Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Belotti è l'incubo dei difensori
10 apr 2017
Elogio della fase difensiva del giocatore che commette e subisce più falli in Serie A.
(articolo)
9 min
Dark mode
(ON)

Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.

Dirlo oggi che è in cima alla classifica dei marcatori insieme a Dzeko (24 gol ciascuno) più che fuori luogo è superfluo, ma ai fini del mio discorso è bene ricordare subito che Andrea Belotti non è uno di quegli attaccanti con grande qualità tecnica, se parliamo di primo controllo come della sua conduzione in corsa. Ha un buon istinto per la conclusione in porta, ma i suoi tiri sono puro intuito, più che precisione balistica. Negli appoggi è grezzo e se non è concentrato al massimo dello sforzo può sbagliare anche delle cose banali. Non c’è, insomma, nessuna dote calcistica particolarmente visibile che rende Belotti un calciatore superiore alla media. Niente, all’apparenza, che giustifichi il suo impatto devastante su questa stagione di Serie A. Ci sono delle doti atletiche impressionanti, ma di per sé sarebbero sufficienti a rendere la misura dei suoi numeri (ai gol aggiungetete anche i 3 assist in 36 partite stagionali).

Con questo arrivo al mio punto. Che non è parlare male di Belotti, anzi. Il magnetismo che emana Belotti in queste settimane ha qualcosa di così eccezionale che solo qualcuno del tutto privo di cuore (o di occhi) potrebbe non accorgersene. Ciò che rende Belotti un giocatore speciale fa parte delle doti più intangibili di un calciatore: l’intensità, l’agonismo, la concentrazione. L’assoluta tensione mentale riversata sulla partita è ciò che rende Belotti l’attuale feticcio del pubblico italiano, ma è anche ciò che lo rende, specie nella giornate migliori, una specie di furia mistica, un fenomeno naturale che si aggira per il campo.

Come diverse partite di quest’anno dimostrano (quella contro l’Inter in casa, quella recente contro l’Udinese) Belotti interpreta ogni piega della sua partita, ogni piccola situazione, come una questione di vita o di morte.

E a proposito dei limiti citati sopra: l’agonismo è l’energia magica sotterranea che li compensa tutti: sistema i suoi passaggi, affila i suoi tiri, rende produttivi i suoi movimenti. Molti aspetti del gioco di Belotti sembrano tenuti in piedi solo da questa intensità debordante: il modo in cui fa deragliare i difensori quando corre; il magnetismo che esercita su ogni pallone che piove in area. Togliete a Belotti l’intensità e lo vedrete passare le giornate di campionato a fare su e giù come una tigre allo zoo.

Una gif che spiega Belotti: ha la scintilla agonistica per partire in una conduzione palla al piede trascinante, come una nave che rompe i ghiacci. Poi però, quando deve mettere fosforo nella giocata, prendendo una scelta, si perde il pallone. Quando l’intensità mentale cala, emerge l’imprecisione tecnica.

L’agonismo di Belotti trova la sua massima espressione soprattutto nella pressione che esercita senza palla sugli avversari, sempre sul bordo della regolarità.

Belotti è il terzo attaccante della Serie A per tackle tentati, ma non è importante quante palle recupera, ma la loro qualità: non tanto il fatto che trasforma un’azione difensiva in offensiva, quanto il messaggio esterno che manda. La voglia, e la possibilità, di ribaltare l’inerzia emotiva della gara, costringendo tutti ad un contesto ad alta intensità in cui Belotti va fuori controllo.

Belotti fa parte di quella categoria di giocatori che amano perdere il controllo, perché è nella confusione che la loro mistica inizia a funzionare. Portando gli avversari a un ritmo, a una velocità, a una potenza dove alla fine rimane solo lui in piedi.

Recuperare tutti

Il pressing offensivo del Torino non è tra i più sistematici del campionato e il più delle volte, specie contro avversari bravi a costruire dal basso, i “granata” si schierano con due linee strette nella propria metà campo. Belotti in queste situazioni svolge il ruolo di avanguardia del pressing offensivo: è lui che può accendersi in un momento qualsiasi della partita e andare a pressare da solo, con assoluta determinazione, le difese avversarie, trascinandosi dietro i compagni

Che poi, in fondo Belotti non riesce a recuperare molte palle in pressing. I suoi numeri sugli intercetti sono buoni ma non straordinari: 0.3 ogni 90 minuti; meglio nei tackle (1.6 per 90 minuti) dove comunque non eccelle tra gli attaccanti di Serie A (non solo animali dell’intensità come Mandzukic e Pucciarelli fanno meglio di lui, ma anche giocatori che associamo a un’idea di pigrizia come Muriel).

Belotti, però, è uno specialista dei recuperi improvvisi. Mentre gli avversari costruiscono sulla trequarti, proprio quando pensano di poter guardare solo davanti a loro, Belotti arriva da dietro come sputato dalla bocca dell’inferno, e gli ruba palla in scivolata, si rialza, si ingobbisce di nuovo nella sua andatura paradossalmente aerodinamica, e riparte verso la porta avversaria.

Falli (anche) a gratis

L’alta intensità di cui ha bisogno lo porta a commettere molti falli o ad andarci vicino. Per una strana anomalia statistica, Belotti è sia il giocatore della Serie A che subisce più falli che quello che ne commette di più.

Nel momento in cui Belotti ingaggia un corpo a corpo o ne esce vincitore o ne esce con l’avversario a terra. Come in questo tentativo disperato di levare di mezzo Caldara dalla traiettoria della palla; o come in questo scontro titanico con Kessié: quando ha capito che non c’era più la possibilità di recuperare il pallone, ha semplicemente commesso fallo.

Esiste tutta una categoria di falli di Belotti che possiamo definire tranquillamente “gratuiti”. Come questo sul difensore che sta per lanciare da una posizione di campo per lui svantaggiosa; o come questo in cui sbilancia il difensore sullo stacco solo per il gusto di farlo. Sono falli che spezzano il ritmo, sporcano la sua “fedina” senza avere una grande utilità tattica, ma sono buoni per lanciare il suo messaggio: e cioè che i difensori non possono mai permettersi il lusso di star tranquilli. Non possono giocare senza che Belotti invada la loro bolla di spazio privato. Nel dubbio se entrare o non entrare Belotti entrerà sempre.

Per dire, se il difensore è in chiaro anticipo, Belotti preferisce fargli fallo, buttarlo giù, provare a tirare, piuttosto che concedergli una chiusura semplice.

Ci sono però anche falli utili, che Belotti esegue con precisione a orologeria. In questo caso ad esempio non lascia ripartire in transizione il Sassuolo. In altri casi i falli sono il frutto di un’aggressività eccessiva ma spesa nel tentativo di recuperare palloni potenzialmente pericolosi.

Raramente i falli di Belotti sono davvero cattivi, ma può capitare, quando il piacere sensuale che sembra provare per lo scontro gli scappa di mano. Alcuni falli di Belotti non sembrano rispondere ad altra logica che al suo gusto per il contatto fisico, per la lotta pura.

Belotti ama farsi fare fallo

È soprattutto in questa specie di piacere carnale che dobbiamo leggere il talento di Belotti nel subire fallo. Perché nel calcio spesso si sottovaluta che il confine tra subire fallo e farsi fare fallo: è molto sottile e dentro c’è tutto un mestiere in cui non molti calciatori riescono ad eccellere.

Belotti sa usare molto bene il suo corpo: protegge benissimo palla; sa prendere posizione sui lanci lunghi con grande facilità; ma è anche rapido nei primi metri, cosa che spinge i difensori a commettere fallo.

Soprattutto, Belotti è molto bravo a intuire quando subire fallo rappresenta la migliore opzione di gioco. Qui, contro la Lazio, la squadra si appoggia su di lui per risalire il campo ma è circondato da giocatori biancocelesti e subire fallo diventa l’unica soluzione possibile.

Il punto, però, è che quando Belotti vuole farsi fare fallo ci riesce con la semplicità di uno a cui piace farsi fare fallo. Probabilmente perché è così sicuro del suo strapotere fisico che ama sfidare a duello i difensori. Se deve andare a proteggere palla non si cura neanche di prendere una palese posizione di vantaggio: invita il marcatore a prendere contatto, a farsi sfidare, sicuro che nessun difensore riuscirà a piegarlo.

Elogio dell’agonismo

Siamo spesso portati a scambiare l’agonismo con l’irrazionalità, come se alzando il livello di intensità fisica per forza di cose si abbasserà quella mentale. È un discorso vero, ma ci sono alcuni giocatori che hanno bisogno del massimo sforzo fisico per tenere alta anche la presa mentale sulla gara. Quando Belotti gioca su un grande livello agonistico spesso affina anche l’intelligenza delle scelte, anche perché è un giocatore molto conscio dei propri limiti.

Si può vedere tutto nell’azione qui sotto. Lo separano 40 metri di campo dalla porta, davanti a lui c’è solo Wallace, che però è un difensore abbastanza fisico e veloce nell’uno contro uno. Inizialmente prova a capire se può saltarlo, ma quando si rende conto di non riuscirci - soprattutto perché non ha una conduzione palla pulita - allora ripiega sull’esterno, difende palla, cerca il contatto, si fa fare fallo.

Belotti è riuscito a trasformare un contesto che aveva esposto i suoi limiti in un contesto che ha esaltato i suoi pregi.

Bisognerebbe chiedersi per quanto potrà durare l’intensità di Belotti, in un senso sia stretto che ampio. Se questa stagione, cioè, rappresenta un unicum di intensità, che in qualche modo l’attaccante pagherà con un leggero rilassamento il prossimo anno. Ma più in generale se Belotti sarà in grado di mantenere questa tensione fisica e mentale sulle partite anche più avanti nella sua carriera, oltre questi 23 anni in cui scoppia letteralmente di salute. Non è detto che Belotti non sarà costretto a cambiare, adattarsi, imparare a fare cose nuove e diverse per non essere costretto a giocare ogni minuto come una questione di vita o di morte. Una ragione in più, questa, per goderci questa versione di Belotti - bestia di satana del pressing, delle spinte, dell’intensità - finché possiamo, non dando niente per scontato.

Oltre ai sistemi tattici e alle esecuzioni tecniche, una partita di calcio è fatta di tante piccole pieghe del gioco più impercettibili. Tutta una microfisica fatta di contrasti, piccoli scatti, coperture, falli che hanno un valore fondamentale anche se non immediatamente percepibile.

Spalletti, uno dei più grandi filosofi dell’importanza di questi livello invisibile, la definisce “riempire la partita”. Per dirla con un’espressione molto usata: Belotti è bravo a “non mollare un centimetro”, a riempire la partita di quei valori che spesso fanno la differenza tra una vittoria e una sconfitta, soprattutto, anche se è ridondante dirlo, se in squadra hai Belotti…

Segui tutta la Serie A TIM, la Serie B ConTe.it e la Uefa Europa League su NOW TV.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura