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Federico Principi

Ha senso cambiare portiere per una finale?

Dopo un lungo infortunio Courtois potrebbe prendere il posto di Lunin per la finale di…

La “sindrome di Rebecca”, in psicologia, è quella condizione per la quale un individuo subisce una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di veri o presunti ex partner. Questa nomenclatura deriva dal film Rebecca – La prima moglie di Alfred Hitchcock del 1940, nel quale la nuova sposa – di estrazione sociale medio-bassa – del nobile Massimo de Winter subisce un continuo processo di sudditanza e di auto-suggestione nei confronti di Rebecca, la defunta prima moglie dell’aristocratico, una volta stabilitosi a vivere nel castello di Menderley. È un complesso di inferiorità che si può proiettare anche al di fuori delle relazioni sentimentali, con la dovuta leggerezza. Nello sport, e nel calcio in particolare, in definitiva è a questo che ci riferiamo quando diciamo che un certo giocatore non sarà facile da sostituire.

 

Quando lo scorso agosto si è rotto il legamento crociato del ginocchio di Thibaut Courtois, quindi del portiere più forte del mondo nel club più prestigioso e ambizioso del mondo, chiunque sarebbe stato chiamato a sostituirlo sapeva che avrebbe dovuto fronteggiare una responsabilità ben superiore di quella di un qualunque portiere in una qualunque squadra. La sindrome di Rebecca si è così materializzata nel più fulgido e chiaro degli esempi.

 

E alla luce di questa difficoltà a riempire il vuoto che si possono leggere alcune incertezze di Kepa, prescelto in estate per sostituire Courtois e definitivamente accantonato in panchina da gennaio in poi per fare spazio ad Andriy Lunin, di cui il Real ha imparato a fidarsi con l’andare dei mesi. D’altra parte, è stato lui a trascinare la “Casa Blanca” in finale di Champions League giocandosi quasi fino all’ultimo il ballottaggio con il rientrante Courtois, dato per favorito dopo aver recuperato da una lunghissima fase di astinenza da partite ufficiali durata esattamente 11 mesi, dal 4 giugno 2023 al 4 maggio 2024.

 

Si è creata quindi una situazione molto strana, certamente non per il fatto che Courtois potrebbe essere titolare nella finale di Champions, la sua terza personale dopo essere stato il migliore in campo in quella di due anni fa. La stranezza più che altro sta nel fatto più unico che raro di una squadra che schiera un portiere esclusivamente per la finale di una manifestazione lunga: una circostanza che, a mia memoria, ricordo essere avvenuta solamente nella Coppa Italia 2015/16, nella quale il Milan mandò in campo Gigio Donnarumma soltanto nella finale contro la Juventus, dopo aver giocato con Christian Abbiati per tutto il resto del torneo.

 

Lunin il trascinatore

Anche se non la giocherà, comunque, quella di quest’anno sarà in ogni caso anche la finale conquistata da Andriy Lunin, nel più classico degli episodi della rivincita dei gregari. Lunin arrivò a Madrid nel 2018, diciannovenne e con le stimmate del predestinato, per una cifra superiore a 8 milioni di euro, proprio nello stesso momento in cui il Real prese Courtois affiancandolo a Keylor Navas. Cinque anni dopo aveva una sola stagione da titolare nel curriculum, col Real Oviedo in Segunda Division, quando il grave infortunio del portiere belga, a mercato aperto, aveva spinto il Real a prendere Kepa, in un momento in cui non c’era grande offerta di numeri uno disponibili.

 

Non c’è probabilmente dualismo più spietato nello sport di quello tra due portieri, una posizione che può essere conquistata solamente sperando in un’espulsione, un infortunio o in un errore grave. Da questo punto di vista Kepa è stato particolarmente sfortunato, prima per via di una lesione muscolare – seppur lieve – agli adduttori, poi per delle incertezze sui palloni alti che a dir la verità avevano già caratterizzato la sua esperienza precedente al Chelsea. Il dualismo è andato avanti fino alla Supercoppa di Spagna a gennaio, quando l’errore in uscita sull’autogol di Rüdiger nella semifinale contro l’Atletico ha sancito sostanzialmente la fine dell’esperienza di Kepa a Madrid, messo in panchina già per la finale contro il Barcellona.

 

Certo anche Lunin nel corso della stagione ha avuto delle imprecisioni simili, più rare, ma che a volte potevano costare carissime anche in Champions League. Per esempio, forse poteva stare più avanti e coprire meglio il primo palo nel gol di Sané nella semifinale di andata, e sicuramente poteva essere più reattivo sul primo gol del City al Bernabeu. 

Kepa vs Lunin: da questo video si vedono bene le grandi parate di istinto puro dello spagnolo, che ha un fisico più snodato, mentre questa di pura forza esplosiva è caratteristica dell’ucraino.

 

Non si può però negare che ci sia stato anche il suo fortissimo contributo in quella mistica che fa ormai parte di una squadra avvolta da un’aura divina, che le permette di uscire fuori da tutti i bivi più complicati della competizione europea anche attraverso personaggi inattesi, come Lunin stesso, ma anche Joselu. Se c’è quindi qualcosa in cui Lunin è riuscito a incarnare lo spirito di Courtois, senza subirne la “sindrome di Rebecca”, è stata proprio quella capacità di rivelarsi decisivo in tutti i turning point che hanno portato il Real Madrid in questa ennesima finale di Champions League con dinamiche che ricordano sinistramente quelle di due anni fa, anche per quanto riguarda il portiere. 

 

Il fatto di vestire la maglia da titolare del Real, quindi, è sembrato rafforzare le convinzioni anziché le paure di Lunin, che è sembrato uno di quei personaggi dei fumetti che, da individui normali, assumono dei superpoteri una volta indossato il mantello. Un cambio di dimensione percepito anche dal CT ucraino Sergiy Rebrov che, dopo aver modificato la scelta da Bushchan a Trubin in autunno, ha virato ulteriormente su Lunin a marzo per gli spareggi decisivi per la qualificazione all’Europeo, in cui probabilmente sarà titolare. Un salto di qualità che poteva anche riservargli nuove prospettive sul mercato europeo che tuttavia al momento, visto che il contratto con il Real potrebbe essere allungato fino al 2028, non paiono riguardarlo.

 

Lunin è stato il migliore in campo a Lipsia in una partita, quella dell’andata degli ottavi, dove il Real Madrid è sembrato scendere in campo un po’ distratto, perfino troppo fiducioso che alla fine le cose si sarebbero sistemate da sole, e alla fine le ha dovute sistemare un portiere che non aveva mai giocato una partita della fase a eliminazione diretta della Champions. La firma dell’ucraino è ovviamente scolpita nella vittoria ai rigori contro il City, nella quale sul campo ha fatto pesare non solo le sue qualità tecniche e atletiche nei vari interventi, ma anche il fattore psicologico e la scelta azzeccata di rimanere fermo nel rigore di Bernardo Silva: uno di quei momenti in cui lo sport ci ricorda che, prima che manifestarsi in una battaglia muscolare di corpi portati all’estremo, le partite si giocano innanzitutto nella testa dei giocatori.

 

Ha senso cambiare per la finale?

Se Lunin si è quindi dimostrato perfettamente all’altezza del prestigio del club e della manifestazione, perché toglierlo proprio per la partita conclusiva? È una domanda che ha assunto connotati meno drammatici, dopo che Lunin negli ultimi giorni si è preso un brutto febbrone che lo costringerà a volare da solo a Londra per evitare il pericolo di contagiare i propri compagni. Certo, non è una febbre che può fermare un giocatore importante prima di una partita del genere, e il ballottaggio ci sarebbe stato in ogni caso, quindi vale la pena riflettere su una scelta così originale. Scelta per cui, come per ogni scelta, ci sono dei pro e dei contro, sia in generale che più specificamente per il ritorno di Courtois in campo, avvenuto solo nella partita di Liga precedente alla semifinale di ritorno contro il Bayern, quella contro il Cadice.

 

Sembra esserci un fondo di verità nella connessione mistica che un portiere sviluppa con una manifestazione specifica, un equilibrio che solitamente non è il caso di andare a toccare. Nella storia è successo per ben tre volte che la Coppa dei Campioni o Champions League sia stata vinta da una club che schierava un portiere di coppa diverso da quello titolare per il campionato: il Milan nel 1989/90 (Pazzagli in Serie A, Galli in Coppa Campioni) e più di recente il Real Madrid e il Barcellona in due stagioni consecutive, 2014 e 2015 (rispettivamente: Diego Lopez e Claudio Bravo in Liga, Casillas e ter Stegen in Champions), andati fino in fondo con la loro scelta, fino alla finale.

 

Un’altra circostanza specifica che potrebbe andare a vantaggio di Lunin è il fatto che le quattro presenze accumulate in questa stagione da Courtois sono tutte in partite con nessuna pressione, con il Real già vincitore aritmetico della Liga e senza avversari di alto livello, che il portiere belga non fronteggia praticamente dalla semifinale di Champions dello scorso anno contro il City. Questo discorso potrebbe però essere applicato anche allo stesso Lunin, che ha giocato per la prima volta quest’anno partite a eliminazione diretta della Champions e non ha mai sperimentato la tensione pre-partita di una finale, una dimensione particolare e diversa da ogni altra possibile.

 

Più semplicemente, quindi, la scelta sembra poter ricadere su Courtois perché effettivamente c’è un solco di differenza tra i due, in primo luogo di gerarchia, ma poi anche a livello tecnico e di esperienza. Un solco che esiste non solo su Kepa e Lunin, ma anche su quasi tutti gli altri portieri del mondo.

 

Del resto Courtois ha avuto modo di dimostrare ancora una volta la sua superiorità proprio in queste ultime partite in cui ha giocato 333 minuti, compiendo 15 parate e subendo zero gol. Molte di queste parate, oltretutto, sono di altissimo livello e di diversa difficoltà tecnica, a ricordarci non solo la forza ma anche la completezza del suo repertorio: da un lato questa contro il Cadice di pura opposizione a croce, e dall’altro ad esempio quest’altra strepitosa contro l’Alaves, molto difficile per un portiere con le sue misure. Lo sappiamo, Courtois ha una stazza che teoricamente dovrebbe rendergli difficile accartocciarsi così bene in una minuscola frazione di secondo, ma la realtà è molto diversa grazie a una percezione spazio-temporale diversa da quella degli uomini comuni.

 

Dieci parate messe a segno da Courtois nella partita contro l’Alaves, tre soltanto nella prima azione in cui si rialza tre volte come un felino e non dimostra per nulla di essere fresco reduce dalla rottura di un crociato.

 

La cosa più straordinaria del ritorno di Courtois, al di là degli spettacolari interventi, è l’immutata continuità. Il portiere più forte al mondo non dimentica certo in quasi un anno come si sta tra i pali, ma l’astinenza di ritmo partita solitamente costringe il rientrante a concedere qualcosa, magari non sempre alla prima partita ma a volte anche in quelle successive a un’ottima prima prestazione. Il linguaggio del corpo di Courtois si è invece dimostrato essere quello di un portiere che non aveva mai smesso. Più che nel non aver smarrito i picchi, l’eccezionalità del belga sta nel fatto che il suo straordinario talento assume una connotazione robotica, industriale: si sottolineano spesso le grandi parate e troppo raramente invece il fatto che da anni ormai continua a non sbagliare un colpo. 

 

Ed è forse soprattutto questa la qualità che gli permette di essere favorito per un posto in finale di Champions nella situazione in cui si ritrova. Forse nessun portiere nella storia recente del calcio ha dimostrato questa capacità di non perdere praticamente nulla del proprio smalto dopo una degenza così lunga: Buffon dopo gli infortuni alla spalla e alla schiena, e Neuer dopo quello al metatarso nella stagione 2017/18 non avevano recuperato così velocemente la loro migliore condizione.

 

In ogni caso, se c’è un allenatore che sa gestire gli equilibri delicati all’interno dello spogliatoio quello è Carlo Ancelotti. Anche se si è preso tutta la responsabilità di quella che sarà la scelta del portiere, è probabile che si sia anche consultato con i senatori del gruppo e magari anche con il preparatore dei portieri, Luis Llopis. Qualche settimana fa disse il tecnico di Reggiolo disse che avrebbe deciso sette giorni prima della finale, ma più recentemente ha continuato a nascondersi dichiarando che «entrambi se lo meritano, deciderò quando arriverà la partita».

 

Ancelotti sa che un portiere non può consumare troppe energie mentali in anticipo per un ballottaggio, soprattutto prima di una finale di Champions. È una situazione inedita. Da un lato quando si parla del Real Madrid in Champions League, in questa epoca calcistica, una scelta di questo tipo ci sembra quasi indifferente per quanto la “Casa Blanca” sembra ormai in controllo dei destini di questa competizione. Dall’altro lato, è vero che nelle ultime due occasioni in cui è andato in finale, il Real ha chiesto e ottenuto tantissimo dal suo estremo difensore durante tutta la fase a eliminazione diretta. Modificare questo equilibrio e sbagliare profilo potrebbe rivelarsi una piccola, ma significativa, crepa nella mistica di Ancelotti e del Real Madrid in questa competizione.

 

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Federico Principi nasce nel 1992 e si ammala di sport. È telecronista della Serie C su Eleven Sports Italia. Ha scritto "Formula 1 2016: The review", un libro completo sulla stagione 2016 di Formula 1.