Circa due anni fa, in questo articolo, scrivevo dell’uso sempre più diffuso di una difesa a tre, pura o ibrida, ma in funzione offensiva. Non è una novità insomma che i tre difensori centrali non siano più considerati sinonimo di difesa bassa, ma un modo innovativo per attaccare l'avversario. Come abbiamo visto in diversi casi, in Italia per esempio con l'Inter di Inzaghi, queste squadre attaccavano a partire da un’organizzazione posizionale definita che però poteva sciogliersi in maniera fluida se l'avversario o la partita lo richiedeva, o come risultato dell’interpretazione spontanea da parte dei singoli giocatori.
Oggi questa tendenza si è estesa e ha raggiunto un nuovo livello. Non solo, infatti, l’Inter di Inzaghi ha portato su una nuova dimensione gli smarcamenti offensivi dei suoi difensori centrali – all’interno di un contesto di mobilità esasperata da parte di tutti i giocatori di movimento – ma ci sono anche diverse squadre che, con ancora più coraggio, riescono a sfruttare la mobilità dei difensori centrali in chiave offensiva, pur utilizzandone solo due “di ruolo”. Squadre che utilizzano questi movimenti per superare la prima linea di pressione (o di non pressione, nel caso in cui l’avversario aspetti), per portare via un uomo o per generare una superiorità che sarà utile più avanti nello sviluppo dell’azione.
Forse l'avrete notato: questi smarcamenti “di rottura” da parte di un difensore centrale sono sempre più frequenti. Muovendosi sul lato cieco dell’attaccante avversario, il difensore può così trovare una ricezione interna utile a progredire, anche a costo di togliere una possibile opzione di passaggio “sicuro” all’indietro, come nel caso dell’azione del Bournemouth qui sopra.
Anche in Italia abbiamo diversi esempi che ci parlano di questo nuovo modo di disordinare gli avversari. Sin dai suoi giorni sulla panchina dello Spezia, all’esordio in Serie A, Vincenzo Italiano ha promosso un atteggiamento ambizioso nell’attacco della metà campo avversaria, portando a volte uno dei suoi difensori centrali addirittura a occupare l’area. Questa inclinazione è diventata ancor più evidente nella sua Fiorentina, che a volte si ritrova in difficoltà nel creare vere e proprie occasioni dalla sua indiscussa capacità di mantenere il controllo del possesso nella metà campo avversaria.
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Martinez Quarta e Ranieri, in particolar modo, oltre ad aver risolto qualche partita con gol pesanti, sono particolarmente predisposti a smarcarsi in avanti o occupare uno spazio alle spalle della prima linea avversaria, a volte proseguendo fin dentro l’area avversaria.
Un'altra squadra che fa ampio ricorso a quest'arma tattica è il Bologna di Thiago Motta, che utilizza Beukema e Calafiori per risalire il campo con il pallone. I due centrali sono spesso stati coinvolti nella manovra di un gol o di un'occasione, ma il loro contributo è utile anche quando non toccano direttamente il pallone, rimanendo però sempre utili alla progressione.
In questa raccolta di azioni di Beukema e Calafiori contro la Roma, per esempio, possiamo apprezzare la sensibilità dei due nel capire quando iniziare a muoversi in avanti su un giro palla, e quando invece andare incontro al portatore o muoversi per la ricezione successiva. Se tornare indietro dopo essere andati avanti o se proseguire la corsa fin dentro la trequarti avversaria. Va però osservato anche il movimento dei compagni intorno: il Bologna non rimane scoperto per il piacere di buttare avanti i suoi centrali, e loro non partono all’arma bianca in avanti, ma è tutto armonicamente spontaneo e strutturato, non su rigide sequenze di movimento prestabilite, ma sulla base di un'intesa sviluppata collettivamente, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita. Se Kristiansen o Posch sono pronti a stringersi, oppure i mediani ad abbassarsi, Calafiori e Beukema possono avanzare, ma solo se l’atteggiamento avversario lo rende davvero funzionale.
Un altro esempio di successo è quello del Girona di Michel, squadra rivelazione della Liga.
In questo thread dell’analista spagnolo Jordi Bacardit è ben approfondito il modo in cui il Girona riesce ad approfittare delle qualità dei suoi difensori centrali in due situazioni specifiche: come arma di reazione immediata in occasione di palloni recuperati nei pressi della propria area, magari proprio dagli stessi centrali, attraverso movimenti tempestivi in avanti che possono garantire una più veloce risalita e dunque una più efficace ripartenza. Ma anche in situazioni di possesso più statico e strutturato, magari contro un blocco avversario compatto, allargando anche molto i due difensori in modo da poter progredire con conduzioni palla al piede.
Ma perché si è iniziato ad utilizzare così tanto i centrali di difesa per attaccare? E quali potrebbero essere le implicazioni future? Innanzitutto questa risorsa nasce nell'alveo dell'evoluzione della costruzione bassa, che ha portato le squadre a coinvolgere sempre di più i portieri, i difensori centrali e i terzini nell'avvio dell'azione, così come una quindicina di anni fa si vedeva i centrocampisti centrali abbassarsi sulla linea dei difensori per fare lo stesso. La ricerca di una costruzione sempre più palleggiata, che sia per “tirare fuori” gli avversari dai blocchi difensivi o semplicemente per organizzare una consegna del pallone più pulita ai giocatori offensivi, da un lato è scaturita dall'evolversi parallelo di sistemi di pressing sempre più sofisticati, dall'altro ha contribuito a modificarli, portando diverse squadre a cambiare il modo in cui si approcciavano alle fasi di costruzione avversarie.
Pochi giorni fa Gian Piero Gasperini ha suggerito che forse il prossimo grande passo sarà aumentare ancora di più la partecipazione degli attaccanti. In altre parole, finiti i possibili giocatori da integrare “da dietro” alla progressione, come i difensori e il portiere, forse per scompigliare l’organizzazione avversaria saranno necessari attaccanti ancora più versatili di quelli odierni. Senza addentrarci nel merito, è interessante notare che il coinvolgimento offensivo dei difensori, con e senza palla, sia dato ormai quasi per scontato, un processo che si avvia alla sua conclusione.
Il dibattito calcistico spesso si divide sulla distinzione filosofica tra le squadre e gli allenatori che “controllano” il gioco e quelle che invece “reagiscono”. Per mantenere tutto a portata di dualismo, si mette nella prima categoria chi tenta di mantenere il possesso, attirare il pressing, conquistare il campo alzando più giocatori sulla linea del pallone, e così via; mentre nella seconda chi accetta di buon grado di non avere il pallone, lavorando per esporre l’avversario all’errore, per colpirlo prevalentemente in ripartenza. Le squadre che rientrano nella prima categoria, poi, sono considerate più schematiche, rigide, castranti del talento individuale; mentre, le seconde, più legate all’intangibilità della sorte, e dunque alle qualità creative dei loro giocatori (offensivi).
Ma le cose sono più complesse di così e, come ha detto Juanma Lillo, «il regolamento è il miglior libro di tattica che sia mai stato scritto». Insomma: gli unici limiti sono quelli che ci impongono le regole del gioco, e l'ascesa di questa nuova arma tattica penso lo dimostri. Invece di cercare di fare copia e incolla e propinare ricette preconfezionate, di tentare di raggiungere l’ideale soluzione definitiva - per dirla in inglese, “one size fits all”, a taglia unica - gli allenatori devono continuamente cercare di essere creativi per provare a risolvere gli enigmi sempre nuovi che ogni volta il calcio gli pone davanti.
D'altra parte, sono le stesse regole del calcio a renderlo uno "sport di invasione", cioè un gioco in cui per vincere bisogna conquistare un obiettivo che si trova nel territorio avversario mentre si cerca di difendere il proprio. Nei vari cicli storici del gioco si è assistito a un continuo processo di risoluzione di problemi - e quindi all’emergenza di nuovi - legati alle strategie di attacco e difesa, sempre connessi tra loro. Il calcio è fatto di rapporti interdipendenti: così come attacco e difesa sono legati, allo stesso modo, le innovazioni e i ripensamenti tattici sono il risultato tanto dell’istinto e dello studio degli allenatori, quanto alle qualità e alla conoscenza e alla capacità (pratiche) di chi gioca. Lo stesso avviene anche tra due squadre in campo, che per vincere cercano di adattarsi l'una all'atteggiamento dell'altra.
In questo processo di continui adattamenti, cercare di identificare precisamente l’origine di cause ed effetti può essere spesso una perdita di tempo. Certo, dire che nel calcio non si inventa nulla è ingeneroso, oltre che fuorviante, perché niente si ripete due volte uguale, dal gesto del singolo alla soluzione tattica. Allo stesso tempo è vero, però, che queste armi tattiche non sono propriamente “invenzioni”, non sono mai calate dall’alto come l'installazione di un software, ma emergono dall’intreccio costante delle relazioni di gioco.