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Beast-mode
22 gen 2015
Storia del running back più feroce dalla National Football League: Marshawn Lynch.
(articolo)
14 min
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On the forty-five, forty.

On the thirty-five, thirty.

On the twenty-five, twenty.

And he’s gone. Touchdown Seahawks.

È il 21 dicembre 2014. Il jumbotron dice Seattle 28 – Arizona 6. Partita chiusa. Poi scorre il replay e ti accorgi di una cosa: Marshawn Lynch, che ha appena corso 79 incredibili yard per uno dei touchdown più brutali dell’anno, mentre si tuffa in endzone si mette la mano sul pacco. Gli arbitri sul momento non vedono, l’NFL a posteriori sì: diecimila dollari di multa. Tenete a mente sia il gesto che il rapporto tra Lynch e gli uffici della lega, perché ci torniamo più tardi.

Solo tre ore prima, coach Carroll sta parlando a Robert Turbin e Christine Michael, i running back di riserva dei Seattle Seahawks: “oggi Marshawn non ce la fa, you up”. Mentre tutti entrano sul terreno di gioco, Lynch rimane negli spogliatoi. Nessuno sa niente. Qualche addetto ai lavori azzarda addirittura che sia in rotta con lo staff tecnico.

A metà del primo quarto finalmente appare, viso sofferente e cappello di lana come nemmeno Reinhold Messner sull’Annapurna, cammina a stento. I Seahawks fanno uscire la diagnosi: upset stomach. Ha appena vomitato l’anima. Resta seduto per un’ora, e Carroll probabilmente non vorrebbe nemmeno farlo giocare, ma l’attacco di Seattle stenta a prendere campo.

Nel secondo quarto gli fanno correre una serie, poi un’altra, al quarto tocco è già in meta. Quando mancano dieci minuti alla fine e la partita è quasi chiusa, Wilson gli consegna il classico pallone che sa di no gain. Lynch rompe un placcaggio, supera la prima linea e s’invola verso la sideline alla sua destra, mentre i cornerback dei Cardinals lo stanno spingendo fuori dal campo. Per chiunque questa corsa sarebbe già finita, per Lynch no. Spazza via i due difensori con un solo braccio, davanti gli si spalancano 45 yards di prateria.

And he’s gone.

Boyhood

Grosso lo è sempre stato. Figlio di una signora che per mole avrebbe potuto giocare in linea offensiva a vari livelli, Marshawn Terrell Lynch nasce il 22 aprile 1986, insieme a due placente. Dovevano essere due gemelli, dicono i medici, e lui avrà la forza di entrambi. Cresce nei quartieri sporchi di Oakland insieme a tre fratelli, con un padre meno presente del postino. La storia della sua infanzia è quella che avete letto in mille altre storie: case popolari, stessi vestiti per una settimana, cibo a tavola una sera su due. Non è un ragazzo estroverso, ha pochi amici con cui passa le serate in giro per il quartiere, tra puttane e spacciatori. Ma è un freak atletico senza precedenti.

All'high school pratica basket - col futuro giocatore NBA Leon Powe - atletica, wrestling. E ovviamente football. Nel suo ultimo anno, il 2003, illumina Oakland Tech con 2100 yard corse e 33 touchdown in dieci partite. Rivals lo mette al secondo posto tra i running back della nazione, dietro solo ad Adrian Peterson, e le chiamate universitarie piovono come nemmeno le rane in Magnolia.

Sceglie la University of California, Berkeley, vicino casa. La prima volta che entra in sala pesi, Ryan Riddle, suo compagno a Cal e futuro giocatore NFL, lo scambia per un linebacker all'ultimo anno. Marshawn è compatto come un capitello dorico e tira su carichi impensabili per ragazzi della sua età, tanto che quando entra in sala pesi la gente si riunisce attorno al bilanciere per fare il tifo.

Al primo anno gioca con un quarterback di belle speranze di nome Aaron Rodgers. Lynch, che è convinto di poter lanciare anche meglio di come corre, lo sfida prima di ogni allenamento a chi lancia la palla più lontano e spesso vince. I due non sanno che dieci anni dopo si ritroveranno da avversari in un Championship.

Ovviamente, Lynch domina anche a livello collegiale, sebbene la cosa che stupisca maggiormente i compagni sia un'altra: il suo altruismo incondizionato. Non è un tipo ciarliero, anzi detesta parlare in pubblico, ma farebbe di tutto per le persone di cui si fida. Tutte le volte che un amico fa un apprezzamento su una sua maglietta, lui gliela regala, a costo di vagare a petto nudo per il campus. E sul terreno di gioco svariate volte finge di non averne più per lasciare qualche snap al suo backup Justin Forsett, circostanza che si ripeterà anche anni dopo, quando i due si ritroveranno a Seattle tra i professionisti.

È il 2007 quando, prima del suo anno da senior, decide di rendersi eleggibile per il draft. Il suo head coach Jeff Tedford dirà: “potrebbe essere l'atleta di maggior talento che abbia mai allenato”.

Sweet and Lowdown

Prima del draft quasi i tutti siti specializzati lo danno ai Green Bay Packers di Brett Favre. Pochissimi lo vedono scelto prima della 15 e comincia a uscire qualche rumor su una schiena non particolarmente in salute. Invece alla 12 assoluta lo prende Buffalo, nello stupore generale. I Bills, infatti, venivano dall’esperimento fallimentare di un running back scelto al primo giro nel 2003, Willis McGahee, che poche settimane prima aveva rifiutato l’estensione contrattuale.

Lynch praticamente non ha competizione ed è titolare dal giorno zero. Sembra tutto apparecchiato per una stagione di dominanza e invero i numeri non sono così male – 1100 yard corse, 8 touchdown – ma l’impressione è quella di una bestia in gabbia. L’anno successivo è praticamente una fotocopia del primo e cominciano a sentirsi i primi mugugni. Non scegli un running back al primo giro per avere cifre da onesto mestierante, specie se la sua riserva, un ventiseienne mai draftato di nome Fred Jackson, nel poco spazio concessogli sembra un giocatore più efficiente.

Poi arrivano i guai con le forze dell’ordine. Nel 2008 investe un pedone e non si ferma a prestare soccorso, nel 2009 viene arrestato per possesso non autorizzato di arma da fuoco. L’NFL lo sospende per le prime tre partite della stagione successiva, Jackson gioca alla grande e a fine anno si è preso di forza il posto da titolare. Lynch, da uomo solitario quale è sempre stato, si rinchiude in se stesso e comincia a non parlare con i media. Il problema è che quando parli poco, la gente comincia a pensare che hai qualcosa da nascondere. Lynch in un’intervista dichiara di non sentirsi più a suo agio a Buffalo e i Bills non fanno niente per tranquillizzarlo, scegliendo un altro running back al primo giro del draft 2010, C.J. Spiller.

C’è aria di trade. Di nuovo si parla di Green Bay, ma sono i Seattle Seahawks a mettere sul piatto la proposta più convincente, un quarto e un quinto giro. È il 6 ottobre del 2010, Marshawn fa le valigie e torna sulla costa ovest. Nell’ultima intervista rilasciata a Buffalo dice: “da me quest’anno dovete aspettarvi una sola cosa, beast mode”.

Beast Mode

Seattle sembra il posto ideale per lui. Hanno appena tagliato il running back titolare e sono alla disperata ricerca di qualcuno che si metta la squadra sulle spalle. Il coach poi è un tipo con un gran sorriso e due occhi che potresti scorgerci dentro il mare. Si chiama Pete Carroll e gli chiede di rispettare solo tre regole:

- Proteggi i tuoi compagni, in allenamento come quando siete fuori a bere. Se uno è troppo sbronzo per guidare è compito tuo riportarlo a casa

- Niente scuse, niente manfrine

- Arriva puntuale, è un segno di rispetto

Non gli impone di vestirsi in un certo modo, né di parlare con i giornalisti se non ne ha voglia. Tutto quello che l’NFL era stata per lui fino a quel momento, un insieme di regole senza un reale significato, passa d'improvviso in secondo piano. Deve solo occuparsi di fare quello che sa fare meglio: correre.

Eppure i primi tempi non vanno come è lecito attendersi. Lynch fatica tremendamente e alla fine della regular season ha una media di 3.5 yard a portata, un numero che significa mediocrità assoluta. In più di un’occasione viene panchinato per problemi di fumble. Seattle vince solo due delle ultime sette partite giocate e chiude con il record di 7-9, ma miracolosamente vince comunque la propria division e si qualifica ai playoff, prima squadra della storia ad accedere alla post-season con record perdente.

Alla Wild Card trovano una squadra forte, i New Orleans Saints. Forti del loro 11-5, i Saints hanno già battuto Seattle in stagione regolare, una partita che Lynch ha guardato a lungo dalla panchina dopo aver commesso due fumble. La buona notizia è che i Seahawks se la giocano in casa, perché le regole NFL impongono che tutte le vincitrici di division giochino il turno di Wild Card in casa, a prescindere dai record. La cattiva è che sono più scarsi, molto più scarsi.

Complici due difese accomodanti, la partita è strepitosa. Seattle è quasi sempre sopra nel punteggio, grazie a una prestazione esagerata del quarterback Matt Hasselbeck, ma per tre quarti Lynch è tutto fuorché decisivo: corre 57 sterili yard e non annusa nemmeno la meta. Con quattro minuti da giocare i Seahawks sono in vantaggio 34-30, ma non hanno prodotto nulla negli ultimi tre drive e New Orleans è in rimonta. C’è il disperato bisogno che qualcuno si carichi la squadra sulle spalle e chiuda la partita. Lynch guarda negli occhi Carroll e, oltre al mare, ci scorge dentro una grinta che quasi lo spaventa.

È il preludio al Beast Quake. Ovvero: la più grande corsa della storia del football.

Lynch sbatte contro la prima linea di difesa, sembra già per terra, ma ne esce misteriosamente illeso qualche metro più avanti. Rompe un placcaggio, poi un altro, poi un altro ancora. Sulla sua strada c’è un cornerback di nome Tracy Porter che lo spinge fuori dal campo, la corsa pare finita. Invece Lynch alza il braccio, glielo piazza in faccia e lo spazza letteralmente via. Get off me, he says to Tracy Porter. And he’s gone. Touchdown Seahawks.

Tuffo in endzone ed esattamente come farà 4 anni più tardi, mano sul pacco. Sugli spalti è il delirio. Il Qwest Field ridefinisce il concetto di dodicesimo uomo in campo, tanto che a chilometri di distanza i sismografi rilevano addirittura un terremoto.

Beast Mode è finalmente arrivato.

Home

È la svolta. Per la prima volta dopo tanto tempo, Marshawn si sente a casa. E i risultati si vedono sul campo. Malgrado la stagione 2011 non cominci nel migliore dei modi, il talento di Oakland alla lunga viene fuori. I Seahawks gli rinnovano il contratto e gli anni successivi vanno sempre meglio, tanto che si comincia a menzionarlo nelle discussioni sul miglior running back della lega.

Lynch non ha il talento quasi divino di Adrian Peterson. Non ha il passo regale di Arian Foster. Non ha l'elusività di Jamaal Charles.

Ma in una lega che vive di prepotenze fisiche, non esiste running back che punisca le difese avversarie con tale furore e tale violenza. Beninteso, la tecnica non gli manca: Lynch ha eccellente visione, pazienza, è un gran bloccatore e riceve efficacemente fuori dal backfield. Ma ciò che lo distingue è la sua potenza quasi ferina. Guardate gli occhi dei difensori avversari quando supera la prima linea e ci troverete una sola cosa: timore. Lynch è implacabile, insaziabile. Tratta ogni snap come il primo. E i compagni si nutrono della sua energia.

Più domina quando corre, meno gli piace parlarne coi media. Nemmeno in campo è un tipo garrulo: in una lega dove il taunting è la prassi, non sentirete mai una parola di più da Marshawn. Ma è soprattutto fuori dal campo che viene fuori il suo carattere schivo. Si fida di pochissime persone, prima fra tutte sua madre, e non si fida quasi mai dei giornalisti, forse per quello che dicevano di lui a Buffalo, o forse semplicemente perché non gli sono mai andati a genio.

Quando sei forte, però, l'attenzione si sposta necessariamente su di te. Le bizzarrie di Lynch vengono pian piano a galla, come ad esempio la sua mania per le Skittles che ha radici lontanissime, quando mamma Delisa gliene dava a manciate prima di ogni partita come carburante extra. I tifosi dei Seahawks si accorgono che anche adesso, a distanza di anni, Marshawn passa tutto il suo tempo in panchina a masticare Skittles. E impazziscono. Cominciano a lanciargliene a pioggia tutte le volte che segna un touchdown. La Mars si impegna a fargliene avere una fornitura gratis per due anni, lui per riconoscenza indossa delle scarpe con sopra le caramelline e l'NFL lo multa: diecimila dollari anche a sto giro.

Non i primi, né gli ultimi della sua carriera.

World Champion

Il 2013 sembra l'anno buono per Seattle. Non solo hanno la miglior difesa della lega, ma da un anno sono guidati da un giovane quarterback dal talento cristallino, Russell Wilson. I Seahawks partono fortissimo: vincono le prime quattro e undici delle prime dodici, stabilendo svariati primati di franchigia. Lynch gioca un football di rara bellezza, riceve come mai aveva fatto in carriera e guida l'NFL per touchdown segnati su corsa.

Ma l'elusività con cui rompe i placcaggi è nulla rispetto a quella che mette in mostra con i media. Per sedici lunghissime settimane Lynch non concede un'intervista ad alcun giornalista. Non oggi, glissa al termine di ogni partita. Non una parola di più, dice a chi gli sta vicino. Silenzio per una stagione intera, in barba a tutte le regole della lega. L'NFL, che già non lo considera tra i suoi figli prediletti, lo punisce in maniera esemplare: cinquantamila dollari di multa. Lynch fa due conti e chiede la grazia, rilasciando a gennaio una conferenza stampa in cui pronuncia cento parole in tutto e ottenendo di non pagare la sanzione se rispetterà gli obblighi con la stampa da qui a fine carriera.

È la viglia dei playoff. E siccome nella vita non succede quasi mai nulla per caso, Seattle trova di nuovo i New Orleans Saints, stavolta arrivandoci da favorita. Lynch è una furia per tutta la partita e chiude con 140 yard corse – record di franchigia nella post-season – e due touchdown. I Seahawks vincono 23-15 e volano al Championship. Battono i San Francisco 49ers con un'altra prestazione stordente di Marshawn e poi annientano i Denver Broncos al Super Bowl.

All'improvviso, l'uomo che solo quattro anni prima non valeva che due scelte a metà draft, è campione del mondo.

Outro

Il Super Bowl è la risposta sportiva a un pranzo di Natale, fai quasi sempre fatica a digerirlo. E i Seahawks del 2014 non fanno eccezione: partono appesantiti, perdono qualche partita di troppo e a un certo punto sembrano correre anche il rischio di non fare i playoff. Ma Lynch, che in estate aveva saltato degli allenamenti perché indispettito da un mancato rinnovo contrattuale, è la consueta belva.

Seattle perde solo una delle ultime dieci partite giocate, a Kansas City, il 16 novembre. A fine gara Marshawn è di pessimo umore e lascia lo stadio senza parlare con nessuno. L'NFL prende nota, e tre giorni dopo emette la sentenza: cinquantamila adesso più i cinquantamila dell'anno scorso. Fanno centomila dollari di multa, stavolta senza grazia. La settimana successiva, dopo una vittoria convincente sui Cardinals, Lynch riceve i giornalisti dal suo scranno in spogliatoio. Risponde a quasi tutte le domande dicendo solo Yeah e se ne va.

I Seahawks arrivano ai playoff come miglior squadra della NFC e liquidano con facilità Carolina. Al Championship trovano i Green Bay Packers di Aaron Rodgers, lo stesso ragazzo di belle speranze che Lynch dieci anni prima sfidava prima di ogni allenamento, sognando un giorno di poter fare il quarterback.

Piove a Seattle e c'è aria di partita epica. Nel primo tempo, però, va tutto storto e i Packers chiudono in vantaggio 16-0. Wilson gioca la peggior partita in carriera, lancia quattro intercetti e per tre quarti e mezzo l'attacco di Seattle non produce quasi niente. Con 3'52” sul cronometro il punteggio dice 19-7. Alcuni tifosi hanno già lasciato il Century Link quando i Seahawks partono dalle loro 31 per una rimonta che pare impossibile. Quel che succede nei quattro minuti successivi ha in effetti del miracoloso.

In sella a Marshawn, Seattle mette insieme un drive disperato che si conclude con un touchdown a due minuti e spicci dalla fine. Poi arriva l'onside kick e incredibilmente Brandon Bostick, nomen omen, si lascia scivolare la palla tra le mani, permettendo il recupero dei Seahawks. C'è ancora vita. Siamo a 24 yard dalla endzone, Lynch prende palla, supera la prima linea e va dritto per dritto in meta. 20-19, che diventa 22-19 con una palla lanciata quasi a occhi chiusi per la conversione da due punti.

Mancano 79 secondi. Rodgers, che tra dieci anni sarà ricordato come il più grande quarterback della storia del gioco, guida un drive strepitoso e porta i Packers in raggio da field goal. Crosby pareggia e si va all'overtime, ma è come se tutti sapessero già come andrà a finire. Wilson gioca un supplementare leggendario e lancia il TD della vittoria pochi minuti dopo.

È finita. Seattle wins.

Lynch chiude con 183 yard totali da scrimmage, un touchdown e la sensazione, nitidissima, di aver scritto l'ennesima pagina di un libro che un giorno troveremo nella biblioteca della Hall of Fame. Come l'anno scorso, forse più dell'anno scorso, l'anima travagliata di una squadra, anzi di una città che vive per vederlo restare in piedi, a prescindere da quanta gente cerca di buttarlo per terra.

È di nuovo tempo di Super Bowl, stavolta contro i New England Patriots. È di nuovo tempo di prendersi la squadra sulle spalle. E quando hai finito di correre, mai una parola di più.

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