L’ultima volta che una squadra era riuscita a ribaltare uno svantaggio di due gol in una gara ad eliminazione diretta del Mondiale era il 1970. La Germania Ovest riagguantò il pareggio contro l’Inghilterra in soli sei minuti, grazie ai gol di Beckenbauer e Seeler. Fu poi Gerd Müller a giustiziare gli inglesi ai supplementari e a regalare alla sua Nazionale l’opportunità di giocare all’Atzeca “la partita del secolo”, Italia 4-3 Germania.
Ieri il Belgio ha ripetuto la stessa impresa di 48 anni fa contro il Giappone e se è vero che tra la Nazionale guidata da Martinez e quella asiatica di certo non esiste la stessa rivalità che c’è tra inglesi e tedeschi, questa volta non c’è nemmeno stato bisogno di ricorrere ai tempi supplementari: nello spazio di 25 minuti, le reti dei subentrati Fellaini e Chadli hanno completato la rimonta cominciata con il gol di Vertonghen e il Belgio si è qualificato ai quarti beffando i “Blue Samurai” di Nishino, capaci però di ribaltare la narrazione negativa che avevano costruito con la loro qualificazione al girone.
L’atteggiamento del Giappone contro la Polonia è stato oggetto di dibattito su tutti i media internazionali. Il Giappone è riuscito a superare il proprio girone per la classifica fair-play, grazie al minor numero di cartellini gialli ricevuto rispetto al Senegal. Paradossalmente però, per riuscire nel proprio intento, aveva attuato una strategia che non era stata considerata davvero sportiva. Pur essendo in svantaggio 1-0, durante l’ultimo quarto d’ora della gara con i polacchi era stata attuata una vera e propria melina, nella speranza che anche alla Samara Arena non cambiasse il risultato tra la squadra di Cissé e la Colombia. È stato quindi un brutale contrappasso, per certi versi, che il Giappone sia stato eliminato all'ultimo pallone disponibile, dopo aver deciso di tirare il calcio d'angolo in area e di non perdere tempo per arrivare ai supplementari.
Lo scrupolo difensivo del Giappone, la pigrizia del Belgio
Nishino ha cambiato diversi elementi rispetto alla sconfitta nell’ultima gara del girone, reintegrando Shoji al posto di Makino al centro della difesa e Hasebe accanto a Shibasaki a centrocampo. Anche il 4-4-1-1 è stato abbandonato per un 4-2-3-1, con Kagawa tornato titolare sulla trequarti, Inui ed Haraguchi larghi e Osako punta centrale.
Stesso discorso per Martinez, che dopo il turnover con l’Inghilterra ha riproposto quello che possiamo considerare l’undici titolare, schierando nuovamente il 3-4-2-1, ma cambiando addirittura dieci giocatori.
Dopo essersi qualificato in maniera tutt’altro che convenzionale, in pochi consideravano il Giappone in grado di creare particolari problemi al Belgio, uscito dalla fase a gironi a punteggio pieno. Eppure, i “Blue Samurai” sono parsi da subito ben messi in campo e con in testa una strategia coerente ed organizzata.
In fase difensiva Kagawa si allineava con Osako e la squadra si sistemava con un 4-2-2-2, con Inui e Haraguchi più dentro al campo e posizionati verticalmente tra la prima linea di pressione e i centrocampisti Shibasaki e Hasebe. Come contro la Polonia, il Giappone favoriva il mantenimento della formazione rispetto ad uscite aggressive sul portatore di palla, che venivano innescate solo in caso di passaggio all’indietro, oppure se il giro-palla tra i tre centrali del Belgio erano troppo lenti. Due “pressing-trigger” tipici per il Giappone ma particolarmente efficaci contro il Belgio poiché sui retropassaggi, soprattutto verso Courtois, i due centrali di fascia si mantengono troppo larghi e diventa quindi complesso per l’estremo difensore provare a raggiungerli.
La disposizione su quattro linee orizzontali rendeva più semplice pressare i centrocampisti del Belgio in superiorità numerica. Anche se uno dei difensori riusciva a trasmettere palla al centrocampo, la posizione intermedia dei due esterni permetteva di pressarli subito in orizzontale, mentre contemporaneamente uno dei due centrocampisti si alzava in pressione e l’attaccante sul lato forte pressava all’indietro.
Ciò ha creato non pochi problemi alla squadra di Martinez, che alzava fin da subito i due laterali Meunier e Carrasco in linea con i trequartisti e dunque costruiva con un sistema 3-2. Witsel in particolare faticava a smarcarsi per ricevere palla fronte alla porta, anche perché rispetto a De Bruyne ha una diversa resistenza al pressing e ben presto ha cominciato ad allargarsi, andando a ricevere quasi sulla fascia destra.
Se in quella zona era relativamente più libero, si trattava però di un settore di campo dal minor valore strategico, ristretto dalla linea laterale. Il suo movimento, poi, lo allontanava da De Bruyne (o da Hazard, che si muoveva in maniera complementare al centrocampista del City), scollegando i due lati dell’attacco del Belgio. Per attaccare una difesa schierata è sempre consigliabile far circolare il pallone da un fianco all’altro per muovere e destabilizzare le linee avversarie. A quel punto, la soluzione più logica era quella di risalire il campo passando dagli esterni, ma era quella la zona dove il Giappone era più aggressivo e in cui i laterali difensivi cercavano sempre l’anticipo.
Sakai ha chiuso con 3 intercetti, mentre Nagatomo ha avuto più difficoltà: le azioni sulla destra erano più pericolose visto che anche Hazard si muoveva nella sua zona per aumentare la presenza vicino al pallone. A quel punto il Belgio aveva più probabilità di giocare all’interno del blocco avversario.
I “Diavoli Rossi” avrebbero potuto manipolare meglio il pressing giapponese, prendendosi magari qualche rischio in più, sia nei passaggi che in conduzione. Non sempre, quando scattavano i pressing-trigger nipponici, i centrocampisti accompagnavano la pressione in maniera coordinata. Utilizzando i passaggi all’indietro in maniera più intelligente e avvicinando i tre centrali, ci sarebbero state più opportunità di giocare tra le linee del Giappone.
Witsel e De Bruyne avevano anche qualche problema a coprire lo spazio alle loro spalle dove agiva Kagawa e spesso anche Osako, che non essendo un attaccante particolarmente forte e strutturato, preferiva abbassarsi piuttosto che sfidare Kompany e compagni sul piano del fisico, stando sempre attento a distribuire i suoi posizionamenti in modo da poter immediatamente associarsi con Kagawa o con uno degli esterni. Quando possibile, il possesso della squadra di Nishino era orientato ad attivare proprio i due giocatori più avanzati e il portatore di palla cercava sempre di limitare i tocchi prediligendo la verticalizzazione ogniqualvolta vi erano i presupposti, anche per approfittare di qualche disfunzione nei riferimenti del pressing avversario.
Per di più, se i belgi avevano qualche difficoltà a muovere il pallone da un lato all’altro, il posizionamento sempre largo dei due esterni giapponesi facilitava i cambi di gioco, anche perché in fase di difesa posizionale, Meunier e Carrasco si mantenevano allineati ai tre centrali, ma probabilmente troppo schiacciati per poter portare immediatamente pressione su Inui e Haraguchi o comunque per poter anticiparli con i tempi giusti. Di sicuro, il Belgio beneficerebbe di meccanismi più codificati: l’atteggiamento in fase difensiva dei due fluidificanti è poco coerente, sia all’interno della stessa partita che contro strutture offensive più o meno simili.
È stato però Kagawa a rubare la scena, galleggiando in mezzo alle linee per sfruttare l’indecisione nelle uscite del Belgio. Il trequartista del Borussia Dortmund ha controllato il ritmo a piacimento, sfruttando in maniera magistrale la "pausa” e il suo superbo tocco di palla per far salire la squadra. Kagawa ha creato 3 delle 7 occasioni complessive della sua squadra e ha completato 4 dribbling, più di qualunque altro compagno. Ma il suo apporto è stato fondamentale anche nella gestione delle seconde palle. Grazie alla sua tecnica è riuscito a controllare molti di quei palloni finiti nella terra di nessuno tra la linea difensiva e il centrocampo belga. Le sue letture e i suoi posizionamenti sempre ottimali incoraggiavano i compagni più arretrati a prendersi dei rischi, consapevoli che c’era sempre la possibilità di conquistare una seconda palla e creare un pericolo anche in maniera non propriamente ortodossa.
Un secondo tempo spettacolare
Dopo un primo tempo equilibrato, la gara si è accesa ad inizio ripresa quando il Giappone è riuscito a sfruttare a proprio favore un altro dei difetti strutturali del 3-4-2-1 belga. Se a difesa avversaria schierata c’era l’opportunità per gli esterni di giocare nello spazio di fronte ai fluidifcanti avversari, in transizione c’era la possibilità di aggredire lo spazio alle loro spalle, come ha fatto magistralmente Haraguchi nell’azione del primo gol, approfittando anche dell’indecisione di Vertonghen sulla verticalizzazione di Shibasaki, una delle rivelazioni del Mondiale.
Se nell’azione dell’1-0 stupisce anche la mancata riaggressione del Belgio, anche solo per tamponare la transizione dei nipponici, in quella del raddoppio firmato da Inui, sorprende la facilità con cui Kagawa conquista l’ennesima seconda palla della sua partita e la libertà concessa sia a lui che al neo-acquisto del Betis Siviglia.
Con il doppio vantaggio, il Giappone sembrava aver la partita in mano, ma si è invece dimostrato incapace di amministrare il risultato. In questo senso, difficile non riflettere sul bluff di Nishino, che prima della partita con la Polonia aveva sottolineato come i suoi non potessero fare calcoli in quanto non abituati a giocare con il cronometro.
Sulla rimonta dei belgi hanno inciso anche i cambi di Martinez, che ha deciso di spostare la gara sul piano fisico, inserendo Fellaini e Chadli (alti 1,94 m e 1,87 m), che oltre a rappresentare un mismatch rispetto a qualsiasi avversario che non si chiamasse Yoshida è stato in grado di sfruttare la sua combo di rapidità e muscoli anche nell’uno contro-uno, completando 5 dribbling in appena 25 minuti di gioco.
Di sicuro, il Giappone avrebbe potuto gestire meglio la situazione, soprattutto dopo il gol di Vertonghen: se è vero che l’azione è stato piuttosto rocambolesca ed una conferma di quanto il dominio del Belgio sul piano fisico fosse netto, nei minuti successivi la squadra nipponica si è fatta trovare colpevolmente sbilanciata, tanto che il corner del 2-2 di Fellaini è nato da una transizione belga in cui i giapponesi si sono ritrovati sbilanciati. Una situazione strana per il momento della partita e per il risultato favorevole.
All’86' il Giappone ha rischiato il 3-2, ma un doppio salvataggio di Kawashima, che si è confermato portiere non particolarmente tecnico o abile nei posizionamenti, ma eccezionale per spinta di gambe e reattività, ha evitato il gol di Lukaku.
Non c’è stato però nulla da fare, quando da un calcio d’angolo a favore, la squadra di Nishino ha concesso un contropiede impensabile all’ultimo minuto di recupero, concretizzatosi grazie al fondamentale apporto di Lukaku che, prima ha portato via Nagatomo con un movimento diagonale, consentendo a De Bruyne di trovare Meunier con l’esterno e, poi ha fatto velo sull’assist per Chadli dell’esterno del PSG. Un esempio da manuale di quanto possa essere determinante un calciatore anche senza mai toccare il pallone.
Il Giappone ci ha fatto dimenticare il brutto spettacolo offerto contro la Polonia (per cui Nishino si era addirittura scusato con i suoi giocatori), ma non è riuscito nell’impresa di conquistare i quarti che probabilmente meritava. CT e squadra escono a testa alta dal Mondiale, soprattutto per come si erano messe le cose a poche settimane dalla partenza per la Russia, ma possono prendersela solo con sé stessi per non aver preso quegli accorgimenti necessari a portare a casa il risultato.
Il Belgio ha finora dimostrato di non essere più la squadra improvvisata che era quando in panchina sedeva Wilmots ma ha ancora qualche difetto strutturale che la rende imprevedibile. Il talento a disposizione è però tanto e Martinez può giocarsi diverse carte anche dalla panchina, fattore determinante in gare ad eliminazione diretta.