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Atlante delle lamentele degli allenatori
29 set 2023
La nostra arte della lagna non ha eguali.
(articolo)
31 min
(copertina)
Illustrazione di Giorgio Mozzorecchia
(copertina) Illustrazione di Giorgio Mozzorecchia
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Nel suo podcast dedicato alla vita dell’uomo medievale Alessandro Barbero ci racconta l’incredibile storia di Salimbene da Parma, un frate predicatore dell’ordine francescano. Salimbene è molto orgoglioso dell'ordine dei francescani, che secondo lui terrebbe in peidi la Chiesa. Essere un francescano è un onore e un privilegio, e gli altri ordini sono, quando va bene, incomprensibili. C'è un ordine in particolare che non piace a Salimbene, quello degli apostolici. Questi sono il peggio del peggio: analfabeti, non servono a nulla, non dicono messa, non pregano, non danni buoni consigli, non sanno disputare, non conoscono la Bibbia, stanno tutto il giorno in piazza a guardare le donne. «Eppure la gente dà più elemosina a loro che a noi. È il mondo alla rovescia», si lamenta Salimbene.

Se, come in molti sostengono, l’Italia ha preso la sua forma nel Medioevo, allora forse è in quel periodo che abbiamo imparato l’arte di lamentarci con grande costanza. Lamentarci come riflesso involontario, lamentarci come stile di vita, lamentarci come i contadini pigri e spossati descritti in Cristo si è fermato a Eboli, o in quei racconti comici di Rocco Scotellaro. Come in quella sua poesia in cui un contadino, sfinito, si lamenta di non potersi nemmeno lamentare, invocando l'aiuto di Cristo:

Signore il mio padrone mi strapazza,



mi tratta come un cane per la via



tutto mi prende con la sua rozza mano



neppure la vita dice che sia la mia



se io mi lamento, peggio, mi minaccia



con catene mi castiga a prigionia



quindi ti prego questa brutta razza



distruggila tu Cristo per me



distruggila tu Cristo per me

Tutti si lamentano, ovunque, di continuo. Nella politica e nel calcio, però, la lamentela raggiunge il suo più alto grado di sofisticazione. «Le lamentele sono un veleno, un veleno all’anima, un veleno alla vita perché non ti fanno crescere il desiderio di andare avanti. State attenti con le lamentele», dice Papa Francesco, ma gli allenatori italiani non lo ascoltano e continuano a lamentarsi, intervista dopo intervista, arrampicati su mangrovie di scuse sempre più arcane.

Si lamentano per tutto: arbitri, calendari, colore dell’erba, consistenza del per pallone, fenomeni atmosferici e divini. A volte hanno ragione, altre volte meno. Secondo il Papa lamentarsi è quasi un peccato, e in effetti siamo vicini al territorio dell’accidia, fra i peccati capitali quello più mesto. Un abbandonarsi alla negatività, all’inerzia, all’abulia. Dante infilava gli accidiosi nella quarta cornice del purgatorio. È bello immaginare gli allenatori italiani correre sulla cornice del purgatorio incitandosi a non perdere tempo in scuse assurde, a concentrarsi su quello che possono controllare, mentre gli angeli della sollecitudine gli ricordano quanto sono riusciti a mettersi in ridicolo.

A volte le lamentele degli allenatori sfociano in quel peccato capitale che è il contrario dell’accidia, e cioè l’ira.

Gli allenatori si lamentano in tutto il mondo, a volte scendendo in abissi di ridicolo disumani; ma nessuno si lamenta con la costanza e il rigore degli allenatori italiani. Nessuno ha il loro senso artistico, la loro creatività. Perché si lamentano così tanto? «Non c'è tempo per piangere» ha detto Mourinho ieri dopo la sconfitta contro il Genoa, ma diciamoci la verità: il tempo per piangere almeno un po' si trova sempre (per Mourinho ieri, per esempio, mancavano Smalling e Ibanez).

Ci si lamenta per scrollare via un po’ di tensione, o anche solo un po’ di responsabilità. Pochi lavori sono più usuranti mentalmente di quello dell’allenatore di calcio, ritenuto sempre il maggior responsabile di qualcosa che poi di fatto non ha combinato lui - quando diciamo “in campo ci vanno i giocatori” diciamo un’ovvietà che spiega bene però il salto di pensiero che facciamo quando giudichiamo le partite. Ci si lamenta per stress, o come rito apotropaico, per scacciare malocchi, per esercizio di stile. Ci si lamenta con scuse vecchie come il mondo, o così inedite da poter sconvolgere e far ridere. Ci si lamenta scaltri e paraculi, o ci si lamenta ingenui, indifesi al cinismo memetico.

Mi sono lanciato nell’impresa di raccogliere le migliori scuse degli allenatori italiani negli ultimi anni, catalogandole a seconda della categoria. Quali sono le loro preferite? Quali sono gli allenatori che si lamentano di più? Cosa nascondono tutte queste lamentele? Proviamo a rispondere a tutte queste domande, e mi scuso se moltissime lamentele sono rimaste fuori da questo elenco: erano troppe. Buone lacrime a tutti.

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Contro gli arbitri

Le scuse contro gli arbitri sono le più antiche e le più comuni. Diciamo anche le meno interessanti, ma questo è un atlante e dobbiamo mettercele. Non c’è persona con cui sia più facile prendersela, ed è facile capire il perché. Il calcio è uno sport a basso punteggio e il peso delle decisioni arbitrali sul risultato può essere molto grande. Si può credere - o far credere - facilmente che la responsabilità di una sconfitta sia di una decisione dell’arbitro.

La lamentela può essere anticipata da qualche mano avanti. Si può innanzitutto riconoscere il merito degli avversari («Il Torino ha meritato ma c'era un rigore su Cabral» Paulo Sousa, 2023) oppure si può vantare un’innocenza sul tema, e premettere che non è propria abitudine parlare di arbitri («Non parlo mai degli arbitri ma stasera voglio parlarne: l'arbitro ha condizionato la partita» Allegri, 2012).

Certe volte un’intervista post-partita rischia di scivolare via senza parlare di arbitri, e allora si può tirare fuori il discorso in modo aggressivo: «Siamo alla sesta domanda e non mi chiedete dell'arbitro. Con noi non lo fate mai». A quel punto si sfrutta l’intervento per lamentarsi «Credo che l’arbitro abbia condizionato la partita. L’arbitro ha fatto un errore tecnico alla fine del primo tempo» (Allegri 2012).

Ci si può lamentare anche non direttamente verso l’arbitro, ma verso la squadra che ha condizionato l’arbitro,«La Lazio ha condizionato l’arbitraggio!» (Marino, 2023). Oppure ci si può lamentare dell’importanza della gara che ha guastato l’arbitraggio. «Anche il miglior arbitro italiano può soffrire la pressione di una gara così» (Rudi Garcia, 2015).

La lamentela può essere strutturata in stile arbasiniano, cioè sotto forma di elenco. In questo caso descritta come una soap opera: «Questi episodi sembrano un’interminabile soap-opera tipo Un posto al sole. La sconfitta contro la Turris arrivò per un gol viziato da un fallo non visto da Petrella, come quello su De Maria contro il Latina, in cui l’arbitro Taricone annullò anche un gol regolare a Tommasini. Un rigore negato anche a Picerno, dove a fine gara Carrione mostrò anche il rosso al nostro portiere per essersene lamentato. E ancora, quello inesistente decretato da Fiero che, con altre assurde decisioni, ci vide perdere 3-0 a Francavilla. Per non dimenticare anche i due ad Avellino, in cui il primo era per un contatto fuori area, il secondo inesistente» (Ezio Capuano, 2009).

Oppure la lamentela può concentrarsi su un aspetto apparentemente piccolo, che però può compromettere tutto: «Nessuna big viene ammonita quanto la Lazio, sono prevenuti». Impossibile non provare un senso di frustrazione: «In una partita corretta hanno ammonito tutti i nostri. Abbiamo affrontato una squadra forte, che poteva vincere anche in un altro modo, ma così ci lascia l’amaro in bocca». (Sarri, 2022).

Le lamentele contro gli arbitri possono diventare estremamente soggettive. Il maestro di questo tipo di lamentela specifica è José Mourinho: «Questo risultato si adatta al peggior arbitro che ho avuto in carriera e ne ho avuto tanti di scarsi». Nella sua tirata contro Chiffi, Mourinho ha la sottigliezza per sottolineare che l’arbitro in realtà non ha inciso molto sul risultato, come a dire che quello non lo priva comunque del diritto di sfondarlo su tutta la linea, come a denunciarne un’inadeguatezza esistenziale: «Io penso che l'arbitro non ha avuto grandi influenze sul risultato, ma è dura giocare con lui: tecnicamente orribile, dal punto di vista umano non è empatico, non crea rapporto con nessuno, dà un rosso a un giocatore che scivola perché è stanco all'ultimo minuto». La critica di Mourinho arriva a un livello di sofisticazione concettuale da avanguardia quando si lamenta persino di un’espulsione non ricevuta: «Doveva dare un rosso, va a casa frustrato perché non dà il rosso a me perché non gli ho dato l’opportunità». Il limite della Roma, allora, sarebbe quello di non decidere gli arbitri: «È un po' il limite di questa squadra: non abbiamo la forza che hanno altre società di dire "questo arbitro non lo vogliamo"».

Un singolo arbitro può essere anche assurgere a rappresentante di un’intera categoria contro cui scagliarsi: «Sappiamo di avere il rispetto dei tifosi della Roma, ma vogliamo anche il rispetto dai Banti di questo mondo, che vivono sulle loro comode poltrone e che hanno portato via tanti, tanti punti a questa squadra». La lamentela allora assume il tono politico della rivendicazione: «Ma basta: chiedo un po' di rispetto. Purtroppo non siamo stati bravi all'inizio e ora non possiamo lottare per vincere lo scudetto, ma voglio avere il diritto di giocare per vincere le partite» (Mourinho, 2022).

La lamentela sugli arbitri può quindi prendere un respiro più universale, diventando l’occasione per fare i complimenti ai ragazzi per aver combattuto attraversando l’ingiustizia. Per aver resistito a un arbitraggio che rischiava di farli impazzire: «L’arbitraggio è stato discutibile, bisogna fare un plauso ai ragazzi perché non sono andati fuori di testa, con questo tipo di arbitraggio si può finire la partita in 10 o in 9» (Sarri, 2023).

Contro gli infortuni degli arbitri

Il problema può diventare anche un infortunio dell’arbitro, che facendosi male interrompe il flusso di gioco: «Siamo partiti bene, fino a quando si è fatto male l’arbitro. Lo stop dovuto all’infortunio dell’arbitro ha interrotto un buon momento per noi» (Mazzarri, 2021).

Contro il VAR

Il conflitto tra uomini può trasformarsi in uno tra essere umano e macchina. Da quando è stato introdotto il VAR l’errore dell’arbitro è diventato meno accettabile, perché se un episodio può essere sfuggito all'occhio umano, come può sfuggire all’occhio onnisciente e implacabile del VAR?

C’è la pretesa che le immagini siano auto-evidenti, che costituiscano di per sé la prova di qualcosa, la conferma del nostro pensiero. «C’è grandissima amarezza, stasera è successo un’altra cosa gravissima perché con il Var è inaccettabile prendere un gol così» (Simone Inzaghi, 2023). Andreazzoli nel 2021 era totalmente incredulo e ha impiantato una monumentale intervista-lamentela: «Mio nipote ha quattro anni e lo vede anche lui che è rigore»; così esasperato da pensare che semplicemente al VAR non erano davanti allo schermo: «Se lo vediamo io e te che siamo così, deve farlo anche lui a meno che non fosse stato distratto. Ci dica: ero in bagno». Se l’arbitro non va nemmeno a rivederlo è davvero scoraggiante: «Almeno l'arbitro poteva andare a rivedere l'episodio al VAR» (Mazzarri, 2018). «L’arbitro può sbagliare ma il VAR deve richiamarlo, è inconcepibile. Se L’arbitro non ha visto un fallo, chi sta al VAR deve richiamarlo e correggere quello che non si vede in campo. (…) Faccio i complimenti all’arbitro, ma non al VAR» (Mazzarri, 2020).

A volte la lamentela è preventiva, impacchettata addirittura prima della partita. In fondo le decisioni arbitrali contengono un certo margine di soggettività, anche col VAR, e così si vuole provare a turbare un tantino il giudizio soggettivo. La lamentela preventiva può essere anticipata dal disclaimer che non si tratta di una lamentela (ma di “una denuncia”, a quanto pare): «Non è che mi lamento, io faccio denunce: è totalmente diverso. E quello che è successo nelle tre partite della scorsa stagione è sotto gli occhi di tutti. Domani è un’altra partita: stavolta ci sono arbitri molto importanti sia in campo che al VAR» (Gasperini, 2022).

Si può cadere in confusione, avere pensieri contraddittori, perché l’essere umano comunque contiene moltitudini. E così si può dire «Protocollo VAR? È una cazzata. Se il VAR non interviene non sta facendo il suo lavoro» (Sarri, 2022) ma anche «La Var non mi piace. Mi piace di più quando l’arbitro decide in campo» (Sarri, 2019). Il tecnico della Lazio ci ricorda che in fondo noi tutti stringiamo un patto sociale e accettiamo cose intollerabili per il bene del vivere comune: «Dobbiamo abituarci, anche nella vita di tutti i giorni ci sono leggi assurde ma non è che posso farmi arrestare per questo» (Sarri, 2019).

Contro la cattiva sorte

A volte le scuse e le lamentele vengono rivolte verso la dimensione, impalpabile come i sogni, della sfiga, della sfortuna, della malasorte. Ecco una bella carrellata di “ci gira tutto storto”.

«Ci gira tutto storto, ci dispiace per i nostri tifosi, spero che il nuovo anno sia migliore» (Mazzarri, 2021)

«Ci gira tutto storto, ma dobbiamo pensare positivo e propositivo, al gioco, all’organizzazione». (Mazzarri, 2014)

«Ci gira veramente tutto storto, ma dobbiamo stare sul pezzo» (Daniele Pradè, 2023)

«In questo momento ci gira tutto storto, basta un errore e lo paghiamo caro». (Peppe Guida, 2021)

«Servono i gol per raggiungere l’obiettivo e in questo momento ci gira tutto storto». (Reja, 2016)

«Stiamo ritrovando Immobile e Milinkovic ma è il classico periodo in cui, per colpe nostre e non, non va niente per il verso giusto». (Sarri, 2023)

«È un periodo in cui tutto gira storto. Ho sentito anche il presidente Berlusconi: speriamo che passi in fretta questo momentaccio». (Galliani, 2021)

«In questo momento le cose non ci vanno granché bene, noi dobbiamo migliorare sicuramente qualcosa». (Allegri, 2012)

E questi solo quelli di Beppe Iachini, un vero ninja della materia:

  • «È solo un periodo così: ci gira male, io penso che il lavoro paghi». (2019)

  • «Abbiamo avuto 3 occasioni per pareggiare il gol iniziale della Roma, ma ci ha detto male, purtroppo in questo periodo ci gira sempre storto, compresi i 5 legni colpiti». (2015)

  • «Dovevamo pagare forse qualche dazio, ma girerà anche per noi». (2015)

  • «Ne abbiamo bisogno in questo momento nel quale le cose non stanno andando bene e tutto ci gira storto, anche gli episodi». (2018)

  • «Ma tornando alla partita, in questo momento ci gira male». (2021)

Ci si lamenta per rispetto di una particolare forma di scaramanzia, o meglio, di pensiero magico. Se il calcio è un gioco governato all’aleatorietà, dalla fortuna, chi controlla la fortuna? Possiamo avere un controllo sulla fortuna? Se l’energia negativa, la sfiga, c’è, e non si può eliminare dal mondo, si può comunque incanalare. Allora ci si dichiara molto sfortunati, pronunciando incantesimi per scacciare questo “affascino” - come lo definiva Ernesto De Martino in Sud e magia. La lacrima preventiva come rito propiziatorio anti-sfiga.

A volte si cede ad ammettere la natura bizzosa, imprevedibile del calcio, contro cui l’uomo può fare poco: «Nel secondo tempo abbiamo continuato ad attaccare, abbiamo preso un palo, ci va tutto storto ma il calcio è anche questo» (Mancini, 2008). La sfiga può essere uno sprone a migliorare: «Siamo sempre quelli che l'anno scorso vi divertivate tanto a veder giocare, solo che adesso appena abbassiamo la guardia ogni sbaglio lo paghiamo mentre allora non andava così. Per questo dobbiamo impegnarci di più e sbagliare di meno» (Simone Inzaghi, 2022).

A volte, però, bisogna solo lasciare che la tempesta passi, che la malasorte diriga le proprie attenzione da altre parti: «Non so cos'altro potessimo fare per segnare… In questo momento, però, le cose vanno così. Passerà» (Mazzarri, 2007).

Contro le festività

Le feste di Natale arrivano un po’ in mezzo, a rompere il ritmo della stagione, a costringerci ad abbuffate familiari che non fanno piacere a noi figuriamoci agli allenatori di calcio. «Domani scopriremo come siamo rientrati dalla sosta dopo questo regolamento anomalo che rende ingestibile il gruppo da un punto di vista fisico perché ci sono sette giorni di riposo che sono troppi e dieci di lavoro che sono troppo pochi». Sarri, però, dopo questa tirata proponeva una soluzione: «Resto della mia idea, bisognerebbe giocare durante le feste di Natale».

La Serie A gli ha dato ragione, inaugurando la tradizione del boxing day due anni dopo. A quel punto, però, Sarri ha cambiato idea:«È un momento a rischio perché i giocatori vivono con persone in festa, loro invece devono giocare ogni tre giorni. Devi lavorare con cattiveria e ti distraggono atrocemente le persone attorno in te in festa».

Il Natale è un problema, ma a essere onesti anche il compleanno può diventarlo. «Il San Paolo di solito ci aiuta di solito a partire forte. Oggi c’era un’atmosfera un po’ particolare, il compleanno di Cavani, questo clima soporifero» dichiarò Mazzarri dopo una sconfitta contro il Viktoria Plzen. Il compleanno del “Matador” avrebbe quindi distratto i giocatori, li avrebbe portati a sottovalutare l’impegno.

Contro il calendario

Il calendario del calcio moderno è una giungla, si sa, si gioca ogni tre giorni, con incastri sorteggiati secondo criteri sempre piuttosto misteriosi e tenendo conto di mille compromessi obbligati. Gli allenatori non mancano di mostrare la propria insofferenza rispetto a quest’entità misteriosa che disegna i calendari.

Giocare ogni tre giorni è male in ogni caso, specie se c’è la Champions di mezzo. «Prima della Champions League, è sempre complicato essere concentrati al 100%. Anche il PSG ieri ha perso e il Bayern ha pareggiato» (Rudi Garcia, 2023).

In genere, però, c’è sempre un complotto dietro un calendario. Cioè un piano segreto per svantaggiare una certa squadra. «Il nostro calendario è folle. È un calendario fatto per metterci in difficoltà» (Antonio Conte, 2020). Si contano i giorni di riposo propri e altrui, e poi ci lagna: «Ci sono altre situazioni con cinque giorni di riposo, e questa è la terza gara che giochiamo consecutivamente con una squadra che ha un giorno, uno e mezzo di riposo in più rispetto a noi». Il problema può essere delle simpatie della Lega calcio: «In Lega qualcuno non mi ama» (Mourinho, 2023) - o dell’assenza durante il disegno del calendario: «Si vede che non eravamo presenti noi quando hanno stilato i calendari…» (Conte, 2020).

Certi complotti sono così assurdi che fanno sentire gli allenatori dentro Shutter Island: «Ho parlato con un mio amico statistico, giocare 4 trasferte e le prime tre contro Juve, Napoli e Milan è praticamente impossibile. Penso non sia casuale» (Sarri, 2023). Si ripetono i concetti, si cercano disperatamente sponde, una conferma che la propria non è follia: «È incredibile una squadra arrivata seconda in classifica nelle prime quattro trasferte incontri 3 squadre arrivate tra le prime cinque l’anno scorso. A livello statistico ha una possibilità infinitamente bassa» (Sarri, 2023).

Il calendario può essere davvero incredibile, nel senso di difficile da credere: «Non dimentichiamo che è la terza trasferta in sei giorni, è un calendario incredibile, l'Inter è l'unica che ha questo calendario». Ma i veri artisti della lagna specificano sempre che non è una lagna: «Ma non deve essere una scusante. Dobbiamo migliorare sempre» (S. Inzaghi, 2022).

Contro il prato

Il terreno su cui si gioca spesso in Italia è impresentabile, va ammesso. Gli allenatori fanno il più delle volte bene a lamentarsene, ma in questo pezzo non possiamo fare distinzioni tra lagne giuste e ingiuste.

Le squadre più tecniche sono svantaggiate dal prato: «Il nostro gioco fatto di fraseggi veloci e palla a terra è limitato dallo stato del terreno del San Paolo, che in questo momento è veramente disastroso» (Mazzarri, 2011); e in questo senso il prato dell’Olimpico di Roma sembra il peggiore. Sarri pensa di non essere proprio adatto a farci giocare le proprie squadre: «Il terreno dell'Olimpico è ingiocabile. Se resta così Lotito dovrà prendere un altro tecnico». Il problema, talvolta, può essere il rugby: «Perché si gioca sabato? Domenica c’è il rugby, lunedì il campo sarà distrutto. È dura per i calciatori accettare che non si possa giocare nel proprio stadio per un altro sport, ma parliamo dell’Italia, il rugby è uno sport molto bello… che purtroppo rovina il campo, buona fortuna a loro».

Mourinho però non aveva ancora tastato le condizioni dell’Olimpico di Torino. Dopo allora si ricrede e promette di non lamentarsi più: «Prometto che non farò più critiche al prato dell'Olimpico di Roma, sembra una passerella paragonato con questo». Non apriamo nemmeno il capitolo dei campi sintetici (o “di plastica” come li ha definiti Mourinho). Sarri del resto non amava nemmeno il terreno dello Stadium della Juventus: «Non vorrei che si dicesse che mi lamento sempre» dice sorridendo: «ma oggi si capisce la differenza tra la Serie A e la Premier League». Allora forse dovrebbe sentire Slaven Bilic, che si lamentò così del terreno del London Stadium: «Troppo verde intorno al terreno di gioco, quando sei in campo non riesci a distinguere la linea di fondo, vedi molto spazio davanti a te e ti demoralizzi». Xavi, altro impallinato delle lamentele sul prato, cerca di allargare la prospettiva: «Nel golf, se il campo non è buono non si gioca. Se nel basket Lebron cade si passa la scopa. Non devo stare zitto ma continuare a insistere. A chi dà beneficio? Il campo è fondamentale per lo spettacolo, non mi fermerò in questa polemica».

Altre volte il problema non è la superficie di gioco ma le dimensioni. «Oggi era una partita che io onestamente temevo, perché le dimensioni del campo non sono quelle adatte, omogenee e permettetemi di dirvi che non credo che sia corretto» ha detto Pioli riguardo al campo del Picco. In Liga le dimensioni possono confondere come un dipinto di Escher: «Dobbiamo complimentarci con l'Eibar, ma il loro campo è molto piccolo, molto strano: non ci ha dato l'opportunità di giocare come volevamo» (Montella, 2018).

Contro la rosa corta e il mercato

«Ho imparato a non piangere», premette Mourinho «Ma la squadra fa fatica a giocare tre partite». Il problema della rosa corta è onnipresente nelle lamentele di Mourinho. A volte la lamentela arriva davvero all’improvviso: «Una giornata con Olga Carmona e Noah Lyler. E molti altri dalla famiglia Adidas. Grazie mille per il bel tempo Byorn,Guenter,Alberto e tutti quelli al campus. È ora di tornare a Roma e lavorare con... 7 giocatori!». Altre volte è ben cucinata durante l’intervista: «L’Inter può permettersi di giocare domenica con Correa-Lukaku e oggi con Dzeko-Lautaro. Io questo non posso farlo, dovrei avere la stagione perfetta ma non esiste. Non sono critiche, è la realtà. Al di là dei risultati questa è una stagione fantastica».

Il suo collega Sarri non è da meno, e durante la scorsa stagione si è lamentato preventivamente della rosa corta che avrebbe avuto l’anno dopo. Ha stilato un progetto allora: «Undici per il campionato, undici per la Coppa e undici per la Coppa Italia, come la Pro Recco nella Pallanuoto».

Conte mette tutti allerta che non sarà facile fare risultati: «Diventa difficile fare Champions e campionato con una rosa ridotta ai minimi termini». Per Conte «Non puoi sederti al ristorante con 10 euro». Ivan Juric, che come sapete è un appassionato di metal, usa toni più macabri per lamentarsi della rosa: «Dobbiamo migliorarci nel calciomercato perché così è dura. I miracoli non si possono sempre fare. Non voglio che il Verona retroceda, dobbiamo consolidarci e garantire continuità, perché in questa situazione diventa un massacro». Addirittura, con una rosa messa così male giocare troppo bene diventerebbe autolesionismo: «In questo periodo siamo andati oltre ogni aspettativa e andare avanti così sarebbe un suicidio» (Juric, 2020).

«Questo è un mercato davvero complicato» sbotta Gasperini (2022), che poi chiede, insomma, rispetto: «Non si mette l'allenatore in questa situazione, non è accettabile». Paulo Sousa proverà a fare il possibile, cioè poco: «Il mio obiettivo era partire molto bene in campionato, cercando di cogliere le opportunità e fare tanti punti. Ma credo che non sarà possibile» (Paulo Sousa, 2023). Un problema possono essere i giocatori immaturi, come lamentato da Conte. Il problema del mercato, però, è anche la sua durata, e il fatto che si prolunghi oltre l’inizio del campionato: «Il mercato dura il triplo di 30 anni fa, facciamo un mercato di 10 giorni e i procuratori conteranno meno» (Sarri, 2023).

Intermezzo / 1: allenatori che rivendicano i propri meriti

Walter Mazzarri sulla creazione del “Matador” Cavani

«E comunque, quando Cavani arrivò da Palermo tutti a dire che non era un centravanti, che non aveva i numeri del capocannoniere. E chi è che centravanti lo ha fatto diventare, chi è che quei numeri glieli ha fatti raggiungere?».

Walter Mazzarri su un curriculum niente male

«Quella della Reggina è una salvezza storica, Livorno ritorno in A dopo 55 anni, Sampdoria rinata, Napoli preso al sest’ultimo posto e portato in Champions. Quinto con l’Inter in un momento storico difficile per il club e a Torino il record dei 63 punti».

Walter Mazzarri su quanto è ricercato

«Il mio telefono squilla ogni minuto».

Simone Inzaghi deus-ex-machina

«Parla la mia storia: dove lavoro io aumentano i ricavi, dimezzano le perdite e arrivano i trofei. Così è stato alla Lazio, così all'Inter. Nel calcio contano le sconfitte, le vittorie e i trofei e quelli io in questi sette anni li ho sempre portati, insieme a molti ricavi e a poche perdite».

Luciano Spalletti sulle griglie pre-stagione

«Se volete vi porto le griglie del campionato. Volevo portarle all'ultimo, ma posso portarle ora. Dopo soprattutto che Sarri era andato alla Lazio e Mourinho alla Roma ci mettevate settimi! Poi sono cambiate tante cose visto che speravano tutti nello Scudetto».

Maurizio Sarri sulle griglie pre-stagione

«Un bilancio di fine stagione? Abbiamo fatto una stagione europea di scadente livello e un campionato di altissimo livello: nelle griglie di partenza nessuno ci dava sopra il settimo posto, siamo andati al di sopra delle previsioni».

Maurizio Sarri sullo stadio riempito

«Quando sono arrivato c'erano 20mila persone, oggi ti rendi conto di cosa può essere il popolo laziale, e quanto amore può dare».

Maurizio Sarri su Cristiano Ronaldo

«Cristiano Ronaldo alla Juve il record di gol lo ha fatto con me».

Antonio Conte sul fatto che vince troppo

«Sono antipatico perché vinco troppo? Non è un problema mio». Esemplare combo di rivendicare i propri meriti per lamentarsi dei propri meriti per lamentarsi delle critiche (e in questo caso dei processi).

Stefano Pioli sul dominio per 7 minuti

«Nei primi 7 minuti non erano mai entrati in area» dice a margine di uno dei tanti derby persi.

Stefano Pioli sul dominio per 4 minuti

Un anno dopo i minuti scendono da 4 a 7: «È normale che poi si parla sempre di approccio, ma penso che nei primi 4 minuti avevamo tenuto palla solamente noi e in una situazione dove eravamo anche messi bene…».

Contro il caldo, o il freddo, o il clima in generale

La crisi climatica rende difficile non lamentarsi delle temperature a cui si gioca. Il caldo può diventare una malattia, come dice Sarri: «Isaksen era arrivato in buone condizioni dalla Danimarca, poi il caldo italiano lo ha bollito completamente e deve ristabilirsi». Il caldo secca l’erba: «Caldo, era caldo. Alle 15 l’erba era più secca di quella dello Stadium, ci mancherebbe» (Sarri, 2019). Ma occhio anche agli sbalzi termici: «Il cambio di temperatura degli ultimi giorni ci ha un po' penalizzati, ho visto quantità di corsa anziché qualità» (Sarri, 2023).

Conte sente Sarri lamentarsi e la cosa lo fa infuriare. La lamentela viene spostata sul piano economico: «Non voglio dire niente sennò dovremmo tirare fuori bilanci e stati patrimoniali. Qualcuno deve stare tranquillo e sereno perché sta dalla parte forte».

C’è sempre qualcuno più debole pronto ad alzare più in alto le proprie lamentele. Iachini sente Conte lamentarsi e la cosa lo fa ridere: «Le lamentele di Conte? Mi metto a piangere in un angolino» (Iachini, 2020).

Cosa può succedere di peggio? Beh, potrebbe piovere: «E poi ha cominciato anche a piovere» dice sconsolato Walter Mazzarri a margine di una sconfitta contro l’Hellas Verona che gli costò la panchina dell’Inter.

Contro il pallone

Impossibile non lamentarsi del pallone, come sa chiunque affronti una partita settimanale di calcetto. Guardiola è uno dei più lagnosi sui palloni, di volta in volta “leggeri” o “sgonfi”. In Italia, come sappiamo, l’erede di Guardiola è Sarri, che in particolare ce l’ha col pallone invernale, progettato contro i calciatori più tecnici: «Siamo tra le squadre più tecniche del campionato, insieme alla Fiorentina, e siamo penalizzati dal pallone invernale. Molti la pensano come me ma non parlano. Il pallone rimbalza male, è già la quarta gara che disputiamo con la nuova sfera e non ho dubbi: obbliga i giocatori ad un controllo di troppo, rallentando l’azione». Sarri tira dentro anche altri palloni per un breve confronto: «Mi ricorda il pallone di Europa League, va per aria. Se prima toccavamo una volta per controllarlo stavolta ne servono due o tre di tocchi».

Cosa c’è che non va? Il colore, il materiale, l'assemblaggio? «Non lo so. Non so come è fatto ma posso dire che i risultati sono sconfortanti. Questo pallone ci fa sbagliare di più».

Il pallone invernale per Sarri è un’ossessione: «Non a caso si chiama pallone "invernale" ma con le alte temperature di questi giorni aderisce al terreno in modo molto strano. Mi piacerebbe conoscere chi ha collaudato il nuovo pallone».

Non ricordare le parate del portiere

Una strategia per lamentarsi della sfortuna senza farlo troppo esplicitamente, risultando patetici, è citare le mancate parate del proprio portiere. Una strategia che Simone Inzaghi ha brevettato negli anni. Ecco una carellata di “Non ricordo parate di…” purtroppo non esaustiva:

«Stasera non ricordo grandissime parate di Onana pur giocando contro gente come Sané, Coman e Mané ma dovevamo fare meglio sul primo gol perché stiamo facendo troppi errori, nel derby per esempio abbiamo regalato due gol».

«Sconfitta assolutamente immeritata, è un ko che fa male. Handanovic non ha fatto una parata…».

«La prestazione i ragazzi l'hanno fatta, non ricordo una parata di José Manuel Reina».

«Stasera perdiamo una partita dove il nostro portiere ha fatto una parata, noi che abbiamo preso pali e traverse però capita».

«Rimpianti? Il primo tempo abbiamo fatto molto bene, non ricordo parate di Strakosha mentre noi siamo andati 4 volte vicini al gol e ci siamo trovati un Handanovic che ha fatto cose strepitose».

La situazione, capirete, diventa particolarmente frustrante quando il proprio portiere non fa parate mentre il portiere avversario è indemoniato. Contro Inzaghi il portiere degli altri è sempre il migliore in campo: «I numeri e le statistiche delle gare di campionato sono superiori a quelli che abbiamo nelle partite di Champions e di Coppa Italia. I risultati non ci stanno dando ragione ed è motivo di delusione. Ora come ora non basta, non è un caso se troviamo Ochoa, Dragowski, Di Gregorio e gli altri che giocano bene contro di noi. Sono sempre i migliori in campo» (Simone Inzaghi, 2022).

Intermezzo / 2: Top-5 degli allenatori italiani più lamentosi

5. Giampiero Gasperini

Il suo stile di lamentela è spigoloso e oscuro. Parte spesso dal nulla e assume toni presto apocalittici. Sa lamentarsi un po’ di tutto ma i suoi cavalli di battaglia sono due: il calciomercato, spesso insufficiente, e l’Inter. Sul calciomercato lamenta di avere troppi giovani, o di averne troppo pochi. Sull’Inter lamenta un esonero di più di dieci anni fa.

4. Simone Inzaghi

Gli piace lamentarsi cercando mille pesi e contrappesi per suonare meno stucchevole. Parafrasiamo un po’: «Siamo stati penalizzati ma ci aiuterà a crescere»; «Siamo i più sfortunati nel mondo ma così è la vita». Sembra perfettamente consapevole di quello che sta facendo: lamentandosi può togliersi qualche responsabilità di dosso, e alleggerire la pressione generale attorno alla squadra.

3. Walter Mazzarri

Un autentico artista della lagna, capace di lamentele davvero geniali e memorabili. Ci manca.

2. José Mourinho

Le lamentele sono onnipresenti nei discorsi di Mourinho e sono perfettamente funzionali alla sua strategia comunicativa. Forse è l’allenatore che si lamenta di più in assoluto, ma è comunque abbastanza scaltro per non risultare patetico. Nel corso degli anni comunque è stato capace di perle assolute. Ai tempi del Real Madrid si lamentò dei pochi raccattapalle attorno al campo: «Non è una scusa, è un fatto».

1. Maurizio Sarri

Sarri si lamenta come uno zio brontolone al pranzo della domenica. Si lamenta come esercizio di stile, anzi: come riflesso esistenziale. Non può fare a meno di lamentarsi. Lamentarsi come respirare, come bere acqua, come riposarsi. Un’attività di base come un’altra. Tra tutti gli allenatori, è quello più senza freni, mai sfiorato dal timore di risultare sopra le righe con le sue lamentele.

Va ricordato che quella di Sarri è una delle più grandi storie di calcio degli ultimi anni, da essere impiegato in banca ad allenare alcune delle migliori squadre al mondo. Questa estrazione popolare, però, invece di essere un merito è stata spesso vista con scherno e sospetto. La frequenza con cui rivendica i propri meriti, allora, è legata anche al brutto trattamento che spesso gli è riservato.

Contro gli orari di gioco

Qual è l’orario migliore per giocare a calcio? Non certo le 12.30, secondo Sarri. «Ci sono delle cose su cui io non sarò mai d’accordo: che la Premier incassi 4 miliardi di sterline di diritti televisivi e non faccia vedere le partite di sabato e noi si sia in mano completamente a chi ci dà meno di un quarto… ma come ca**o si fa a giocare alle 12.30?», ha affermato il tecnico della Lazio.

«In Italia si fa di tutto per fare un campionato mediocre: le strutture non ci stanno, si gioca a orari di me**a, si creano tutti i presupposti per fare un brutto spettacolo e poi ci si lamenta perché si incassa meno di altri campionati: eh, è la logica conseguenza».

Non è certo l’unico a lamentarsi degli orari. Marcelino portò un cahier de doleance ai tempi del Villarreal: «Di 24 partite ne abbiamo giocate 10 alle 16.15. E quelle di sera, quando il pallone va più veloce, a noi non toccano mai».

Nel 2017 Sarri già se la prendeva con le partite alle 12.30: «Abbiamo giocato in un orario in cui nessun vuole giocare. Tutti lo pensano, ma la differenza è che io lo dico: a me fa schifo giocare alle 12.30. E giocare a quest'ora comporta una serie di problemi in più». Il problema sono le temperature: «Qui in Italia si fanno questi calendari tipo Inghilterra, ma noi siamo stati a Birmingham dieci giorni fa e facevano 15 gradi, qui per temperature siamo vicini all'Africa. È dura giocare così, con 38 gradi».

A Sarri non piacciono le partite alle 12.30, ad Allegri quelle alle 15, che costringono i suoi giocatori a un altro sport: «Ci vorrà tecnica e dovremo essere lucidi. Farà caldo visto che giochiamo alle 15. Non è un problema ma bisogna essere bravi perché quando giochiamo alle 15 è come giocassimo un altro sport» (Allegri, 2017).

Contro il regolamento

«Abbiamo battuto più calci d’angolo di tutti in Serie A, andate a guardare i dati. Anche quelli sul possesso palla, siamo una delle squadre migliori. Abbiamo giocato delle grandi partite, la stagione è da considerarsi positiva». L’uso della quantità di calci d’angolo per dichiararsi sfortunati è un grande cavallo di battaglia di Mazzarri, che chiese - tra il serio e il faceto - di cambiare le regole assegnando un gol dopo un tot di calci d’angolo battuti.

Intermezzo / 3: un grafico lagnoso

Contro le critiche

Conferenza stampa capolavoro di lamentela. Qui c’è tutta l’arte retorica di Antonio Conte, il repertorio completo. Il “Stiamo parlando di una squadra, il Siena” che punteggia tutti i primi minuti di intervista, fatti con un ritmo di lamentele incalzante. Il discorso sfugge un tantino di mano e Conte inizia a parlare anche in terza persona. Si rivendica il campionato importante pur con giocatori che non voleva nessuno. «E che sentiamo sempre? Critiche, fischi, delusione alla minima situazione. Ma che modo è questo? Non si vuole il bene del Siena». La squadra viene difesa con i denti; il tono sembra quello di chi regge casa e la famiglia senza che gli siano riconosciuti meriti: «Mai una gratificazione, mai niente, tutto dovuto, tutto, tutto. Questa è una squadra che non è mai stata amata, dal primo giorno. “Sei primo e però. Sei secondo e però. E c’hai il migliore attacco e però. E sei terzo e però. È sempre una critica, continua». Verso la fine l’appello: «Gufi! State a casa!». E infine Conte ci rivela senza volerlo che tutto quel clima - di critiche, lamentele, odio e caos - in fondo gli fa piacere: «Detto questo, mi dà ancora più forza, ancora più avvelenamento». Le critiche hanno un grande pregio: offrire l’occasione di lamentarsi per le critiche.

In questa categoria Conte è un peso massimo. Spettacolare la conferenza in cui disse che la Nazionale è vista “come un fastidio”: «Ora vediamo se l'Italia è davvero amata come dicono. Sto cercando di riformare un prodotto in via di estinzione, e voi vedete solo Balotelli. Non ho la bacchetta magica, so solo lavorare, lavorare, lavorare. Sapete tutti che sono un tipo che non le manda a dire: alle volte si mette la testa sotto la sabbia per non vedere i problemi. Ma io non sono venuto qui per perdere tempo» (Conte, 2014).

Su questo tema impossibile non citare la leggendaria conferenza di Alberto Malesani, completamente triggerato dall’aggettivo “mollo” rivoltogli da qualche giornalista o commentatore. «Ma che mollo ma quale mollo?!» (Malesani, 2001).

Contro il mal di pancia

«Mezza squadra era influenzata. C’era uno che ha giocato con la diarrea. È l’unica spiegazione che ci diamo tutti».

Contro i flauti e i rumori in generale

Dopo una sconfitta in Europa League contro l’Olympiakos, Leonardo - allora DS, scusate la piccola licenza - si lamentò di un rumore assordante, incredibile, che veniva dagli spalti. Qualcosa di incomprensibile, alieno, e di sicuro illegale: «Ogni volta che attaccavamo si sentiva un rumore assordante. Non so se si trattasse di flauti, clacson o sirene. Il regolamento non lo permette. L’arbitro doveva arrestare il gioco. Non sto cercando alibi. Non dico che dovevamo passare, ma questa eliminazione mi sembra ingiusta».

Il rumore può essere un fattore di disturbo notevole. Oleg Blokhin, CT dell’Ucraina, si lamentò nel 2006 delle rane, che col loro gracidio notturno non avevano permesso ai suoi giocatori di riposare.

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