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Non tutte le sconfitte vengono per nuocere
25 ott 2018
L'Inter dovrà fare tesoro della sconfitta contro il Barcellona, che è stato superiore da tutti i punti di vista.
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11 min
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La storia recente insegna che ci sono diversi modi di uscire dal Camp Nou, ma che tutte le strade passano attraverso un’estenuante sofferenza. L’ultima volta era stata una pioggia di idranti ad accompagnare i giocatori dell’Inter verso l’uscita, ed era stato un momento di profonda liberazione, di simbolica espiazione, dopo novanta minuti giocati a denti stretti a protezione di un vantaggio.

A distanza di otto anni, anche all’Inter è toccato di conoscere l’alternativa più comune, e cioè una sofferenza priva di significato. Novanta minuti di intensità e sacrificio che hanno condotto a una sconfitta netta, senza appello, senza brividi, senza neanche “quei dieci minuti in cui le cose potevano cambiare”, di fatto senza grossi rimpianti. L’ultima sconfitta del Barcellona al Camp Nou in Champions League risaliva al maggio 2013, in semifinale, per opera del Bayern di Heynckes. Questo dato, al termine della partita, aveva assunto un significato chiaro a tutti i presenti.

Formazioni di rito per entrambe le squadre. I due grandi assenti della partita, Nainggolan e Messi, sono stati sostituiti da Borja Valero e Rafinha. A posteriori, si può dire che l’Inter abbia sofferto di più l’infortunio del suo trequartista.

Alla prima partita stagionale senza Messi, Valverde ha confermato il 4-3-3, una mossa che Spalletti aveva già pronosticato in conferenza stampa, perché «è difficile andare a trovare un’altra strada diversa se hai ormai confidenza con un modo di stare in campo». Quello che forse il tecnico toscano non si aspettava, così come gran parte dell’opinione pubblica, è stata la rinuncia a Dembelé per fare spazio a Rafinha, una mossa che andava proprio nella direzione di preservare quella confidenza a cui faceva cenno Spalletti.

Il brasiliano ha infatti ereditato integralmente il playbook tattico di Messi, ricevendo massima libertà di movimento alle spalle di Coutinho e Suárez, ormai abituati a muoversi di conseguenza. Nella sostituzione, il Barcellona ha inevitabilmente perso imprevedibilità, pericolosità negli ultimi 30 metri, però ha mantenuto quella fluidità posizionale e quelle connessioni tra i reparti che ne hanno determinato l’assoluto controllo della metà campo offensiva. Con 11 tiri nello specchio contro i 2 dell’Inter, 13 tiri in area di rigore contro i 5 dell’Inter, e 2.4 xG generati contro gli 1.2 dell’Inter, c’erano pochi dubbi su chi avesse meritato la vittoria finale.

La mappa degli xG rende all’Inter il merito di aver prodotto almeno 1 xG al Camp Nou, ma osservando l’evoluzione temporale, si può apprezzare come il Barça abbia creato pericoli con continuità per tutta la partita, mentre l’Inter è stata praticamente inoffensiva dall’occasione capitata a Icardi dopo 17 minuti fino ai timidi tentativi nel finale di partita.

Cosa non ha funzionato nel piano gara dell’Inter

Secondo un adagio di Allegri, la casella dei falli commessi è una delle poche voci statistiche che valga la pena controllare a fine partita, «perché se fai fallo vuol dire che sei vicino alla palla». Ieri l’Inter ne ha commessi 22, esattamente il doppio del Barcellona, che ne ha commessi 11. Eppure questa vicinanza non ha aiutato in alcun modo a contenere il dominio tecnico e territoriale dei catalani, che alla fine del primo tempo avevano prodotto il 74% del possesso palla, sceso poi al 67% al termine della partita.

Incredibilmente, nei primi trenta secondi l’Inter aveva già commesso due falli, all’interno di un’azione che aiuta a comprendere il successivo sviluppo della partita, e i rapporti di forza tra le due squadre in campo: Arthur riceve palla da Coutinho sul centro-sinistra, se la allunga e viene travolto da Vecino; Busquets batte la punizione, Arthur riprende possesso della palla, se la allunga e viene travolto da Borja Valero.

E così si è andati avanti per tutta la partita, con le velleità di aggressione dell’inter soffocate dalla netta superiorità tecnica del Barcellona (a proposito: 83 passaggi completati, 95% di precisione, 3 dribbling completati sui 4 tentati, 7 palle recuperate - la partita di Arthur va iscritta nell’albo delle consacrazioni internazionali).

Le mappe di passaggio parlano da sé. La combinazione più frequente per l’Inter è stata quella che porta da Skriniar a D’Ambrosio, che è stato il giocatore con più passaggi ricevuti (36), nonché un buco nero di palle perse.

Alla vigilia dell’incontro, Spalletti aveva promesso un approccio senza timori reverenziali, e pur riconoscendo la necessità di «essere molto umili, essere molto disponibili a fare una partita di grande fatica», aveva poi rimarcato l’importanza di tenere il pallone, di esercitare un controllo sui ritmi della partita, «perché è l’unica possibilità che abbiamo».

I primi minuti dell’Inter hanno rispecchiato perfettamente le idee del suo allenatore: l’Inter ha provato a chiudere il Barça nella sua metà campo, portando la difesa all’altezza della linea di centrocampo, le ali strette dentro al campo e i due attaccanti (Icardi e Borja Valero) sui due centrali. È una strategia difensiva ormai consolidata dall’arrivo di Spalletti: l’Inter inizia il pressing dentro l’area di rigore avversaria senza cercare il recupero del pallone a tutti i costi, premurandosi soprattutto di rimanere stretta al centro per accompagnare il possesso avversario sulle fasce.

Per i primi quindici minuti, in linea di massima, ha funzionato. Il Barcellona non ha trovato altra strada per entrare in area di rigore che rifugiarsi nei cross, senza che Suárez potesse fare granché in mezzo a Skriniar e Miranda, mentre dall’altro lato del campo Icardi è riuscito per due volte ad anticipare Piqué e Lenglet portando a casa un calcio d’angolo e una buona occasione da gol. Fino a quel momento, il Barcellona aveva il pallino del gioco ma era l’Inter la squadra più pericolosa in campo. Questa era la partita che Spalletti aveva immaginato.

La migliore occasione della partita dell’Inter nasce da questa riaggressione. Borja è molto attento a schermare Busquets e manda in crisi ter Stegen, che rilancia nel vuoto.

Soltanto con il passare del tempo, e di conseguenza con il calare delle energie, l’Inter ha realizzato di non aver mai affrontato squadre rapide e precise nella costruzione dal basso come il Barcellona, e di non essere in grado di risolvere nei tempi richiesti i rebus che si ponevano ad ogni scambio tra difesa e centrocampo. Borja Valero in teoria doveva salire a portare pressione su Piqué preoccupandosi dei movimenti di Busquets alle sue spalle, ma finiva per ritrovarsi sempre in ritardo rispetto al regista catalano. Così Vecino era costretto a stringere, e a quel punto si liberava Arthur.

Aggiungendo all’equazione la naturalezza nel primo controllo, la sensibilità nell’orientamento, la facilità nel trovare una linea di passaggio di tutti i giocatori del Barça, si deduce l’impossibilità per l’Inter di difendere in avanti. Al termine della partita, l’Inter ha registrato una distanza media tra i reparti di 28.7 metri in lunghezza e di 41 metri in ampiezza, a conferma di una squadra molto corta e stretta, e un buon numero di contrasti vinti (15, con il 68% di riuscita) e palloni intercettati (13). Alla prova dei fatti non ha perso quello spirito di sacrificio invocato da Spalletti, ma è stata schiantata nella battaglia territoriale, come mostrano il baricentro medio molto basso (45 metri) e l’altezza media di recupero palla altrettanto bassa (33.7 metri).

Cosa manca all’Inter per il salto di qualità

In vista della gara di ritorno, quantomeno, Spalletti ha avuto occasione di appuntarsi un paio di situazioni di gioco che proprio non hanno funzionato nella strategia difensiva. In primo luogo la marcatura di Suárez, il giocatore che ha radicalmente cambiato l’inerzia della partita nel momento in cui ha smesso di attaccare la profondità e ha iniziato a dettare passaggi tra le linee spalle alla porta (3 fuorigioco fischiati nella prima mezz’ora, 1 nel resto della partita).

Con 50 palloni ricevuti, Suarez è stato il vero faro delle azioni del Barcellona, e curiosamente ha ricevuto almeno un passaggio da ciascuno dei titolari in campo tranne da ter Stegen, forse il dato che meglio ne sottolinea l’imprevedibilità (infelice il confronto con Icardi, che ne ha ricevuti 15). Se da un lato è comprensibile che Skriniar abbia preferito sempre restare in linea con la difesa, è ingiustificata l’assenza di un piano per ridurgli lo spazio di manovra, impedirgli di stoppare, girarsi, alzare la testa, dettare combinazioni, come ha fatto per tutta la partita.

Quando l’Inter prova ad alzare il pressing, ci vuole poco per spezzarla a metà. La sapienza e la sensibilità di Suárez nella protezione della palla e nel gioco di sponda hanno fatto il resto.

In secondo luogo Spalletti deve perfezionare l’intesa tra i giocatori di fascia, che sono apparsi spesso confusi dai movimenti interni di Coutinho e Rafinha, accompagnati dalle sovrapposizioni di Jordi Alba e Sergi Roberto. Candreva e Perisic, scelti proprio per la loro attitudine al ripiegamento difensivo, iniziavano l’azione pressando i terzini, poi in fase di difesa posizionale stringevano la posizione per occupare la linea di passaggio interna verso i trequartisti, e successivamente si schiacciavano sulla linea di difesa formando una linea di sei uomini che condannava l’Inter all’impossibilità di risalire il campo.

Questa fluidità ha spesso mandato in confusione le comunicazioni sugli scambi di marcatura. In generale, nessuno dei centrocampisti è riuscito a prendere le misure della manovra del Barcellona: ogni volta che hanno provato a portare un cenno di pressione, sono stati anticipati o presi in mezzo dalle triangolazioni dei catalani.

Prime avvisaglie che qualcosa non andava dopo pochi minuti: Piqué è libero di avanzare senza pressione, e di servire Rafinha tra le linee, mentre Sergi Roberto si lancia verso la porta.

Se sarà in grado di sistemare i compiti di marcatura individuale e di ridurre le distanze concesse ai giocatori del Barça, l’Inter ha certamente margine di difendere meglio e di conquistare il pallone più in alto e più spesso, anche per far valere la fisicità del suo centrocampo, ieri completamente annullata dalla tecnica superiore degli avversari. Sarà fondamentale, anche perché proprio la differente cifra tecnica emersa nel corso della partita ha mostrato che non ci sono altre strade possibili per attaccare la porta del Barcellona, nonostante le aspettative ottimistiche di Spalletti.

I dati sulla precisione dei passaggi sono impietosi: 91% del Barcellona contro il 77% dell’Inter, in cui soltanto Skriniar, Asamoah e Brozovic hanno superato l’80%; nei passaggi corti la forbice si mantiene identica, 92.6% contro 80%; poi si apre a dismisura nei passaggi lunghi, 61% contro 38%, che per il Barcellona rappresentavano una strategia concreta per risalire il campo, con i movimenti tra le linee dei tre attaccanti, mentre per l’Inter un tentativo disperato di sfuggire al pressing e guadagnare ossigeno.

La lucidità e la precisione mostrate in fase di riaggressione rappresentano la medaglia più luminosa che Valverde può appuntarsi al petto dopo questa partita. Con Busquets e i due terzini che si spingevano fino all’area di rigore avversaria per stringere il raggio d’azione, la confusione dell’Inter in transizione offensiva è emersa con evidenza sempre maggiore. La minore sensibilità tecnica dei giocatori a disposizione ha fatto il resto, riflettendosi nelle percentuali sopra indicate.

Skriniar ruba il pallone dai piedi di Suárez e di istinto serve Vecino di fronte a lui: in un attimo, Arthur e Busquets circondano l’uruguagio e lo costringono alla palla persa.

Nel secondo tempo, con l’ingresso di Politano al posto di Candreva, e successivamente con le aggiunte di Lautaro e di Keita nelle posizioni di Borja e di Perisic, l’Inter è sembrata una squadra più vivace ma ancora meno in controllo dei ritmi di gioco, regalando all’esigente pubblico del Camp Nou frangenti di totale confusione, fatti di campanili svirgolati e duelli aerei improvvisati. Mentre i minuti passavano, e non si intravedeva una mezza chiave per voltare lo spartito della partita, i reparti si sono scollati e il Barcellona si è infilato il pallone sotto la maglietta, tirandolo fuori soltanto al minuto 83, in occasione del gol decisivo di Jordi Alba (ancora bravo a sfruttare le indecisioni dell’Inter nella difesa dei mezzi spazi).

In questa partita, di sicuro la più difficile che l’Inter abbia dovuto affrontare negli ultimi anni, forse una delle più difficili in assoluto da quel 28 aprile 2010 ad oggi, sono emerse tutte le contraddizioni di una squadra ancora a metà del suo percorso di crescita. Che riesce a difendersi con discreto successo restando corta e stretta, ma poi dagli spazi corti e stretti non sa uscire palla al piede. Che riesce a creare le condizioni per attaccare in parità numerica, ma poi non ha lo spunto per guadagnarsi la superiorità decisiva (11 dribbling completati dal Barça contro i 2 dell’Inter, altro dato molto indicativo delle differenze in campo). Che ha un attaccante imprendibile in area di rigore, ma in questo tipo di partite fatica a raggiungere l’area di rigore.

Al termine della partita, una volta svanita l’ipnosi del palleggio blaugrana, l’impressione comune era che l’Inter, vista la situazione di classifica comunque tranquilla, potesse permettersi una sconfitta del genere, e che anzi, potesse addirittura riservare degli insegnamenti preziosi. Solo la gara di ritorno, però, ci dirà se l’Inter avrà fatto davvero tesoro di una batosta al Camp Nou, che prima o poi tocca a tutti: l’anno scorso alla Juventus, due anni fa al City di Guardiola. Nel frattempo, per conservare quello spirito ottimista, Spalletti può guardare al pareggio tra PSV e Tottenham, di sicuro la migliore notizia di giornata.

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