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Battere il Barcellona
05 giu 2015
I blaugrana non sono una squadra invincibile. Abbiamo provato ad analizzare tre fasi del loro gioco che possono essere sfruttate dalla Juventus.
(articolo)
13 min
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Come si ferma la MSN?

di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

Fermare la MSN significa fermare il miglior attacco al mondo, un tridente capace di segnare 120 gol nonostante uno dei componenti sia entrato nell’equazione solamente nel Clásico del 25 ottobre a squalifica terminata. Come è già stato detto durante la stagione, il tridente ha subito un’evoluzione che possiamo riassumere in tre differenti versioni della MSN: il Messi da numero 10 (con Neymar vicino), il Messi tornato esterno destro (con Neymar lontano) e il Messi quasi mezzala destra.

Con la testa alla finale è inutile analizzare quali squadre siano riuscite a fermare la prima versione della MSN, visto che non la vedremo certamente a Berlino; mentre capire come è stata fermata la seconda versione può essere utile anche per capire meglio la terza, quella che quasi certamente vedremo a Berlino e che in concreto è stata difesa perfettamente solo dal Bayern Monaco, e solo per 77 minuti. Prima, cioè, che un calo minimo di concentrazione abbia permesso al talento di Messi di uscire fuori prepotentemente e decidere la qualificazione. A dimostrazione del fatto che per fermare la MSN non basta un piano partita ottimo, ma servono anche concentrazione e fortuna.

Il tridente attuale, con Messi che si posiziona per giocare praticamente da mezzala destra, è nato nel derby contro l’Espanyol del 25 aprile, una partita in cui gli avversari hanno provato a bloccare la MSN posizionandosi al limite dell’area: in questo modo hanno creato loro malgrado la versione attuale di Messi. Con Leo che riceveva palla sempre dall’esterno, ma più indietro e leggermente più centrale del solito (in sostanza a metà tra la posizione da numero 10 di inizio stagione e quella da esterno di metà stagione) così da rendere più efficace la sua infinita capacità associativa (soprattutto con Neymar) e permettere a Rakitic di attaccare l’area senza palla. Questa posizione, inoltre, limita l’efficacia di una marcatura a uomo su di lui, visto che, oltre a poter saltare l’uomo, Messi ha comunque sempre il movimento di un compagno da poter sfruttare in combinazione, se vicino, o da lanciare in porta nel caso di un movimento lontano.

Quanto la marcatura a uomo su Messi sia rischiosa si è visto bene nella finale di Coppa del Re in cui l’Athletic Club ha provato a fermarlo facendolo seguire da Balenziaga. Certo, qui le marcature c’entrano poco: Messi a volte è semplicemente più forte di tutto e tutti.

Prima di tornare alla partita con il Bayern (la più utile da studiare per Allegri) vorrei parlare delle due squadre che hanno avuto successo nel bloccare totalmente la MSN in Liga, nella versione in cui Messi era già esterno destro. La prima è il Málaga, che ci è riuscita controllando gli spazi, la seconda è il Celta Vigo, che invece ha controllato la direzione del pallone.

Il Málaga di Javi Gracia, in barba ai luoghi comuni sulle difese allegre fuori dall’Italia, ha tirato su una strategia difensiva capace di portare fuori dalla partita Leo Messi e di dominare al Camp Nou. L’ha fatto decidendo di controllare completamente la fascia centrale di campo, così da non concedere al tridente spazio per tirare in porta. Una ricetta molto semplice che a livello tattico può essere descritta come un 4-4-2 con assenza totale di ampiezza, posizionato tutto al limite della propria area. La MSN si è trovata quindi nella classica situazione di poter giocare sempre palla dagli esterni, ma senza poter attaccare fronte alla porta.

Dietro la linea difensiva non c’era spazio né per i movimenti senza palla di Neymar, né per provare a crossare per Luis Suárez. Messi è stato isolato e gestito nell’unico modo possibile per il Málaga: portando tutti i giocatori nella sua zona di campo a giocare solamente su di lui. L’esterno basso, l’esterno alto e addirittura il centrale di sinistra giocano orientati verso la linea laterale non appena Messi prende palla, così da impedirgli l’entrata nella fascia centrale e di lasciargli solo la possibilità di giocare il pallone per un compagno. Il risultato finale sono solo 5 tiri totali per la MSN e vittoria totale per il sistema di Javi Gracia.

Il 4-4-2 che blocca il centro con cui Javi Gracia è sceso al Camp Nou.

A differenza del Málaga, il Celta Vigo di Berizzo ha deciso di bloccare i rifornimenti al tridente pressando molto in alto l’uscita della palla dalla difesa e cercando l’anticipo su ogni tentativo di far arrivare la palla rapidamente al tridente (aka Messi). Aiutato dal fatto che l’esterno basso a sinistra Jonny gioca a piede invertito, Berizzo ha costretto Messi a giocare quasi toccando la linea laterale e cercare il fondo per giocare la palla. Con il pressing il Celta ha indirizzato i passaggi avversari su Messi, facendogli però arrivare la palla in modo sporco e isolandolo dagli altri due della MSN. Risultato: 8 tiri totali della MSN e vittoria del Barcellona solo grazie a un colpo di testa di Mathieu.

Proprio dalle partite contro Málaga e Celta deve aver preso ispirazione Guardiola, che ha iniziato la partita marcando a uomo la MSN e pressando alto, ma una volta capita l’impossibilità di mantenere il sistema ha forzato il ritorno di Messi sull'esterno mettendogli in marcatura stretta (non più a uomo però) un giocatore veloce come Bernat, abile a concedergli solo il fondo.

Sapendo che le fortune della MSN dipendono in primo luogo dalla capacità associativa di Messi, tutta la fascia sinistra si è preoccupata di non farlo entrare al centro palla al piede, attaccandolo quando ha orientato il corpo, ed è stata ben contenta di farlo giocare sul destro, praticamente da esterno classico. Nessun’altra squadra ha gestito meglio la MSN versione 3.0 e mostrato come per fermare la MSN per prima cosa bisogna disinnescare Messi (o per dirla alla Guardiola “limitare”).

Fino al minuto 77 la cosa ha retto, il talento del più forte al mondo però è più forte della tattica e il risultato finale lo conosciamo tutti.

La linea difensiva del Barcellona

di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

L’invincibilità del Barcellona dei Tre Tenori, che qualcuno in Inghilterra ha cominciato a chiamare con slancio mistico The Holy Trinity, è un argomento piuttosto recente. Nella prima parte di stagione, prima che il passaggio dal Barça di Xavi e Guardiola a quello di Rakitic e Luis Enrique si completasse, la squadra catalana aveva più di una pecca nella sua fase difensiva.

In maniera forse iperbolica, si potrebbe dire che Luis Enrique ha trasformato il suo sistema nella sua ultima, vincente evoluzione proprio per la necessità di mascherare le difficoltà difensive della sua squadra. La paziente costruzione tipica della squadra catalana, senza i piedi e la testa di Xavi Hernández e i movimenti perfettamente sincroni degli altri, non solo ha provocato l’ipotrofia offensiva dell’era Vilanova-Martino, ma ha anche mostrato fatalmente il fianco.

Un passaggio sbagliato da Piqué è costato il pareggio al Sánchez-Pizjuán di Siviglia.

Non di rado, degli errori di impostazione o una costruzione di per sé troppo lenta e prevedibile ha spalancato le porte del gol agli avversari. La maggiore ricerca di verticalità con la conseguente deresponsabilizzazione del centrocampo ha ridotto i margini di errore. I terzini stazionano più bassi, anche perché non hanno materialmente il tempo di alzarsi, e la loro posizione aiuta la difesa nelle situazioni di contropiede. Ne sa qualcosa l’Atlético di Simeone, che nelle due partite di campionato, entrambe perse, non è mai riuscito a sorprendere Alves e Alba alle spalle e a creare situazioni di due contro due in campo aperto contro i difensori centrali catalani.

A proposito dei centrali, Luis Enrique ha sperimentato prima di trovare una coppia affidabile. A inizio anno la sua scelta era ricaduta su Piqué e Mathieu, due difensori con caratteristiche fisiche e di marcatura simili. Molto spesso, nelle situazioni sopra descritte, entrambi rinculavano portando gli attaccanti avversari anche dentro l’area di rigore; inoltre avevano il vizio di restare piatti, sulla stessa linea, piuttosto che offrirsi copertura reciproca, diventando vulnerabili ai tagli degli avversari in zona centrale. L’inserimento di Mascherano, al fianco di Piqué, ha risolto in parte questi problemi. In parte, ma non del tutto, perché il Barcellona concede ancora qualcosa.

Se Luis Enrique dovesse decidere comunque di impiegare Mathieu è perché teme la forza della Juventus sui calci piazzati. È il vero tallone d’Achille, anche storicamente, per una squadra che non ha grandi saltatori nell’undici base. Per di più i tre “lunghi” non sono impiegati neanche in marcatura, ma sono piazzati a zona lungo la linea di porta. Questi tre elementi sono anche piuttosto indisciplinati, è facile attirarli fuori dalla propria zona. Il Barcellona è anche lento nell’uscita dall’area di rigore, se la Juventus dovesse riuscire a tirare da fuori o a rigiocare il pallone in mezzo alla svelta, potrebbe crearsi un’opportunità. Quest’anno in Champions League il Barça ha subito gol su palla inattiva in più di un’occasione: contro il Bayern, Busquets si è perso Benatia; contro il PSG, nella fase a gironi, è andato a segno di testa addirittura Verratti!

Persino il piccolo Huesca, travolto in Copa del Rey, è riuscito a sorprendere il Barça su azione da calcio d’angolo.

C’è ancora un altro frangente di gioco nel quale il Barcellona corre i maggiori pericoli ed è quando gli avversari lo attaccano con buona ampiezza. La difesa catalana tende a restare piuttosto stretta e gli interni di centrocampo del 4-3-3 fanno fatica quando devono scalare sull’esterno. Spesso in Champions League abbiamo assistito a dei recuperi difensivi in fascia da parte di Messi e Neymar; la stessa dedizione però non si è vista in campionato.

Allegri chiede alla mezzala sul lato debole di andare a chiudere l’azione. Il Barça dovrà sorvegliare Pogba sulle discese di Lichtsteiner e Marchisio o Vidal su quelle di Evra.

In definitiva, questo Barcellona non è invincibile: la Juventus dovrà essere paziente, anche subendo il gioco offensivo degli avversari ma mentalmente dovrà restare attaccata alla partita e al suo piano di gioco. Qualche occasione le sarà concessa e, quando accadrà, dovrà essere sufficientemente lucida da riconoscerla e approfittarne.

Il ri-apprendimento del pressing

di Emiliano Battazzi (@e_batta)

Nelle sue prime conferenze stampa da allenatore del Barcellona, Luis Enrique aveva lasciato intendere che era importante ritornare sul sentiero del gioco di posizione, ma che gli importava più di tutto rivitalizzare uno strumento tattico ormai in declino: la pressione alta sull’inizio dell'azione avversaria, e ancora di più la pressione seguente a un pallone perso nella metà campo avversaria.

Nel corso dei mesi, attraverso qualche incertezza e vari errori, il Barça è riuscito a riprendere confidenza nell’esecuzione del pressing: come nella teoria di Ebbinghaus, maggiori le ripetizioni nella fase di apprendimento, minore è il tempo per ri-apprendere. E si sa che alla Masia, storica sede delle giovanili blaugrana, ci si allena molto su certi concetti tattici.

Il segreto di questo remake risiede proprio in un giocatore cresciuto nella cantera: Sergio Busquets, il centrocampista più sottovalutato nella nidiata di talenti dell’età dell’oro catalana. Quando il Barça perde il pallone e l’avversario prova a iniziare un contropiede, è lui, “Busi”, l’uomo-bascula del centrocampo catalano, a uscire in pressione: per chiudere una linea di passaggio, per anticipare una ricezione o per attaccare direttamente il portatore avversario.

Busquets elabora ogni situazione come se gli avessero caricato un software con tutti i segreti del gioco di posizione sviluppato nel corso dei decenni dal club catalano. Insieme a lui, fondamentale è il ruolo degli interni, che devono essere più stretti al centro; ma ancor di più il nuovo ruolo da falso terzino di Dani Alves, ormai dentro il campo e non sulla fascia, che impedisce agli avversari di bucare centralmente il Barça dopo una pressione offensiva errata.

La pressione altissima del Barcellona sul primo possesso impedisce al PSG di sviluppare qualunque tentativo di manovra: qui addirittura Busquets è il jolly che va a schermare qualunque tentativo di passaggio per vie centrali.

La pressione sul primo possesso avversario è invece uno strumento usato a intermittenza dal Barcellona: sia perché comporterebbe un dispendio energetico notevole per Messi-Suárez-Neymar, sia perché adesso i blaugrana sanno aspettare e invitare l'avversario a uscire, per poterlo colpire poi con ripartenze istantanee a campo aperto (chiedere a Benatia). In ogni caso, anche qui i concetti sono stati ri-assimilati velocemente: nella trasferta parigina contro il PSG, il piano gara prevedeva una squadra molto corta e alta sul campo, con Suárez a ringhiare sui difensori centrali, Busquets a schermare Cabaye e i due interni a coprire le linee di passaggio sugli interni avversari.

È possibile che Luis Enrique possa ripetere quella strategia, per ostacolare l’ottima circolazione difensiva della Juve (quindi Suárez potrebbe seguire Bonucci) e per impedire a Pirlo di dettare i tempi (Busquets alto sul campo, per impedire al regista bianconero la ricezione dai compagni).

Recuperato il pallone, ci sono poi varie opzioni di passaggio, riassumibili in due macrogruppi: verticalizzazione immediata per uno dei tre tenori, a puntare la porta; passaggio intermedio a Messi, che poi trova la soluzione per servire i suoi compagni di reparto.

Il miglior dispositivo di pressing nel calcio moderno riesce a mandare in tilt l’inizio azione dei blaugrana: notare che al centro, davanti l’area, c’è un vuoto che nessuno vuole occupare. Ma siccome la coperta è corta, si crea campo alle spalle della linea difensiva.

Cosa può fare la Juve per ostacolare l’impostazione del Barcellona? Anche in questo il Barça si distanzia dalla tradizione: se pressato altissimo, può andare in sofferenza. Eppure, può essere una trappola: nonostante l’inizio azione sia affidato molto più alle capacità individuali che a meccanismi di gioco (per la disperazione del patriarca Cruijff, che lo ritiene il momento fondamentale del gioco), provare il pressing sul Barça non sembra essere la migliore delle strategie, come dimostrato dal Bayern Monaco di Guardiola, che aveva puntato molto su questa opzione tattica.

I blaugrana avevano risposto aggredendo a loro volta il primo possesso bavarese, e la partita si era trasformata in uno strano ping pong che esaltava la voglia di ritmo del trio d’attacco MSN. Inoltre, e nonostante il miglior pressing organizzato del mondo (quello del Bayern), i blaugrana avevano dimostrato di saper ancora uscire in modo pulito dalla difesa, seppur con scarsa continuità.

Soprattutto, in casi di necessità, il Barça sa lanciare lungo, eccome, per trovare i tre cannibali pronti ad attaccare le difese avversarie. Capita spesso che il lancio profondo sia di Dani Alves ma è accaduto addirittura, contro il Bayern Monaco (per ben due volte tra andata e ritorno), che il Barcellona creasse un occasione da gol su lancio lungo del portiere.

Le difficoltà a superare il primo pressing e alcune (poche) incertezze di Busquets con il pallone possono ingolosire, ma se c’è un errore da evitare, contro questa squadra, è quello di andare all’assalto: con ritmi alti e frenetici capovolgimenti di fronte, insomma con un battere e levare continuo di azioni, i catalani non hanno rivali al mondo.

Meglio aspettare, perché la squadra di Luis Enrique un errore in transizione difensiva l’ha concesso a molti suoi avversari: come al Bernabéu contro il Real Madrid, servirà una Juve compatta, razionale e temporeggiatrice.

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