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Attaccante difensivo
11 nov 2015
Intervista a Milan Djuric, centravanti atipico del Cesena e della Nazionale bosniaca.
(articolo)
7 min
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«Ma quello alto alto con il codino che di testa le prendeva tutte, chi era?». Il 30 luglio del 2014 un bambino esce dallo Stadio Manuzzi di Cesena dopo un amichevole precampionato fra Cesena e Juventus riassumendo in pochi secondi una carriera intera. In quella partita contro la Juventus Milan Djuric dominò letteralmente Chiellini e Bonucci sui palloni alti e convinse il Cesena e tutta la Romagna a puntare su di lui anche in Serie A. Adesso si divide fra la maglia della Bosnia, con cui ha appena segnato le due reti decisive per andare agli spareggi in vista di Euro 2016, e quella del Cesena, con cui arranca in Serie B, fra la ricerca di un posto da titolare e un inserimento dentro i nuovi meccanismi di gioco.

Il viaggio e le trasformazioni hanno sempre contraddistinto la sua carriera, più che l’Ulisse di Omero quello di Joyce. Un flusso di coscienza a volte molto difficile da interpretare. Dal ragazzo altissimo e sgraziato con le gote rosse della prima esperienza a Cesena a un giro per l’Italia incredibile. Sempre in prestito, sempre sul filo di un precariato difficile da spezzare. Ogni estate sembrava che il Cesena volesse puntare su di lui, poi si decideva a venderlo a titolo definitivo e alla fine vinceva sempre la terza via, con una serie interminabile di prestiti.

Djuric in Bosnia - Galles era entrato da dieci minuti e ha sbloccato la partita di testa, poi non contento ha anche servito la palla del raddoppio a Ibisevic. Qualche giorno dopo, sempre da subentrato e con il numero 14 sulle spalle, ha messo il sigillo decisivo della sua Bosnia nella trasferta a Cipro. Due reti e un assist per far guadagnare a una nazione intera gli spareggi per sperare ancora nella qualificazione a Euro 2016. I suoi gol in Nazionale arrivano dalla lontana Tuzla nel 1990, da dove è andato via con la madre appena un anno e mezzo dopo la nascita seguendo il padre, emigrato per cercare lavoro. Poi una vita intera in Italia, ma sempre con il cuore diviso a metà, perché come dice lui «il richiamo delle proprie origini è più forte di tutto».

Un sobrissimo video dedicatogli dall’account “Balkan Football Talents”.

Milan, sei arrivato in Italia nel 1991 quando avevi un anno e mezzo e la situazione nel tuo paese era piuttosto complessa, come avete fatto?

«Mio padre è partito per l’Italia nel 1989 per provare a trovare lavoro. A quell’epoca in Bosnia la situazione era drammatica, molti come mio padre sono emigrati alla ricerca di un futuro migliore. Io e mia madre lo abbiamo seguito e sei mesi dopo che eravamo arrivati a Pesaro è nato mio fratello Marko, anche lui calciatore. Tutto quello che so riguardo alla storia del mio paese in quel periodo lo so attraverso i racconti delle poche persone che ci sono rimaste: tanti amici di famiglia sono emigrati in Austria, in Germania, alcuni addirittura oltreoceano. Chi è rimasto mi ha tramandato i ricordi e le immagini di quegli anni».

Hai dei ricordi d’infanzia della Bosnia? A che età ci sei tornato?

«Ovviamente ero troppo piccolo per avere ricordi di quando sono partito, non dimentico invece la prima volta che sono tornato in Bosnia: era il 1995 e con tutta la famiglia siamo andati a trovare i nostri nonni rimasti in patria. Prima non ci avevano fatto mai rientrare per via della guerra e da quell’anno in poi ci siamo tornati ogni estate».

Djuric a 20 anni con la maglia dell'Ascoli, prima squadra a cui è stato girato in prestito. Impressionante la sproporzione tra il corpo già maturo e la faccia da bambino.

Con le due reti decisive per andare agli spareggi in vista di Euro 2016 sei diventato una sorta di eroe nazionale?

«Nei paesi balcanici le reazioni sono sempre moltiplicate rispetto a quello che succede dalle altri parti: è come se si viva tutto con la doppia intensità, sia nel bene che nel male. La Bosnia viene da un periodo drammatico come nazione, ogni occasione che si trova per essere felici bisogna coglierla al volo. Per questo i tifosi sono impazziti per queste ultime due partite, anche se la testa di tutti è già proiettata verso gli spareggi, che ci diranno se possiamo davvero partecipare a un sogno vero e proprio. In Bosnia ci si aggrappa al calcio, per me è bellissimo far parte di questa Nazionale».

Il gol "di repertorio" contro Cipro, alla fine del video.

Sei nato a Tuzla, ma praticamente hai vissuto sempre in Italia: com’è il tuo rapporto con le due nazioni?

«Italia e Bosnia sono entrambe nel mio cuore, ma in modo diverso. È difficile da spiegare, è come se siano entrambe dentro di me, ma con ruoli diversi. Sono grato all’Italia, che mi ha accolto e fatto diventare quello che sono, ma il richiamo delle mie origini è più forte di tutto. Certo, se parliamo della lingua mi trovo molto meglio con l’italiano che con il bosniaco. Chi mi sente parlare e non mi consce non si immaginerebbe mai che non sono nato in Italia, ho un marcato accento pesarese. Scrivere in lingua bosniaca, anche, è un bel casino».

2 metri che sa sfruttare piuttosto bene. Qui 3 gol con l’Under-21 alla Germania: tutti di testa, tutti nel primo tempo.

Hai vissuto molto tempo a Pesaro, sei cresciuto nel Cesena, ma poi hai iniziato un vero e proprio giro d’Italia: Ascoli, Crotone, Cittadella e Trapani.

«Ho sempre visto nel viaggio un’opportunità, non ho avuto alcun problema a spostarmi e non ne ho nemmeno adesso. Il salto dal calcio giovanile a quello dei grandi l'ho fatto a Cesena, in un ambiente protetto in cui tutti mi conoscevano e poi sono cresciuto andando lontano. Sono stato al nord, al centro e poi a Crotone e Trapani, che sono due “tipi” di sud diversi, ma in cui mi sono trovato subito a mio agio. Senza questo girovagare non sarei diventato quello che sono. In campo e fuori dal campo».

A Crotone segna il gol più bello della sua carriera finora.

Ci racconti la tua storia con la Nazionale bosniaca?

«Quando avevo 22 anni ed ero nell’ultima annata buona per essere chiamato in Under-21, la Bosnia mi ha convocato per le qualificazioni all’Europeo di categoria. Sono andato bene, ho trovato subito fiducia, segnando anche diverse reti. Poi nessuno si è più fatto sentire, io ho sempre giocato in Serie B fino alla scorsa stagione. La Serie A con il Cesena mi ha aperto le porte della Nazionale maggiore in quello che è stato il mese più bello della mia carriera: ho segnato a Buffon contro la Juventus, riuscendo a batterlo addirittura di sinistro, ed è arrivata la prima chiamata in Nazionale maggiore.

È evidente che le reti che ho segnato nelle ultime due partite di qualificazione sono state un’emozione indescrivibile. Dividere lo spogliatoio con gente come Pjanic e Dzeko fa un certo effetto. Loro sono dei campioni, ma soprattutto hanno fatto la storia della nostra Nazionale, sono dei veri eroi per tutta la generazione attuale di giovani bosniaci e non solo. Dzeko lo guardo continuamente in allenamento e spesso mi dà dei consigli. Lo scorso anno sono stati proprio lui e Pjanic ad aiutami a entrare nel gruppo come se fossi uno di loro da sempre. Sono stato su una nuvola, adesso ho bisogno tornare in fretta a lavorare nella vita di tutti i giorni».

Un altro pesantissimo gol di queste qualificazioni, quello che sblocca la partita contro il Galles, poi vinta per 2 a 0.

Però a Cesena ti ritrovi a lottare per un posto da titolare.

«Nessuno mi ha mai regalato nulla in carriera, anzi. La Nazionale è una parentesi bellissima, ma sono abituato a tornare in fretta alla mia realtà di tutti i giorni. Devo lottare per conquistarmi un posto in campo, ma non ho alcun timore e devo dire che è una cosa piuttosto stimolante. Ho bene in testa cosa mi aspetta con il Cesena, so a memoria il calendario e ogni seduta che faccio con Drago è un modo per migliorarmi. Sono un giocatore a cui piace lottare, è una cosa nella mia natura. Una caratteristica che mi porto dietro da sempre».

Sei d’accordo con chi ti definisce un “attaccante difensivo”?

«Direi di sì, credo che questa definizione mi calzi a pennello. Per “attaccante difensivo” io intendo un giocatore che lavora per far salire la squadra, su cui gli altri reparti possono appoggiarsi per rifiatare e provare a far ripartire l’azione. Ecco, se pensiamo che le cose migliori della mia carriera le ho fatte lo scorso anno in A con il Cesena, che era una squadra che si basava principalmente su copertura e ripartenza, credo che attaccante difensivo sia la definizione migliore per me. Con le dovute proporzioni, assomiglio a Mandzukic».

Qual è l’avversario che ti ha messo più in difficoltà?

«Giocare contro Chiellini lo scorso anno è stato difficilissimo. Lo senti addosso con la sua grinta, la sua aggressività. Non ti lascia un secondo di respiro, soprattutto sulle palle alte. È un “cagnaccio”, ma proprio per questo sa fare davvero alla grande il suo mestiere».

Il gol segnato alla Juve. La partita finirà 2 a 2.

Chi è il tuo idolo assoluto nel mondo del calcio?

«Nutro un’ammirazione sconfinata nei confronti di Luca Toni, che sono riuscito ad affrontare per la prima volta lo scorso anno, ma l’idolo che ho fin da quando sono piccolo è Didier Drogba. Mi è sempre piaciuto come giocatore e sono affascinato soprattutto dalla sua carriera al Chelsea, dove ha fatto cose inimmaginabili, e anche dal percorso con la sua Nazionale».

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