La serata del Barcellona è iniziata in maniera tragicomica. La squadra stava risalendo la strada del Montjuic per arrivare allo stadio col pullman quando è stato colpito per errore dagli stessi tifosi stessi del Barcellona, che erano lì per creare un’atmosfera intimidatoria nei confronti del PSG. Se è possibile è finita anche peggio: con il sorriso guascone di Ousmane Dembélé in panchina, dopo aver segnato uno dei gol che ha eliminato i blaugrana dalla Champions. Nel mezzo una partita da incubo per la squadra di Xavi, e quindi da sogno per quella di Luis Enrique.
Il PSG ha preso in mano la partita fin dai primi minuti, ma questo non ha impedito al Barcellona di segnare un gol con un’azione geniale ed estemporanea di Lamine Yamal già al decimo minuto. A quel punto è cambiato il risultato ma non il contesto tattico deciso dai francesi.
Rispetto all’andata, Luis Enrique ha capito come attaccare questo Barcellona: cioè con Barcola in campo dall’inizio, sulla fascia sinistra, a formare un tridente con Ousmane Dembélé a destra e Mbappé al centro. La squadra parigina pressava alto usando come trigger il passaggio per Araujo, considerato l'anello debole in fase di impostazione e quindi lasciato di giocare da dietro. Una volta recuperata palla, il PSG cercava l’ampiezza, e in particolare Barcola in isolamento a sinistra, dove puntava l’area per arrivare direttamente in porta oppure per trovare l’inserimento di Mbappé o delle mezzali.
Questo contesto porterà all'evento che di fatto deciderà la partita, il rosso ad Araujo nato da una palla recuperata da Nuno Mendes proprio su un passaggio impreciso del centrale del Barça. Un momento che rimarrà negli incubi dei giocatori e dei tifosi del Barcellona per anni.
Sulla verticalizzazione improvvisa, Barcola si è fiondato sul pallone e il centrale uruguaiano è arrivato in ritardo con la spalla, finendo per travolgerlo con le gambe.
«Avrei preferito ovviamente subire un gol lì o magari concedere all'attaccante un uno contro uno. Dagli l'opportunità, permetti al nostro portiere magari pure di subire un gol, perché andare sotto di un uomo così presto ti uccide e basta», ha detto in maniera saggia Gundogan, dimostrando di avere una lucidità diversa rispetto al resto della sua squadra, che sembra sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
Quello di Araujo è solo il primo di una serie di errori più o meno gravi in momenti chiave della partita che hanno condannato il Barcellona. Il primo di questi riguarda come Xavi ha deciso di reagire all'inferiorità numerica, cioè togliendo dal campo Lamine Yamal - quel Lamine Yamal che si era dimostrato l’unico in grado di saltare l’uomo e creare un’azione da gol dal nulla. Forse Xavi avrebbe potuto fare scelte diverse per far entrare il centrale Iñigo Martínez. Magari poteva uscire Cancelo impostando una difesa a tre, o magari Lewandowski facendo giocare solo attaccanti veloci. O ancora poteva uscire un centrocampista come Pedri o Gündoğan rimanendo con due ali pure a dare profondità sull’esterno. In ogni caso, col senno di poi, la scelta non ha pagato. E forse Luis Enrique ha ripensato alla piccola polemica su chi rappresenti di più lo stile del Barcellona, tra lui e Xavi.
In ogni caso, il Barcellona si è sistemato con il classico 4-4-1 decidendo così di che morte morire: in apnea per almeno un’ora di gioco provando a difendersi contro una delle squadre con più talento offensivo al mondo. Per una squadra che non è strutturalmente, ma forse si potrebbe arrivare a dire ideologicamente, costruita per questo tipo di strategia è una missione quasi impossibile. Difendersi da un assedio è un’arte che va preparata nei minimi dettagli e non basta solo mettere i giocatori compatti nella la fascia centrale del campo così da proteggere l’area di rigore. Una volta si diceva che le squadre che dominavano i campionati più piccoli come il Celtic in Scozia e l’Ajax in Olanda non riuscivano in Europa a fare risultati proprio per questo motivo: perché non erano costruite per difendersi contro squadre con più talento.
Il Barcellona si è quindi costretto a una partita che non era in grado di fare. Con la superiorità numerica, infatti, il PSG arrivava all'accerchiamento offensivo troppo facilmente, e a centrocampo gli bastava mantenere le marcature a uomo su Gündoğan, Pedri e de Jong per avere una riconquista facile del pallone.
Iñigo Martínez vede che al centro non si passa, allora torna dal suo portiere, che proverà un lancio lungo. Lucas Hernandez, però, è stato meno ingenuo di Beraldo all'andata ed è riuscito a gestire al meglio Lewandowski.
Certo, c'è da dire che dopo il rosso per il Barcellona non esistevano opzioni che non fossero rischiose. Provare a giocarsela andando a pressare alti contro un tridente formato da Dembélé, Mbappé e Barcola avrebbe significato praticamente una condanna a morte. Il problema, però, è che pochi giocatori del Barcellona erano davvero pronti per una partita difensiva di sofferenza.
Ci sono voluti appena dieci minuti per vedere i parigini segnare il gol dell’1-1 e nel modo più prevedibile di tutti: il Barcellona lancia lungo per la spizzata di Lewandowski, la seconda palla è della difesa del PSG che di lì a poco, con Marquinhos, lancia verso Barcola liberissimo sulla fascia sinistra. L'ala francese capisce che non conviene andare subito sul fondo per crossare in area e si associa con Vitinha aspettando che il resto dei compagni risalgano il campo. Sul pallone di ritorno dal portoghese, Barcola può stoppare e mettere al centro un cross che attraversa tutta l’area fino a Dembélé, che aveva tagliato con i tempi giusti alle spalle di Cancelo. Il numero 10 del PSG colpisce in modo perfetto sotto la traversa, inclinando definitivamente la partita dalla parte della sua squadra.
Anche sugli altri gol del PSG gli errori del Barcellona non mancano. Lewandowski e de Jong che non hanno la prontezza di leggere il calcio d'angolo da cui nasce il decisivo tiro da fuori di Vitinha, per esempio. Il portoghese è totalmente libero e può permettersi di stoppare il pallone, portarselo alla giusta distanza, guardare la porta e calciare.
È stato il gol che ha fatto crollare i nervi al Barcellona, che da quel momento ha abbandonato la strategia difensiva per provare a segnare un gol in più. Di lì a poco arriveranno il palo di Gündoğan, l'espulsione di Xavi e soprattutto il grossolano errore di Cancelo che porta al rigore del 3-1. Una sbavatura imperdonabile, arrivata in un momento chiave della partita, e tra l'altro su un primo controllo errato di Dembélé, che stava uscendo dall'area di rigore. Il rigore calciato da Mbappé è perfetto e il terzo gol del PSG chiude la qualificazione. Il quarto gol nel finale serve solo a rendere più netta la vittoria della squadra di Luis Enrique.
Il PSG così è in semifinale: lì affronterà quel Borussia Dortmund che gli era finito sopra ai gironi ma contro cui ha uno score positivo negli scontri diretti (vittoria per 2-0 in casa, pareggio per 1-1 in trasferta). Ora l’approdo in finale è una condizione non negoziabile per considerare positiva una stagione finora interlocutoria. Se arriverà, lo vedremo. Quel che è certo è che questa versione del PSG sembra saper gestire meglio la pressione emotiva rispetto alle quelle passate. Una squadra con un picco di talento forse inferiore, ma con le idee chiare e la capacità di navigare i momenti delle partite. Al PSG non è servito neanche il migliore Mbappé per arrivare fino a qui. Al fenomeno francese è bastata la semplice presenza in campo, spauracchio per qualsiasi difesa, oltre ovviamente alla freddezza per calciare il rigore decisivo che ha chiuso la qualificazione.
Mentre ai microfoni Xavi ha deciso di prendersela con l’arbitraggio, sono state più significative le parole post partita di İlkay Gündoğan: «Era tutto nelle nostre mani e l'abbiamo gettata via». La squadra di Xavi dopo l'andata sembrava aver scacciato i fantasmi delle Champions League passate e invece si è accorta invece di averne ancora in casa che si aggirano minacciosi. Un vero e proprio atto di autodistruzione. Il PSG ringrazia.