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Il bello del giovedì sera 2025 vol. 14
11 apr 2025
Tutto il meglio da due competizioni coi dazi al 150%.
(articolo)
34 min
(copertina)
IMAGO / Every Second Media
(copertina) IMAGO / Every Second Media
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LA LUCE DI BODO
C’è una frase che mi è sempre rimbalzata in testa. La canta Miro Sassolini, ma anche Piero Pelù, e poi Federico Fiumani, in questa canzone che si chiama Amsterdam, è dei Diaframma, ma anche no, perché è anche un po’ dei Litfiba (è una storia lunga). Comunque la frase, o il verso, vedete voi, fa Dove il giorno ferito impazziva di luce. Dovreste ascoltarla per capire: siamo nel genere new wave, c’è questa batteria secca e ripetitiva, un bel giro di basso, la voce è pulita ma cupa: Dove il giorno ferito impazziva di luce canta, quasi strilla. Dove il giorno ferito impazziva di luce ripete. Comunque l’idea che mi sono sempre fatto io di questo giorno ferito che impazziva di luce è esattamente questa.

Ieri a un certo punto sembrava che Bodo-Lazio non dovesse giocarsi. Erano previste forti nevicate. Su internet avevano girato i video del giorno prima, lo stadio coperto da un tappeto di neve, un'immagine difficile da digerire dai nostri 20 gradi al sole. Questo è giocare a Bodo, si leggeva qui e lì. E invece poi il cielo di Bodo ci ha regalato questo giorno ferito, impazzito di luce.

LE MIGLIORI RECENSIONI GOOGLE DI STADI DEL GIOVEDÌ SERA
Lo stadio Z'dežele all’inizio aveva solo una tribuna. Era il 2003 e 3600 posti bastavano per contenere la passione di Celje per il calcio. Poi è successo qualcosa in Slovenia: lo sport è diventato il mezzo per farsi conoscere dal mondo. Un paese piccolissimo pieno di campioni. Anche Celje, nel suo piccolo, ha fatto qualcosa: il suo stadio è diventato uno stadio da 13400 posti a sedere (Celje ha circa 38 mila abitanti, quindi più di un terzo entrerebbe allo stadio), il migliore del Paese secondo alcuni, quello dove giocava la Nazionale (che poi è tornata a Ljubiana) e dove l’NK Celje ha tirato fuori questa splendida Conference League.

Lo stadio Z'dežele ha però una particolarità, l’avrete notata anche voi se vi è capitato di vedere giocare l’NK Celje: dietro una delle due porte, prima della curva, c’è una collina. Anzi, non la definirei proprio una collina, è più un declivio erboso, una di quelle cose che ti fa pensare alla geografia scolastica. Ve le ricordate le colline terrazzate? Beh, se come me non ne avete mai vista una per davvero, ve la immaginereste così, almeno io me la immagino così: come questa curva dello stadio Z'dežele. In ogni caso, queste sono le migliori recensioni su Google (in totale sono 492, voto medio 4.4 su 5).

La colpa è di Harambe (1 stella)
Non lo so, non sono ancora entrato (3 stelle)
Buon cibo vino rosso servito troppo freddo (4 stelle)
Un'ulcera (4 stelle)
Non abbastanza gente alla partita (4 stelle)
Stadio dello stadio dei gatti. (4 stelle)
Un ottimo posto per rilassarsi (5 stelle)
Redentivo (traduzione dell’originale slovacco Odrešujoče, non so bene se la traduzione è giusta ma mi piaceva la parola abbinata a uno stadio) (5 stelle)

IL GOL PIÙ GIOVEDÌ SERA
Virilità: 100
Assurdità: 80
Anti-epicità: 33
Paura della morte: 78

ranieri

Prima di tutto devo cominciare con delle scuse a Luca Ranieri. Fino a qualche mese fa pensavo fosse un difensore miracolato, uno non abbastanza forte per stare dove sta, e cioè al centro della difesa della Fiorentina. Nel calcio la meritocrazia è un concetto molto sfumato, ma - pensavo - lui fosse stato messo lì da qualcuno: il sindaco, il prete, il papà. E invece mi sbagliavo. Capita, è anche il problema di un calcio pieno di partite, dove si guarda tutto meno e si danno giudizi sempre più immediati. Ma, l’avete capito, non siamo qui per parlare di Ranieri difensore. Ranieri, e questa è una cosa che mi piace molto quando si parla di centrali, è uno di quei difensori centrali che hanno una certa attrazione per l’attacco, per la porta. Guardate il gol che segna all’Inter, o quello incredibile che gli hanno annullato contro il Milan. I difensori centrali dovrebbero essere legnosi, avere i piedi buoni al massimo per impostare dal basso. E Ranieri è in parte così, non ha la grazia di un Calafiori, la visione di un Bastoni. Non è neanche possente come un van Dijk. È un po’ dinoccolato, sincopato, tarantolato. Tutto sommato potremmo dire che è molto giovedì sera: Ranieri che da braccetto scarica sull’esterno e si butta nello spazio come se fosse un’ala velocissima. Il pallone poi gli torna, lì in alto a sinistra dove di solito ci stanno i Vinicius Jr, i Raphinha, ma bastano anche i Sottil per capire. Ieri invece ci stava Ranieri, e la prima sterzata è lenta, un po’ telefonata, ma è anche efficace, Zabukovnik ci casca con tutte le scarpe. Poi arriva il secondo dribbling, dentro l’area a questo punto, e insomma più che un dribbling è un rimpallo, ma in questo sport maledetto bisogna anche avere fortuna, chiamarsi la fortuna, e vincere un rimpallo è comunque un merito, anche perché a questo punto è una cosa tra difensori e, se al centro della difesa del Celje ci fosse stato Ranieri, questo contrasto l’avrebbe vinto.

Ora arriviamo al punto in cui arrivano spesso questi gol. Perché sì, Ranieri ha fatto due dribbling da ala dribblomane che ha preso troppa melatonina, ma ora è finito in un angolo con un terzo difensore in arrivo e quanto la vuoi sfidare la sorte? Ranieri però forse legge questa rubrica e lo sa che il giovedì sera: se puoi tirare, tira. È il principio del tennis: intanto tu rimandala di là, poi magari quello sbaglia. E Ricardo Silva sbaglia. Non mi va di tirare la croce su un povero cristo che solo due settimane fa era l’eroe da queste parti, per aver parato i rigori del Lugano. Pure Buffon forse ha fatto un errore simile, e la palla sotto le gambe è l’errore che un portiere deve fare almeno una volta nella vita, un rito di passaggio, un momento di transizione. I portieri identificano bene il concetto di paura della morte, perché alle loro spalle - in maniera metaforica, ma anche un po’ letterale - c’è davvero la morte. Ricardo Silva sbaglia e Luca Ranieri può andare sotto la curva dei suoi tifosi, che stanno sopra una collina, in un piccolo paese della Slovenia. È giovedì sera, e tutto va bene.

ORGANIZZA LA TUA TRASFERTA: FRANCOFORTE SUL MENO
Abbiamo quasi finito questo giro virtuale del mondo del giovedì sera, ma non potevamo non parlare di Francoforte, la perla sul Meno, un posto da rispettare quanto meno per l’Eintracht Francoforte, una squadra che non solo questa coppa l’ha vinta, ma è anche una di quelle squadre che vorreste tifare perché oggettivamente i loro tifosi sono dei grandi (tifosi più generico, non quelli che hanno avuto qualche problema con le forze dell’ordine nel nostro paese).

Insomma, non è che ci siano tante altre ragioni per visitare il centro economico e finanziario della Germania, almeno fino a che non collasserà il sistema. Francoforte è lì ad aspettarvi, a un volo low-cost di schiocco dalle vostre vite.

- UN MONUMENTO: IL MONUMENTO ALLA SALSA VERDE

Il monumento alla salsa verde (Grüne Soße-Denkmal in tedesco) è stato inaugurato il 21 maggio 2007 nel quartiere Oberrad. Si dice che questo monumento unico sia il primo e finora unico monumento tedesco dedicato a un piatto regionale, e c’è da crederci. L’idea nella sua surrealtà è geniale: sono 7 piccole serre in vetro verde, ognuna delle quali serve per la coltivazione di una delle 7 erbe presenti in questa salsa, che deve occupare un posto importante nelle tradizioni di questa terra. Il posto di per sé è un prato in una zona periferica della città. Un posto dove cantano gli uccelli e la natura è viva e presente. Sembra uno strano cimitero, una cosa paradossalmente sacra, dove raccogliersi in sé stessi e pensare alla salsa verde.

- UN MUSEO: MUSEUM FÜR KOMMUNIKATION
La comunicazione è l’aspetto più sfuggente tra quelli umani. Troppo grande, troppo complesso. In questo museo, una spirale che parte dall’alto fino a scendere nei meandri del nostro cervello provano a capirci qualcosa. La parte più interessante è, ovviamente, quella dedicata ai messaggi cifrati: al lavoro delle spie, dei paesi in guerra. Qui la storia del ‘900 è passata forte e dura: le guerre mondiali, la guerra fredda, chissà che altro.

Nel museo allora trovate una collezione di lettere mai consegnate, telegrammi cifrati, messaggi in codice usati nella Guerra Fredda o nei conflitti mondiali. Alcuni sono messaggi ancora oggi misteriosi, magari potete scoprire voi il significato. È comunque un museo educativo, quindi valutate voi.

- UN TESCHIO: IL TESCHIO DI GOETHE
A Francoforte è nato Johann Wolfgang von Goethe e tendono a ricordartelo qui e lì. Tra le attrazioni a tema Goethe presenti, la casa di Goethe è forse il posto più Goethe di tutti. Ma non sono qui a consigliarvi questo museo, per quanto se la vostra idea è che un artista possa essere raccontato dai soprammobili che aveva in casa: fate voi. Sono qui per dirvi che esiste un mistero del teschio di Goethe, così come esiste un mistero del teschio di Schiller.

Dovete immaginare la Germania degli anni ‘30, tutto nazismo ed esoterismo. Qualcuno, qualcuno di potente pare, pensava di fare cose col teschio di Goethe. O forse voleva solo tenerselo in casa: che poi se ci pensate è un ottimo argomento di conversazione. Cos’è quel teschio che hai lì? È il teschio del maestro Wolfgang Goethe. Sicuramente meglio della mia bacchetta del batterista dei Gogol Bordello. Insomma, questo teschio oggi non è certo dove si trovi. Per qualcuno è nascosto proprio nella casa di Goethe. Loro dicono di no, ma non tutti gli credono. Deve stare lì, ci sono delle prove, dei documenti, cose così. Se lo trovate, immagino, potete tenervelo.

- UN GRUPPO MUSICALE: I TANKARD

La Germania ha tutta una sottocultura musicale caratteristica di cui i Tankard rappresentano la versione più trash. Fanno metal, ma cazzone. Le loro canzoni inneggiano all’alcool, spesso alla birra, e dopotutto Tankard in tedesco significa "boccale da birra". C’è Die with a Beer in Your Hand, A Girl Called Cerveza, R.I.B. (Rest In Beer), The Morning After e così via. Sono uno di quei gruppi che danno il meglio di sé dal vivo, che magari vale la pena andare a vedere suonare a Francoforte anche se, come me, non avete una particolare predilezione per il metal. Ovviamente dovete accettare tutti quei piccoli compromessi che comporta andare a vedere un concerto metal, molti dei quali riguardano la vostra incolumità.

CALCIATORI DEL CHELSEA CHE SOMIGLIANO A MERENDINE
-COLE PALMER - TRONKY
Lungo e praticamente privo di muscoli, eppure con una scorza croccante e un ripieno pieno di emozioni di cioccolata alla nocciola.

-MALO GUSTO - YO YO
Cioccolata striata e decorativa per una merendina molto divisiva.

-KIENAN DEWNSBURY-HALL - PLUM CAKE
Magari una merendina un po’ retrò, che ti sembra anacronistica e incapace di stare al passo coi tempi. Mangiandola, però, ti accorgi che certi classici non passeranno mai di moda.

- BENOIT BADIASHILE - UOVO GIGANTE DEL CAFFÈ MOZART DI BORMIO
Le uova di pasqua grandi piacciono a tutti, ma a un certo punto qui è scappata la mano.

IL GIALLO DEL RIGORE ALL’ATHLETIC CLUB
In Un affare di famiglia, capolavoro del regista giapponese Hirokazu Kore’eda, un bambino ruba innocentemente da un banco di frutta e verdura. Solo che poi fugge, si butta da un ponte, si rompe una gamba, finisce in ospedale. La polizia si insospettisce e comincia a indagare, e indagando su un semplice furto di frutta e verdura scopre una rete di crimini, omicidi occultati, rapimento di minori.

È un topos piuttosto celebre: un investigatore viene assegnato a un caso. Magari un caso semplice - un po’ di spaccio, una rapina da niente - e dietro questa superficie scopre un sistema criminale. E non stiamo parlando del film di Kore’eda che nasconde una realtà ben più complessa, e che rimarrà sostanzialmente nascosta alla coscienza della polizia. Comunque, anche il VAR ci sta abituando a situazioni simili: quando l’occhio giudiziario si posa sulla realtà, quella può rivelare dei particolari invisibili fino a poco prima.

Prima un po’ di contesto. L’Athletic ha giocato una partita amorfa, come le capita spesso in trasferta. I Rangers sono rimasti in dieci dopo 13’ che sono stati i migliori della partita dei baschi. L’inferiorità numerica ha come caricato gli scozzesi, che si sono messi nella condizione di provare a fare una partita epica. L'Athletic si è scontrato con i propri limiti qualitativi, i fratelli Williams hanno giocato piuttosto male, così si è arrivati a dover chiedere aiuto ad Alex Berenguer.

Avete presente Berenguer: ex Torino, definito “sottovalutato” in un’antichissima puntata di Pendolino con ospite Flavio Fusi.

E insomma Berenguer entra in campo e comincia a combinare cose. A dieci minuti dalla fine c’è un lancio lungo che trova Berenguer in area, l’azione è confusa, ci sono dei rimpalli, poi l’Athletic segna. L’arbitro convalida il gol ma il problema è che Berenguer è oltre il portiere, e quindi l’arbitro viene richiamato al VAR. In quel momento siamo quasi sicuri che l’arbitro annullerà il gol. Il controllo però diventa lungo, estenuante, incomprensibile. Cosa stanno cercando? Le telecamere, girando e rigirando, posando sulla realtà uno sguardo sempre diverso, trovano un tocco di mano di un difensore dei Rangers. Dunque il controllo VAR muta di natura: non si cerca più il fuorigioco ma un calcio di rigore. E questo calcio di rigore ci sarebbe. Dunque: il gol è annullato, ma è calcio di rigore. Siccome la realtà a quel punto sta già rotolando e facendo svariate giravolte, è chiaro che Berenguer sbaglierà il rigore, tirandolo sui piedi del portiere Kelly.

Cosa abbiamo imparato da questa storia? Che spesso molte cose devono succedere, fenomeni verificarsi, per far sì che lo stato della realtà resti perfettamente identico.

NIENTE, SOLO UN VIDEO DEI TIFOSI DEI RANGERS CHE FANNO CASINO FUORI DA IBROX PRIMA DELLA PARTITA

CHE GIOCATORE DEL DJURGARDEN SEI
-TOBIAS GULLIKSEN
Quella mattina ti sei svegliato provando a fare le cose normali. Mentre ti preparavi il pudding di uovo, riso e banana. In fondo però sapevi che non era una giornata come le altre, e tutti i tuoi gesti finivano per caricarsi di una gravità particolare. Tutto ti sembrava avere un significato in qualche modo simbolico. Era l’ultima volta che pestavi la banana, l’ultima volta che ascoltavi il podcast di Montemagno, l’ultima volta che ti pulivi i peli dal naso. L’ultima volta prima che tutto cambi. Quel giorno sei stato convocato dal tuo capo per un colloquio. Non ti ha anticipato di cosa si tratta e parlandone con i colleghi non siete riusciti a prevedere i contenuti di quel colloquio. Ti senti a rischio e non sai perché. Sai solo che c’è qualcosa fuori posto e provi a farti tornare in mente le tue azioni delle ultime settimane: quale di queste può rappresentare un motivo buono per metterti nei guai? E fino a che punto puoi essere finito nei guai? Da quando il tuo capo te lo ha detto vivi in una stato di agitazione difficile da spiegare. Ti senti sospeso, e cerchi di ricostruire la tua vita. Qualcuno può averti visto mentre guardavi i porno al lavoro? È un’aggravante il fatto che stavi guardando dei porno transessuali? No, la tua è una di quelle aziende progressiste che non si fanno questo tipo di problemi. Altrimenti avrebbero messo il blocco su certi siti. È per quella micro-cazzata che hai fatto nel caso dell’azienda dei condizionatori? O forse è qualcosa di più generico, tipo una roba di scarso rendimento? Poi all’improvviso ti sembra di aver capito. In pausa pranzo avevi offerto una banana a una collega, e ti è scappato di porgergliene due e di pronunciare la proverbiale battuta “Almeno così una te la mangi”. L’hai detto come obbedendo a un riflesso involontario. Fai quella battuta immancabilmente da quando hai 15 anni e a forza di pronunciarla ha smarrito completamente il suo senso, che è un senso molto volgare e inopportuno, ti rendi conto. A quel punto nel tuo cervello c’è solo quella battuta, non ci può essere nient’altro per cui sei stato convocato. Cosa rischi, qual è il Worst Case Scenario?

-SANTERI HAARALA
Nella vita non ti sei dato molte regole ma una provi a rispettarla: non si fuma prima delle undici della mattina. Ami le sigarette, ne sei dipendente, ma chi si fa i suoi primi tiri appena sveglio, come attaccandosi a un respiratore artificiale ricco di sostanze cancerogene, ti sembra troppo auto-lesionista pure per te, che già qualche volta nella vita hai pensato che sarebbe preferibile morire. L’autobus quella mattina non passava, eri in ritardo per la lezione all’università. Quel giorno avresti provato a spiegare il Da-Sein heideggeriano. Già immaginavi le reazioni degli studenti, perché sono anni che ormai hai a che fare con quei coglioni. Quelli che si consideravano di sinistra avrebbero ascoltato un po’ sulle spine, pieni di livore critico; quelli che si consideravano non dico di destra, ma diciamo edgy, sarebbero stati pieni di attenzione, pronti a racimolare argomenti e concetti per il proprio capitale personale. L’autobus non passava e tu hai ceduto a quella stupida scaramanzia secondo cui fumando una sigaretta l’autobus sarebbe passato. Sai bene di cosa si tratta. I tossici sono alla continua ricerca di pretesti, anche i più sciocchi, per cedere alla dipendenza. Cercano sempre delle eccezioni per contravvenire alla fragile regola che si sono dati. Così non si deve fumare prima delle 11 del mattino, ma se è necessario per far passare l’autobus e arrivare al lavoro in tempo, allora puoi concederti una Winston blu. Sull’autobus però cominci a percepire dei movimenti imprevisti. Dei movimenti interni. Quella strada è piena di curve e buche che rendono le tue viscere instabili; lo sbalzo termico da fuori a dentro ti ha fatto male, ha sciolto qualcosa. Devi per forza lasciar andare un peto, non hai scelta. È silenzioso, esce dal tuo corpo come un guanto invisibile. Ci sono una decina di secondi di buffer in cui ti ritrovi a pregare intensamente, con gli occhi socchiusi, che quella nuvoletta che in quel momento sta galleggiando nell’atmosfera rimanga non rilevata. Hai commesso un reato sociale, lo sai, ma fintanto che nessuno se accorge è come se non lo avessi fatto. L’autobus è pieno di gente e l’ossigeno rarefatto, così quella nuvoletta si spande in modo insidioso: l’odore è acre e intenso ed è impossibile non diventarne consapevoli. A quel punto tieni lo sguardo basso per non incrociare quello dei presenti. Se nessuno te lo farà notare, potrai tenerti quella vergogna come un fatto privato. Sai che il pericolo può durare almeno 30 secondi, anche un minuto nei casi più estremi. Tieni duro. Però a un certo punto senti qualcosa di diverso, lì in basso. Non sai dire con certezza di cosa si tratti, ma hai l’impressione che ci sia qualcosa, una presenza, tra il suo corpo e le tue mutande; qualcosa che forse è appartenuto al tuo corpo e che ora appartiene già al mondo. Non riesci a dirlo con certezza, siamo in quel punto dello spettro in cui questa esistenza è indecidibile. È già nel Welt, oppure è ancora al di qua? Cominci a sudare, decidi di scendere alla prossima fermata. Devi elaborare un piano: semplice, pulito, pratico. A quel punto sai già che le conseguenze di quel momento non riguardano più di tanto gli altri, la vergogna sociale è cessata, perché c’è qualcosa di più grave, e cioè te stesso.

UN MOMENTO PER APPREZZARE ANCORA BRUNO FERNANDES

Ieri con l’assist a Zirkzee è diventato il giocatore con il più alto contributo tra gol e assist della storia dell’Europa League. La sua parabola qui la conosciamo: l’arrivo in Italia, la Sampdoria che lo lascia tornare in Portogallo come se nulla fosse, Bruno Fernandes che diventa un fenomeno allo Sporting, il passaggio allo United. A quel punto Fernandes era un giocatore bravissimo a infilarsi nel caos di una partita di calcio. A Manchester è diventato l’unico vero punto fermo di un club che precipita sempre di più verso il disastro.

Tutti allo United fanno schifo, tranne lui. Capitano, bandiera, passano gli anni ma è ancora decisivo, anzi si è reinventato in questo ruolo da tuttocampista: 100 polmoni oltre alla solita ottima tecnica. Un’azione ieri è stata indicativa: Garnacho si è trovato a gestire un contropiede 3 contro 3 con spazio insieme a Zirkzee e Bruno Fernandes. Arrivato sulla trequarti, l’argentino ha perso un tempo di gioco e a quel punto, invece di servire il movimento di Zirkzee come logico, ha giocato il pallone verso Fernandes, che però aveva appena rallentato per non finire in fuorigioco.

Mentre Garnacho e Zirkzee sono rimasti lì fermi, Fernandes si è subito girato ed è tornato indietro, per rientrare nella sua posizione difensiva. Lo ha fatto seppure aveva tutti i motivi per non farlo, chiedere al compagno più giovane di coprirlo, dopo che gli aveva fatto fare uno scatto molto lungo molto a vuoto.

bruno

Bruno Fernandes lo United non ti merita, ma tu ti meriti lo United.

MATIC CON LA MOURINHO’S MOVE
Le conferenze stampa prima delle partite europee sono solitamente soporifere. L’allenatore e un giocatore in rappresentanza del gruppo sono portati in queste stanze spesso piccole e piene di gente. Magari hanno appena viaggiato, sono stanchi, magari stanno pensando a un’altra notte che dormiranno lontano dalla moglie e dai figli. La conferenza del Lione prima della partita con lo United, però, è stata piccantina. A Matic - che oggi è al Lione, ma che dello United non dico sia una bandiera, ma comunque è stato un giocatore importante - gli chiedono se è d’accordo con quello che ha detto Onana, e cioè che lo United è più forte del Lione. Matic ci pensa un attimo, forse pensa a Mourinho, di cui è stato un soldato, e da cui avrà imparato qualcosa. Ci pensa un attimo e poi fa tipo «Onana?» con faccia un po’ schifata, come se stessero parlando di qualche malattia venerea. E poi: «Pffff… io rispetto tutti, ma se sei uno dei peggiori portieri della storia del Manchester United, devi stare attento a quello che dici». Poi ci mette il carico da 12, come si dice: «se fosse stato De Gea a dirlo, o Schmeichel oppure van der Sar, mi sarei preoccupato. Ma se sei - STATISTICAMENTE - uno dei peggiori portieri nella storia dello United, devi dimostrarlo prima di dirlo».

Matic ha imparato da Mourinho, dal modo in cui l’allenatore portoghese incasina la mente dei suoi avversari. Si è andato a guardare le statistiche di Onana, ha risposto nel merito, con quel tipo di cattiveria che ti colpisce dritto al cuore, mettendo tutta la pressione sul portiere. Una risposta che ha colpito così duro che Amorim ha dovuto rispondere: guardate che è stato solo un malinteso, Onana voleva dire una cosa per spronare i suoi compagni, tipo “certo sarà difficile, ma noi siamo capaci, possiamo essere migliori di loro”. Onana, però, a questo punto, era dentro lo scazzo con Matic, e ha risposto con un post: sarò anche una pippa, ma io ho vinto dei trofei con questo club. Tu?

Poi come si dice la palla è passata al campo, e non è andata bene per Onana. Amorim avrebbe potuto intuire che il disastro era dietro l’angolo, ma non l’ha fatto. Questa era l’unica partita della stagione in cui Onana proprio non poteva sbagliare nulla e ha sbagliato due volte. Non due errori gravissimi, di quelli che ti fanno finire nel gol del giovedì sera, ma due errori per cui poi ti vengono a rinfacciare le tue dichiarazioni, il costo del tuo cartellino, lo stipendio. Sul primo gol, Onana viene ingannato dal doppio tentativo di intervento dei giocatori del Lione, ma lì deve andare incontro al pallone dopo il rimbalzo, non farsi scavalcare così.

Sul secondo gol le colpe sono minori, forse è solo sfortuna. Mikautadze gli tira addosso, forte e da vicino. Sarebbe stato meglio un tiro angolato e imparabile. Onana non riesce a organizzare una parata fatta bene, non blocca cioè il tiro, ma neanche lo respinge di lato. Lo respinge davanti, proprio verso Cherki, che poi lo beffa con un tocco d’esterno. Era l’ultima azione della partita. Cosa poteva fare meglio? Idealmente doveva provare a tenere la respinta più vicino.

Non sono i primi errori di Onana allo United, e si può dire che magari li avrebbe fatti ugualmente anche senza che Matic provasse a giocare con la sua psiche. Ma non lo sappiamo: certe volte la realtà è l’unica realtà a cui possiamo appellarci. Da quello che sappiamo, in questo Lione-United 2-2 a muovere i fili è stato un giocatore che ha passato tutta la partita in panchina, lo sguardo di chi fa finta di non saperlo.

ANCHE DE GEA CI HA MESSO DEL SUO PER ROVINARE LA SERATA DI ONANA

Sì, perché la brutta serata di André Onana è andata molto oltre i confini di Lione. Per la precisione ha oltrepassato tutte le Alpi, passando per la Svizzera, fino a superare i vecchi confini del vecchio Impero Asburgico e arrivare in Slovenia dove, nella pancia dello stadio Z’dezele di Celje, subito dopo aver messo in mostra una delle sue migliori parate stagionali, David De Gea prendeva il cellulare, scrollava Instagram e alla fine, con quello che immaginiamo essere lo stesso sorriso di Scar nel Re Leone poco prima di uccidere Mufasa, metteva like a una foto di Nemanja Matic abbracciato allo staff tecnico del Manchester United.

Il cuore di De Gea sulla bacheca di Matic è un messaggio per pochi intimi - più precisamente quei tifosi del Manchester United che, dopo più di un decennio di follia e disperazione, si saranno ormai radicalizzati come i seguaci di Andrew Tate - più diretto ed esplicito è stato invece quello mandato con la sua prestazione in Conference League, che si è chiusa con una respinta di piedi al 97’ che fa tornare la Fiorentina a Firenze con la tranquillità di una vittoria da difendere al Franchi contro un avversario più che abbordabile.

Per la verità la partita di De Gea è stata tutto sommato tranquilla fino al rigore subito dal Celje al 67’, che ha riacceso la speranza della squadra slovena e ha gettato nel caos la difesa di Palladino, che da quel momento ha iniziato inspiegabilmente a imbarcare acqua. All’87’ il portiere ha spagnolo ha dovuto alzare oltre la traversa un cross che si stava infilando sotto al sette, poi, sul calcio d’angolo immediatamente successivo, ha respinto una schiacciata di testa di Vuklisevic. Nulla di eclatante alla luce della sua esperienza e del suo talento, ma comunque abbastanza per una squadra che sembra avere bisogno proprio di qualcuno che gli metta un cappotto intorno alle spalle quando inizia ad alzarsi la bufera. «È un portiere stratosferico», ha detto Mandragora dopo la partita «Vediamo cose mostruose in allenamento che replica anche in partita». In Serie A, De Gea è uno dei sei migliori portieri con almeno mille minuti di gioco per post-shot Expected Goals salvati, secondo i dati di Hudl StatsBomb.

Dopo ieri sera in molti, non solo a Manchester, si staranno chiedendo che bisogno c’era di lasciar andare De Gea a zero per spendere più di 50 milioni di euro per Onana e in pochi si ricorderanno che fino a pochi mesi fa, anche in Italia, il portiere spagnolo aveva ben pochi fan. Come ha scritto un tifoso del Manchester United in maniera dolente su X: “Ci ha trascinato per anni ma ci siamo fatti accecare dai suoi errori” (che comunque, a vedere la compilation allegata, non sono stati pochi). Al Bello del Giovedì 2027, quindi, quando a Old Trafford rimpiangeranno anche Onana.

VI RICORDATE QUANDO NON SI POTEVA GIOCARE A CALCIO SENZA NKUNKU? ORA NON SI PUò GIOCARE A CALCIO SENZA EKITIKE, MA QUANTO È FORTE REALMENTE?

È il ciclo perpetuo di morti e rinascite dei talenti offensivi francesi, le conseguenze indesiderate della sovrapproduzione di talento. Vengono fuori una quindicina di giocatori offensivi forti ogni anno ma capire chi è veramente forte non è semplice. Sono tutti talenti intriganti, che abbinano in modo profondo e spiccato potenzialità atletiche e tecniche. A posteriori però rischiano tutti di diventare materiale di scarto dell’industria del talento francese. Come se per produrre il prototipo perfetto dell’attaccante francese veloce, Kylian Mbappé, bisognasse per forza passare per tutta una serie di modelli imperfetti che gli somigliano in un modo o nell’altro. Si è dovuti quindi passare per Anthony Martial, e poi sono venuti fuori Marcus Thuram e Randal Kolo Muani, che sono dei co-protagonisti. Ogni tanto qualcuno di questi cade in disgrazia e ne viene fuori un altro. Così due anni fa era il momento in cui era impossibile fare a meno di Christopher Nkunku, autore di 58 gol in due anni al RB Lipsia e acquistato dal Chelsea per 65 milioni e una bellissima clausola che piace a noi creativi della finanza: un bonus da 35 milioni in caso di vittoria della Champions League nel giro di tre anni. Tecnicamente saremmo ancora in tempo se il Chelsea si qualificasse alla Champions del prossimo anno - plausibile - ma nel frattempo Nkunku è diventato il bomber principe della Conference League dei londinesi. L’attaccante che segna solo in coppa, e non in una coppa particolarmente pregiata: 7 gol in 6 partite, più del doppio di quelli segnati in Premier, contro squadre che Nkunku potrebbe pure comprarsi col suo stipendio: 10 milioni l’anno. Calcolando che il suo contratto è lungo sei anni, con i 60 milioni di sterline guadagnati potrebbe acquistare, per valore di Transfermarkt, tre club di piccole e medie dimensioni della Conference League: il Celje, il Djurgarden e il Legia Varsavia.

Oggi che Nkunku è caduto in disgrazia gli occhi sono tutti su Hugo Ekitikike. Anche lui attaccante, anche lui francese, anche lui proveniente dal PSG. All’apparenza questi attaccanti sembrano tutti simili, ma in fondo lo sappiamo: non lo sono.

Nkunku per esempio nasce come mezzala, anche se ha sempre brillato soprattutto per come portava il pallone. Poi è stato avanzato sulla linea degli attaccanti e infine punta, dove si è scoperta una certa affinità tra lui e la porta avversaria.

Ekitike non è cresciuto nel settore giovanile del PSG ma è stato acquistato dal Reims dopo una stagione da 10 gol a vent’anni. A Parigi non è sembrato all’altezza e circa un anno fa si è trasferito all’Eintracht, un prestito con diritto di riscatto a 16 milioni e mezzo. Come tutti i talenti offensivi francesi, Ekitike è un giocatore bravo palla al piede; per questo può giocare sia centrale che defilato sull’esterno, però è uno di quei corpi slanciati che si desidera fortissimamente che diventino il Nuovo Grande Centravanti. È la stagione della sua consacrazione: siamo ad aprile ed è già arrivato a 20 gol. Verrebbe quasi da pensare che si tratti di un giocatore maturo e completo, ma Ekitike, a essere onesti, pur avendo già 23 anni, è un attaccante estremamente acerbo. È alla sua prima stagione completa da titolare in una squadra di alto livello da centravanti, ed è come se stesse cominciando a imparare a conoscere il proprio corpo, i suoi movimenti e il modo in cui deve coordinarsi tra spazi e avversari. Il contesto tattico dell’Eintracht è molto particolare, sempre molto diretto e con campo da attaccare, e lui comunque sembra ancora uno che si trova più a proprio agio quando si può defilare per ricevere e girarsi. Soffre ancora il contatto fisico spinto, l’uomo addosso, ma ha potenziale per poterci lavorare. Ha intuizioni tecniche notevoli. Il suo catalogo di gol quest’anno è pieno di giocate estemporanee e di reti tirate fuori dal nulla. Quella di ieri sera è un esempio di quello di cui stiamo parlando. Quando riceve nella metà campo avversaria, un bel lancio in diagonale rasoterra, è solo contro tutta la difesa avversaria. Lanciato, con spazio, però Ekitike è difficile da fermare. Il difensore retrocede e appena gli si apre lo spazio per tirare lui tira: un rasoterra sul secondo palo secco da grande attaccante. Un gol tirato fuori da poche carte in mano. Guardate come viaggia il pallone, sospeso a pochi centimetri dal prato.

Ekitike è già un mago di queste situazioni, in una squadra che gli richiede proprio questo. È uno degli attaccanti col rapporto più alto tra xG, tiri e dribbling. Uno, insomma, autosufficiente. Questo è ciò che lo rende uno dei profili con più potenziale in Europa. Quanddo deve fare volume e giocare con i compagni, e si tratta di essere presente nei match, è ancora goffo e poco presente. Ha grandi intuizioni tecniche, ma a volte diventa impreciso negli appoggi più semplici. Ekitike dovrà migliorare nell’uso di questo corpo da giocatore di basket, o sviluppare ancora di più le sue potenzialità nelle letture. Altrimenti rischia di restare un attaccante per squadre da transizioni.

I GOL SBAGLIATI A CUI IL BODO RISCHIA DI PENSARE PER TUTTA LA PROPRIA STORIA

In 90 minuti il Bodo è passato da sognare un risultato positivo contro una delle migliori squadre della Serie A a mangiarsi le mani per una vittoria casalinga per 2-0. La vita è sempre questione di aspettative, e nel calcio le aspettative si chiamano Expected Goals. Il Bodo, contro la Lazio, ne ha accumulati più di tre, frutto di sei grandi occasioni e 18 tiri totali che tra i piedi dell’attacco del Barcellona forse avrebbero portato a un equivalente numero di gol. Oggi, insomma, il pensiero va a tre anni fa, quando il Bodo vinse l’andata dei quarti di finale di Conference League per 2-1 contro la Roma per poi venire travolto all’Olimpico per 4-0. Nel caso in cui la storia dovesse ripetersi, questi sono i “flash del Vietnam” che passeranno davanti agli occhi dei giocatori di Knutsen, mentre questa storica semifinale di Europa League si dissolve nell’aria dell’Olimpico.

-HAUGE AL 5’

Dopo cinque minuti il Bodo ha già la possibilità di portarsi avanti. La squadra norvegese riesce a sfondare a sinistra con il suo gioco di posizione ed Hauge ha un rimpallo fortunato che gli permette di tirare da ottima posizione, dentro l’area. Mandas, diventato nelle ultime settimane titolare al posto di Provedel, ci arriva con la punta delle dita, e sarà l’ultima volta che dovrà impegnarsi seriamente per evitare che il Bodo segni senza che ci pensi direttamente la squadra norvegese.

- ANCORA HAUGE, AL 15’

Dinamica simile, ma questa volta il Bodo ha bisogno di un paio di giocate di alto livello per arrivare al tiro. Hauge riesce a trovare l’inserimento di Evjen in area con un lob di destro geniale, e quello, preso leggermente in controtempo, riesce a controllarlo facendo una piroetta, arpionandolo con la punta del sinistro. Evjen finta il tiro, torna verso il centro dell’area e, dopo aver alzato la testa, vede che c’è ancora Hauge libero da dentro l’area. Posizione forse leggermente più complicata rispetto al tiro precedente, anche per i molti uomini a coprire lo specchio della Lazio, ma Hauge riesce comunque a mancare lo specchio di un metro abbondante.

-BLOMBERG AL 32’

Inizia la discesa all’inferno della finalizzazione. Il Bodo continua a manipolare la Lazio con il suo gioco di posizione e dalla difesa arriva fino alla trequarti avversaria. Hauge dallo spigolo sinistro dell’area riesce a trovare l’inserimento di Saltnes, che ha l’intuizione di lasciarla scorrere sul sinistro. La palla al centro è perfetta, Blomberg può colpirla persino mezzo metro oltre il dischetto del rigore, ma al momento dell’impatto il suo piatto si fa di una materia spalmabile che manda il pallone fuori addirittura dall’area piccola.

-BERG AL 45’

Alla fine del primo tempo un’azione complicatissima, che nasce con una palla recuperata in alto. Finte per entrare in area, cross sporchi, passaggi ridondanti, colpi di tacco. Quando entra in area il Bodo sembra andare in confusione come un file Word in cui si prova a spostare un’immagine. La palla alla fine arriva a Berg da ottima posizione, sempre dentro l’area, e la spara almeno un metro alta.

-HAUGE PROPRIO NON CE LA PUO’ FARE, AL 59’

Altra azione magnifica del Bodo, altro tiro che sembra impossibile da sbagliare, e invece niente, Jens Petter Hauge.

-INIZIA LO SPETTACOLO DI SALTNES, AL 63’

Come fai a spiegare una squadra che, cinque minuti prima aver segnato con un assist scavato con la punta seguito da un pallonetto di prima al portiere, aveva mandato questo pallone almeno una decina di metri sopra la traversa? Risposta sincera? Non lo so.

-E QUINDI SALTNES, ALL’83’

Negli ultimi minuti la difesa della Lazio prende acqua da tutte le parte, e i giocatori di Knutsen sembrano assatanati. Su una transizione Helmersen riesce a trovare un bel corridoio tra Guendouzi e Lazzari, in cui si è infilato l’irreprensibile Saltnes. La palla è troppo arretrata rispetto alla corsa del centrocampista del Bodo ma sufficientemente lenta per permettergli di correggere la corsa e tirare da posizione ancora migliore, anche perché Mandas non ci pensa nemmeno a uscire dalla propria porta. Qui andiamo oltre il talento calcistico ed entriamo nel campo delle possibilità: calcolando che la superficie di una porta da calcio è di circa 18 metri quadrati, quante ce n’erano che questo tiro finisse proprio su Mandas?

-BJORTFUT AL 92’

Il Bodo non si lascia scappare nemmeno il manierismo di sbagliare anche il gol a pochi secondi dal fischio finale. Calcio piazzato, palla messa benissimo dentro da Berg, Romagnoli si perde alle spalle Bjortfut, che però non apre il piatto a sufficienza, e la manda ancora addosso al corpo di Mandas, che forse avvicinandosi ai poli assume una forza di gravità irresistibile.

COM’È STATA LA RESISTENZA DEL LEGIA VARSAVIA CONTRO IL CHELSEA

di Francesco Tamburini

“Se vuoi vedere l’alba lungo la Vistola/ andiamoci oggi insieme/ e vedrai quanto sará bello ad accoglierci/ il giorno di Varsavia”. Così recita il ritornello di “Sogno di Varsavia”. Così recita la canzone di Czesław Niemen che i tifosi del Legia cantano come inno all’inizio delle partite.

Se Enzo Maresca capisse il polacco probabilmente non la troverebbe appropriata, visti i 6 gradi del rigido aprile polacco che hanno accolto il Chelsea a Varsavia per i quarti di Conference League. A queste temperature il Legia è abituato. Un mese fa ha battuto il Molde agli ottavi al termine di una rimonta agonica finita ai supplementari sotto una nevicata epica.

Con quella vittoria il Legia si era vendicato della eliminazione per mano del Molde proprio nella scorsa edizione della Conference League, in cui la squadra norvegese aveva fatto a fette ai playoff la difesa alta e ambiziosa impostata da Kosta Runjaić (sí, quel Kosta Runjaić). La sfida col Chelsea rappresenta il primo quarto di finale nelle coppe europee per il Legia dal 1996, nonché la partita di piú alto profilo per la squadra di Varsavia dal 3-3 con il Real Madrid di CR7, Bale e Benzema ai gironi di Champions nel 2016, che peró si era giocata a porte chiuse.

Questa volta le porte sono aperte e lo stadio dell’Esercito Polacco Maresciallo Józef Piłsudski raggiunge la capienza di 29.000 spettatori. Nelle settimane prima della partita i biglietti sono esauriti nella fase di prevendita destinata ai tifosi piú fedeli, e chi è rimasto fuori ha dovuto rovistare fra rivendite e bagarini fuori dallo stadio.

La Żyleta, la curva storica e passionale del Legia Varsavia, ha fatto le cose in grande, presentando due coreografie diverse nel corso del primo tempo: la prima con lo striscione di un gladiatore che trafigge un leone sopra la scritta “FEAR NO ONE”, mentre la seconda parte al quarto d’ora e si conclude con i fumogeni coi colori bianco-rosso-verde del club.

Nel primo tempo l’atmosfera sembra irretire il Chelsea, che non riesce a penetrare la difesa bassa dei polacchi. Il portoghese Goncalo Feio, alla prima stagione sulla panchina del Legia, abbandona le velleità di possesso palla e per contrastare la superioritá fisica e tecnica del Chelsea mette in campo una mediana muscolosa composta da Augustyniak e Maxi Oyedele, un Cristante polacco/nigeriano nato in Inghilterra che lo scorso ottobre è diventato uno dei primi calciatori afrodiscendenti a giocare per la Nazionale polacca.

Oyedele è l’unico dei giocatori del Legia che sembra reggere l’impatto fisico con una squadra di Premier, e nel primo tempo fa un ottimo lavoro cercando di limitare le incursioni di Cole Palmer. Lo scarso talento del resto della squadra viene compensato da un’intensità mentale mourinhana, l’impronta piú grande di Goncalo Feio. Come ha confessato a The Athletic, il 35enne portoghese si ispira apertamente al profeta di Setubal, sia nelle parole (“Il calcio non è solo tattica e allenamento, ma passione”) che nelle esuberanze caratteriali: dopo il turno preliminare con il Brondby, Feio è stato sospeso dalla UEFA per aver fatto il dito medio e il gesto dell’ombrello ai tifosi danesi.

Nel secondo tempo Maresca toglie Cole Palmer per inserire Madueke, e la partita assume i connotati previsti. La difesa del Legia inizia a lasciare buchi, come nella respinta del tiro di Reece James su cui si inserisce Tyrique George per segnare il suo primo gol per il Chelsea. In svantaggio di un gol, il Legia prova a contrattaccare, ma questo produce risultati peggiori. Un rinvio sballato del portiere polacco genera un recupero palla dei Blues sulla trequarti, e la libertá con cui Sancho entra in area e trova Madueke per il 2-0 è umiliante.

L’unico scatto di orgoglio per i tifosi polacchi arriva al 73esimo. Augustinyak in debito di ossigeno atterra Nkunku a cavallo dell’area. L’arbitro indica il dischetto e il VAR senza cuore non ribalta la decisione. La sorte vuole che Nkunku si presenti sul dischetto proprio sotto la curva del Legia, che gli urla di tutto per disturbarlo e ispira la parata di Kacper Tobiasz, il 22enne portiere del Legia con un passato da curvaiolo in Żyleta.

La gioia dura però troppo poco perché 30 secondi dopo Sancho entra con facilità in area e serve di nuovo Madueke per il definitivo 3-0. Cala cosí il sipario su una partita che è finita come poteva finire lo scontro fra la quarta classificata in Premier League e la quinta in Ekstraklasa.

COSE CHE ACCADONO SOLO QUI
Siamo arrivati agli sgoccioli, un modo di dire disgustoso che non voglio neanche andare a controllare da cosa deriva. Ma è questa rubrica a essere disgustosa, come il nostro corpo, la sua carne, i suoi batteri che ci sguazzano dentro - sapete che abbiamo più cellule batteriche che cellule umane? - la putrefazione del cibo, gli odori, le forme. Cenere eravamo e cenere torneremo, ma tutto quello che c’è nel mezzo è dolore e fatica, e questa rubrica è qui per ricordarvelo.

- LA CONFERENCE LEAGUE, MA HI I’M JOHNNY KNOXVILLE, WELCOME TO JACKASS

jackass

- LA CONFERENCE LEAGUE, MA TI HA DETTO MALE CON LE MARCATURE

quello alto

- LA CONFERENCE LEAGUE, MA NON SEI SICURO SEI STAI FACENDO UN CUORE O COSA, COMUNQUE VI VOGLIAMO BENE

esultanza

jeg håper du vil ha det bra


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