
Nei giorni precedenti alla finale di Coppa del Re da giocare contro il Real Madrid sono apparse sui muri del centro di allenamento del Barcellona, dallo spogliatoio ai corridoi, varie scritte a tema motivazionale. Alcune in castigliano, altre in catalano o in inglese. Sono frasi semplici, la maggior parte ricorda quelle che vengono scritte dalle curve prima delle partite, tipo “tutti insieme siamo il Barça”, altre sono prese da icone dello sport come Michael Jordan. La richiesta di metterle è stata dell’allenatore Hansi Flick e non se ne sarebbe parlato più di tanto se non fosse per una frase specifica, che in castigliano recita “vinceremo il triplete”.
Fino a quel momento Flick non aveva mai parlato ai microfoni di puntare a vincere tutte e tre le competizioni principali. A inizio stagione del resto non sarebbe venuto in mente nemmeno al tifoso più ottimista. Con l’andare avanti della stagione però forse il Barcellona ha iniziato a cambiare la percezione di sé stesso e a vedersi come una delle migliori squadre al mondo. Allora Flick ha scoperto le carte con lo spogliatoio.
L’ultima volta che si respirava quest’aria era la primavera del 2019 e c’era ancora Leo Messi nel pieno delle forze, ed era l’ultima versione di alto livello del suo Barcellona. Quel Barcellona vinse la Liga, l’ultima di Messi, ma perse la finale della Coppa del Re col Valencia e venne eliminato in semifinale di Champions League con la famosa rimonta del Liverpool.
È un Barcellona esaltante, che segue una strategia offensiva e spregiudicata e che esalta le connessioni tra i giocatori di maggior talento. Ha segnato 153 gol nelle 53 partite giocate in stagione finora (solo nelle 12 partite di Champions League giocate ne ha segnati 37) e sembra davvero stia vivendo una stagione speciale.
Il Barcellona nel 2025 ha perso solo una volta e si tratta di una sconfitta particolare, perché arrivata nel ritorno dei quarti di Champions League, dopo aver vinto 4-0 all’andata e con in campo diverse riserve. Per il resto: 21 vittorie e 2 pareggi. In Liga l’ultima sconfitta è arrivata il 21 dicembre contro l’Atlético di Madrid con il gol al 96’ di Alexander Sorløth. Sono passate 14 giornate con in mezzo 12 vittorie e 2 pareggi, 38 gol fatti e 12 subiti. Nel mezzo la vittoria della Supercoppa di Spagna a gennaio battendo l’Athletic Club e poi il Real Madrid (con un 5-2) e tutto il percorso vincente in Coppa del Re: 5-0 al Betis, 5-1 al Valencia, poi in semifinale l’Atlético e in finale sabato scorso il Real Madrid. Dopo la vittoria contro il Real nella finale di Coppa del Re più di un giocatore ha parlato di “primo dei tre titoli”.
La forza del Barcellona è tale che Ancelotti dopo la sconfitta, ai microfoni, si è quasi vantato di aver giocato alla pari: una situazione contro i pronostici della vigilia.
Il secondo tempo di quella partita, comunque, è stato sorprendente. Il Real Madrid ha messo la partita nel binario di uno scontro a viso aperto ad alti ritmi. Non è la prima volta che succede, già nel ritorno dei quarti contro il Borussia Dortmund la squadra tedesca giocando ad alto ritmo ha fatto deragliare il piano gara di Flick fin da subito. Forse per via della giovane età di tanti suoi interpreti principali, forse per la consapevolezza di potersela giocare alla pari con chiunque anche in questo frangente, il Barcellona in queste due importanti partite ha mollato un po’ le redini, rischiando molto.
A Dortmund solo il risultato rotondo dell’andata ha messo ai ripari la qualificazione, che comunque a un certo punto si era riaperta, e contro il Madrid sono arrivati così gli unici minuti stagionali in cui le due squadre sono state alla pari nello scontro diretto, terminato altrimenti nelle altre due partite con ampio vantaggio della squadra di Flick.
Va detto, però, che anche quando il pressing alto non funziona e il campo si allunga, il Barcellona trova comunque il modo di mandare più volte i propri attaccanti vicini a segnare. Come nel gol del 2-2, arrivato un po’ a sorpresa grazie a un lancio in profondità perfettamente calibrato di Lamine Yamal per la corsa di Ferran Torres.
Il Barcellona di Flick si regge su tre pilastri: la creatività di Lamine Yamal e Pedri, la finalizzazione di Lewandowski e Raphinha, la capacità di difendere molto lontano dall’area di Iñigo Martínez e Pau Cubarsí.
Il talento di Lamine Yamal e Pedri è il principale punto di forza della squadra, il fattore attorno a cui gira tutta la manovra. Lamine Yamal è già in lizza per essere considerato il miglior giocatore al mondo e si può aggiungere che sembra migliorare di partita in partita, se è ispirato è sempre in grado di fare la differenza. Le ultime settimane sono state però quelle dell’apoteosi della forma di Pedri, mai così protagonista riconosciuto della sorti del Barcellona. Unico insostituibile tra i centrocampisti a disposizione di Flick, come mostrato dalla trasferta a Dortmund, in cui è partito dalla panchina e si è visto il peggior primo tempo stagionale della squadra. Il gol che ha aperto la finale contro il Real Madrid mostra tutta la fiducia con cui sta giocando e l’intesa con Lamine Yamal.
Lamine Yamal su Pedri: «Ho molta fiducia in lui. So che quando ho fretta posso affidarmi a lui. Inoltre, interpreta sempre quello che voglio fare. Non so come faccia. A volte penso che non mi stia guardando, ma la palla mi arriva lo stesso». Pedri su Lamine Yamal: «Quando gli arriva la palla sai che il primo lo dribbla come se non ci fosse. E poi può succedere qualcosa. È una sensazione simile a quella che abbiamo avuto con Messi: sai che può succedere qualcosa di buono per noi».
Per quanto riguarda invece la finalizzazione di Raphinha e Lewandowski, chiave per trasformare in gol tutta la mole di gioco creata dalla squadra, questo non è il momento migliore della stagione. Raphinha sta mostrando a partite alterne di aver perso un po' di lucidità in area e Lewandowski si è infortunato nel finale della partita contro il Celta del 19 aprile. Per sostituire il polacco, che salterà sicuramente l'andata delle semifinali con l'Inter, Flick ha optato per una combinazione precisa per accompagnare centralmente le due ali Raphinha e Lamine Yamal: sia contro il Maiorca che contro il Real Madrid ha schierato Ferran Torres come punta e Dani Olmo come trequartista. Il Barcellona non ha una riserva con le stesse caratteristiche di Lewandowski ed è impossibile pensare che un giocatore possa ricalcarne le funzioni di torre fuori area e finalizzatore all'interno. L’idea dell’allenatore tedesco è stata quindi di eliminare dall’equazione le funzioni di Lewandowski e di preferire un rifinitore tecnico e una punta che attacca la profondità.
Sia contro il Maiorca che contro il Real Madrid si è vista la difficoltà trovata dal Barcellona nel finalizzare quel tipo di azioni in area che il polacco garantisce, ma anche che in termini di manovra la presenza di Dani Olmo e Ferran Torres nella fascia centrale del campo funziona meglio di quanto si possa pensare.
Dani Olmo è poi bravo a leggere i movimenti di Ferran Torres e Raphinha, e a inserirsi di conseguenza.Tutta la manovra diventa più profonda. Averli assieme per il Barcellona significa avere sia un giocatore con cui Lamine Yamal e Pedri possono associarsi nel corto sulla trequarti e al tempo stesso la costante minaccia di un altro giocatore da poter lanciare in profondità oltre a Raphinha.
L’assenza di Lewandowski resta una grossa lacuna in termini di finalizzazione. Ferran Torres si getta sui palloni in area, ma non ha certo poi quel livello tecnico, quella lucidità. Lewandowski a 36 anni non ha più la mobilità e la reattività nella coordinazione e nel gesto tecnico di un tempo, ma con Flick sta avendo una stagione migliore della scorsa: parliamo di 40 gol (di cui 25 gol in Liga e 11 in Champions League) in 48 partite totali giocate fino all’infortunio. Un centravanti che con carisma guida la linea e che poi più volte ha tolto le castagne dal fuoco alla squadra perché sa inventarsi gol dove non ci sono. È un centravanti che la difesa deve temere e se ne deve occupare ogni volta che è in area di rigore. Il gol segnato nel derby catalano col Girona ne è l’esempio perfetto.
Ferran Torres sta avendo comunque una stagione molto positiva: alternandosi come riserva di Raphinha e Lewandowski, e giocando come titolare in Coppa del Re, è arrivato in doppia cifra in Liga ed è a 18 gol complessivi. È un giocatore che aiuta tanto in fase di pressing alto, con Dani Olmo che va ad occupare la casella meno dispendiosa solitamente occupata da Lewandowski.
Questo assetto è andato a scapito di un centrocampista dinamico come Fermin Lopez e non è detto che non sia però anche stata una scelta contingente al dover affrontare il Real Madrid. Contro una difesa formata da tre centrali in linea Flick potrebbe decidere di optare per avere Dani Olmo come falso 9 e inserire proprio un centrocampista dinamico che attacchi dalla seconda linea - Fermin Lopez o Gavi. Anche perché Ferran Torres ha giocato quasi tutti i minuti della finale contro il Real Madrid e questo potrebbe pesare in termini di brillantezza atletica.
Continuando a speculare c’è da dire che Dani Olmo viene dall’ennesimo infortunio e dopo una partita così intensa come quella contro il Real Madrid, potrebbe essere fatto partire dalla panchina per preservarne la sua sempre precaria forma fisica. Sarebbe un compromesso da parte di Flick: meno qualità all'inizio a favore del dinamismo di Fermin Lopez, per poi averla invece nella parte della partita con le squadre più stanche.
Come nel resto della sua carriera, per Dani Olmo la questione è unicamente di poter stare in campo con continuità. Quando gioca alza il livello offensivo del Barcellona. Questo si è visto in modo evidente nella vittoria contro il Celta, in cui entrato all’ora di gioco al posto di Fermin Lopez e col risultato di 3-1 per la squadra di Vigo, ha partecipato a 2 dei 3 gol con cui il Barcellona l’ha ribaltata.
Il protagonista indiscusso della rimonta è stato Raphinha (assist sul gol di Dani Olmo e poi doppietta per pareggiarla e vincerla), ma la presenza di Dani Olmo trequartista ha fatto la differenza quando al Barcellona serviva disperatamente segnare.
L’altro dubbio in vista dell’Inter - e in generale uno dei grattacapi di Flick nelle ultime partite - è stata l’assenza del terzino sinistro Alejandro Balde. Il giovane catalano è un giocatore fondamentale per l'allenatore. Ha caratteristiche uniche all’interno della rosa, in termini di velocità e capacità di conduzione del pallone. Come successo con Davies nel suo Bayern, Flick gradisce che uno dei due terzini abbia doti atletiche fuori dal comune, così da farne un tornante utile sia in fase di possesso che nelle transizioni difensive. Giocando sulla fascia di Raphinha, e vista la tendenza del brasiliano a tagliare verso il centro, la presenza di Balde garantisce sempre l’ampiezza a sinistra per il Barcellona con un giocatore che per rapidità e qualità tecnica non può essere lasciato libero dall’ala o esterno destro avversario.
La sua riserva Gerard Martín non ha le stesse caratteristiche: di un anno più anziano di Balde, non era considerato uno dei grandi talenti della Masia ed è rimasto con la seconda squadra fino a quando non ha convinto Flick grazie alla dedizione e determinazione che mette in campo. Atleticamente riesce a reggere i ritmi della prima squadra, ma dal punto di vista tecnico ne diventa l’anello debole e ha portato Flick a provare varie soluzioni per trovarsi comunque coperto in vista dell’Inter: contro il Maiorca ha fatto giocare il diciassettenne Hector Fort a sinistra, anche se in teoria sarebbe un terzino destro, e contro il Real Madrid a partita in corso ha spostato come terzino bloccato il centrale mancino Iñigo Martínez.
Proprio l’esperto centrale basco è in coppia con il giovane centrale catalano Cubarsí il terzo pilastro del Barcellona di Flick. La statistica dei fuorigioco provocati, di cui si è parlato spesso nei primi mesi, ormai non è neanche più interessante, visto il distacco tra il Barcellona e qualsiasi altra squadra d’Europa.
Anche contro il Real Madrid ci sono state almeno tre occasioni da gol potenziali arrivate però da situazioni di fuorigioco (il Barcellona ha mandato in fuorigioco gli avversari per 7 volte, tra cui un gol annullato per questo a Bellingham).
Il Barcellona di Flick punta tanto sulla tattica del fuorigioco ma ha mostrato una certa sicurezza ad applicarla solo quando gioca la coppia di centrali titolare. Quando è mancato uno dei due centrali, e quindi ha giocato Ronald Araujo, un centrale dominante fisicamente, ma dalle letture istintive, c'è minore sicurezza nel tenere la linea alta e sicura. Questo ha ripercussioni a cascata sia direttamente sulle occasioni ora concesse, ma soprattutto sul comportamento dei terzini, in particolare di quello destro Koundé, che non può salire con tanta sicurezza come prima e di conseguenza su Lamine Yamal sulla sua fascia che diventa troppo isolato e più facilmente raddoppiabile. Ma anche con i due centrali in campo la capacità di tenere la concentrazione può non bastare, perché strutturalmente la squadra di Flick è costretta a dover difendere situazioni a campo aperto.
Il modo principale con cui le squadre creano azioni da gol contro il Barcellona è invitarne la pressione alta e poi giocare in verticale, idealmente nello spazio ai fianchi dei due centrali, sperando di non finire in fuorigioco.
Ci sono squadre, come per esempio l’Atlético di Madrid, che sono riuscite a sfruttare con la verticalità la linea alta nel finale di partita, quando è più probabile che la soglia di attenzione sia minore.

Ma quella che ultimamente ha mostrato come affrontare bene in modo sistematico il Barcellona è stato il Celta di Claudio Giraldez, che con un 4-3-3 dal baricentro basso ha utilizzato la costruzione dal basso per invitare per tutta la partita la pressione alta uomo su uomo della squadra di Flick fin dentro la propria area e andare improvvisamente in verticale. Non si è però limitato a lanciare lungo, lo ha fatto con l’intenzione di avere i propri attaccanti, in particolare il centravanti Borja Iglesias, in isolamento e magari ancora a metà campo, disinnescando quindi sul nascere la possibilità di averlo in fuorigioco.
Il Celta ha mosso i propri attaccanti per disordinare la linea difensiva del Barcellona prima di andare in verticale e il piano gara ha funzionato talmente bene da sembrare facile: Borja Iglesias ha segnato una tripletta nella prima ora di gioco e solo l’enorme sforzo offensivo della squadra di Flick nell’ultima mezz'ora ha permesso di ribaltarla proprio nel recupero.
In pochi mesi Flick ha preso un gruppo spaesato e gli ha cambiato il chip, convincendoli che si possa fare un calcio libero col pallone e intransigente senza. Un calcio che però deve essere giocato con la massima fiducia nella riuscita della strategia. Più che una tattica sembra un atto di fede, che con le vittorie si è rafforzato fino a sembrare inscalfibile.
I giocatori sono ora così sicuri del proprio calcio da riuscire a gestire anche i momenti della partita in cui tutto sembra perso. Il Barcellona di Flick non è certo una squadra che mira alla perfezione, sa benissimo di avere dei difetti strutturali, che accetta proprio per massimizzare la propria strategia. Non difende vicino alla propria area neanche quando il ritmo gara è basso. Questo ormai è un tratto distintivo riconoscibile tanto quanto la capacità di restringere e allargare il campo a piacimento con i movimenti di ali e mezzali e i cambi di gioco.
Flick ha capito subito che corde toccare con una rosa costruita con pezzi svalutati dall’ultima stagione. Ha un comportamento franco negli spogliatoi, personale con i giocatori e calorosissimo a bordocampo. Dietro le quinte è un maniaco della puntualità. Ha creato una versione del Barcellona che il presidente Laporta ha definito “irriverente”. «All'inizio della stagione ho detto che ero qui, con i miei assistenti, per creare una buona atmosfera nello spogliatoio. Che si divertissero a giocare e che potessero farlo al massimo livello», ha detto Flick dopo la vittoria della Coppa del Re. «La realtà supera le nostre aspettative» ha detto sempre il presidente del Barcellona con la Coppa del Re vinta.