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Avvicinarsi alla perfezione
22 dic 2014
I sette anni all'Arsenal in cui Thierry Henry è diventato Thierry Henry.
(articolo)
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“Insisto sulla parola lavoro, come base di tutto. Tu puoi essere dotato, ma se non lavori… per me non era un sacrificio. Faccio quello che avrei voluto fare. Amavo lavorare e volevo essere il migliore in tutto: come colpivo di testa, i calci di punizione, la lettura del gioco…” così inizia l'intervista di Thierry Marchand a Thierry Henry per The Blizzard. Con i due concetti presentati, l’importanza del lavoro e la voglia di essere il migliore, si possono riassumere i sette anni a Londra di Thierry Henry, sette anni in cui l’Arsenal ha raggiunto il picco più alto della sua storia e Henry, parallelamente, è diventato Henry. Ovvero uno dei calciatori più forti della storia del calcio, in generale, e forse il più grande della storia dell'Arsenal. Una manciata di calciatori sanno dare o hanno dato l’idea di poter decidere da soli quando segnare un gol, pochissimi sono o sono stati in grado di prendere palla a centrocampo e arrivare in porta. Thierry Henry, all'apice della sua parabola, è stato uno di questi pochi.

Avere talento è una condizione necessaria per aspirare al Pantheon del calcio. Il talento da solo però può non bastare e nel caso di Henry è stata la voglia di migliorarsi, di studiarsi e studiare l'ambiente che lo circondava. Henry è stato un campione dal talento superiore che però si è dovuto costruire per diventare una stella di caratura mondiale. Si è costruito reinventandosi punta, lui che era convinto essere un’ala di talento, lui che pensava che segnare non facesse parte del suo gioco: “Ero veloce... Avevo bisogno di 10 occasioni da gol per segnarne uno, ma allo stesso tempo continuavo a creare occasioni. A un certo punto mi sono detto che non avrei avuto sempre occasioni e avrei dovuto iniziare a trasformarle in gol”.

Henry e Rio Ferdinand appiccicati su una cartolina brasiliana. Buon Natale.

L’intuizione del cambio di ruolo è opera di Arsène Wenger che ha guidato passo per passo la crescita del suo pupillo, cominciando col salvare la carriera di Thierry nel 1999 quando lo ha acquistato dalla Juventus per sostituire la punta Anelka, finito al Real Madrid. Nel documentario Henry – Legend, è Wenger stesso a raccontare come dal primo momento abbia messo le cose in chiaro con Henry: “Tu giocherai al centro”, nonostante le perplessità del diretto interessato. Wenger conosceva bene Thierry per averlo allenato e averlo fatto debuttare a diciassette anni, quando entrambi erano a Monaco. Nel Principato, Wenger aveva notato questo ragazzino veloce e tecnico, in grado di creare per se e per la squadra. La capacità di creare occasioni da gol, il dono con cui sembra nato il giovane Henry, resta un chiodo fisso per Wenger. Henry cresce idolatrando Van Basten e Weah, ma diventa professionista giocando da ala (e nella Juventus addirittura esterno sinistro nel 3-5-2). Questo però non spaventa il tecnico dell’Arsenal che lo mette subito al lavoro con allenamenti supplementari appena arriva a Londra: “Henry ha lavorato nei movimenti e nella finalizzazione, è diventato calmo di fronte alla porta. Grazie alla sua intelligenza ha capito subito cos’è importante per diventare un grande goleador”.

Nonostante le parole al miele da parte del tecnico l’inizio di Henry come centravanti non è facile, il compagno di squadra Dixon parla di un giocatore che “non sembra una punta” e i gol non arrivano. Di Henry, però, emerge subito l’intelligenza con cui si affida totalmente al tutoraggio dei senatori della squadra, in particolare al capitano Tony Adams, felice di avere intorno un ragazzo interessato alla storia della squadra e ai requisiti di chi indossa la maglia rossa dalle maniche bianche. I gol non arrivano ma Henry si fida ciecamente del ritrovato maestro Wenger: “Non ero preoccupato, pensavo fosse più una questione di tempo che altro”.

Ci vogliono otto giornate per trovare il fondo della rete nella vittoria per 1-0 contro il Southampton. Il mentore Adams avanza palla al piede dalla difesa, la passa ad Henry che protegge il pallone dal centrale avversario e scarica un destro a giro da fuori area. Più preciso che potente. Protegge palla e sa dove calciare la palla, era veramente solo questione di tempo, il gol è da punta vera.

E a guardare bene, rispetto ai solito gol di Henry, in questo suo primo gol da punta si percepisce un 40% di casualità, di improvvisazione. Si capisce che è una prima volta.

Il primo anno lo chiude con 26 reti in 47 partite. Il secondo posto dietro al Manchester United e la finale di Coppa UEFA persa ai rigori contro il Galatasaray. Il secondo anno con 22 reti in 53 partite, l’ennesimo secondo posto dietro al Manchester United (con cui Gunners perdono 6-1 a febbraio all’Old Trafford) e l’ennesima finale persa (questa volta la FA Cup ai danni del Liverpool di Owen). Il lavoro ha premiato in termini personali, Henry ha i movimenti e le capacità realizzative delle migliori punte in circolazione, ma la squadra non vince. Serve un ulteriore passo avanti.

“Se hai solo la velocità corri alle Olimpiadi. La sua conoscenza del gioco e i suoi movimenti erano la sua vera forza. Se li metti insieme alla velocità hai un attaccante esplosivo e dinamico.” Parola di Tony Adams.

Henry al terzo anno da giocatore dell’Arsenal si sente totalmente identificato con la storia della società, è l’idolo dei tifosi e parla un ottimo inglese, la squadra però viene da due anni di delusioni. Il gruppo è formato da giocatori di indubbio talento ed è nella forza del gruppo che Wenger trova la soluzione, chiede ulteriore impegno nelle letture dei movimenti dei compagni e questo esalta una squadra ricca di talento. I movimenti senza palla di Henry e Bergkamp aiutano gli inserimenti del centrocampista Viera e degli esterni Ljungberg e Pirès. La squadra diventa un collettivo che esalta anche le singole parti che lo compongono.

La crescita personale di Henry a questo punto passa per un miglioramento nelle letture, si tratta di riscoprire le doti di assistmen che aveva affinato giocando da ala per tanti anni: “Per me la cosa più bella è fare un passaggio quando sei tu stesso in posizione di segnare un gol. Tu sai di essere abbastanza bravo per segnare, ma passi la palla. Condividi quella palla e vedi la gioia negli occhi del compagno. Tu lo sai, lui lo sa, tutti lo sanno”.

L’Arsenal nella stagione 2001/2 terrorizza la Premier chiudendo imbattuto in trasferta, segnando in ogni partita giocata e vincendo Campionato ed FA Cup. Viene anche lavata l’onta del 6-1 dell'anno prima, andando a vincere il campionato proprio in casa del Manchester United nonostante l’assenza di Henry per una distorsione alla caviglia. Henry vince con 32 gol la classifica dei marcatori e la riscoperta arte di assistmen lo porta finalmente ad essere una punta completa. La sua tecnica nel controllo di palla e nel tiro, unite alla potenza, alla velocità, all'equilibrio e alla calma precisa sotto porta, anzi, lo rendono qualcosa di più di una punta completa. Le cavalcate palla al piede che si concludono con il piatto che indirizza la palla sul secondo palo diventano iconiche.

Ok, a volte il talento prendeva una piega futile che ricorda alcuni giocatori fortissimi ma superficiali ed egocentrici.

Con la consapevolezza del proprio valore arriva anche quell’impressione di arroganza in campo propria di alcuni grandi campioni del passato, tipo Cruyff. Non sembra mai soddisfatto in campo perché, spiega lui stesso, è ossessionato dai fantasmi dei suoi pochi errori che commette durante una partita. Sa fare tutto con la palla tra i piedi e se necessario sa come umiliare un avversario diretto. Arrivano le giocate, gli assist Henry è un giocatore che può superare i venti gol e i venti assist a stagione (addirittura 23 assist in quella 2002/03) che inoltre regala due-tre giocate a partita che farebbero la felicità dei tanti Viners di oggi.

“Se era in svantaggio la prendeva sul personale e trascinava la squadra al gol”, dice Keown. Henry diventa il giocatore insoddisfatto, troppo cosciente delle proprie doti da non perdonarsi niente. Troppo intelligente per non riflettere sugli errori di ogni partita giocata: “Tornavo a casa, rivedevo la partita nella mia testa. Ricordavo ogni occasione che avevo mancato e mi promettevo di non sbagliare quel determinato passaggio la partita successiva.”

Il lavoro di anni culmina nella stagione migliore di Thierry e della storia dell’Arsenal con una Premier vinta da squadra imbattuta. A venticinque anni, in piena maturità fisica, è inarrestabile in progressione, intelligente nelle letture e infallibile sotto porta. Contro un Liverpool che passa due volte in vantaggio, nella stagione 2003/4, trascina con la pura determinazione l’Arsenal alla vittoria con una tripletta.

Sembra che gli altri non siano, molto semplicemente, al suo livello.

Non contento umilia solo una settimana dopo il Leeds con 4 gol per un 5-0 totale.

4 gol in totale: uno su rigore, tre rallentando davanti alla porta per il gusto della suspence, di cui due cadendo mentre tira.

Diventa la manifestazione in campo dello spirito dell’Arsenal degli “Invicibles”: una squadra con fantasia, corsa, fisicità e determinazione. Tanta determinazione. Dice lui, della stagione degli Invincibili: “Avevamo la palla il più delle volte, tre passaggi ed eravamo nell’area avversaria… la fiducia (nei nostri mezzi) era enorme”. Ormai Henry è il miglior giocatore della Premier League.

Henry chiude con 39 gol in 51 partite e tutti i premi personali possibili in Inghilterra: miglior marcatore, miglior giocatore secondo la stampa e miglior giocatore secondo i colleghi. Segna in tutti i modi, se il difensore gli concede spazio è già in porta, se lo marca stretto viene umiliato con una giocata. Si prende la palla dove preferisce, ha una zona d’influenza che non ha confini. Anche le punizioni entro i 25 metri sono un terrore per le difese avversarie. Solo il suo maestro Wenger attizza il fuoco per mantenere costante la voglia di migliorarsi: lo stuzzica dicendo che non sfrutta abbastanza le sue doti atletiche per segnare più gol di testa, arrivando a dire che Henry utilizza solo il 50% del proprio potenziale quando va in elevazione. Come se servisse un ulteriore stimolo alla fame di perfezione del numero 14.

Nelle due stagioni successive arrivano altri 30 e 33 gol che significano miglior marcatore della Premier nel 2005 e nel 2006. L’Arsenal vince la FA Cup nel 2005 e raggiunge la finale della Champions League nel 2006. Il 2006 è l’anno dei record: diventato capitano dopo la traumatica partenza di Vieira per la Juventus nell’estate prima, Henry è anche il totem della squadra e supera Ian Wright come top scorer di ogni epoca della storia dell’Arsenal con una doppietta allo Sparta Praga. È anche il maggior marcatore di sempre nello stadio di Highbury quando segna una tripletta nell’ultima partita giocata dall’Arsenal nel mitico stadio.

“Un giorno qualcuno arriverà a cancellare il mio nome davanti ai record di gol, ma sarò sempre quello che ne ha segnati più di tutti ad Highbury.”

La finale della Champions League 2006 è il punto di non ritorno della carriera all’Arsenal di Henry. Arrivato a poter vedere la cima della montagna che sta scalando, Thierry sente di non poter raggiungerla da solo quando nonostante un’ottima partita in 10 contro 11 l’Arsenal perde 2-1 contro il Barcellona di Xavi e Ronaldinho, il giocatore forse più forte al mondo in quel momento.

La stagione successiva qualcosa in lui scatta, forse pensa di aver raggiunto il massimo possibile dal suo sviluppo e con un Arsenal pieno di giovani come Fàbregas e Van Persie e in un nuovo stadio in cui non sente quella magia che c’era ad Highbury (“Era come se fosse stato il giardino di casa mia”) pensa sia arrivato il momento di provare una nuova sfida. L’infortunio contro il PSV che lo mette KO per il resto della stagione è l’ultima istantanea prima dell’addio in estate per il Barcellona.

I sette anni passati a Londra sono stati i migliori della carriera di Thierry e hanno marcato la storia della Premier League. Il lavoro continuo di un giocatore intelligente, unito ad un talento fisico e tecnico extralusso ha prodotto un giocatore in grado di dominare una competizione durissima come quella inglese per anni, diventandone il miglior attaccante dell’epoca moderna. Henry è nel Pantheon dei più grandi e ci è entrato con la stessa modalità con cui arrivava in porta palla al piede da centrocampo. Determinato, con l’aria da sbruffone, tirandosela, nascondendo un giocatore cosciente dei propri punti di forza e dei propri limiti, che ha lavorato tanto per migliorarsi e avvicinarsi, il più possibile, alla perfezione.

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