Conosci la tua squadra del giovedì sera: FC Basilea
Undici maschi, undici pinte di birra, un ristorante, infinita voglia di giocare a calcio. Nasce così il Football Club Basilea, una sera dell’autunno del 1893, dentro la corporazione dei calzolai della città. L’idea è di Roland Gardner, che oggi è così dimenticato che se ve lo googlate vi esce il Linkedin di un consulente. È lui a mettere l’annuncio sul giornale, è lui a invitare tutti al ristorante Schuhmachern-Zunft, il luogo di ritrovo della gilda dei calzolai, che esiste dal 1250 e che esiste tuttora. Tra questi undici uomini c’è Fernand Isler, giornalista sportivo svizzero. Uno dei primi, uno degli inventori del mestiere. È lui a tradurre il regolamento dall’inglese al tedesco. Come altri, e come molti a Basilea, è un accademico. In città, nella storia, hanno insegnato personalità come Tadeus Reichstein, Karl Jaspers, Friedrich Nietzsche, Erasmo da Rotterdam. Gli accademici vedono nel calcio un’espressione vitalissima, anti-conformista, un refolo di vita in una società rigidamente borghese. Basilea è perfetta per giocare a calcio: la temperatura media è di circa 10 gradi, fa meno freddo che nelle altre città svizzere, e piove raramente.
Quali colori scegliere? Siccome ci sono tre o quattro canottieri, tra quegli undici uomini, si scelgono il rosso e il blu proprio in onore della società dei canottieri. La prima partita si gioca a novembre e una leggera foschia contribuisce a costruire un’atmosfera vagamente fantastica. Le due squadre che si affrontano sono composte da tutti giocatori del nuovo Basilea:
Squadra 1: Roland Geldner, Georg Geldner, Max Geldner, Ferdinand Isler, Fritz Schäublin, Josy Ebinger and Max Born.
Squadra 2: Emil Abderhalden, Mario Arbini, John Tollmann, Adolf Hindermann, Wilhelm Glaser, Richard Strub, Lewis Gough and Jean Grieder.
Chi vedete favorita? No, non è come pensate: ha vinto la squadra 1 in realtà. 130 anni dopo il Basilea, nel frattempo, ha vinto 20 campionati svizzeri, secondo club più titolato del paese, e la città di Basilea è diventata la più ricca della Svizzera, o quanto meno quella col PIL pro capite più alto, in uno dei paesi col PIL pro capite più alto. Insomma: siamo nella zona più ricca d’Europa. È quindi impressionante, a suo modo, che un club nato in questo contesto mantenga ancora una frangia ultras molto attiva. L’incontro fra ricchezza e cultura Ultras ha prodotto una delle coreografie più incredibili della storia recente. Bisogna inforcare un paio di occhiali per guardarla: dal lato rosso c’è una coreografia, dal lato blu un’altra coreografia. Si tratta di Ultras veri, cattivi, che qualche anno fa hanno rubato una bandiera al Sion durante una partita e sono corsi lungo tutto il campo per andarla a bruciare nel proprio settore. Visto che siamo in tema di bandiere rubate.
Il Basilea, negli ultimi anni, si sta costruendo una solida reputazione di squadra perdente. Non vince il titolo dal 2017 e da quel momento sono arrivati solo secondi posti e un terzo posto. Una sola coppa di svizzera. Quest’anno la squadra è in crisi, quasi a metà classifica, e ci mancherebbe. Con tutti i giocatori disgraziati che hanno preso: Jean Kevin-Augustin (ovviamente infortunato), Riccardo Calafiori a cui si aggiungono quelli dai nomi quanto meno bizzarri: Wouter Burger, Liam Chipperfield, Liam Millar.
Come sapete, Roger Federer è un tifoso del Basilea. Si è fatto fotografare, ormai diversi anni fa, con una curiosa maglia numero 88. Federer che, si dice, sarebbe stato un ottimo giocatore di calcio, probabilmente un professionista. Magari non sapete, però, che la coesistenza di Roger Federer e dell’FC Basilea non è stata sempre pacifica. Nel 2010 fu cambiato l’orario di una partita del Basilea contro il Lucerna per permettere alla tv di trasmettere una partita di Federer. Gli Ultras del Basilea protestarono mandando palline nel campo fino a far sospendere il match. Le immagini mantengono un loro fascino surreale alla Antognoni.
Che giocatore dell’Anderlecht sei
Zeno Debast
Gli ipocondriaci si dividono in due categorie: quelli che sono sempre dal medico e quelli che negano l’esistenza stessa della medicina. Quelli alla Carlo Verdone, che hanno usato la proprio paranoia per arrivare a un’erudizione scientifica minuziosa, e poi quelli che invece non fanno un’analisi del sangue dalle scuole medie. Naturalmente tu fai parte di questa seconda categoria, e così quando ti scopri un nodino, un bozzetto, sopra alla testa, comincia il tuo panico paralizzante. È successo un giorno per caso: è inquietante la facilità con cui i momenti tragici riescono ad affiorare nell’ordinario. Ti stavi lavando i capelli sotto la doccia quando hai sentito questa specie di pallina sotto pelle, proprio al centro della testa. È strano che non hai percepito davvero paura, o scoraggiamento. Più che altro rassegnazione: lo avevi sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato. Certo, speravi non al cervello. La tua psiche comincia a lavorare per la rimozione: se non si può togliere fisicamente, che almeno si tolga come entità psichica. Non vai dal medico, non lo dici a nessuno, cerchi di mentire anche a te stesso. C’è una parte di te col bozzo, e una senza. Vivi esplicitamente solo la seconda, la prima resta reclusa, clandestina. Fai finta di niente, provi a continuare a vivere la tua vita e nemmeno te ne accorgi, della strisciante depressione che si insinua nella quotidianità. Prima va via l’appetito, mangi spaghetti col concentrato di pomodoro, patate lesse, uova bollite che lasci sul fuoco e te le dimentichi. Gli viene sopra una punta di verde. Il senso della tua vita si dissipa senza nemmeno che tu te ne accorga? Come stai? Tutto bene, dici. Non vai dal medico, tanto a che servirebbe? Sei morto, lo sai. Non cerchi nemmeno su internet tutta la sintomatologia, aspetti soltanto che arrivi al suo appuntamento, come degli invitati a cena. Poi una sera, la sera del tuo compleanno, ti addormenti presto, depresso, sul letto. Sono solo le 18, sei tornato dal lavoro un’ora prima. Ti addormenti e fai un sogno strano in cui cammini su una prateria. Vuoi raggiungere la sua fine, che ti sembra sulla linea dell’orizzonte, ma questa fine non arriva mai. Raggiungi un lago interamente ghiacciato, e ti sembra strano perché sei a maniche corte, fa caldo. Al centro di questo lago intravedi una figura femminile: è tua madre, seduta, e tu sei tra le sue braccia bebè. L’impressione è così forte che ti svegli di soprassalto, ti tocchi la testa e il bozzo non c’è più.
Lior Rafaelov
Una giornata come tante, la tua: una ventina di mail da smarcare, la pratica del signor Melegoni portata un tantino avanti. Quattro caffè, 6 biscotti Macine, un insalata d’orzo a pranzo, mezz’ora di poker online. Sei a “lavorare” nel tuo bar preferito, che per caso è gestito dalla moglie di tuo fratello, quando alzi lo sguardo verso la finestra. Uno sguardo vacuo, stai pensando a chi mettere al fantacalcio in realtà (afena gyan o djuric?), quando vedi un fumo alzarsi all’orizzonte, un incendio. Sono le 15.12. Non ci dai peso, ti rimetti a lavorare sulla pratica del signor Melegoni, poi un’altra mezz’ora di poker online (ti eri detto dieci minuti, ma vabbè), uno spritz col select, una valanga di mais tostato, chiacchiere sparute con gli avventori soliti del bar. Sono quasi dodici ore che sei lì, è ora di tornare a casa. Zaino Piquadro, giacca Tucano Urbano, vai verso il tuo appartamento da scapolo. Lo hai comprato tre mesi fa, sfruttando il bonus statale. È piccolo ma pensi che lo affitterai agli studenti, una volta che troverai l’amore. Farai una serata non bella ma comoda: una pasta al volo col sugo pronto alla siciliana mentre guardi Masterchef. La puzza di fumo è crescente, ti ricordi della colonna grigia vista all’ora di pranzo. Giri l’angolo e vedi passanti attorno al tuo palazzo, pompieri arrampicati sulla facciata come formiche verso il tuo appartamento. Quando entri tutto è cenere: 29 anni di vita in cenere.
Kristian Arnstad
La prima volta che l’hai vista si è presentata a casa tua con un mazzetto di basilico. Ti serve per la tua insalata di pane raffermo, alici e pomodori e lo avevi dimenticato. C’era da guardare Sanremo, un gruppo d’ascolto che esiste da un lustro, e lei è la nuova collega di Flavia. Quando la vedi sulla soglia di casa con una gonna lunga blu a sbuffi, una maglia bianca, e quel mazzetto di basilico, ti sembra bellissima. Ha un’aria spaventata, ma allegra; rigida ma anche spigliata. Una linea indefinita di fascino che non sapresti descrivere. Durante la serata dice solo cose giuste, la pensate uguale su tutto. Achille Lauro? Un disagiato; Diodato? Un grande. Lei scherza su Elettra Lamborghini, ha osservazioni ficcanti su Levante. Durante la serata ti arriva una scottatura imprevista: scopri che è fidanzata, un’informazione buttata lì con indifferenza durante la conversazione comune. Nemmeno buttata lì, venuta fuori spontaneamente, come fosse l’ordine naturale delle cose. Certo, pensi, lo è. Fino a quel momento, però, era una possibilità a cui non avevi nemmeno pensato. Torni nel tuo guscio di moderata infelicità. Il giorno dopo vedi un rametto di basilico avanzato sul lavandino. Lo tagli giusto per farne una talea e lo metti in un bicchierino da caffè. Sono passati quattro mesi e non l’hai ancora rivista, il basilico è diventato abbastanza grande da essersi guadagnato un vasetto in balcone.
La Roma si è persa in un bicchier d’acqua
La sfida tra Roma e RB Salisburgo era quella tra due modi di intendere il calcio profondamente diversi. Per la Roma una partita si vince soprattutto con la furbizia, per il RB Salisburgo soprattutto con il coraggio. La sfida tra una squadra che ama i ritmi bassi e una che ama i ritmi alti; una che attacca con pochi uomini e una che attacca con tanti uomini; una che resta sempre equilibrata e una che ama sbilanciarsi; una che difende vicina alla propria porta e una che difende vicino alla porta avversario. È stato quindi per certi versi impressionante, che la partita non abbia affatto ricalcato questo schema. Il RB Salisburgo ha controllato il pallone, ma non è riuscito a creare particolari pericoli. Alla fine sembrava piuttosto essere la Roma a controllare la partita con una fase difensiva attenta, con la vittoria di quasi tutti i duelli individuali. Il RB Salisburgo non è riuscito ad alzare i ritmi e la partita si è impastrocchiata sulle esigenze della Roma, che comunque ha scelto con dovizia i momenti in cui attaccare, costruendo più pericoli dell’avversario. La Roma è questa squadra qua, che in queste partite ormai ha una fisionomia calma e sorniona, ma non sai mai quanto questo controllo sia in realtà fragile, solo apparente.
La Roma ha costruito le sue possibilità di vantaggio. Tammy Abraham ha raccolto un grande lancio di Cristante, si è ricavato la sua possibilità di tiro, ma poi ha calciato addosso al portiere. Cristante stesso ha girato un colpo di testa molto complicato da calcio d’angolo, prendendo il palo. E infine l’occasione più clamorosa, quella che i romanisti hanno sognato stanotte: solito calcio d’angolo, sponda di Smalling, e Belotti che da un centimetro dalla porta fa un tiro così fiacco che il portiere della Red Bull riesce a respingerlo sulla traversa. Da quel momento ci sono attacchi guardinghi, perdite di tempo di entrambe le squadre, parecchia paura di perdere. La Roma è tutta dietro quando Pavlovic porta palla sulla sinistra. È un centrale difensivo ma ha ottimi piedi e viene lasciato libero di salire, quando mette un pallone oggettivamente incredibile. Uno di quei traversoni tagliatissimi che fendono l’aria, simili a quelli che Bastoni mette nell’Inter, per capirci. Nicolas Capaldo si inserisce e di testa segna un gol vittoria assolutamente cinico. Il RB Salisburgo non aveva avuto occasioni fino a quel momento: la sua fase offensiva era arrivata a una serie di tiri frettolosi. Capaldo che a quanto pare fu suggerito da Daniele De Rossi a Roberto Mancini per la Nazionale, quando DDR passò dal calcio giocato nel Boca Juniors allo staff degli Azzurri. Niente di compromesso per il ritorno intendiamoci, ma è stata una sconfitta strana, piuttosto indecifrabile, in cui la Roma è stata intossicata dalla propria stessa medicina.
Sai distinguere Pedri da Gavi?
Alla fine è successo anche quest’anno: il Barcellona è dovuto scendere nell’inferno dell’Europa League. Noi non siamo né contenti né dispiaciuti, alcune cose sono semplicemente fatti. Questo ci dà l’occasione di vedere all’opera Pedri e Gavi, Gavi e Pedri. Forse in questa rubrica possiamo passare come degli ortodossi del calcio di periferia, persone che ripudiano l’élite e il talento, ma non è così. Non siamo esenti dal fascino di questi due centrocampisti spagnoli, eredi della dinastia di Xavi e Iniesta. L’unico problema è che non siamo in grado di distinguerli. Voi pensate di poterlo fare? Vi mettiamo alla prova.
Gavi a sinistra, Pedri a destra (ma le facce sono sfocate)
Pedri a sinistra, una persona che non è né Pedri né Gavi (ma comunque gli somiglia) a destra
Pedri a sinistra, Gavi a destra
Il forte di Gavi, in provincia di Alessandria
Pedri sopra, del sushi sotto
Iniesta a sinistra, Xavi a destra
Gavi, ma è la Global Alliance for Vaccine Immunization
Qual è stato il miglior gol del giovedì?
Non è stato il miglior turno di sempre, né il più vivo o pazzo. È stato però uno di quelli con i gol più belli, in un senso spesso non ironico. Ne abbiamo scelti otto, che si sfideranno in un mini-torneo per scegliere il migliore. Li aprite dagli iperlink.
Marco: del gol di Igor Thiago mi piace che è un triangolo in pratica. È lui infatti che fa il primo passaggio, bellissimo, con un colpo di esterno che se l’avesse fatto Modric sarebbe diventato virale. Poi anche la finalizzazione merita, colpisce quasi senza sforzo, come se non gli importasse davvero.
Emanuele: Mi dispiace ma sappiamo entrambi chi deve vincere questa sfida, e la persona che deve vincere ha un petto molto grosso con cui ha stoppato il pallone per un secondo controllo che gli ha aggiustato un tiro di una violenza francamente esagerata. Il gol di Cabral è bello perché sarebbe stato bello anche se lo avesse fatto senza avversari intorno, e comunque lo ha fatto dentro un’area di rigore densa di giocatori.
Emanuele: Il gol di Wirtz esprime una tecnica calcettara che di rado vediamo a questi livelli. la croqueta, poi la conduzioni a passi brevissimi, il tiro più furbo che bello. Però il gol di Ashour contiene un’estetica più pienamente Europa League, dove il registro comico e quello epico si intrecciano per formare qualcosa di unico. Quindi per me dovrebbe vincere quello. Il portiere dello Sporting sbaglia il rinvio, ma poi viene castigato da un tiro che sarebbe oggettivamente entrato anche con lui in porta. Davvero peculiare.
Marco: Devo dissentire, perché se sono d’accordo che il gol di Ashour ha il registro che piace a noi, c’è qualcosa che mi disturba con quel pallone. È come se fosse sgonfio, se non fosse davvero un tiro forte e preciso. Mi prendo la briga di decidere io: avanti Wirtz.
Marco: forse il gol di Immobile è più bello, ma Diatta con una finta rompe la caviglia a un avversario. È vero che quello sembra farsi male per conto suo, ma se questa fosse una partita di basket Diatta si sarebbe fermato a guardarlo per terra per umiliarlo. Ti lascio decidere.
Emanuele: Sì mi hai convinto prendo Diatta anche per l’arroganza con cui poi ha festeggiato il gol, una di quelle celebrazioni che contiene mille altre celebrazioni. In più guarda questo video in cui parla con i suoi allenatori dell'importanza di calciare col mancino.
Lucas Ocampos - Moussa Diaby
Emanuele: Quello di Diaby è un gol molto tecnico, di quella tecnica animata dalla freddezza in spazi stretti e in situazioni concitate. Però ecco, quello di Ocampos è una specie di miracolo di coordinazione. Mi fa impazzire che deve trovare quella coordinazione col corpo rivolto spalle alla porta, agganciando un pallone che non andava bene per tirare, per di più col piede debole.
Marco: qui siamo d’accordo, niente da dire.
Arthur Cabral - Florian Wirtz
Marco: Sono indeciso, perché credo che il gol di Cabral sia più bello, tuttavia Wirtz è uno di quei talenti che abbiamo visto crescere in questa rubrica, che se non si fosse rotto il crociato praticamente un anno fa ora sarebbe stato comprato dal Chelsea per una quantità schifosa di soldi. Io mi sentirei di premiare il suo ritorno alla vita, perché un gol in Europa League è la mia idea di vita.
Emanuele: Avanti Wirtz dai, quella tecnica lì è più elitaria, più rara, rispetto a un centravanti che si aggiusta bene la palla e tira una bomba.
Marco: Ok, anche se mi sembra che tu stia sminuendo il gol di Cabral, un uomo che ci ha dato tanto.
Diatta - Ocampos
Emanuele: Era giusto che Diatta passasse un turno ma il gol di Ocampos è incredibilmente bello, uno dei più belli visti quest’anno. Poi parlavi di ritorno alla vita di Wirtz, per Ocampos - un giocatore morto e resuscitato dieci volte - cosa vogliamo dire?
Marco: Forse l’aspetto più incredibile è che 5 minuti dopo Ocampos ha fatto un controllo pazzesco in area di rigore e poi assist di tacco per il 3 a 0 al PSV. In qualche modo, possiamo dire, questa è la sua versione di Maradona in Argentina-Inghilterra.
Florian Wirtz - Ocampos
Marco: E quindi siamo arrivati allo scontro ideologico dei bei gol: meglio quelli in cui un giocatore salta tanti avversari o quelli in cui si inventa un gesto tecnico e fisico impossibile? Non saremo noi a rispondervi, ognuno ha la sua, ma visto che siamo qui per decidere dico Ocampos, solo perché lo slalom di Wirtz non è pulitissimo alla fine.
Emanuele: Siamo già arrivati al punto in cui diciamo “mio cugino il tiro di Wirtz lo parava”, cioè al punto della disonestà intellettuale? Lo capisco, in realtà sono d’accordo, il gol di Ocampos è semplicemente eccezionale. Scegliete voi il migliore, noi il nostro lo abbiamo scelto.
L’ultima volta della Juventus in Europa League
Era il 2014 e la Juventus stava ancora assestando il suo dominio decennale. Nel girone di Champions League era arrivata terza, dopo un’assurda sconfitta in casa del Galatasaray, con la partita rinviata al giorno successivo a causa di una bufera di neve e giocata in un campo per metà decente e per metà inaccessibile. È l’ultima Juventus di Conte ed è una squadra fortissima, l’Europa League può essere un’opportunità, inoltre la finale si gioca allo Juventus Stadium.
In semifinale c’è il Benfica che non è la squadra che ha sconfitto due volte la Juventus quest’anno, ma non è male: in porta c’è Oblak, in difesa Luisao, a centrocampo Markovic sembra uno dei talenti più cristallini del calcio balcanico. All’andata è proprio il serbo uno dei migliori. I portoghesi vincono 2-1, ma sembra uno svantaggio recuperabile in casa, dopotutto basta vincere 1-0 in casa.
Il primo maggio in uno stadio pieno e fiducioso la Juventus di Conte scende in campo per vincere. Sugli spalti Maradona, invitato da Tevez. La Juventus parte in attacco, il Benfica di Jorge Jesus si chiude nella propria area. Dopo varie occasioni poco pulite, al 45’ Vidal può colpire di testa solo al limite dell’area piccola. Il cileno colpisce malissimo ma il pallone in qualche modo sta per entrare in rete: salva Luisao sulla linea, sembra questione di tempo.
Nel secondo tempo la Juventus è meno arrembante, ma al 66’ viene espulso Perez. Conte toglie Bonucci e mette Giovinco, entra anche Osvaldo. Nel finale Pogba arpiona una palla in cielo, Osvaldo segna da due passi ma niente da fare: fuorigioco. La partita diventa una tonnara, Vucinic e Markovic litigano in panchina e vengono espulsi; il montenegrino sembra quasi urlargli “io ti spacco”, è furioso. Nel recupero la Juventus è mossa dalla disperazione, fino al 52esimo quando il colpo di testa di Caceres viene respinto a terra da Oblak.
Questa doppia sfida verrà considerata l’unico neo della gestione Conte, che si rifiutò di fare turnover in campionato per puntare al record di punti poi raggiunto a quota 102. Quella squadra vinse 19 partite su 19 in casa, ma non ci riuscì col Benfica. In finale l’avrebbe aspettata - e chi sennò - il Siviglia (che poi vincerà ai rigori con il Benfica).
Le migliori recensioni Google di stadi delle squadre di Conference League
Aspettavamo questa occasione: il Braga e il suo stadio in Conference League, uno stadio costruito dentro una cava. L’effetto, forse l’avete visto, è spettacolare: quando è a Braga, il calcio sembra essersi trasferito dentro un documentario con la voce di David Attenborough. Non ci sono curve, ma pareti rocciose, non ultras ma alberi. Il pubblico si divide tra le due tribune (comunque 30000 posti). Lo stadio comunale di Braga ha vinto anche diversi premi, ma cosa ne pensano i recensori su Google? Il voto su 5076 recensioni non è altissimo, 4.2. Molti contestano la scomodità, altri premiano la bellezza, una dicotomia con cui l’architettura combatte da secoli. Noi, in ogni caso, abbiamo raggruppato le più interessanti, perché potrai anche essere uno stadio nella roccia, ma il giudizio degli utenti Google non risparmia nessuno.
Uno stadio senza curve non è uno stadio (1 stella su 5)
Bambini e anziani tutti "la salsa è la fede in Dio" è questo uno stadio del 21° secolo? Architecture Awards è ciò che conta ZERO accessibilità! Anche il Colosseo a Roma ha un accesso migliore! (1 stella su 5, tradotto con Google Translate)
Preparatevi ad una tregenda di scale! (4 stelle su 5)
Concetto di sicurezza irragionevole, birra analcolica imbevibile (1 stella su 5, praticamente un Haiku)
Ottimo accesso, lo stadio è molto freddo ma maestoso (5 stelle su 5)
Dalla parte di Lukáš Hrádecký
Lukáš Hrádecký è un portiere slovacco naturalizzato finlandese (si è trasferito a un anno lì). Il suo cognome “Hrádecký” si pronuncia più o meno Radetzky come il famoso generale austriaco e questa è la cosa più importante che sappiamo su di lui. La sua vita, per la maggior parte, l’ha passata parando in serate fredde in posti dove la luce è solo un’idea più che un fatto. È uno di quei portieri che quando è in giornata sembra prime Buffon ma per cui l’errore è sempre dietro l’angolo. Per questo il Leverkusen, una squadra buona ma non eccezionale, è il suo posto. Hrádecký non ha estimatori, fan che impazziscono per lui, non ha stampa pro o contro. Insomma, è uno dei tantissimi giocatori che fanno la massa, che esistono, di cui ricordi il nome ma poco altro.
Ieri Hrádecký si è segnato un autogol. È stato un autogol ridicolo, goffo nel modo in cui lisciando il pallone per passarlo a un compagno lo ha poi toccato con la punta per buttarselo nella sua porta. Hrádecký, però, ha subito fallo. L’azione - forse ve lo ricorderete meglio - è simile al contatto tra Donnarumma e Benzema negli ottavi di Champions dello scorso anno. Qui, però, lo scontro tra Hrádecký e Embolo è ancora più duro. Hrádecký corre parallelo alla porta per cambiare lato del palleggio mentre Embolo lo insegue. Il portiere si muove male, goffamente, Embolo gli mangia metri in pochi secondi. Il centravanti del Monaco entra con tutta la sua forza sulla spalla di Hrádecký, usa anche il gomito per spingere il portiere, che solo a quel punto si butta il pallone in porta.
Spesso abbiamo trattato questi gol come inevitabile spazzatura che si portano dietro le competizioni del giovedì. Abbiamo riso insieme a portieri incapaci, difensori sgraziati, attaccanti fortunati, qui però ci mettiamo nei panni di Hrádecký, anzi: dalla parte di Hrádecký. Si può trattare un portiere così? Quella spallata, se spinge chi la subisce a farsi autogol può non essere sanzionata? Il Var non è neanche intervenuto, l’arbitro ha fatto spallucce. Era l’ottavo minuto di una partita che poi si sarebbe rivelata incredibile, piena di giocate stupende e gol meravigliosi. Hrádecký dopo il gol subito è rimasto solo con se stesso a pensare. La solitudine dei portieri, che brutto mestiere.
Power ranking tifoserie
3. Nantes
« Serie B, Serie B, Serie B… »
La Juventus a un message. #JUVFCNpic.twitter.com/PYa4atBC8Q
— Alexis Vergereau (@Alexis_Vrg) February 16, 2023
La Brigade Loire è un gruppo formatosi nel 1998 per ricostruire un tifo organizzato sullo stile italiano, hanno sfilato per le strade di Torino mandando a quel paese la Juventus. Poi non sono entrati per un po’ perché avevano vietato le bandiere. Infine sono entrati e hanno intonato il coro “Serie B/Serie B/SerieB” pronunciato “Serì be”.
2.Union Berlin
Ho letto un tweet qualche giorno fa che diceva più o meno così: si diceva che l’unico modo per una squadra della Germania Est di competere in un campionato fosse essere comprati da una bibita energetica. L’Union Berlin sta dimostrando che non è così. Ieri grande spettacolo contro l’Ajax da parte dei suoi tifosi, durante la partita, ma anche prima.
1.Trabzonspor
I tifosi del Trabzonspor hanno dedicato la loro incredibile coreografia a chi ha lavorato nei soccorsi durante il terremoto. Primo posto obbligatorio.
5 cose per cui vale la pena farsi una trasferta a Salisburgo
dal nostro inviato sul campo Dario Saltari
Le squadre della Red Bull hanno un’aura plasticosa e poco invitante, forse non la trasferta romantica in un tempio del calcio che volevate nella vostra vita. Quindi perché questo contributo? Sarà l’86esimo capitolo che leggete di questa rubrica e ancora vi fate queste domande. Ma per lo spirito del giovedì, ovviamente! Di seguito cinque motivi per cui dovreste considerare una trasferta a Salisburgo, sempre che la squadra allenata da Matthias Jaissle non venga eliminata al ritorno.
5. Il grande gusto calcistico
Parlare di calcio fuori dalla nostra comfort zone è un’esperienza rinnovante, ve lo consigliamo. Parlare con chi sa spiegarvi alla perfezione perché Strahinja Pavlović ha fallito al Monaco, che ve lo diciamo a fare.
4.La cucina della VIP Lounge dello Red Bull Arena è ottima
Ok, qui serve sborsare qualche centinaio di euro, forse addirittura diventare degli spettatori abituali del Red Bull Salisburgo, ma vi assicuriamo che vale la pena. Il roastbeef con contorno di risotto allo zafferano e cicoria ripassata è il migliore che potete assaggiare in città.
3. Comprare una maglia del Red Bull Salisburgo, ma di hockey su ghiaccio
Siamo nell’epoca dello streetwear, delle maglie da calcio indossate per andarsi a prendere un cocktail. A questo proposito vi consigliamo la maglia della divisione hockey su ghiaccio del Red Bull Salisburgo, una vera chicca. Difficile possiate trovarla online o senza venire sul posto.
2. Un salto all’Hangar-7 Mayday Bar
È un lounge bar con un’enorme sala centrale piena di aerei, elicotteri e monoposti Red Bull. Scendete in bagno se volete provare l'ebbrezza di entrare nel set di Shining (quelli al centro della foto, nella teca, sono modellini d’aereo impilati uno sull’altro).
1. Nello stadio c’è una targa dedicata al figlio di Dario Simic
Lo fanno per tutti i talenti cresciuti nell’Academy che hanno esordito in prima squadra, è vero, ma volete mettere il LOL.
La differenza tra statistiche e controllo in Juventus-Nantes
Contro il Nantes la Juventus ha avuto più possesso palla (quasi il 57%), ha tirato di più in porta (14 a 7), è riuscita in più dribbling, ha vinto più duelli aerei, è stata più precisa nei passaggi. Allora perché non ha vinto? Certo si può appellare alla sfortuna, alla combinazione traversa-palo di Chiesa o alla traversa colpita da Di Maria direttamente da calcio d’angolo, ma nel calcio non c’è necessariamente correlazione tra tiri in porta e gol segnati.
La Juventus giocava in casa contro una squadra inferiore in tutto, che dominasse il gioco era quasi scontato. Ma qual è stato il concetto di controllo della squadra di Allegri? L’allenatore ha trovato in Di Maria il suo regista offensivo, l’uomo da cui passare per organizzare la manovra. Non è un caso che il primo gol sia arrivato da un suo lancio al bacio per Chiesa e che - in generale -tutte le occasioni passano dai suoi piedi. Ancora una volta, però, si è vista la natura emotiva della squadra: troppo calma dopo il vantaggio, troppo nervosa dopo il pareggio.
Il controllo della Juventus diventa spesso sterile quando non è costretta a fare gol. I giocatori si accontentano di passarsi il pallone in orizzontale senza cercare di guadagnare vantaggi posizionali dal possesso, fino a quando qualcuno si stanca e prova una giocata.
In questo caso è Alex Sandro, dopo una lunga e anche interessante fase di passaggi che però non ha portato nulla, che prova un lancio per Chiesa alle spalle della difesa, sbagliando.
Al contrario, quando deve segnare i giocatori sentono che devono spostare le montagne da soli e non è un caso che le migliori occasioni per tornare in vantaggio sono arrivate appena dopo il pareggio di Blas. Ma questo atteggiamento, se in alcune partite ha permesso alla Juventus di rientrare, perché comunque il talento dei suoi giocatori è quasi sempre più alto di quello degli avversari, porta degli scompensi. Negli ultimi 10 minuti è stata una partita rapsodica. Il controllo della Juventus era del tutto aleatorio, più di una volta il Nantes ha potuto tenere il pallone e raffreddare il forcing bianconero. Quando attaccano i calciatori della Juventus si muovono con il pallone e non in relazione con il pallone. Questo porta ad avere distanze sempre diverse, una fase di possesso poco organizzata. Paradossalmente, il limite più grande arriva quando si perde il pallone, perché l’unica soluzione è scappare indietro e difendere con un blocco basso.
84’, la Juventus si difende tutta nella sua metà campo, permettendo al Nantes di tenere il pallone.
Insomma, la partita con il Nantes non è solo una partita sfortunata, ma è la conferma di una tendenza che affonda le sue radici in parte nell’idea che ha Allegri di gioco offensivo, che magari non è quella del cortomuso come ha detto ai microfoni di Sky, ma è in ogni caso un’idea reattiva di attacco, perché non c’è nessun meccanismo che lo guida. Al ritorno la Juventus ha il materiale umano e tecnico per vincere in casa del Nantes, ma non può pensare che basterà beccare la giocata decisiva di Di Maria per fare strada in Europa, anche in questa sua versione minore.
Una grande Fiorentina
Ieri la Fiorentina ha dato l'impressione di poter vincere la Conference League. È il tipo di impressione che dura, di solito, finché quella squadra non perde in modo imprevisto e clamoroso (toccatevi), però lontana dal proprio stadio, dalle energie tossiche della Serie A, dalle polemiche, nella bolla di spensieratezza dell'Europa League, la squadra di Italiano sembra quella dello scorso anno. Una squadra spregiudicata nel pressing, e con giocatori offensivi capaci di grande inventiva individuale. Come per miracolo, i giocatori sembrano persino più forti. Jovic non ha più la testa a spigoli, Cabral acquista mobilità, Saponara è Baggio, Ikoné è Okocha. Lo ha detto pure Italiano, con una formula comunque un po' umiliante per i suoi giocatori: «Finalmente gli attaccanti fanno gol». Certo, poi giocare con un uomo in più aiuta, però eliminare il Braga resterebbe comunque un passo importante, non è che ci siano tutte queste squadre forti in giro.
Ode ai capelli di Thorsby
Nella foto di presentazione con l’Union Berlin, Thorsby ha una bella chioma bionda, di quelle nordiche che sembrano poter resistere alle tempeste più dure. Probabilmente ve lo ricordate Thorsby: centrocampista della Sampdoria con il pallino per la salvezza del pianeta e una capacità gargantuesca di vincere duelli aerei. Ieri contro l’Ajax gli è stato annullato un gol anche un po’ ingiustamente. Nel momento dell’esultanza abbiamo scoperto una cosa: Thorsby sta perdendo i capelli.
La dignità con cui si porta questa fase di transizione, però, è l’ennesima conferma del suo carisma. Thorsby non si è rasato, non si è trapiantato i capelli, non ha cercato di nascondersi dietro a la chimica, ma sta lasciando che la natura faccia il suo corso. Un messaggio a chi combatte una battaglia contro la calvizie: non è davvero una battaglia, ma fisiologia. Abbracciamo allora il suo mondo: non serve una chioma folta per vincere tutti i duelli aerei.
Chi è più forte tra En-Nesyri e Slimani
Sfruttiamo un giovedì sera in cui hanno fatto gol entrambi per mettere in chiaro una volta per tutte chi è più forte tra i due. Un modo anche per stabilire qual è la scuola calcistica migliore, quella marocchina o quella algerina.
Tiro
Slimani: 6
En-Nesyri: 7
Non il miglior fondamentale per entrambi, soprattutto in relazione al fatto che giocano come punte centrali. In questo senso esprimono bene una visione del calcio, quella magrebina, in cui il gol è ridotto spesso a un orpello.
Gioco senza palla
Slimani: 6
En-Nesyri: 9
L’altra dimensione essenziale per un numero nove è quella dei movimenti senza palla, ad allungare la squadra, a trovare lo spazio in profondità o sulla trequarti. In questo En-Nesyri è davvero un maestro.
Creatività
Slimani: 8
En-Nesyri: 6
Quanto conta la creatività per un centravanti? Più di quanto pensiate. Per esempio nella fantasia nelle finalizzazioni, che può diventare paradossalmente concretezza. Comunque non c’è gara.
Tecnica
Slimani: 9
En-Nesyri: 6
È quasi offensivo paragonarli.
Colpo di testa
Slimani: 6
En-Nesyri: 7
Non fenomenali ma bravi entrambi, più nell’esecuzione tecnica del tiro che nello stacco.
Gioco spalle alla porta
Slimani: 8
En Nesyri: 6
Anche qui imparagonabili.
Vince Islam Slimani, che a settembre, dopo un gol con la maglia dell’Algeria, aveva gridato al pubblico: “SONO ANCORA IL CAPO!”.
Cose che accadono solo il giovedì
È stato bello tornare dopo oltre tre mesi. Cosa avete fatto in tutto questo tempo? Avete cambiato lavoro, messo al mondo figli, siete andati a letto presto? Ve lo sto chiedendo come puro artificio retorico, per poi dire questa cosa: qui non è successo nulla. Il giovedì sera rimane un momento storico a se stante, una doppietta di competizioni in cui la realtà supera la fantasia. In questa rubrica, magari ve lo siete scordati, aggiungiamo qualche attimo di colore, cose non abbastanza assurde da meritare un contributo, ma neanche così normali da sparire come lacrime nella pioggia. È praticamente il purgatorio del giovedì sera e - come nella meno famosa Divina Commedia - è la parte che nessuno legge. La mettiamo alla fine perché così non siete costretti a farlo.
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Ci vediamo tra sette giorni!