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L'Atletico Madrid è tornato?
09 dic 2024
Ieri, contro il Siviglia, la squadra di Simeone ha completato l'ennesima rimonta della sua stagione, avvicinandosi alla testa della classifica.
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IMAGO / ZUMA Press Wire
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Pensavamo dovesse rimanere rimanere lì a eterna memoria di un passato sbiadito. Diego Simeone e il suo enorme contratto, come uno sfarzoso mausoleo di marmo di una rivoluzione ormai dimenticata, diventata oppressione. Il ricordo delle grandi notte europee degli anni ’10. Il ruggito dello stadio negli ultimi minuti di partita. Le interminabili partite di resistenza pura, due linee di controllo marziale sul campo, con un 4-4-2 che sarebbe rimasto solo nei libri di storia. “El Cholo” impazzito a bordo campo, che sgrana gli occhi verso gli spalti per una conduzione che ha finalmente rotto il possesso avversario, che si agita come un ossesso dopo che Griezmann ha battuto il portiere, inseguito dagli avversari come macchine della polizia in un film su una rapina. Chi credeva che potessimo davvero rivivere momenti come questi?

Ogni anno ci ripetiamo che questa è la volta buona per il ritorno dell’Atletico, che il cholismo è tornato sotto nuove spoglie. Analizziamo il suo gioco, mettiamo sul bilancino gli acquisti estivi per capire in che modo potrebbe rievocare la ferocia di Diego Costa, la supremazia aerea di Godin. Ogni anno risolleviamo queste speranze, forse per nostalgia del miglior attore non protagonista del calcio contemporaneo, e ogni anno finiamo per essere delusi, ci dobbiamo rassegnare alla superiorità di ceto del Real Madrid, al funzionamento meccanico del Manchester City. Nel frattempo Diego Simeone è arrivato alla sua tredicesima stagiona sulla panchina dell’Atletico Madrid e da tempo ci si chiede se anche per i “colchoneros” non sia ora di cambiare pagina. La versione migliore del cholismo sarebbe mai tornata? Ieri, al 99' della partita contro il Siviglia, in molti a Madrid devono aver avuto un brivido facendosi questa domanda. Vedere di nuovo Simeone correre festante verso gli spogliatoi dopo il fischio finale, la squadra abbracciarsi in cerchio al centro del campo mentre sugli spalti roteavano le sciarpe: che effetto deve aver fatto?

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L’Atletico Madrid arrivava alla partita già in scia di una striscia di risultati positivi piuttosto impressionante. In campionato le vittorie di fila erano già quattro, e a queste andavano sommate i due passaggi del turno in Coppa del Re, e le due vittorie in Champions League, contro Sparta Praga (addirittura per 0-6) e soprattutto PSG. Proprio contro la squadra di Luis Enrique, l’Atletico Madrid sembrava ormai aver tratto il massimo della sua nuova natura che ha abbandonato le pretese di controllo sullo spazio, e ha puntato tutto sulla gestione dei singoli momenti. Il PSG ha chiuso la partita con 2.12 xG e 22 tiri totali, sfondando a destra soprattutto con Hakimi, ma alla fine ha dovuto scontrarsi con la scarsa lucidità dei propri uomini in area e con i riflessi di Oblak.

A rivedere le immagini si fa fatica a credere che l’Atletico possa aver vinto quella partita. Dopo aver pareggiato quasi immediatamente il gol del vantaggio di Zaire-Emery con un tiro di Molina, arrivato a calciare ai limiti dell’area piccola per via di un cross rimbalzato sui corpi di due uomini diversi, l’Atletico Madrid ha trovato il gol vittoria al 93'. Un tiro nemmeno così convincente di Angel Correa che però Donnarumma non è riuscito a togliere dallo specchio della porta, dopo un cambio gioco di una quarantina di metri di Griezmann su una delle pochissime transizioni vincenti dei “colchoneros” di tutta la partita. Solo pochi secondi prima il PSG era riuscito a mancare il gol vittoria da questa situazione.

Era il 6 novembre ed era difficile pensare che Simeone potesse avere altro credito con il dio delle rimonte. Già il 31 agosto, alla quarta giornata di campionato, l’Atletico Madrid aveva vinto a Bilbao contro l’Athletic - una delle cose più difficili da fare nella Liga - con un gol al 92' di Angel Correa. Poi era arrivato il 2-1 di Gimenez al 90' contro il Lipsia in Champions League, il gol vittoria di Julian Alvarez a Vigo, contro il Celta, sempre al 90', e quello del pareggio ancora di Correa nel derby contro il Real addirittura al 95', in una partita interrotta a metà del secondo tempo per lancio di oggetti in campo. Parliamo di tre partite nell’arco di dieci giorni alla fine di settembre e non sapevamo di essere solo all’inizio di una storia che continua ancora oggi. Da quelle tre partite, di punti agguantati nei momenti finali di partite ne sono arrivati 12, escludendo la vittoria di ieri contro il Siviglia.

I due turni di Coppa del Re, contro Vic (società semi-dilettantistica catalana) e Cacereño (in una partita che l’Atletico stava perdendo per 1-0 fino all’83'), la già citata vittoria contro il PSG, e infine quella casalinga di campionato contro il Deportivo Alavés, con i gol che hanno ribaltato l’iniziale 0-1 arrivati tra il 76' e l’86'. Era la partita della 700esima panchina di Simeone nella Liga, chiusa da un tiro forte sul palo del portiere di Sorloth, che aveva regalato al suo allenatore la vittoria numero 300.

Quel piccolo traguardo storico, suggellato da una rimonta epica incastonata in un contesto tutto sommato dimenticabile come una partita di metà stagione contro una squadra della parte destra della classifica, ha fotografato alla perfezione la dimensione ambigua raggiunta da Diego Simeone. Un allenatore che nel calcio contemporaneo ha lottato come nessun altro contro la storia del suo club, soprannominato “El Pupas” (cioè, più o meno, “il maledetto”) già dall’inizio degli anni ’70 per una finale di Coppa dei Campioni sfuggita di mano dopo aver subito il gol del pareggio al 120', solo sei minuti dopo aver segnato quello che si pensava fosse il gol decisivo.

Con Simeone in panchina, l’Atletico Madrid ha vinto una Liga, è diventata il terzo club più ricco del campionato spagnolo ed è ormai costantemente preso in considerazione per la vittoria del titolo ma non è riuscito del tutto a scrollarsi di dosso la sua aura da club perdente. Il successo di Simeone sulla sua panchina, anzi, lo ha in un certo senso rafforzato, con ben due finali di Champions League perse contro il Real Madrid in modi che a ripensarci fanno ancora oggi uscire fuori di testa. Nonostante non lo sia più davvero, l’Atletico Madrid può ancora legittimamente credersi un underdog, o per lo meno in missione per ribaltare definitivamente la propria narrazione di sfiga, con il brivido che ogni vittoria potrebbe portarla più vicino a confermarla ancora di più.

Chissà magari è proprio questo ad aver convinto l’Atletico Madrid a continuare a puntare su Simeone, nonostante un rapporto che sembrava ormai logoro. Quest'estate i “colchoneros” hanno speso 185 milioni di euro sul mercato solo in cartellini, una cifra superiore a quelle spese nelle tre stagioni precedenti messe insieme, con risultati per certi versi paradossali. Nessuno dei nuovi acquisti ha infatti reso come forse ci si attendeva al momento dell’acquisto, nemmeno quel Julian Alvarez per cui l’Atletico ha speso 75 milioni di euro e che ha segnato 11 gol in 23 presenze, ma tutti insieme hanno colmato i vuoti di una rosa che adesso sembra piuttosto lunga, e da cui Simeone ama pescare a piene mani. Come notato dalla newsletter La Pausa, l’Atletico Madrid è di gran lunga la squadra che nei cinque principali campionati europei impiega di più le riserve, e in cui le riserve contribuiscono di più in termini di gol e assist. Nella Liga, la squadra di Simeone è la seconda ad avere la percentuale più bassa di minuti giocati da parte dei 10 giocatori di movimento più utilizzati, dietro al Betis. «Non mi concentro solo sul piano gara iniziale ma su cosa può succedere nell’arco dei 90 minuti», ha dichiarato Simeone dopo la vittoria con il Deportivo Alavés «E i 90 minuti si possono giocare come una partita di carte. E senza carte non puoi giocare».

Arrivati al 62' e con il risultato sull’1-3 ieri però credo che nessuno tra i tifosi dell’Atletico Madrid abbia notato che Simeone non avesse fatto ancora un cambio. I “colchoneros” si erano imbattuti in quel tipo di partita che contribuiscono a definire l’aura di un club iellato. Lukebakio aveva pareggiato il gol d’apertura di De Paul dopo appena un paio di minuti con un tiro sul primo palo talmente forte da non poter essere semplicemente parato. Poi era passato in vantaggio come è solito fare l’Atletico Madrid: capitalizzando due delle pochissime azioni d’attacco di tutta la propria partita. Al 32' era stato Isaac Romero a correre alle spalle della difesa di Simeone, inaspettatamente sorpresa, prima di incrociare il vincente sul palo più lontano. Al 57' era stato invece Juanlu Sanchez a chiudere sotto la traversa un cross sul secondo palo di Kike Salas, alla fine di un’azione sviluppata a destra dalle combinazioni tra Lukebakio e lo stesso Sanchez. Tra il secondo e il terzo gol all’Atletico Madrid era stato annullato un gol per fuorigioco di pochi centimetri e si era visto negare un rigore piuttosto netto per un’uscita del portiere avversario in ritardo su Conor Gallagher.

Guardare l’Atletico Madrid oggi è un’esperienza che ha poco a che fare con quella che ci si aspetta dal cholismo. La squadra di Simeone si difende ancora con un 4-4-2 canonico ed estremamente basso (ha il secondo valore più alto della Liga per PPDA; dati StatsBomb), con un aggressività estrema nella propria metà campo (nessuno effettua più riaggressioni nel campionato spagnolo), ma allo stesso tempo sembra aver abbandonato definitivamente qualsiasi ambizione di controllo totale dello spazio. L’Atletico Madrid è ancora una squadra che difende piuttosto bene (per xG subiti solo il Getafe e la Real Sociedad fanno meglio in Liga) ma allo stesso tempo è anche disposta a surfare sul caos di una partita se ce n’è bisogno, di rispondere pugno su pugno quando la sfida inizia ad assomigliare a un incontro tra due pugili con la guardia troppo in basso, consapevole di avere la maggior parte del proprio talento concentrato nella metà campo avversaria. C’è però un elemento che accomuna queste due esperienze, quello dell’Atletico marziale e inflessibile degli anni ’10 e quello più emotivo e instabile di oggi, e quell’elemento è la classe di Antoine Griezmann.

Nei primi nove minuti, Griezmann aveva preso un incrocio dei pali clamoroso con un tiro relativamente facile da dentro l’area di rigore e si era visto parare un gol praticamente fatto da un riflesso prodigioso del portiere del Siviglia. Anche per lui non sembrava essere partita. Come ha detto Simeone alla fine però: «Ci sono giocatori diversi e lui è uno di questi». Come l’Atletico, anche Griezmann sembra essere riuscito a miniaturizzare il proprio senso di rivalsa, distillandolo goccia dopo goccia in ogni singola partita. Il gol del 2-3 è un miracolo di equilibrio, un filtrante potentissimo di Barrios tenuto sulla linea di corsa con un singolo tocco di punta che gli permette di tirare da solo davanti al portiere da dentro l’area col destro. Griezmann ha una capacità d’altri tempi di controllare il pallone in corsa senza perdere velocità, come un anfibio che corre sul pelo dell’acqua. Il 4-3, dopo il gol del pareggio firmato da un incredibile tiro dalla distanza di Samuel Lino, segna ancora di più la differenza di leggerezza rispetto al resto dei giocatori. Al 93', dopo un’intera partita giocata sui nervi, Griezmann anticipa il proprio diretto marcatore su un cross senza pretese proprio di Samuel Lino. Lo mette giù con l’interno del sinistro come se l’essere umano fosse fatto per quello, mentre il suo avversario scivola rovinosamente sull’erba, prova a cadergli addosso per ostacolarlo, mentre lui si è già liberato per il tiro da dentro l’area. Tiro, poi: come lo definireste voi questa scivolata in allungo per prendere la palla di collo pieno e mandarla con quella violenza sotto la traversa? È stato il gol con cui l’Atletico ha completato l’ennesima rimonta della sua stagione, arrivando a soli tre punti dal Barcellona capolista e con una partita in meno da giocare.

Dopo la partita il quotidiano Marca ha trovato delle parole belle ed efficaci per descrivere l’Atletico Madrid. L’ha definita “la squadra che non smette mai di credere”: “Quella che per qualsiasi squadra sarebbe una serata eccezionale, per l’Atletico è uno stile di vita”. Una squadra che una volta era definita dalla durezza, dal controllo militare e mentale dello spazio di gioco, oggi è caratterizzata dalla resistenza, dalla capacità di allargare o restringere i 90 minuti che dovrebbero comporre una partita. Era già eccezionale che avremmo ricordato il primo Atletico Madrid per un giocatore che da giovane era stato scartato dal calcio professionistico per essere troppo gracilino, quanto è eccezionale adesso il fatto che anche il secondo sia definito da questo trequartista francese etereo, che sembra ancora giocare a calcio? «Noi proveremo a vincerle tutte: ci saranno momenti difficile ma noi continueremo a lottare», ha detto Griezmann dopo la partita, con delle parole che è difficile immaginarsi uscire dalla sua bocca.

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