I dati di questa partita sono stati gentilmente offerti da Opta.
Prima della partita erano diversi i dati poco incoraggianti per la Juventus. Su 14 sfide europee a eliminazione diretta, l’Atlético Madrid aveva concesso un solo gol. L’unico ad avergli segnato era stato Isco, nella semifinale di ritorno della stagione 2016-’17. L’Atlético di Simeone, dal 2012, ha vinto 17 scontri diretti tra andata e ritorno su 20, perdendone solo due (contro Real Madrid e Rubin Kazan, in modo rocambolesco). Dal 2013, quando ha dovuto giocare l'andata in casa, non ha mai subito gol. La finale di quest’anno al Wanda Metropolitano dava poi una consistenza ancora più mistica alla narrazione da crociata della squadra di Simeone.
Eppure se c’era una squadra che poteva minare le certezze dell’Atlético Madrid sembrava proprio la Juventus. Una squadra che ha vissuto qualche ombra di difficoltà nelle ultime settimane, ma senza mai davvero mettere in dubbio la solidità tattica e l’efficacia tecnica che i bianconeri sembrano aver raggiunto in questa stagione. La Juventus sembrava essere più avanti dell’Atlético nella propria maturazione stagionale, e per questo era motivato un discreto ottimismo.
In ogni caso Atlético Madrid-Juventus si preannunciava come una partita bloccata, sul piano tattico e nervoso, condizionata - come altre partite di questi ottavi - dalla paura di compromettere il ritorno. Il canovaccio dei primi minuti, in effetti, non ha lasciato spazio a grandi sorprese. I padroni di casa non hanno snaturato nulla del loro tipico approccio, presentandosi con il solito 4-4-2 votato al controllo della propria metà campo, con l’unica particolarità di una linea composta da ben 4 centrocampisti (Saul, Rodri, Thomas, Koke).
Allegri, invece, ha optato per un 4-3-3 sulla carta prudente, con De Sciglio titolare al posto di Cancelo e Bentancur a vincere il ballottaggio per la posizione di interno destro. Ha fatto discutere in particolare l’esclusione del terzino portoghese, ma Allegri non è nuovo né a scelte contro-intuitive né, più razionalmente, all’idea di lasciare al suo fianco, come una coperta di Linus, un cambio potenzialmente in grado di disordinare gli avversari nel secondo tempo. Davvero un tratto caratteristico della visione del calcio di Allegri. Forse Allegri era anche preoccupato dai movimenti di Diego Costa, che ama partire proprio dalla zona di sinistra per tagliare verso il centro, e De Sciglio magari gli avrebbe garantito letture difensive più affidabili, rimanendo più vicino ai due centrali. In ogni caso la mossa non ha funzionato: del terzino italiano sono emersi soprattutto i limiti col pallone, mentre ha comunque sofferto i movimenti di Diego Costa nella sua zona.
I “Colchoneros” si sono subito concentrati a non concedere profondità agli avversari, dunque ragionando anche bene la pressione diretta sui difensori in fase di costruzione (effettuata solo a sprazzi). La Juventus, invece, si è ritrovata a tenere il pallone per larghi tratti, senza però mai riuscire a produrre un’azione manovrata realmente pericolosa. Non è chiaro quale fosse l’idea di Allegri, e la Juventus ha finito per dare una grande impressione di sterilità, riassunta da Andrea Pirlo nel post-partita: «Sembrava come se l'Atlético volesse vincere e la Juve giochicchiare».
Come l’Atlético ha soffocato una Juventus troppo lenta
Va detto che non c’era niente di troppo nuovo a livello di movimenti. L’assetto della Juventus è stato lo stesso impiegato per buona parte della stagione, con delle piccole variazioni, almeno durante la prima fase di gioco: Ronaldo è andato spesso a cercare la ricezione sulla fascia destra, e in fase di non possesso Allegri ha cercato di contenere le sortite dell’Atlético con un 4-3-3 abbastanza definito, anche se insolito per i canoni dei bianconeri, abituati a scalare spesso in due linee da 4.
Con buone probabilità, questo tipo di approccio è stato scelto sia per controllare meglio i movimenti verso l’interno dei due falsi esterni di Simeone (in particolar modo Koke si è ritrovato spesso addirittura al centro della trequarti), sia per garantire a Pjanic e ai centrali una superiorità numerica controllata sulla fascia centrale del campo, grazie alla vicinanza dei due interni. La Juve, insomma, voleva impedire che l’Atlético fosse pericoloso nella fascia centrale, ed è riuscita nel suo progetto. Matuidi e Bentancur sono stati abbastanza attenti durante le fasi di attacco posizionale avversario, portando raddoppi e pressioni in maniera ordinata. La squadra di Simeone ha finito per non produrre molto in queste occasioni.
Il poco usuale 4-3-3 della Juve senza palla ha funzionato abbastanza bene, finché l’Atlético non ha deciso di rinunciare quasi totalmente al consolidamento del possesso.
Nonostante la scarsità di occasioni da gol, tutto il primo tempo è stato abbastanza equilibrato. Dopo un inizio in cui è stato più controllato nelle uscite sulla trequarti avversaria, l’Atlético è riuscito a sporcare qualche pallone in più alla difesa della Juventus, nonostante l’asse Dybala-Bentancur stesse funzionando bene nei movimenti lungo-corto per aiutare la manovra. La presenza di un terzino destro più prevedibile di Cancelo (abituato ad incidere anche sul corridoio intermedio) ha forse tolto qualcosa di troppo alla rapidità di manovra, e le offensive della Juventus si sono spente appena giunte sulla trequarti, spesso in posizione defilata.
I pressing trigger (cioè gli inneschi del pressing) portavano terzino, esterno e mediano di parte dell’Atlético a scalare rapidamente verso il portatore, rendendo di fatto inutili le sovrapposizioni dei terzini della Juventus e difficoltosi i fraseggi. Se il pressing alto è stato dunque portato a sprazzi, puntando soprattutto sulla copertura delle linee di passaggio, quando la palla si spostava nella metà campo dell’Atlético l’aggressività degli uomini di Simeone aumentava progressivamente.
Ma i piani gara c’entrano fino a un certo punto. A rallentare la velocità di giocata dei bianconeri è stata soprattutto l’applicazione magistrale di tutti i giocatori di Simeone. Nel suo 4-4-1-1 senza palla, in cui una punta rimane spesso più alta come riferimento immediato per l’eventuale transizione offensiva, mentre l’altra arretra di più sotto la linea del pallone, a garantire intensità negli accorciamenti centrali improvvisi verso il portatore è stato Thomas Partey, bravo a rompere la linea coi giusti tempi e ritmi. Quando invece il pallone scivolava verso la linea laterale è stato frequente vedere esterni e terzini salire in maniera aggressiva, togliendo spazio e tempo al giocatore della Juve in ricezione, costringendolo prevalentemente a tornare indietro o a complicati passaggi lunghi in orizzontale e diagonale.
La linea di centrocampo dell’Atlético non è mai troppo piatta in fase di non possesso, grazie anche alle letture di Thomas. In questo caso il pressing consente a Griezmann di arpionare il passaggio diretto a Pjanic e avviare una transizione.
L’Atlético ha mollato gli ormeggi
Nel secondo tempo, invece, l’Atlético è sembrato mollare ogni intenzione di attaccare in maniera posizionale, puntando tutto sullo sfruttamento delle transizioni offensive. Il risultato è stato netto: nonostante un possesso palla medio di 63.1% a 36.9%, la Juventus ha perso sonoramente la partita sul “vantaggio territoriale”, ossia la quantità di palloni giocati sulla trequarti avversaria: 43% a 57%. Indicativo anche il dato dell’altezza dei recuperi medi del pallone: la Juventus ha ottenuto un valore molto basso (appena 31 metri dalla linea di fondo), sintomatico del fatto che quando l’Atlético riusciva a verticalizzare diventava difficile da contrastare.
Un altro dato che dà la misura della sterilità del possesso bianconero è quello sulle verticalizzazioni: a fronte di ben 544 contro 312 passaggi completati, il numero di palle giocate in verticale si è attestato su 153 a 132; con l’Atlético che in proporzione riusciva molto più spesso a spostare i possessi al di là della linea di centrocampo, grazie soprattutto a una maggiore attitudine alla giocata di prima intenzione e alla ricerca del terzo uomo. Dall’altra parte, invece, ancora una volta la Juventus si è dimostrata squadra fin troppo sicura delle ricezioni “sulla figura” dei suoi offensivi sulle zolle più avanzate. Questa criticità era stata anche individuata da Allegri nella conferenza pre-Parma, ma di fatto la sua Juventus fatica ancora a trovare trame di gioco più rapide e sulla corsa, arrivando spesso sulla trequarti attraverso le ricezioni spalle alla porta di una delle punte o provando ad attaccare le seconde palle.
Tutti i passaggi tentati dalla Juventus sulla trequarti avversaria: le verticalizzazioni riuscite alle spalle del centrocampo si contano sulle dita di una mano.
Questo ha senz’altro ridotto i margini per essere efficaci contro una squadra abile a chiudersi rapidamente come l’Atlético. Nell’intervista post-partita a Sky Allegri è stato fatalista: «Con loro non è possibile trovare spazi, non si scompongono mai, non ti puoi permettere di sbagliare il passaggio di dieci centimetri perché nel frattempo si sono aggiustati». Sempre Pirlo, però, ha suggerito che sarebbe stato quindi ancora più importante giocare velocemente in verticale. Aggiungendo:«L’Atlético ha verticalizzato spesso, perché i suoi centrocampisti avevano sempre la testa alta prima di ricevere palla, la Juve non l'ha mai fatto, sempre tutti in orizzontale».
A completare il quadro di una serata in perfetto stile cholista è stato il vigore agonistico - sopra le righe, a volte ai limiti dell’intimidazione - dei padroni di casa. I falli e gli interventi duri sono quasi una fase di gioco per una squadra come l’Atlético, e i suoi giocatori sono autentici fenomeni nel creare un contesto a loro favorevole sul piano nervoso. Del resto sanno di essere i migliori nel riuscire a mantenere la concentrazione e la dedizione fino all’ultimo minuto: è stato sorprendente (anche se ormai ci stiamo abituando) vedere Griezmann ripiegare in prossimità del 90’ sul lato corto della propria area di rigore per cercare di fermare Alex Sandro in scivolata - sebbene regalando una punizione pericolosa. Quello dell’attenzione ai dettagli e della concentrazione è un aspetto in cui anche la Juve in teoria eccelle, ma in cui ieri l’Atlético si è dimostrato superiore.
Le cicatrici, i bilanci, le speranze
In sostanza, questo ottavo di finale d’andata ha confermato il problema madre che la squadra di Allegri ha mostrato negli ultimi mesi (anche se forse potremmo quasi parlare di un problema cronico di tutta la gestione del tecnico toscano): la difficoltà a scardinare fasi difensive compatte e ben eseguite. Oltre a risultare forse troppo prevedibile nella rifinitura (in rapporto al potenziale tecnico dei giocatori), la Juventus offre poco supporto ai suoi uomini più avanzati, finendo spesso per attaccare la linea avversaria in inferiorità numerica o da posizioni defilate (la Juve è una delle squadre che crossa di più in Europa).
La minore enfasi dell’Atlético Madrid sul pressing alto ha consentito di mascherare l’altro aspetto negativo che sta caratterizzando la squadra di Allegri in questa stagione, ossia la scarsa mobilità e precisione nella costruzione bassa sotto pressione; tuttavia, questo non è bastato a migliorare la qualità e la quantità delle occasioni da gol.
L’Atlético, invece, ha dato una risposta importante dal punto di vista tattico e mentale. Nel corso di una stagione in cui la squadra non è sembrata arrembante sulle due fasi come ci aveva abituato negli anni passati, la squadra di Simeone ha giocato la sua miglior partita, sul piano tattico e mentale.
Una partita che ha certificato come ormai l’Atlético abbia forse ormai abbandonato l’idea di voler giocare attraverso una fase di attacco posizionale, e una vittoria che invece si è consumata tornado ai vecchi fasti. Quelli di un Atlético che nasce dalla solidità difensiva e dal dominio mentale sugli avversari, e poi si sviluppa attraverso la ferocia e la coordinazione delle sue transizioni. Come dimostrano alcuni ritagli della partita, però - in particolare l’assist di Griezmann per Diego Costa nella prima grande occasione della partita - l’Atlético possiede anche una grande qualità offensiva, troppo spesso sottovalutata, come dichiarato anche da Fabio Capello ieri durante il post-partita.
Simeone ha ritrovato le sue ripartenze letali e la capacità di arrivare rapidamente nei pressi dell’area avversaria, generando sempre occasioni di qualità. Alla fine, il risultato è stato sbloccato e sigillato grazie a due situazioni estemporanee su calcio piazzato (specialità della casa), ma precedute da due enormi occasioni per Diego Costa e Griezmann, quest’ultimo fermato solo da un (ennesimo) miracolo di Szczesny, oltre alla rete annullata a Morata.
Nella gara di ritorno la Juventus dovrà giocare contro i precedenti: tutte e quattro le volte che l'Atlético ha vinto l'andata 2-0 ha poi passato il turno (ad esclusione della Coppa delle Fiere del 1968); tutte e cinque le volte che la Juventus ha perso l'andata per 0-2 è stata eliminata. I bianconeri saranno chiamati ancora una volta a una prestazione eroica dal punto di vista mentale e perfetta dal punto di vista tattico, così come successo contro il Bayern nel 2016 e contro il Real Madrid nel 2018. Stavolta, magari, sperando in un esito differente, col beneficio di poter usufruire del giocatore più letale della storia nella fase a eliminazione diretta della Champions League.