La spedizione più numerosa di sempre e la speranza che un po’ di fortuna assista le punte azzurre nella corsa a una medaglia nell’atletica dal 30 luglio all’8 agosto. Il livello medio della squadra azzurro è forse il più alto da diverse stagioni, mentre l’età media si è abbassata da 30 a 27 anni. A spiccare però è la quantità di convocati: sono 76, mai così tanti nella storia dell’atletica italiana a cinque cerchi. Praticamente, un italiano su cinque alle Olimpiadi gareggia nell’atletica leggera. Per avere un metro di paragone, basta ricordare che a Rio nel 2016 gli italiani erano 36: meno della metà. Come nota il sito Queenatletica, contando le presenze alle staffette come singole, solo Usa, Gran Bretagna e Germania hanno più partecipanti degli azzurri. Avere tanti atleti presenti non alza il livello medio, ma accresce le speranze di un exploit individuale o comunque di un episodio a favore che non è mai da escludere, persino in uno sport che lascia poco al caso. L’ultima volta, a Rio de Janeiro, le medaglie furono zero: per trovare un italiano sul podio bisogna risalire a nove anni fa, quando Fabrizio Donato arrivò terzo nel salto triplo pochi giorni prima di compiere 36 anni. Nel 2008, a Pechino, i podi furono due, entrambi nella marcia: l’oro di Alex Schwazer nella 50 km e il bronzo di Elisa Rigaudo nella 20 km.
L’Italia ha attraversato diversi decenni di declino, ma forse il buco nero in cui è caduta ha toccato il fondo nel 2017, quando solo una grande gara di Antonella Palmisano nella 20 km di marcia evitò le zero medaglie. Nel 2019, nonostante il bottino fosse identico (grazie al bronzo di Eleonora Giorgi nella 50 km), diversi risultati individuali hanno reso più accettabile la prestazione di squadra. I pronostici dell’Associated Press dicono che anche quest’anno sul podio non salirà nessun azzurro e probabilmente è vero. Tuttavia l’Italia può ben figurare in Giappone. A contare, più che le medaglie, sarà il ‘placing table’: una specie di medagliere che assegna punteggi ai primi otto classificati di ogni disciplina, otto punti per il vincitore e poi a scalare. Ai Giochi di Rio 2016 e alle Olimpiadi di Doha 2019 gli azzurri sono arrivati ventiseiesimi, mentre a Londra chiusero addirittura 35esimi grazie al bronzo di Palmisano, al sesto posto del maratoneta Daniele Meucci e all’ottavo di Marco De Luca nella 50 km di marcia. Nelle gare disputate nello stadio, il risultato fu un clamoroso zero.
Per quanto riguarda il drappello azzurro pesano le assenze di Schwazer, che si è appellato senza successo al Tas per chiedere una sospensione della squalifica che lo mette fuori gioco fino al 2024, e di Larissa Iapichino, infortunata. Ma va detto che quest’anno, nonostante l’enorme potenziale, la saltatrice azzurra, figlia di Fiona May e primatista mondiale juniores nel lungo indoor, difficilmente avrebbe vinto una medaglia. Tra i presenti il volto copertina è quello di Marcell Jacobs: forse non è l’italiano più accreditato per un miracolo da podio, ma sicuramente è il più appariscente visto il 9’’95 con cui ha portato lo sprint italiano in una nuova dimensione. Le altre punte sono il saltatore in alto Gianmarco Tamberi, il pesista Leonardo Fabbri e le marciatrici Palmisano e Giorgi, con qualche possibile sorpresa dal triplo maschile, dalle siepi maschili, dalla 4x100 maschile e, allargando un po’ il campo, dalla 20 km di marcia maschile. Per tutti, però, vale una regola: il podio è possibile solo se si esprimono al meglio e se la fortuna li assiste. Fatta questa premessa, ecco i volti della spedizione azzurra in ogni settore.
Velocità
Marcell Jacobs compirà 27 anni a settembre. Nativo di El Paso, madre italiana e padre americano, si è diviso tra salto in lungo e velocità fino a cinque anni fa. Poi ha puntato sulla seconda, con una progressione che lo ha portato ai vertici italiani dei 100 metri. Fino a un anno fa, almeno negli scontri diretti, soffriva la presenza di Filippo Tortu, che lo ha battuto più volte. Ma quest’anno è entrato in un’altra dimensione. In inverno ha letteralmente dominato i 60 metri agli Europei indoor di Toruń, vincendo la finale in 6’’47 che, oltre a essere record italiano, è anche il miglior tempo al mondo dell’anno sulla distanza. All’aperto ha demolito il primato italiano di Tortu, portandolo da 9’’99 a 9’’95.
È ottavo nel ranking mondiale della World Athletics (la ex Iaaf), un meccanismo entrato in vigore che assegna un punteggio a ciascun atleta in base ai risultati nelle gare, ai piazzamenti e all’importanza delle competizioni (e che vale come ulteriore possibilità di qualificazione alle grandi competizioni). Nelle liste mondiali dei migliori tempi è undicesimo, ma dei dieci atleti che lo precedono otto sono americani e solo tre saranno alla partenza dei 100. Può aspirare alla finale e sarebbe il primo azzurro ad arrivarci nei 100 metri nella storia dei Giochi Olimpici.
Tuttavia in Giappone ci saranno anche atleti che quest’anno non hanno raggiunto i livelli di Jacobs ma con un potenziale maggiore. Jacobs comunque è sicuramente nella dozzina che può aspirare a un ottimo risultato. Deve esprimersi ai suoi massimi livelli, magari ottenendo quel 9’’91-9’’92 che sembrava valere già a Savona quando ha riscritto il record italiano, e sperare che non tutti riescano a fare lo stesso. Potrebbe non bastare, visto che dietro al favorito Trayvon Bromell (Usa) ci sono comunque sprinter del calibro di Akani Simbine (Sudafrica) da anni nel gotha dello sprint mondiale. Ma almeno non avrebbe nulla da recriminare. A sostenere Jacobs, alla prima Olimpiade, c’è una maturità agonistica che finalmente sembra avere raggiunto. La prova non è tanto nel primato italiano, o nella finale degli Europei indoor, quanto in altre prestazioni fatte vedere nelle scorse settimane. A Rovereto, con un metro di vento contro, ha corso in 10’’01 dominando i campionati italiani.
Ma la miglior prestazione è arrivata a Montecarlo, in Diamond League, il 9 luglio. Il lotto dei partenti era estremamente alto e Jacobs è arrivato terzo, dietro all’americano Ronnie Baker e a Simbine e davanti al canadese André De Grasse (argento nei 200 e bronzo nei 100 a Rio nel 2016, di nuovo terzo sui 100 ai Mondiali 2019), a Bromell, all’americano Fred Kerley (un quattrocentista americano che quest’anno ha corso in 9’’86) e a Tortu. Insomma, timori reverenziali non sembra averne e in una gara che dura dieci secondi malcontati questo è importante.
Se Jacobs è nel momento migliore della sua carriera, Filippo Tortu sembra l’ombra dell’atleta visto nel 2018 e nel 2019. Tre anni fa fu il primo italiano a correre i 100 metri in meno di 10 secondi, con un 9’’99 che rappresenta una pietra miliare nella storia dell’atletica azzurra. E a Doha, nel 2019, è stato il primo italiano capace di entrare in una finale mondiale dai tempi di Pierfrancesco Pavoni (1987). L’anno scorso ha corso in 10’’07, mentre quest’anno è arrivato fino a 10’’17. Soprattutto, non è mai sembrato a suo agio. Non corre i 200 dal 2019, nonostante quattro anni fa sembrassero la gara in cui aveva più margini viste le non eccezionali doti in partenza. Lo scorso inverno ha avuto il Covid, ma a parte questa contingenza continua a gareggiare pochissimo.
Un modo per preservarlo, secondo il suo staff tecnico, che però si è attirato molte critiche visto che è difficile abituarsi al clima da gara quando non si compete quasi mai. Insomma negli ultimi tempi Tortu è stato sotto i riflettori più che altro per le critiche e per qualche polemica: come quella per il temporaneo rifiuto di parlare ai microfoni Rai a causa delle critiche ricevute dal telecronista Franco Bragagna, o quella per l’esclusiva sull’utilizzo dell’Arena di Milano 17 ore alla settimana, che ha mandato su tutte le furie alcune delle più importanti società sportive milanesi. Anche la scelta di continuare a farsi allenare dal padre Salvino è stata fortemente criticata, in particolare da Stefano Tilli che, oltre a essere il commentatore tecnico dell’atletica per la Rai, è stato il tecnico di Merlene Ottey e un velocista di alto livello capace di vincere tra le altre cose un oro indoor nei 60 metri agli Europei del 1983 e il mitico argento della 4x100 ai Mondiali dello stesso anno, con Pietro Mennea in ultima frazione. Dopodiché, il potenziale di Tortu non si discute: in giornata e in condizione, può sperare di fare un miracolo e arrivare in finale nei 100.
Alle condizioni di Tortu è legato a doppio filo anche il potenziale della 4x100 azzurra. Ed è soprattutto per la staffetta che conterà avere sia lui sia Jacobs al massimo della forma. Poche sono le 4x100 che possono vantare due atleti capaci di scendere sotto i 10 secondi e quasi nessuna ha un uomo da primo rettilineo come Jacobs. Nel 2019 a Doha la 4x100 maschile è arrivata decima ai Mondiali, con il primato italiano di 38’’11. Ha i numeri per scendere sotto i 38’’, in una dimensione in cui si vedono le medaglie. Ci sono diverse squadre più forti, ma non tantissime per la disciplina che, più di tutte, presenta fattori di aleatorietà soprattutto legati ai cambi. Le sorprese in staffetta sono all’ordine del giorno: nel 2011 Saint Kitts & Nevis, la nazionale di un Paese da poche decine di migliaia di abitanti, arrivò terza sfruttando gli errori altrui (l’Italia nell’occasione fu quinta). Chiaramente l’errore può toccare a tutti e l’Italia non è esente da questo discorso.
Da capire chi completerà il quartetto. È possibile che in prima frazione ci sia il ventunenne Lorenzo Patta, che quest’anno è sceso a sorpresa da 10’’31 a 10’’13, anche se sulle sue condizioni desta qualche perplessità il fatto che non gareggi da maggio. Tra i convocati c’è Davide Manenti, 32 anni, componente fisso della 4x100: il suo personale di 10’’48 nei 100 sembra poca cosa, ma da duecentista è molto abile in curva. Più chance da titolare sembra avere Eseosa Desalu, duecentista con un personale di 10’’29 sulla distanza più breve. Nella lista dei possibili partenti anche Hillary Wanderson Polanco Rijo, che quest’anno è sceso a 10’’26, e Antonio Infantino, a sua volta duecentista da 10’’26 nei 100. Tra gli atleti di vertice non è stato convocato Matteo Melluzzo, diciannovenne da 10’’25 quest’anno, impegnato negli Europei e nei Mondiali juniores.
Desalu e Infantino saranno anche ai blocchi di partenza dei 200 metri, con poche chance. Desalu è quattordicesimo nel ranking mondiale, ma il suo 20’’38 lo posiziona al 56esimo posto nelle liste 2021, mentre Infantino, 78esimo nel ranking, quest’anno ha corso in 20’’48 e ha un personale di 20’’41. Può puntare a migliorare il suo personale e in questo caso, con un po’ di fortuna, sperare di arrivare in semifinale. Sulla semifinale può scommettere anche Desalu, alla seconda partecipazione olimpica e capace di correre, tre anni fa, in 20’’13. Un tempo che, replicato, potrebbe dargli con un po’ di fortuna anche qualcosa di più che un semplice passaggio del turno, ma sembra improbabile vederlo in finale tra i migliori otto.
Più rimaneggiata la squadra femminile, a cui manca una punta come Jacobs o come Tortu, ma che sta vivendo una fase di crescita. I riflettori sono puntati sulla duecentista Dalia Kaddari, ventenne fresca campionessa europea under 23 che quest’anno ha messo in tavola le sei migliori prestazioni della sua vita portando il personale da 23’’23 a 22’’64. Purtroppo per lei il mondo viaggia a un’altra velocità e l’accesso alla finale sembra fuori portata. Ma Kaddari ha un altro obiettivo, più abbordabile: battere il primato italiano assoluto, dopo essersi presa quello under 23. Attualmente il record, 22’’56, appartiene a Libania Grenot, seguita da Manuela Levorato (22’’60). Con lei, al via dei 200 c’è la ventinovenne Gloria Hooper, 22’’89 in carriera e presente ai Giochi per la terza volta. Sui 100 hanno strappato il ticket per la gara individuale Anna Bongiorni, 27 anni, e Vittoria Fontana, 21. Entrambe hanno ottenuto il personale quest’anno (11’’27 Bongiorni e 11’’33 Fontana) e sono alla prima Olimpiade. Non hanno grandi speranze di gloria nella gara individuale.
Ma la 4x100, di cui fanno parte oltre alle quattro già citate anche Zaynab Dosso, Johanelis Herrera e Irene Siragusa (che ha pur sempre un personale di 11’’21), è da tenere d’occhio perché è superiore alle qualità individuali delle sue componenti. Le azzurre hanno vinto le World Relays, ma ha impressionato soprattutto la loro prestazione ai Mondiali di Doha, quando con il record italiano (42’’90) hanno strappato la qualificazione per la finale chiusa poi al settimo posto. Il loro obiettivo è bissare l’accesso alla finale di due anni fa e, magari, ritoccare il primato.
A Tokyo sono presenti anche 15 quattrocentisti, ma solo due di loro correranno il ‘giro della morte’ in proprio. La ragione sta in una nuova gara, la 4x400 mista (composta da due uomini e due donne) e nella qualificazione a tutte e tre le staffette: maschile, femminile e, appunto, mista. Gareggeranno a livello individuale Davide Re ed Edoardo Scotti. Re, 28 anni, è forse il migliore quattrocentista azzurro di sempre. Nel 2019 è diventato il primo atleta italiano capace di sfondare il muro dei 45 secondi, fermando il cronometro a 44’’77, e ai Mondiali di Doha ha mancato di pochissimo l’accesso alla finale chiudendo in 44’’81. È anche uno staffettista di grande valore e, al massimo della forma, troverebbe posto in quartetti superiori a quello italiano. È stato lui, con una volata bruciante che gli ha permesso di superare tre avversari in pochi metri, a regalare l’accesso alla finale di Doha alla 4x400 azzurra, due anni fa. Il problema è che oggi Re sembra lontano da quello stato di grazia. Quest’anno finora il suo miglior tempo è un 45’’76 e anche sull’ultimo rettilineo, quello che è sempre stato il suo cavallo di battaglia, finora è stato irriconoscibile. Se nelle ultime settimane non è salito di forma, difficile pensare che possa superare il primo turno.
Discorso un po’ diverso per Scotti, 21 anni, anche lui lontano dal personale di 45’’21 siglato l’anno scorso: finora è sceso fino a 45’’68, ma l’ha fatto per andare a conquistare il bronzo nella finale europea under 23, in una rassegna che l’ha anche visto chiudere al secondo posto la 4x400. Sulla carta la 4x400 italiana è piuttosto forte e arriva dal sesto posto di Doha. Ma per migliorare un record italiano vecchio di 35 anni servono il miglior Re e il miglior Scotti.
Le donne scenderanno in pista solo per le staffette. Le convocate sono otto, manca un talento come Libania Grenot, che però raramente in staffetta ha fatto vedere le stesse qualità espresse nelle gare individuali. Tuttavia le pressioni sono tutte su altre nazionali. E lo stesso vale per la 4x400 mista, sulle cui potenzialità influiranno le decisioni tecniche per quanto riguarda la composizione del quartetto.
Ostacoli
Il drappello degli ostacolisti è nutrito e ci sono alcune possibilità di approdare alla finale, portando punti al placing table. Manca però una punta assoluta. Luminosa Bogliolo, 26 anni, forse è la più regolare ad alti livelli. Ha un personale di 12’’78 sui 100 ostacoli risalente al 2019, ma ha corso tra quel tempo e i 12’’9 qualcosa come 16 volte. Finora non le è mai riuscito l’exploit, però è una garanzia a livello di rendimento. A Doha si è fermata in semifinale. Con lei corre la distanza più breve Elisa Maria Di Lazzaro, 23 anni, quest’anno scesa per la prima volta (con tempo regolare) sotto i 13 secondi, fino a 12’’90. I colleghi impegnati sui 110 ostacoli sono Paolo Dal Molin, 34 anni, e Hassane Fofana, 29. Sono due veterani che stanno vivendo una seconda primavera. Entrambi hanno ottenuto il miglior tempo in carriera quest’anno: Fofana è sceso a 13’’42, Dal Molin addirittura ha stampato un 13’’27 che rappresenta il record italiano. Considerando che partiva da 13’’40, un miglioramento sorprendente che gli ha permesso di conquistare il suo primo viaggio olimpico all’ultima possibilità. Nelle liste di quest’anno Dal Molin è ventunesimo e non tutti quelli che gli sono davanti saranno a Tokyo, quindi l’approdo in semifinale non è irraggiungibile. Per entrambi, l’Olimpiade rappresenta un’ulteriore occasione di migliorarsi.
Uno che in Giappone può coronare una stagione già ottima è Alessandro Sibilio, 22 anni, che arriva a Tokyo con due medaglie conquistate agli Europei under 23: quella d’argento sulla 4x400 e, soprattutto, quella d’oro sui 400 ostacoli, dove ha portato il record italiano di categoria a 48’’42. In Italia solo Fabrizio Mori, oro mondiale a Siviglia nel ’99 e argento a Edmonton nel 2001, è andato più forte. La differenza tra i due è ancora ampia (Mori nel 2001 corse in 47’’54), ma Sibilio ha qualità enormi. Sarebbe l’ostacolista italiano più vicino alla finale, se non avesse incrociato una generazione di fenomeni. Quest’anno il norvegese Karsten Warholm ha corso in 46’’70, strappando all’americano Kevin Young un record mondiale che resisteva dal 1992. Qualche giorno prima un americano, Rai Benjamin di 24 anni, aveva corso in 46’’83. E in pista c’è anche il qatariota Abderrahman Samba, quest’anno un po’ in ombra ma con un personale di 46’’98. Insomma: nella storia solo quattro atleti sono stati capaci di correre sotto i 47 secondi e a Tokyo ce ne saranno tre. Ma il livello è molto alto anche andando oltre le punte. Sibilio comunque è dodicesimo nelle liste stagionali, quindi qualche chance ce l’ha, a patto di fare la gara perfetta.
Le azzurre dei 400 ostacoli sono tre. Marchiando, che è convocata anche per la staffetta dei 400 piani, ha avuto una crescita eccezionale sulle barriere. Nel 2018 il suo personale era di 58’’32. L’anno scorso si è migliorata a 57’’44. Quest’anno è scesa sotto a quel limite sei volte, fino al 55’’16 con cui, a Rovereto, ha vinto il titolo italiano dei 400 ostacoli e strappato il pass olimpico battendo la concorrenza interna. Nelle liste mondiali di quest’anno è ventunesima, quelle da finale sono piuttosto lontane. Da vedere se le è rimasto qualche asso nella manica. Con lei partirà anche Linda Olivieri, 23 anni, che quest’anno è scesa a 55’’54 e ha già partecipato ai Mondiali di Doha. La terza atleta in gara è la veterana Yadisleidy Pedroso, 34 anni, capace in carriera di un 54’’54 e arrivata quest’anno fino a 55’’79. Pedroso, probabilmente all’ultimo giro di giostra in un grande evento, punterà a raggiungere la semifinale ma dovrà togliersi di dosso un po’ di ruggine. Olivieri punterà a migliorare il personale.
Mezzofondo
La brutta notizia, per le gare dagli 800 ai 10.000 metri, è che non ci sono possibilità realistiche di medaglie. Quella bella è che ci sono ottime opportunità di divertirsi perché non mancano le personalità di carattere. La rivelazione dell’anno è la 22enne Gaia Sabbatini, impegnata sui 1.500 metri. Il suo salto di qualità rispetto al 2020 è stato clamoroso. Al Golden Gala del 10 giugno, nel giorno del suo compleanno, è scesa fino a 4’04’’23, sette secondi meglio di quanto fatto l’anno scorso. Poi qualche lacrima, perché la qualificazione diretta alle Olimpiadi era fissata a 4’04’’20. Fortunatamente si è qualificata via ranking e sarà a Tokyo. Le migliori del mondo viaggiano a un’altra velocità, l’azzurra è trentasettesima nelle liste 2021 e i pronostici non sono a suo favore. Quello che statistiche e cronometri non dicono è che Sabbatini è un’agonista formidabile, che in gara mostra una grande fiducia nei propri mezzi e che è molto abile a districarsi nel gruppo. Non si fa problemi ad andare in testa se serve, né a fare a sportellate quando ce n’è bisogno.
Il 30 maggio, in Coppa Europa, si è presentata sull’ultimo rettilineo imbottigliata fra tre avversarie: ha risolto una situazione difficile in 50 metri e ha passato gli ultimi 30 a esultare a braccia alzate. Qualche settimana fa ha letteralmente dominato gli Europei under 23, davanti alla coetanea Marta Zenoni, ragazza prodigio che dopo diversi anni difficili sta tornando a grandi livelli (ma non sarà a Tokyo). Il valore aggiunto di Sabbatini è lo sprint finale. Il suo personale sugli 800 metri, nettamente migliorato quest’anno, è di 2’00’’75. E a 18 anni correva i 400 – una gara non sua – in 56’’29, un buon tempo. Sono qualità che possono aiutarla ad approdare in semifinale, anche se è dura, e vedere cosa succede: l’entrata in finale sembra proibitiva, ma lei non pare tipo da rinunciare facilmente. Con Sabbatini sarà alla partenza la ventiseienne Federica Del Buono. A vent’anni era un grande talento, poi è stata perseguitata dagli infortuni. Quest’anno è tornata ad alti livelli ed è riuscita, partecipando a numerose gare, a scalare le posizioni del ranking fino a strappare la qualificazione olimpica. Un giusto riconoscimento a una carriera in salita. Sugli 800 c’è la 24enne Elena Bellò, che negli ultimi due anni è cresciuta sensibilmente di livello portando il suo personale a 2’00’’44.
Gli uomini non portano nessuno nelle gare brevi, ma hanno il miglior mezzofondista azzurro degli ultimi vent’anni: è Yemanerberhan Crippa, classe 1996. Detiene i primati italiani di 3.000, 5.000 e 10.000 metri ed è arrivato a 12 centesimi da quello del miglio. È un corridore abbastanza veloce, come mostra il personale di 3’35’’26 nei 1.500 metri, e questo lo rende piuttosto abile in volata. Ha alzato notevolmente il livello del mezzofondo italiano: i record di 5.000 e 10.000 resistevano da circa trent’anni, entrambi erano in mano a Salvatore Antibo che all’epoca era uno dei più forti mezzofondisti del mondo. Gli atleti di vertice viaggiano a un’altra velocità, ma Crippa ha già dimostrato più volte di non avere timori reverenziali.
Nel 2018 ha conquistato un bronzo europeo sui 10.000 con una gestione tattica ineccepibile e, l’anno dopo, è arrivato ottavo ai Mondiali di Doha fermando il cronometro a 27’10’’76: l’attuale primato italiano. Ha le qualità per diventare il primo azzurro capace di scendere sotto i 13 minuti nei 5.000 (il suo attuale primato è 13’02’’26) e sotto i 27 minuti nei 10.000. Le medaglie si giocano altrove, ma per l’Italia cadrebbero due muri storici. Crippa può sparare le sue cartucce migliori sui 10.000 e in questo senso è un bene che proprio la gara più lunga sia la prima a disputarsi: potrà affrontarla senza tossine nelle gambe, per poi presentarsi con la mente sgombra alle semifinali dei 5.000.
Nei 3.000 siepi gli italiani alla partenza sono tre: Ahmed Abdelwahed e i gemelli Zoghlami, Ala e Osama. Abdelwahed, 25 anni, è esploso quest’anno, migliorando il personale di 14 secondi fino a 8’12’’04 che rappresenta l’ottava prestazione mondiale del 2021. Sulla carta avrebbe i numeri per entrare in finale, le perplessità riguardano la sua inesperienza ad alti livelli: in curriculum, a parte un argento under 23 nel 2017, ha un tredicesimo posto agli Europei assoluti l’anno dopo. Certo è in uno stato di grazia. Ala e Osama Zoghlami, 27 anni, hanno a loro volta ottenuto i propri personali quest’anno: i loro 8’17’’65 e 8’14’’29 li mettono rispettivamente al ventesimo e al dodicesimo posto nelle liste mondiali 2021. Tutti e tre sono stati capaci di entrare nella top ten degli italiani più forti nei 3.000 siepi, una disciplina in cui il livello azzurro è storicamente stato molto alto.
Da tenere d’occhio è la 21enne Nadia Battocletti, figlia d’arte: il padre Giuliano, che la allena, è stato campione europeo di campestre. Negli ultimi anni ha dominato tra le under 18, le under 20 e le under 23, ma ormai corre a un livello impareggiabile da qualunque connazionale. Quest’anno una crescita impetuosa l’ha portata a migliorare tre volte il personale di 15’46’’26 sui 5.000. L’ultimo miglioramento, il 12 giugno, le ha permesso di conquistare il pass per Tokyo e di scendere a 14’58’’73: è record italiano under 23 e in generale negli ultimi 25 anni nessuna azzurra ha corso così forte. Come Sabbatini, ha vinto Coppa Europa a squadre ed Europei under 23. È trentasettesima nelle liste mondiali 2021 e a Tokyo ci va senza ambizioni: il suo turno non è ancora arrivato. Il futuro, però, è ancora da scrivere perché i margini di miglioramento sembrano ampi.
Salti
Il 15 luglio di cinque anni fa Gianmarco Tamberi vinse il meeting del principato di Monaco saltando 2,39, record italiano. Poi tentò i 2,41 metri e si infortunò a una caviglia. Svanì il sogno di un oro olimpico a Rio, che non era scontato ma su cui avrebbe potuto dire la sua anche considerando che si sarebbe presentato da campione mondiale indoor in carica. Negli anni successivi, purtroppo, non è più riuscito a replicare il livello raggiunto nel 2016. È ancora un atleta di vertice, capace di superare i 2,30 – quest’anno si è spinto fino a 2,33 all’aperto e a 2,35 al chiuso – ma non è uno dei due o tre più forti come nel 2016. Anche nelle sue giornate migliori, contro saltatori di alto livello, non è riuscito a vincere: agli Europei indoor di Toruń, con quella che a tutti gli effetti è stata una gara straordinaria sia per misure (2,35) sia per conduzione, si è visto la strada sbarrata dal bielorusso Maksim Nedasekaŭ, mentre nella sua miglior prestazione dell’anno all’aperto, il Golden Gala di Firenze chiuso in 2,33, è stato superato a pari misura da Ilya Ivanyuk e da Brandon Starc. La nota positiva è che, fino a ora, nessuno ha ottenuto misure da fenomeno: il gruppetto dei migliori è compatto e ne fa parte anche Tamberi, che resta la maggior speranza azzurra di medaglia e a cui i 29 anni hanno dato comunque un bagaglio di esperienza che può risultare molto utile in una gara come il salto in alto.
Nel salto in lungo l’Italia maschile schiera Filippo Randazzo, 25 anni, che negli ultimi tre anni è sempre stato capace di superare gli otto metri (8,12 il personale, 8,05 quest’anno) ed è a Tokyo grazie al ranking. Molto interessante la situazione del salto triplo, dove per la prima volta nel ventunesimo secolo non ci sarà il primatista italiano Fabrizio Donato, tra le altre cose bronzo a Londra 2012. Il ricambio generazionale porta però tre azzurri che fino a un anno fa non erano mai saliti sopra i 17 metri. Oggi però Dallavalle è quinto al mondo nelle liste dell’anno e Ihemeje e Bocchi sono quattordicesimi, anche se va detto che alcuni dei migliori triplisti del mondo finora si sono nascosti. Tutti e tre hanno legittime aspirazioni di approdo in finale. Con i loro attuali personali le medaglie sembrano fuori portata, ma non lontanissime: dovrebbero esprimersi ai loro massimi livelli, magari migliorandosi (e considerando che tutti e tre hanno fatto il personale quest’anno non è impossibile che accada) e sperare nel passo falso di qualche avversario, che nel triplo è all’ordine del giorno.
Sul fronte femminile, l’Italia del salto in alto schiera Alessia Trost, 28 anni, ed Elena Vallortigara, 30 da compiere. Trost, che a 19 anni saltava due metri indoor, quest’anno sembra in miglioramento rispetto alle stagioni recenti ma comunque lontana dai suoi migliori livelli. Un mese fa ha saltato 1,93 all’aperto, non una misura da medaglia. Vallortigara è esplosa tre anni fa, arrivando a un clamoroso 2,02 che però finora è rimasto una fiammata isolata. La notizia positiva è che sia riuscita a risalire a 1,96. Entrambe, gareggiando al loro meglio, potrebbero ben comportarsi in un’ipotetica finale. Il problema è che raramente sono riuscite a incidere in questi appuntamenti. Nell’asta femminile salterà Roberta Bruni, 27 anni, che ha vissuto una primavera favolosa nel corso della quale ha portato il record italiano a 4,70. Poi diverse uscite a vuoto. Se tornasse quella della prima parte di stagione potrebbe sognare l’accesso in finale.
Lanci
Le notizie migliori arrivano dal getto del peso, dove presentiamo un terzetto di alto livello. Leonardo Fabbri, 24 anni, Nick Ponzio, 26, e il suo coetaneo Zane Weir sono tre atleti da 21 metri e oltre. Fabbri ha addirittura un personale di 21,99, mentre quest’anno il suo miglior lancio è a 21,71. Misure di eccellenza, in un’epoca in cui però il peso sta esprimendo livelli elevatissimi: l’americano Ryan Crouser, pochi mesi fa, ha battuto con 23,37 un record del mondo che resisteva da 31 anni. Fabbri comunque è decimo nelle liste mondiali dell’anno e ha buone possibilità di accedere alla finale. Poco più indietro nelle liste, sedicesimo a 21,40, si trova Ponzio, americano diventato italiano il 15 giugno scorso grazie alle origini dei genitori per ovviare al problema della troppa concorrenza a stelle e strisce. Negli stessi giorni è uscito su YouTube un video in cui si autointervista mentre mangia cannoli. In carriera vanta un 21,72 ottenuto l’anno scorso. Weir invece è di origine sudafricana: l’acquisizione della cittadinanza italiana risale a febbraio di quest’anno. Nelle liste è un po’ più attardato, con un 21,11 che però ha migliorato nettamente il suo vecchio personale. È quello con meno pretese di arrivare in finale, ma non è spacciato.
L’unico altro uomo impiegato nei lanci è Giovanni Faloci, uno dei veterani della spedizione con i suoi 36 anni: sono le sue prime Olimpiadi, frutto di un notevole miglioramento del personale fino a 67,36 metri che gli vale addirittura il decimo posto nelle graduatorie annuali. Per entrare in finale bisogna stare fra i primi dodici. Presente a Tokyo anche la discobola Daisy Osakue, 25 anni, qualificata grazie al ranking: per lei, però, guadagnare l’accesso alla finale sarà un’impresa. Lo stesso vale per Sara Fantini, classe 1997, 72,31 di personale in un 2021 che l’ha vista più volte lanciare il martello sopra i 70 metri e qualificata grazie al ranking.
Marcia e Maratona
Una volta marcia e maratona erano la nostra riserva di medaglie. Dal 1988 a oggi le uniche vittorie azzurre sono arrivate da Gelindo Bordin (Seul 1988, maratona), Ivano Brugnetti (Atene 2004, 20 km marcia), Stefano Baldini (Atene 2004, maratona) e Alex Schwazer (Pechino 2008, 50 km marcia). Ai quattro ori si aggiungono un argento di Elisabetta Perrone (1996, 10 km marcia) e tre bronzi di Maurizio Damilano (Seul 1988, 20 km marcia), Giovanni De Benedictis (Barcellona 1992, 20 km marcia) ed Elisa Rigaudo (Pechino 2008, 20 km marcia). Praticamente vengono dalla marcia e dalla maratona metà delle sedici medaglie vinte nelle ultime otto edizioni olimpiche. Ora la situazione è un po’ più complicata e sognare un podio è molto difficile: le speranze sono legate alla possibilità che le condizioni climatiche spingano i più forti alla prudenza, in modo da avere gare lente e tattiche. Per quanto riguarda la gara olimpica per eccellenza, la maratona, l’Italia schiera Yassine El Fathaoui, Eyob Faniel e Yassine Rachik. Sulla carta Faniel, 29 anni, è l’azzurro più forte: l’anno scorso ha ottenuto un personale, 2:07’19’’, che è l’attuale primato italiano. Vanta un quinto posto agli Europei del 2018 e un quindicesimo ai Mondiali del 2019. El Fathaoui, 39 anni, per vivere fa l’operaio metalmeccanico. Si allena dopo il turno di lavoro, tutti i giorni. Non ha mai indossato la maglia azzurra finora. È un dilettante che ha iniziato a correre da amatore in età adulta ed è capace di scendere a 2:10’10’’ l’anno scorso a Siviglia. Esserci, per lui, vale quanto una medaglia olimpica. Rachik, 28 anni, è stato terzo agli Europei di maratona e dodicesimo ai Mondiali 2019. Ha rischiato di non essere a Tokyo perché le Fiamme Oro di cui fa parte non gli concedevano l’idoneità al servizio. Ma alla fine ha strappato il pass. L’unica maratoneta italiana è Giovanna Epis, che quest’anno ha corso in 2:28’03’’. Anche per lei è difficile pronosticare qualcosa di meglio di un piazzamento.
Nelle tre gare di marcia (20 e 50 km maschili, 20 km femminili) gli azzurri sono nove. Le due carte più preziose vengono dalla gara femminile, l’unica tra maratona e marcia in cui abbiamo due atlete che possono senza dubbio competere con le migliori o subito dietro. Eleonora Giorgi arriva dal bronzo mondiale conquistato nel 2019 nella distanza più lunga. Ha 31 anni e, nella 20 km, molte gare alle spalle non concluse per squalifica, ma dopo il podio di due anni fa se non altro è più libera dalle pressioni. Antonella Palmisano, trent’anni, non ha brillato nel 2019, quando ha chiuso tredicesima. Ma nel 2018 è stata terza agli Europei e l’anno prima aveva conquistato il bronzo ai Mondiali. Ai Giochi Olimpici 2016 è stata quarta, ai Mondiali 2015 quinta. È una abituata a battagliare nelle posizioni che contano e ha quasi sempre saputo tirare fuori il massimo dalle condizioni in cui si trovava a gareggiare. Negli ultimi dieci anni, buona parte delle gioie dell’atletica azzurra sono arrivate da lei e dal suo basso profilo. Valentina Trapletti, 36 anni, è la più anziana del terzetto ed è l’unica a non avere partecipazioni olimpiche alle spalle per quanto sia nel giro della nazionale da diversi anni. Rispetto alle altre due, sembra un passo indietro per poter sperare nel colpaccio.
Gli uomini della 20 km sono Francesco Fortunato, 27 anni, Massimo Stano, 29, e Federico Tontodonati, 31. Quest’anno il migliore è stato Fortunato, con 1:19’43’’, mentre Stano è il detentore del primato italiano con 1:17’45’’. Il livello medio è buono – sono tutti e tre tra la ventesima e la quarantesima posizione nelle liste dell’anno, ma nella marcia nell’anno olimpico questo conta poco -, ma per la medaglia servono troppe contingenze. Un buon piazzamento invece potrebbe essere alla portata. Il terzetto della 50 km marcia è composto da Andrea Agrusti, classe 1995, Teodorico Caporaso, classe 1987, e Marco De Luca, 40 anni compiuti a maggio, l’azzurro più anziano della squadra di atletica. De Luca è stato preferito a Stefano Chiesa e questo ha creato qualche polemica. Va detto che De Luca fra i tre convocati è di gran lunga quello con i risultati migliori nelle grandi competizioni: il suo miglior risultato però è un ottavo posto ai Mondiali del 2017. Insomma, la distanza dal podio in questo caso è enorme.