I libri, i film e le serie TV sullo sport spesso sono costrette ad enfatizzare il conflitto intrinseco nelle storie che raccontano. Una delle critiche che si possono muovere al film Rush, ad esempio, è che la rivalità Lauda-Hunt viene enfatizzata con toni e significati esageratamente forzati. La stessa critica è stata mossa da alcuni piloti attuali – Max Verstappen in primo luogo – alla serie Netflix Drive to survive, al punto che su YouTube potete trovare una bella wave di video satirici che prendono in giro il montaggio creato ad arte dai produttori della serie. Quello che però sta succedendo in questa stagione di Formula 1 non avrà bisogno di alcun artificio quando se ne riparlerà in futuro (a partire proprio da Drive to survive) perché quello che sta succedendo in queste settimane, e in particolare ieri, è fuori da ogni immaginazione. Non ricordo un’altra annata in cui i due contendenti per il titolo siano arrivati così tante volte al duello in pista e al contatto. Né credo ci sia mai stata un’altra stagione in cui la battaglia politica fuori dalla pista sia stata così feroce, forse figlia della sovraesposizione sui social network dei boss dei team di Formula 1, che hanno ormai imparato a utilizzare per indirizzare l’opinione pubblica e di conseguenza la pressione sugli organizzatori e sui direttori di corsa.
Fatto sta che il Gran Premio dell’Arabia Saudita, in una delle piste più pericolose in cui si sia mai corsa la Formula 1, verrà ricordato a lungo anche grazie proprio al layout della pista, perfetto per inasprire ulteriormente una battaglia ormai già fuori dalle righe. Il confronto tra Lewis Hamilton e Max Verstappen, tra i cannibali della Mercedes e gli uomini Red Bull che da troppi anni cercano il riscatto, ha assunto ormai i contorni di un antico poema epico o di un più moderno duello da film western: una guerra totale in cui ormai qualsiasi regola, scritta e non, sembra aver perso di senso e in cui anche allo stesso direttore di gara Michael Masi sembra essere sfuggita la situazione di mano.
Le controversie regolamentari
Il Gran Premio dell'Arabia Saudita di ieri verrà innanzitutto ricordato come la gara decisiva per uno dei Mondiali con più indagini e sanzioni di sempre. Verstappen a fine corsa ha detto: «Sono successe un sacco di cose con le quali non sono d’accordo. Questo sport è diventato più penalità che altro, questa non è più Formula 1». C'è da dire che è stato lui il protagonista di quasi tutti gli episodi controversi e per ben due volte gli è stato contestato di aver tagliato la prima chicane traendone un vantaggio irregolare. A fine corsa gli è stata rilevata anche una terza penalità a carico di 10 secondi, poi ininfluente sull’esito finale. Ma bisogna andare con ordine per capire l'eccezionalità di quello che è successo ieri.
Il primo episodio controverso è stata la prima bandiera rossa. Al giro 10 di 50 Mick Schumacher è andato a sbattere sulle barriere di protezione in uscita di curva 22, in un tratto velocissimo. Inizialmente viene fatta uscire la Safety Car e sia Hamilton che Bottas, che erano davanti a Verstappen, vengono chiamati ai box. L'olandese invece è rimasto in pista diventando il nuovo leader della gara. Ad avvantaggiare ulteriormente Verstappen ci si è messa la bandiera rossa arrivata poco dopo, che gli ha permesso un pit stop "gratis", senza che questo cioè gli facesse perdere la prima posizione.
Il ritardo tra l'incidente di Schumacher e la successiva bandiera rossa è stato dovuto al fatto che quest'ultima è stata ritenuta necessaria solo in un secondo momento (per via delle condizioni delle barriere). La ragione è che, per motivi di sicurezza, quando si ritiene che le protezioni siano state intaccate da un incidente al punto da renderle non più efficienti, la bandiera rossa permette che ci siano il tempo e la calma necessari per ripararle. C'è da dire, poi, che in questo caso le barriere non erano fatte di pneumatici ma di Tecpro. Leggo dal sito sporteimpianti.it: «Rinforzati da un doppio foglio di lamiera e collegati tra loro da tre imbragature, i blocchi hanno un potere di assorbimento molto elevato ma con il vantaggio di un’estrema semplicità nella realizzazione e nella ricostruzione a seguito di un incidente».
Viene il sospetto che dietro la decisione di sventolare la bandiera rossa, un elemento che poteva essere decisivo per le sorti della gara e del Mondiale, ci sia stata o un’eccessiva avventatezza – segno in quel caso di inadeguatezza del direttore di corsa – o in alternativa, a voler pensare male, la volontà di aumentare lo spettacolo e la suspense per una nuova ripartenza, in linea con le sensazioni lasciate da altri episodi avvenuti nelle ultime gare – su tutti le penalizzazioni accordate praticamente all’ultimo. L’inadeguatezza della direzione gara, però, si è manifestata in maniera ancora più lampante al momento della seconda partenza.
In griglia si riparte con Verstappen primo e Hamilton secondo. L’olandese parte male e viene affiancato all’interno in curva 1 dall’inglese. Verstappen però resiste all’esterno di curva 1, che diventerebbe però interno in curva 2, esattamente come nel famoso episodio di Monza. Stavolta, però, Hamilton lascia ancora meno spazio e Verstappen è costretto a tagliare curva 2, prendendo in ogni caso la posizione sull’inglese. Qualche istante dopo arriva una seconda bandiera rossa, mentre tra i due contendenti si è infilata l’Alpine di Esteban Ocon che ancora una volta, come in Ungheria (dove ha vinto), è riuscito ad approfittare al meglio di una gara pazza.
Prima della terza partenza Masi decide di intavolare una trattativa con la Red Bull, una situazione apparentemente senza precedenti in Formula 1. Prima opzione: Verstappen accetta di restituire alla nuova ripartenza la posizione sia a Ocon che a Hamilton, scattando terzo. Seconda opzione: partire primo ma con il rischio di una penalità di 5 o 10 secondi per aver tagliato la chicane traendone vantaggio. La Red Bull sceglie la prima via, pensando di giocarsi la posizione con Hamilton in partenza, cosa che poi succederà realmente.
Ci sono, però, due problemi con la decisione di intavolare una trattativa con la Red Bull. In primo luogo, la direzione gara teoricamente non dovrebbe offrire – Masi alla Red Bull ha detto «I give you the opportunity to…» - ma dovrebbe investigare e decidere, anche se Masi stesso a fine gara ha detto che già erano avvenuti colloqui di quel tipo in altre gare con i team. Secondo: la penalità data a Verstappen in questo caso sembra in linea con quanto poi deciso dopo l’episodio di Monza, ma resta comunque un episodio più che discutibile. Tutti sanno che in una chicane chi è all’esterno in curva 1 poi è all’interno in curva 2 e, se affiancato, teoricamente avrebbe diritto di traiettoria interna come in qualsiasi curva. Nel Gran Premio di Assen 2015 di MotoGP a Valentino Rossi, che tagliò l’ultima chicane forzato dalla staccata di Marc Marquez, non fu concessa alcuna penalità proprio perché gli fu riconosciuto di essere stato spinto ad andare lungo.
L’episodio che poi, secondo lo stesso Jorge Lorenzo vincitore di quel contestatissimo Mondiale, convinse Marquez a far perdere il titolo a Valentino negli ultimi Gran Premi.
Quindi: per quanto sia vero che la decisione di restituire la posizione è coerente con quanto stabilito dopo Monza, è anche vero che se è stato concesso di forzare un avversario ad andare lungo in una chicane, dovrebbe a questo punto essere concesso anche all’altro contendente di tagliarla. Chi corre sa benissimo che un sorpasso non è completato fino a che non è più lasciata all’avversario la possibilità di affiancarsi, e in questo caso Verstappen all’esterno era riuscito a farlo, esattamente come alla Prima Variante di Monza.
Nella prima immagine, dal volante, si vede che Verstappen e Hamilton devono ancora concludere la sterzata di curva 1 e l’olandese è comunque affiancato all’esterno; nella seconda si vede che, in ogni caso, Hamilton come a Monza non gli lascia abbastanza spazio all’interno in curva 2.
Questa decisione della direzione gara è stata cruciale per l’esito del Gran Premio. Se Masi avesse riconosciuto che Verstappen era stato forzato a tagliare e quindi era incolpevole, le posizioni sarebbero rimaste le stesse e si sarebbe ripartiti con Verstappen primo in griglia davanti a Ocon e Hamilton solo terzo. Forse in quel caso l’olandese avrebbe montato le gomme dure per andare fino in fondo, difendendo semplicemente la posizione su Hamilton alla prima curva: Verstappen invece ha montato le medie per scavalcare Hamilton in partenza, ma sul passo gara alla lunga quella gialla si è dimostrata la gomma sbagliata.
La linea è stata dura, ma stavolta condivisibile nel secondo episodio, quello della frenata esagerata di Verstappen al giro 37. Un momento della corsa che conduce alla fase decisiva: Verstappen che deve cedere la posizione in pista a Hamilton. Decide di farlo a fine giro, prima del cosiddetto detection point del DRS, per poterlo poi avere sul rettilineo del traguardo. Rallenta, ma Hamilton si accoda perché neanche lui vuole essere primo al detection point. I due rallentano quasi a fermarsi e alla fine arriva il contatto: dalle indagini a fine corsa è emerso che davvero Verstappen ha fatto una sorta di brake testing, frenando di circa 2,4G e facendo sì che, volontariamente o meno, Hamilton gli finisse addosso.
Hamilton avrebbe dovuto passare subito Verstappen, che stava procedendo lentamente per concedergli la posizione? Oppure è stato più scorretto Verstappen a decidere di frenare in quel punto? Valutare in questo caso non è semplice: probabilmente la direzione di gara alla fine ha deciso che la frenata di Verstappen era il gesto più scorretto (in una situazione, va detto, in cui di scorretto c’è stato praticamente tutto). Va detto anche che l’olandese, pur decidendo di cedere la posizione in quel punto, lo stava facendo in un modo che gli avrebbe però permesso di riprenderla subito. Che è esattamente quello che accadde a Hamilton nel duello con Raikkonen in Belgio nel 2008, dove la penalità – giusta in quel caso – fu data all’inglese che non restituì la posizione al ferrarista.
Nello stesso momento del contatto, però, arriva la comunicazione di 5 secondi di penalità, che appare in contraddizione con quanto accordato via radio, cioè che la posizione Verstappen avrebbe dovuto restituirla in pista. In ogni caso, quella penalità è la pietra tombale della corsa dell’olandese, che vista la diversa scelta di gomme – media contro le hard di Hamilton – a fine corsa perde completamente il passo. Forse l'olandese non sarebbe comunque stato in grado di resistere a Hamilton che, pur con l’ala anteriore lievemente danneggiata, nel finale era il più veloce in pista. Ma la storia non si fa con i se e con i ma, come si dice.
Questa è Formula 1?
In casi complessi come questi è frequente che si scontrino due scuole di pensiero: la prima che afferma che le penalità sono necessarie, la seconda che invece ribatte che sono solo un danno e finiscono per compromettere la credibilità di questo sport. Chiaramente quest’anno è stato visibile quanto, di pari passo con l’avvicinarsi della stretta decisiva del campionato, sia aumentata la posta in palio e parallelamente anche l’asticella dell’aggressività in pista. In questo Gran Premio forse ha pesato un altro episodio in cui la sanzione era stata diversa: il doppio lungo in curva 4 in Brasile, nel quale Verstappen era stato perdonato nonostante diversi piloti avessero espresso la propria contrarietà.
In questo aspetto la direzione corsa sembra essere stata piuttosto intelligente: una volta capito che Verstappen ha rifatto più o meno la stessa mossa, cioè frenare lunghissimo andando fuori pista e trascinandosi con sé anche Hamilton, non lo ha perdonato una seconda volta. E la sensazione è che, nell’appuntamento decisivo di Abu Dhabi, le sanzioni potrebbero essere ancora più severe, come già avvenuto ad esempio nel 1997 in cui Michael Schumacher fu squalificato dal Mondiale dopo il contatto cercato con Jacques Villeneuve all’ultima gara.
Se l’aggressività di entrambi – non solo di Verstappen – si è alzata a partire dal Gran Premio di Silverstone, la direzione corsa ha l’obbligo di intervenire per evitare un’escalation di qualsiasi tipo, perfino un potenziale progetto di incidente studiato ad arte. E per preservare la maggiore credibilità possibile del prodotto, Masi e i suoi collaboratori dovrebbero proseguire anche sulla strada dell’interpretazione: non sempre applicando freddamente la penalità in base a quanto concretamente accaduto in pista, ma anche pesando ogni episodio nell’ottica di una lotta in cui qualsiasi mossa da parte dei due contendenti può essere preparata attraverso un calcolo specifico, creando un danno che non può essere paragonato a quello di un incidente tra due piloti che lottano per il dodicesimo posto.
La Formula 1 ha già risolto una volta in tribunale la contesa iridata di quello che è passato alla storia come il duello più aspro di sempre. Nel 1989 Ayrton Senna venne squalificato al GP del Giappone nonostante fu chiaramente speronato da Alain Prost. La sanzione all’epoca fu piuttosto ingiusta e per questo, a posteriori, è stato storicamente perdonato lo speronamento altrettanto volontario che Senna restituì a Prost l’anno successivo. Decidere un titolo mondiale su questioni regolamentari non è una novità, insomma, perché anche questa è Formula 1.