infatti una squadra che fa della continuità un mantra necessario per via del bacino ristretto da cui attinge per formare la squadra, e questo ha come vantaggio collaterale il fatto di riuscire a creare una sincronia tra i giocatori che per le altre squadre, con pochi allenamenti a disposizione, è un miraggio. Parliamo di giocatori di buon livello che a Bilbao si esaltano, come nel caso di Berenguer o di Guruzeta, e che per queste ragioni in altre squadre difficilmente riuscirebbero ad esprimersi allo stesso modo. Insomma: il contesto permette a questi giocatori di sembrare (essere?) più forti di quello che sono.
Un esempio perfetto in tal senso è il difensore centrale Dani Vivian, probabilmente il migliore in campo ieri contro il Real Madrid e oggi uno dei migliori difensori centrali della Liga. Degno erede della scuola basca del ruolo, che vuole il centrale abile nel gestire i duelli individuali, Vivian sembra divertirsi negli aspetti più fisici del ruolo, nell'interpretarlo in maniera generosa per correggere qualsiasi errore della linea. Buttandosi senza remore nei contrasti, utilizzando il fisico per rendere la vita difficilissima all'attaccante avversario, quando vuole ricevere vicino all’area di rigore. Un difensore pratico, insomma, che preferisce l'intervento goffo se è efficace. Le giocate ad effetto, lo stile, l'Athletic Club lo riserva ai suoi giocatori offensivi. Certo, sempre chiedendo in cambio massima abnegazione senza palla.
Ieri il gol del vantaggio ad inizio secondo tempo contro il Real Madrid l’ha segnato Berenguer, inserendosi su un cross di Iñaki Willams, che si era allargato sulla fascia sinistra. Sulla traiettoria c'era andato anche Sancet, che però è riuscito solo a sfiorararla, e alla fine è stato Berenguer a mettere in rete, dopo una prima respinta di Courtois. Quello che fa impressione è che nell’area piccola del Real Madrid si erano buttati ben due uomini dell'Athletic, e che nessun giocatore di Ancelotti è stato altrettanto reattivo. Neanche un mostro di competitività come Rüdiger è riuscito a stare dietro alla voglia di Berenguer di buttare in rete la palla.
Una partita che i numeri restituiscono come sostanzialmente alla pari (anche negli xG: entrambi 1.80), ma che all’occhio ha restituito una sensazione ben diversa e con un risultato all’altezza della prestazione dei padroni di casa. L’Athletic Club ha pressato alto sin dall’inizio, è passato in vantaggio ad inizio secondo tempo su una giocata ben ideata, ha visto il suo portiere parare un rigore a Mbappé e ha segnato il gol del 2-1 poco dopo il pareggio di Bellingham.
Il gol del 2-1 è quello che meglio mostra la differenza tra le due squadre in campo: una che era scesa in campo con un solo obiettivo in testa e l’altra con un occhio al calendario. Due minuti dopo il gol del pareggio subito al 78’, il fronte offensivo basco è andato nuovamente lì a pressare alto l’uscita dalla difesa del Real Madrid. Quando Valverde scende a ricevere dalla difesa non si rende conto del livello d’intensità richiesto dalla sua scelta. Decide di tornare verso la propria area per sfuggire alla pressione immediata di de Galarreta e finisce però per andare nella zona di Guruzeta (entrambi entrati nel secondo tempo per mantenere alto il livello dell'intensità in campo). Forse non se ne accorge perché Valverde gioca sempre un po' a testa bassa e Guruzeta gli ruba il pallone involandosi verso l’area.
A Madrid la sconfitta è stata ricevuta con le consuete critiche ad Ancelotti e Mbappé, ma nessuno si è sognato di togliere nulla alla prestazione dei baschi. El País ha scritto che l'Athletic ha bollito e sciolto il Real Madrid al San Mamés, con l'intensità bruciante di una squadra affamata e solidale. Marca invece che i blancos sono stati sconfitti da un Athletic superiore sotto ogni aspetto. E pensare che questa non è stata neanche la prestazione più luccicante della squadra di Valverde.
Lo scorso aprile l’Athletic ha vinto la Coppa del Re, la sua 24esima. Quarant'anni e sei finali perse dall'ultima volta, conclusa con la celebre rissa col Barcellona di Maradona, la stessa stagione della vittoria dell’ultima Liga. In questi 40 anni l’Athletic Club ha perso il suo status di terza squadra del campionato spagnolo, pur rimanendo ancora l’unica non retrocessa assieme a Barcellona e Real Madrid. Ma non solo il distacco tra le tre si è ampliato tantissimo, col tempo anche l’Atlético Madrid l’ha superato nelle gerarchie. I baschi sono riusciti a mantenere una certa competitività, ma senza raggiungere mai i picchi avuti dal Deportivo La Coruña negli anni ‘90, dal Valencia di inizio 2000 o dal Siviglia delle Europa League consecutive. A dirla tutta nell’ultimo lustro non ha avuto neanche la stessa continuità ad alto livello degli altri baschi della Real Sociedad.
Con il ritorno in panchina di Ernesto Valverde nel 2022, però, è iniziato un nuovo ciclo, che ha risollevato dalla mezza classifica la squadra in modo stabile. Ottavo posto nella prima stagione, quinto posto nella scorsa e ora in lotta aperta per la qualificazione in Champions League. Al di là dei risultati, passati e futuri, questa però è già una squadra di cui i tifosi dell'Athletic possono essere orgogliosi, che scende sempre in campo pensando di essere quella da battere. E questo a Bilbao è la cosa più importante.