Proviamo a vedere se l’inizio di Barbie, il film, funziona anche per raccontare la storia - una possibile storia - di Kylian Mbappé:
Mbappé si sveglia nella sua casa di Mbappé, nel letto a forma di palla da calcio da cui saluta gli altri grandi calciatori che vivono nella realtà di Mbappé. Poi scende con lo scivolo, oppure delle mani invisibili - Qatariote? Saudite? - lo fanno scendere fino alla sua auto di lusso. Attraversa la città piena di Neymar e Haaland e arriva al campo di allenamento, dove corre e gioca sorridendo. La sera poi c’è una festa di calciatori e star internazionali, ogni sera c’è una festa e ci sono sempre calciatori e star internazionali. La vita di Mbappé scorre tranquilla e felice nel mondo di Mbappé finché un giorno piomba su di lui un pensiero: voi ci pensate mai che tutto questo può finire? Che il calcio per come lo conosciamo può morire?
Sì, funziona. Solo che noi non sappiamo se Mbappé ha veramente dei pensieri di questo tipo, di qualsiasi tipo. Non sappiamo come stia vivendo questo momento, se stia pensando a qualcosa di diverso rispetto ai propri interessi personali. Se ci vede una metafora, o quanto meno un significato più grande, dietro i 700 milioni per un anno (più i 300 di cartellino) che l’Al Hilal pare gli abbia offerto.
Barbie racconta proprio questa storia: una bambola, un giocattolo, prende coscienza della sua condizione, vede il mondo al di fuori della propria bolla. Capisce di essere uno strumento del capitale e del patriarcato e si ribella. (Sì, insomma, ci prova, è pur sempre un film prodotto dal marchio stesso a cui dovrebbe ribellarsi). È una metafora talmente letterale che verrebbe da alzare le sopracciglia, poi però leggo le notizie riguardanti Mbappé e mi dico che quella se possibile è una metafora ancora più letterale. Se Barbie mantiene una certa seriosità pretenziosa per tutto il film, tutto quello che gira intorno a Mbappé sembra lo scherzo finale di uno spettacolo satirico, grottesco.
Oppure prendiamo un altro film, casualmente (?) uscito su Netflix proprio in questi giorni: Hanno clonato Tyrone, in cui un gruppo formato da uno spacciatore, un pappone e una prostituta afroamericani scopre che l’intero ghetto in cui vivono è sotto il controllo di un’indefinita agenzia di bianchi che controlla le loro menti e che li clona se si ammazzano tra loro, giusto per mandare avanti il ghetto così com’è (e poi con calma trasformare la popolazione nera in popolazione bianca sottomessa). Sono condannati a recitare, come Barbie è un giocattolo loro sono solo dei cloni che rispondono a delle parole d’ordine come dei cani ammaestrati. A un certo punto, però, si svegliano. Prendono coscienza che quella non è la realtà.
Se la storia di Mbappé diventasse un film di Netflix o un film corporate per vendere borse e quaderni, sarebbe la satira di quell’adagio vecchissimo secondo cui per i calciatori contano solo i soldi, e che i campionati (la Serie A degli ‘90, la Premier League ieri, il campionato saudita domani, forse) in fin dei conti sono sempre stati fatti coi soldi dei loro proprietari, più o meno onesti. Che cambia se quelli portavano i soldi nelle valigie in nero e questi nelle valigie ci mettono i pezzi dei giornalisti che non gli piacciono? Se non ci sono valori, storia, se non conta niente, neanche la competizione, la Champions League, il Pallone d’Oro, l’Europeo, allora ha senso che a 24 anni il calciatore più forte del pianeta vada a giocare letteralmente nel deserto. Anche se solo per un anno.
Ruben Neves ha tirato in ballo i tre figli e la moglie, per giustificare la scelta di andare a giocare nel campionato saudita ancora giovane. Anche se forse avrebbe dovuto parlare dei figli dei suoi figli dei suoi figli, considerando i soldi in ballo, o anche dei figli del resto della sua famiglia, magari di qualche amico, di un piccolo villaggio insomma che Ruben Neves fonderà coi soldi sauditi proprio come i calciatori africani di un tempo tornavano nei loro paesi d’origine per costruire scuole o ospedali. Kylian Mbappé, in ogni caso, è oltre questi ragionamenti, i soldi sono troppi anche solo per discuterne, normale che Barbie Lebron o Barbie Giannis siano favorevoli alla cosa e anzi manifestano un'invidia giocosa nei suoi confronti. Magari arrivassero i sauditi a comprarsi l'NBA, e chissà che non succeda davvero prima o poi.
Si parlava di un miliardo in dieci anni per restare al PSG, adesso di 700 milioni sull’unghia, in un solo bonifico, perché no, per farsi un anno sabatico laggiù. Qualche foto, qualche partita con altre Barbie calciatori che hanno vinto la lotteria di Willy Wonka e poi si torna al calcio che conta, ammesso che conti ancora veramente, che sia rimasto qualcuno per giocare con Barbie Mbappé al Real Madrid.
Ecco, chissà se Kylian Mbappé si sente come Margot Robbie quando capisce di vivere in un mondo di finzione, o come John Boyega quando scopre di essere un clone. Chissà se Kylian Mbappé pensa di avere una scelta da compiere o se 700 milioni sono oltre ogni limite, persino quello del calciatore che è già tra i più ricchi e potenti al mondo. In un certo senso, nessuno meglio di lui dovrebbe provare fastidio verso un’offerta del genere, visto che tutto questa sta succedendo perché sta provando a sfilarsi dai ricatti del Qatar. Nessuno più di lui potrebbe dire di "no", considerato che andando via dal PSG sta dicendo già di no al Qatar e al presidente del suo Paese che farebbe carte false per tenerlo in Patria.
Non sappiamo cosa pensa Mbappé e non sappiamo cosa succederà, ma questo è un punto di svolta. Magari questa è la versione di Barbie in cui, arrivata nella sede della Mattel, dopo aver scoperto che nel mondo comandano gli uomini e le donne (i calciatori) sono degli oggetti, rinuncia alla sua avventura perché Will Ferrell le offre 700 milioni in un anno. Che film sarebbe stato? Più corto, senza dubbio, ma forse anche più fedele alla realtà, o no?