Il momento magico di Andrea Belotti che ci stiamo godendo praticamente dall'inizio di questa stagione 2016/17 non è, come non lo è niente nel calcio, veramente magico. Magari è una premessa innecesaria ma la crescita esponenziale di Belotti in questi mesi è davvero l'opposto di un potere magico piovuto dal cielo sulla schiena possente del giovane centravanti del Torino e della Nazionale. È frutto anzitutto del puro piacere per la sfida di un ventitreenne che già qualche anno fa, ai tempi del Palermo, non si vergognava di sollevare l’asticella delle sue potenzialità, pur chiedendo il permesso: «Se posso spararla grossa dico che mi piacerebbe un giorno indossare la maglia del Real Madrid». Un'ambizione che ha confermato dopo la prima, felice, stagione a Torino: «Sì, mi piace non avere limiti. Sto facendo tutto il possibile per realizzare i miei sogni».
Successivamente, a modellare quest’ambizione è stato Gianpiero Ventura, che ha preso un centravanti ossessionato solo dalla porta avversaria e ne ha fatto un calciatore completo: «Ventura mi ha migliorato in tanti piccoli particolari: nel modo di giocare con un compagno, di cercarlo, nel modo di attaccare la porta».
Belotti è stato accolto come una specie di messia in un movimento che aveva una voglia disperata di rinverdire la propria tradizione di “numeri 9”. Il pubblico italiano lo ha atteso, coccolato e poi ammirato: Belotti incarna perfettamente l’identikit del “giocatore del popolo”.
In Sudamerica ci si immagina subito la faccia sfrontata di chi è cresciuto in strada, ai margini della metropoli, contro ogni avversità; in Italia si vogliono giocatori con la faccia sbarbata di chi è cresciuto in oratorio, nella bucolica quiete della provincia, dividendosi tra la scuola, il catechismo, la campagna degli zii, le mance della nonna. Cioè, appunto, Belotti.
«Credo che non smetterò mai di fare la cresta dopo un gol, ma non tengo più i capelli così perché mi sembrava una pettinatura quasi eccessiva. Quella di oggi, con la riga precisa, rispecchia di più il mio modo di essere. Me l'hanno detto in tanti: eh, ora sei così, ma prima o poi la alzerai 'sta cresta. E invece no, non lo alzerò mai. Una vita fondata sulla presunzione del tuo status genera solo rapporti falsi. Voglio restare l'Andrea di Gorlago».
Il Toro è cambiato, Belotti è cresciuto
L’arrivo di Mihajlovic sulla panchina del Torino ha stravolto l’assetto della squadra nel modulo e nei principi. Una rivoluzione che il pubblico del Torino aveva richiesto e che anche Belotti ha apprezzato: «Siamo più aggressivi. Cerchiamo il recupero immediato della palla per poter andare più in fretta verso la porta. Prima attendevamo di più, e il gioco aveva una costruzione più elaborata».
La conseguenza più immediata del nuovo progetto tecnico è che adesso Belotti gioca al centro dell’attacco, invece di dividere il fronte offensivo con un partner, e ha sempre due ali ai fianchi pronte a servirlo (il Torino di Mihajlovic costruisce il 75% delle azioni offensive sugli esterni). In particolare, la connessione con Ljajic è la più virtuosa del campionato in termini di assist decisivi per un gol: dei 22 gol realizzati da Belotti, 6 sono stati assistiti dal serbo.
L’efficacia della combo Ljajic + Belotti: il Toro ha segnato su calcio piazzato oltre un terzo dei suoi gol.
A un primo confronto statistico tra la passata stagione e quella attuale risulta evidente l’aumento del volume offensivo di Belotti, al di là del clamoroso exploit realizzativo. Aveva concluso il 2015-16 con 0,42 gol ogni 90 minuti, un buon risultato, ma attualmente ne registra più del doppio: 0,91 p90. L’anno scorso tentava 2,43 tiri p90 che sono diventati 3,40 p90, un aumento del 40%. È diventato anche leggermente più preciso: se un anno fa centrava la porta con il 41% delle conclusioni, adesso è arrivato al 45%.
Il modulo con una punta tende però a isolarlo eccessivamente, e in campo aperto Belotti non riesce a fare la differenza, ma ha sufficiente forza e determinazione per guadagnare falli e far salire la squadra. Lo strumento della shot map aiuta a visualizzare graficamente tutte queste informazioni. Intanto, rispetto all’anno passato l’area si è riempita di triangoli (colpi di testa), perché piovono molti più cross, e Belotti è un grande interprete del fondamentale. Si può apprezzare anche come Belotti abbia iniziato a esplorare il lato sinistro del campo, mentre il modulo con le due punte lo confinava maggiormente sul centro-destra, e il volume di conclusioni è aumentato di conseguenza
Gli expected goals segnalano anche come nella passata stagione Belotti abbia segnato soltanto 8 gol, rigori esclusi, a fronte di 10,8 xG. Quest’anno ha già toccato i 21, pur producendo conclusioni da cui il giocatore medio, su cui si basa la statistica, avrebbe ricavato soltanto 12 xG. Un salto notevole, sempre che questo rendimento si confermi sostenibile nel lungo periodo.
Quando Belotti ha un compagno a fianco
Mettere Belotti al centro dell’area di rigore, in condizione di tirare molto, dunque, si è rivelata un’ottima strategia per fargli segnare molti gol, come era prevedibile. Belotti ha le stimmate dell’attaccante, quella capacità inequivocabile e difficilmente descrivibile di segnare in ogni situazione di gioco e in tutti i modi: 16 gol con il piede destro, 9 gol con il piede sinistro, 9 gol di testa, dal suo arrivo a Torino a oggi.
Bisogna dire che se quest’anno il suo rapporto con la porta si è rinsaldato, in quello passato aveva evidenziato potenzialità di sviluppo a tutto tondo parzialmente sacrificate in questa stagione. I risultati sono stati eccellenti, come è evidente, ma il gioco del Torino, sempre più piatto, finirà per soffocarne e ridurne le opportunità. Nell’ultima partita contro la Lazio, Belotti è arrivato al tiro all’interno dell’area una sola volta, e non ha centrato la porta.
Anche in ottica Nazionale, invece, è interessante notare come il periodo in coppia con Immobile, nella seconda metà della scorsa stagione, sia coinciso con l’esplosione di Belotti, che fino alla quattordicesima giornata non aveva ancora trovato il gol.
Così come Immobile, Belotti è a suo agio sia quando deve attaccare la profondità, che quando deve difendere la palla spalle alla porta, e i due hanno sviluppato un’intesa sufficiente a muoversi in coordinazione. In questo modo la fase offensiva guadagna imprevedibilità, e le difese sono costrette continuamente a prendere decisioni difficili in poco tempo.
Belotti + Immobile: Venturìsmo in purezza.
Belotti riesce a compensare i limiti nella coordinazione, che lo rendono un po’ macchinoso quando deve passare la palla, con un’ottima capacità di leggere il gioco e servire di sponda i compagni, che emerge più facilmente nel 3-5-2. Non è molto pulito nell’esecuzione, ma compensa leggendo il gioco e anticipando i movimenti dei compagni per servirli, anche quando sembra che giochi a testa bassa.
Negli ultimi due anni viaggia su medie discrete nella precisione passaggi, intorno al 75%, e quest’anno i passaggi-chiave sono saliti a 1,74 p90, un aumento superiore al 70% rispetto alla passata stagione, spiegabile soprattutto alla luce del diverso sistema di gioco: il Torino di Mihajlovic tira in media 2 volte in più a partita rispetto allo scorso anno.
Soprattutto contro fasi difensive più organizzate, o semplicemente contro difensori più forti fisicamente, sarebbe interessante sfruttare tutto il potenziale di Belotti (anche a costo di renderlo meno efficiente), piuttosto che utilizzarlo come riferimento centrale, e legare quindi troppo la sua prestazione a quella del resto della squadra.
Il Torino visto quest’anno ha delle direttrici di gioco molto piatte, non riesce a creare vantaggi a centrocampo, e ha la meglio sull’avversario soltanto nei momenti di massima intensità, o con i cross per Belotti. Da qui, soprattutto, derivano i dubbi sulla possibilità di impiegarlo in sistemi offensivi diversi, in squadre costrette ad attaccare più spesso in spazi più stretti.
Belotti, da parte sua, ha sempre dimostrato disponibilità a coprire ogni porzione di campo, e l’intelligenza per sopperire agli aspetti in cui è un giocatore nella media (il primo controllo, la conduzione del pallone) con le qualità che lo rendono un attaccante unico nel suo genere (la combinazione di rapidità, aggressività e forza fisica è eccezionale). Segnali confortanti si possono notare quando Mihajlovic gli affianca un giocatore tecnico e intelligente come Maxi López, e il Torino migliora decisamente in termini di creatività e imprevedibilità.
Il corpo di Belotti
Il cambio di modulo lo ha anche alleggerito dei compiti in fase difensiva. Con Ventura, era frequente vederlo rientrare quasi a ridosso dell’area di rigore per riprendere alle spalle i centrocampisti e non dare respiro alla manovra avversaria.
Non ha smesso, ovviamente, perché per Belotti la scivolata è essenziale almeno quanto il gol. Per sentirsi in partita ha bisogno di sentire continuamente aumentare il livello di aggressività: «Ogni volta che gioco è un'emozione unica perché ho la fortuna di essere lì. Appena sono dentro devo dare tutto per non avere rimpianti». E Mihajlovic, da parte sua, fa di tutto per ricordarglielo: «Lui non deve perdere cattiveria e umiltà. (...) Lui non deve perdere dal quel punto di vista, sennò diventa un giocatore normale».
Però ha diminuito leggermente la frequenza degli interventi, anche solo per ragioni di equilibrio tattico, per non abbassare eccessivamente la squadra adesso che agisce da unica punta. Ha chiuso la scorsa stagione con 2,3 contrasti tentati p90, una cifra sproporzionata per un attaccante (tra gli attaccanti sopra i 1000 minuti, quest’anno, solo Pucciarelli e Trotta ne tentano di più), e un impressionante 71,6% di riuscita nei contrasti, che non raggiunge nessuno dei sopracitati. Quest’anno ne tenta 1,70 p90, è calato al 63,4% nella percentuale di riuscita, e ha diminuito del 28% anche gli intercetti.
L’anno scorso, il suo gioco spalle alla porta era più debole, quindi non erano tanto significativi i palloni che riusciva a trattenere quanto quelli che riusciva a sottrarre ugualmente al controllo avversario (c'è una scivolata con cui sradica la palla tra i piedi di Pogba, in un modesto incontro di Coppa Italia, che è la riproduzione più fedele che due esseri umani possano inscenare di un toro che incorna una zebra).
L’aggressività di Belotti merita a questo punto un approfondimento, perché in questo aspetto la statistica e l’esperienza concordano nel definirlo fuori dal comune. Quest’anno subisce 3,77 falli in media ogni 90 minuti ed è primo in classifica tra gli attaccanti con enorme distacco. Il secondo è Nestorovski (con 3 falli subiti p90), comunque inferiore al Belotti 2015-16, che subiva 3,47 falli ogni 90 minuti.
È primo anche alla voce "falli commessi", con 2,61 p90, mentre i 2,29 falli p90 del Belotti 2015-16 gli varrebbero la quarta posizione, dietro Meggiorini e Simeone. Belotti ha letteralmente imparato a giocare a calcio con il corpo, e lo mette per intero al servizio della squadra. La tecnica che utilizza quando contende il pallone sembra strappata alla lotta greco-romana: non ci sono molte prime punte con questo spirito di sacrificio, che nel caso di Belotti ha i tratti dell’ossessione.
Il corpo di Belotti è un’arma a cui gli avversari non conoscono risposta: utilizza le spalle giganti per tenerli a distanza e l’esplosività delle gambe per bruciarli nel breve. Da Del Fabro del Pisa, a Murillo, a Bruno Peres, fino a Lichtsteiner nel derby, la carrellata dei gol stagionali di Belotti contiene al suo interno una breve passerella di difensori che provano inconsciamente a reggere l’impatto fisico e finiscono per rovinare goffamente sul terreno. I più saggi, come Romagnoli e Oikonomou, se ne tengono a distanza e riescono in questo modo a preservare la dignità, ma non la porta inviolata.
Fuori dall’area di rigore, però, il fisico massiccio tende a costituire un limite, perché Belotti è un attaccante potente, con un grande senso della porta, ma non è certamente un attaccante coordinato. Con il 4-3-3, durante la costruzione del gioco agisce principalmente spalle alla porta per far salire la squadra e attirare a sé la linea di difesa. In questa situazione di gioco, a volte commette errori banali come falli di mano involontari, oppure perde il pallone in un bicchier d’acqua e poi è costretto a recuperare con il doppio dello sforzo. Non è particolarmente coordinato, ed è limitato nelle possibilità di gioco: negli ultimi due anni, complessivamente, i passaggi lunghi rappresentano solo il 2% dei passaggi tentati.
In altre circostanze, però, è riuscito a giocare di sponda per servire gli inserimenti dei centrocampisti, oppure è andato letteralmente a spostare i mediani avversari per crearsi lo spazio per il passaggio. In situazioni come queste, comunque eccezionali, emerge la capacità di Belotti di spostare con l’ambizione i confini naturali dettati dalle caratteristiche tecniche. Belotti non avrebbe la sensibilità per andare a giocare negli spazi stretti tra difesa e centrocampo, ma non si risparmia di andarci, e di provare a vedere cosa può ricavarne con i mezzi a disposizione.
Chino sul traguardo
Il Torino ha presentato la clausola rescissoria da 100 milioni inserita nel nuovo contratto di Belotti un po’ come se fosse una provocazione punk. Cairo ha annunciato la notizia alla tv del Torino commentando «per metterla in un modo tale che veramente, se lo vogliono devono strapagarlo», e poi ha concluso arrotolandosi in un: «spero che nessuno arrivi mai a pagare una cifra del genere, perché vuol dire che me lo tengo stretto». Mihajlovic ci ha tenuto a farne un discorso più generale, «non penso che un giocatore possa essere pagato 90-100 milioni», e poi ha aggiunto con una risata, «mi dispiace perché se giocassi adesso varrei anche io 100 milioni» (non stava scherzando veramente, qui siamo tutti d’accordo).
Il primo a crederci fermamente è stato Belotti, che animato dal puro piacere della sfida ha continuato nel frattempo a crescere sotto i nostri occhi, in tutti i sensi. Quando esordisce tra i professionisti con la maglia dell’Albinoleffe, e segna dopo pochi minuti, Belotti ha un fisico nella media, asciutto per un centravanti ma comprensibile per un diciottenne. Qualche anno dopo, quando veste le maglie di Palermo e Under 21, si intuisce come la schiena stia iniziando progressivamente ad allontanarsi dalla nuca, ma è ancora lontano dal diventare la cosa più simile a una tartaruga ninja mai vista su un campo da calcio. In un certo senso, si può dire che la gobba di muscoli che lo caratterizza cresca insieme a lui, come se fosse la più esatta misura della sua ambizione.
Belotti ricorda di aver ereditato il soprannome e l’esultanza del “Gallo” dall’abitudine che aveva, da piccolo, di inseguire i galli nel pollaio di sua zia (ironicamente, è facile immaginarlo mentre li acchiappa con quella postura un po’ curva che ha oggi). Adesso che ha smesso, di mestiere insegue i difensori fino a farli accartocciare su se stessi, convinto che questo possa aiutarlo a realizzare i suoi sogni. Che presto coincideranno con quelli di Ventura, e con quelli dell’Italia intera.