Il Barnsley è stato fermato dallo Swansea nella semifinale playoff della Championship, ma il suo gioco potrebbe mettere in crisi tutto quello che pensiamo di sapere sul calcio. Stiamo parlando di una squadra che per tutta la sua storia ha galleggiato nelle serie inferiori inglesi, con un un’estemporanea apparizione in Premier League alla fine degli anni ’90, una squadra con poche risorse e che faticava a competere in un calcio sempre più ricco. Ma ora è tutto è cambiato. Nel 2017 la Pacific Media Group di Paul Conway, Chien Lee e Grace Hung (una società che finanzia e distribuisce contenuti digitali, tra cui film, TV e sport nei mercati asiatici) decide di investire nel club, rilevandone l’80% per 6.3 milioni di sterline. Tra i loro partner “silenti”, c’è anche Billy “Moneyball” Beane, lo storico General Manager degli Oakland Athletics.
Il Barnsley non è l’unica squadra di proprietà della PMG, che in realtà ha l’ambizione di creare un network simile a quello della Red Bull. Le sue squadre sono l’Esbjerg in Danimarca, il Nancy in Francia, l’Oostende in Belgio e il Thun in Svizzera, tutti progetti ambiziosi portati avanti con un approccio comune basato sullo scouting di giovani calciatori, tecnici e dirigenti sulla base di parametri statistici che rispecchino la filosofia dei loro club. Intervistato da The Athletic, Thorstein Theys, diventato COO dell’Oostende sotto la nuova proprietà, ha detto: «Tutte le squadre della PMG cercano di recuperare la palla nella metà campo avversaria e poi generare qualcosa nel caos». Sembra evidente l’analogia con la progettualità Red Bull, da cui hanno preso anche alcune figure professionali, tra cui l’attuale tecnico dell’Oostende, Alexander Blessin, con una lunga storia nelle giovanili del RB Lipsia.
L’allenatore del Barnsley, Valerien Ismaël, è stato scelto principalmente per i valori di pressing che la sua precedente squadra, il LASK, aveva fatto registrare nel campionato austriaco. Dane Murphy, il direttore generale della squadra, li aveva definiti «la seconda miglior squadra nel pressing al mondo». Ismaël usa un approccio apparentemente rigido per organizzare il pressing: in questa intervista racconta come la sua abitudine sia di preparare diverse strategie di pressing predeterminate in base alla disposizione avversaria, e che il suo obiettivo è fare in modo che la squadra cambi strategia alla sua semplice chiamata: “Pressing uno, pressing due, pressing tre”.
Multinazionali, pressing, intensità, calciatori giovani, scouting basato su parametri statistici, insomma uno scenario che abbiamo già visto. Eppure il Barnsley sta facendo parlare di sé per aver estremizzato alcuni concetti almeno apparentemente poco moderni, arrivando a proporre un calcio che qualcuno ha iniziato a chiamare Skyball, che sì, significa quello che sembra: la palla più in aria che a terra.
Per capire lo Skyball del Barnsley occorre partire dalla loro priorità strategica: passare più tempo possibile nella metà campo avversaria attraverso un pressing continuo. Rimanere nella metà campo avversaria con ogni mezzo, banalmente perché è da lì che nascono le migliori occasioni. Questo non vuol dire che il Barnsley non abbia la possibilità di organizzare azioni manovrate, nonostante le loro scarsissime percentuali di passaggi tentati e completati. Anzi, una buona parte delle loro azioni sono simili a quelle di tutte le altre squadre che oggi giocano un calcio diretto e verticale, così come le loro ripartenze palla a terra o il loro affidarsi all’ampiezza per arrivare al cross sono soluzioni offensive utilizzate da quasi tutte le squadre. Ricorrono però abbastanza frequentemente momenti di assoluto e integralissimo Skyball.
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Un esempio dei flipper sulla trequarti avversaria, nell’ultima partita stagionale (semifinale playoff) contro lo Swansea.
Succede quando il Barnsley si trova nella trequarti avversaria, o comunque negli ultimi 30 metri, e all’improvviso i suoi giocatori sembrano - più che voler arrivare in porta in maniera più o meno pulita con una verticalizzazione o con un gioco di passaggi o comunque attraverso qualcosa di coordinato – voler alimentare il caos e la casualità alzando palloni a campanile.
Quello che è l’incubo degli allenatori ossessionati dal controllo, tecnici stimati come Roberto De Zerbi («non mi piace alzare la palla e scommettere su chi la prenderà») o Guardiola e Juanma Lillo («prima la palla va su, prima ti torna indietro»), è un aspetto ricorrente e ricercato nelle partite del Barnsley. Ci sono momenti in cui è chiaro come i giocatori puntino deliberatamente ad alzare campanili più impervi possibile, anche in situazioni offensive in cui non ci sarebbero particolari rischi nel controllare la seconda palla e provare a creare un’azione manovrata.
Qui viene paragonato a Slime Volleyball.
Non solo il Barnsley punta a giocare un enorme numero di palle lunghe – o forse sarebbe meglio dire alte - ma enfatizza proprio le situazioni di palla vagante, forzando di conseguenza anche l’avversario ad adattarsi e giocarle a sua volta, spingendolo a commettere errori come rilanci approssimativi o colpi di testa in zone di campo pericolose.
Non importa quanti appoggi hai vicino, mira lontano.
Il risultato sono fasi di gioco confuse in cui il pallone schizza da una testa all’altra a ridosso dell’area. Momenti in cui il controllo del pallone non è chiaro, dove all’avversario non basta spazzare una volta, perché il giocatore del Barnsley alla fine della traiettoria, con ottime probabilità, proverà a rispedirlo da dove è venuto come in una partita di pallapugno.
Un esempio di come può essere una partita del Barnsley.
L’aspetto forse più esemplificativo di cosa sia lo Skyball del Barnsley lo si intuisce nel modo in cui scelgono di calciare le punizioni lontano dall’area. Basta che ci sia la minima possibilità di poter scodellare un pallone in prossimità dei sedici metri avversari, l’80-90% dei giocatori di movimento si schiaccia a ridosso dell’area e inizia la danza delle foche.
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Muovere palla sul corto per cercare di allentare le marcature? Nemmeno contemplato.
Il blogger John Muller, in questa meticolosa analisi per la sua newsletter SpaceSpaceSpace, ha posto una riflessione acuta: il termine moneyball è entrato nel gergo calcistico per indicare, generalmente, un approccio quasi esclusivamente statistico allo scouting, oppure per l’uso di statistiche con fini di lucro anziché sportivi. In realtà, ciò che rendeva di rottura la strategia degli Oakland A’s, come raccontato nel libro di Michael Lewis Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game e nel successivo film, e che prima ancora che l’affidamento a nuove tecnologie di ricerca, era il cambiamento dei parametri della ricerca a rivoluzionare l’approccio.
Utilizzare statistiche che la maggior parte degli avversari non guardavano o reputavano marginali, per spostare la contesa su un piano sottovalutato che però ha un rapporto rischi/benefici più favorevole. Nel caso degli Oakland A’s si trattò della statistica degli OBP, ovvero la percentuale sull’arrivo in base di un battitore. Come giustamente fa notare Muller, siamo stati talmente abituati a catalogare come “Moneyball” le squadre che utilizzano le statistiche per trovare giocatori bravi a passare, tirare o dribblare, che abbiamo trascurato l’idea che questo processo in realtà sia solo un acceleratore dello scouting tradizionale e che difficilmente i risultati dati da una ricerca più orientata verso le statistiche sia così poi differente da una ricerca affidata più alla sensibilità degli scout. Chi fa un vero “Moneyball”, invece, cambia innanzitutto il paradigma della ricerca.
Il Barnsley sarà orientato a scegliere giocatori capaci di garantire un maggiore probabilità di “controllo” delle situazioni randomiche che vuole creare nella metà campo avversaria. La ricerca continua di un contesto dove regna la casualità produce situazioni di incertezza in zone di campo dove sbagliare è più pesante per l’avversario che per loro. Per approfittare di questo contesto, solitamente marginale in una partita, il Barnsley cercherà verosimilmente giocatori che spiccano in statistiche solitamente meno considerate (duelli aerei, lanci, seconde palle vinte, duelli nella metà campo avversaria) e quindi magari più economici di altri.
L’approccio strategico e statistico del Barnsley potrebbe essere visto come una distopia: un calcio spogliato di tutti gli orpelli estetici, come la costruzione dal basso, la ricerca del palleggio nella metà campo avversaria, fino a ridurlo all’osso. Quasi un ribaltamento di tutto quello che pensiamo: se gli ultimi vent’anni di calcio ci hanno detto che controllare il pallone riduce i rischi, l’idea dello Skyball sembra in antitesi. Eppure il Barnsley non è la prima squadra a usare i lanci lunghi o comunque l’idea di generare caos, seconde palle, rendere il calcio un inferno. La palla lunga è stata usata molto e con grande efficacia da squadre diverse tra loro per caratteristiche e filosofia. Le squadre di Schmidt, da almeno cinque anni, ci mettono davanti all’idea che provare a controllare il caos attraverso la riaggressione sia possibile. Le sue squadre giocano azioni di possesso rapide e verticali con l’obiettivo di creare seconde palle da attaccare in maniera corale e asfissiante. Uno stile di gioco che in Germania ha raggiunto espressioni di calcio godibili e che è entrato a far parte, magari non in maniera così estrema, nella loro filosofia.
Il caso del Barnsley è però diverso, e non solo per il comprensibile scarto tecnico dei suoi interpreti rispetto agli interpreti del gegenpressing che abbiamo ammirato soprattutto in Bundesliga in questi anni: il Barnsley non dà l’idea di “governare” il caos, ma sembra voler puntare ad accelerarlo puntando tutto su una scommessa che potrebbe essere vincente. L’idea è semplice: una palla che rimbalza vicino all’area avversaria è più rischiosa per l’avversario. È difficile non pensare che questo approccio sia troppo casuale, che il Barnsley giochi più sull’orlo della confusione che non del caos. In maniera abbastanza naturale associamo l’idea di “caos” a partite ricche di occasioni, di ribaltamenti, forse perché quel turbine di eventi ci destabilizza. In realtà però il caos è sempre presente all’interno del gioco dove 22 uomini si affrontano su un campo molto grande non potendo usare le mani. Una volta iniziata una partita, il disordine tenderà ad aumentare in maniera naturale. Anche nelle situazioni che solitamente identifichiamo come “ordinate”, come un assedio davanti a un blocco difensivo rintanato nella propria area di rigore, c’è sempre un costante riaggiustamento, una miriade di eventi più o meno piccoli che crea entropia, cambia il corso delle cose. Sono confronti tra giocatori singoli, movimenti della linea difensiva rispetto a quella offensiva, indicazioni degli allenatori. Un disordine che forse non ci sarà evidente a livello visivo, ma che è presente in maniera costante all’interno di ogni sistema. Il caos è intrinseco nella natura del gioco del calcio.
Possiamo facilmente accettare che il Barnsley abbia scelto questa strada non convenzionale, ma siamo davvero pronti a un calcio in cui questo approccio diventi maggioritario? Cosa accadrebbe se, tentati dai successi dello Skyball, anche le grandi squadre europee iniziassero a forzare un numero sconsiderato di palloni vaganti, in una sorta di viaggio indietro nel tempo ma con in più gli strumenti odierni nell’organizzazione del pressing?
In fin dei conti quello che ci piace di più in una partita, anche ai più pragmatici, non è forse il poter godere della creatività di chi va in campo per risolvere in maniera originale gli enigmi che il caos del gioco gli pone? E non è forse la possibilità di vedere più giocatori interagire tra loro all’interno di un contesto che ci restituisce una sensazione di armonia complessiva uno dei piaceri del calcio? Certo, ci sono tantissime forme diverse per tradurre questa idea di bellezza, in maniera più o meno codificata, più o meno ambiziosa, ma il comune denominatore che rende attraente questo gioco è, quasi sempre, il tentativo di piegarne la sua natura caotica con l’ambizione (utopica?) di limitare l’incertezza. Non certo di amplificarla.
Detto questo, per quanto consideri lo Skyball del Barnsley una schifezza di cui farei volentieri a meno, non si può negare la bellezza del calcio sta anche nella varietà di ciò che ci presenta il campo. Il calcio, come saprete, è strano.