Scrivere di Ben Simmons è allo stesso tempo una delle mie più grandi gioie e una delle mie esperienze più dolorose. Poche volte ho dovuto passare così tanto tempo seguendo un giocatore in grado di stressare in tal modo le mie capacità critiche e di comprensione del gioco del basket. Un esercizio sano di riflessione sulla particolarità di un giocatore assolutamente unico in ogni suo aspetto, ma che può rapidamente scivolare nell’ossessione compulsiva di scartabellare ogni mattina i tabellini come fossero cartelle cliniche e attraversare tutto lo spettro di emozioni, dall’euforia alla frustrazione e viceversa, ogni 24 secondi. Forse è per un istinto di protezione che abbiamo quindi deciso di descriverlo usando solo il bianco e il nero invece che l’intera tavolozza dei colori. Forse ci siamo fissati così tanto sulla forensica della sua meccanica di tiro o alla sua convivenza con l’altra superstar dei Philadelphia 76ers, Joel Embiid, perché non riusciamo ad afferrare la sua complessità.
In realtà il nativo di Melbourne è davvero un giocatore figlio di questa NBA, perché un talento così polarizzante che non può essere ridotto a modelli precompilati. E non è un discorso solamente di incostanza: Simmons sfida quotidianamente le nostre certezze su come bisognerebbe giocare a basket nel 2020 sottoponendoci alternative così radicali da metterci in guardia. Ci saremmo mai aspettati un playmaker di 2 e 08 che non ha idea di come si tiri un pallone? Forse no, ma non ci saremmo mai aspettati neanche Baby Yoda. Entrambe le cose sembrano funzionare.
È indubbio che Simmons sia un giocatore di successo in NBA. La prima scelta assoluta del Draft 2016 è ormai al suo quarto anno ed è una delle facce giovani più riconoscibili anche al di fuori dalla Pennsylvania. Il primo lo ha saltato interamente per infortunio; nel secondo ha vinto il premio come Rookie dell’Anno (con una serie di battute da bar che ancora ci rincorrono); l’anno scorso è stato selezionato come riserva per l’All-Star Game diventando il primo australiano a giocare nella partita delle stelle; quest’anno è chiamato a guidare una squadra che si affaccia come una delle contender più serie a Est.
Dopo aver frullato per l’ennesima volta il proprio roster durante l’estate, Philadelphia ha iniziato questa stagione con grandi aspettative e altrettanto grandi punti di domanda. La tenuta fisica di Embiid, l’età di Al Horford, i soldi dati a Tobias Harris, le responsabilità con la palla in mano di Josh Richardson, la lunghezza della panchina, i disegni sulla lavagnetta di Brett Brown: sono tutte questioni lecite alla quali i Sixers dovranno trovare una soluzione se vogliono davvero arrivare in fondo. Ma nessuna di queste ha il peso dell’interrogativo che ha trasformato gli appassionati di basket statunitense in veri e propri investigatori dell’occulto. Stiamo ovviamente parlando della sfibrante ossessione verso il tiro di Simmons, monitorata come la corsa agli armamenti durante la Guerra Fredda. Solo che il jumper da fuori del play dei Sixers non avrebbe avuto alcun effetto deterrente, ma piuttosto sarebbe diventata l’arma finale che avrebbe consentito a Philadelphia di sconfiggere una a una tutte le potenze nemiche.
Ora: tutti sapevamo quanto fosse implausibile che Simmons - che non solo non aveva mai segnato un canestro da dietro l’arco in due intere stagioni NBA, ma neanche lo aveva tentato (se non qualche preghiera a fil di sirena) - sarebbe diventato in un’estate di lavoro matto e disperatissimo un tiratore competente da fuori. Ma ci siamo convinti che l’unico modo per quantificare il talento di Simmons fosse contare con le dita quanti palloni finivano dentro la retina nei video che giravano online.
Le tue strane inibizioni non fanno parte del sesso.
Con questo non voglio sminuire l’impatto che avrebbe la capacità di Simmons di essere un tiratore affidabile in un attacco a metà campo. Cerco solo di essere realistico sui risultati a breve termine di un non-tiratore - facciamo finta che quel canestro nella gara casalinga contro i New York Knicks fosse un glitch nella memoria dei presenti al Wells Fargo Center - che a questo punto della sua carriera è poco sopra il 50% ai liberi.
Selezione di tiro
Ci sono altri modi attraverso i quali il talento di Simmons può migliorare i Sixers, e Brett Brown deve trovare il modo di affinarli prima che arrivino i playoff. In una squadra che ha un disperato bisogno di trovare una chimica competitiva nel minor tempo possibile, Simmons è il reagente da miscelare con più cautela.
Per questo motivo il suo Usage Rating è il più basso da quando ha messo piede su un parquet NBA e di conseguenza tutti i suoi numeri hanno subito una lieve flessione. È ancora terzo in NBA in assist (8,4 a partita) dietro LeBron James e Luka Doncic, ma sta cercando altri modi per impattare una partita senza che sia necessariamente mettere la palla nel canestro. Per ora il suo uso in attacco non ha avuto cambiamenti netti rispetto alla scorsa stagione e, tranne quella Cometa di Halley contro i Knicks, non si sono visti i progressi sperati al tiro. Soprattutto Simmons non dà ancora l’idea di voler tentare la conclusione, anche con il rischio di fare una figuraccia: una situazione davvero strana se pensiamo che le uniche due conclusioni pulite prese finora in carriera sono finite senza problemi sul fondo della retina.
Visto che ho già fallito il mio scopo di parlare di Simmons senza analizzare ogni movimento delle sue falangi e falangine, cercherò di soffermarmici il meno possibile. Tutti i Sixers, dal coaching staff ai suoi compagni, sono concordi nel sostenere che Ben dovrebbe tirare di più, specialmente dagli angoli. Dovrebbe farlo. Punto. Probabilmente a questo punto è più una questione mentale che tecnica. È come se l’interesse principale di Simmons in questo scorcio di stagione sia quello di forzare il meno possibile e di mettere in condizione i compagni di squadra, soprattutto quelli appena arrivati, di trovare il proprio ritmo offensivo.
Concettualmente non è sbagliato: sono altri i giocatori in maglia Sixers a doversi prendere certi tiri. Empiricamente il suo stazionare sempre nel dunker spot non solo uccide le spaziature per le penetrazioni a canestro, ma permette anche raddoppi facili sui possessi in post basso (Phila guida la NBA in questa soluzione). Il coaching staff di Phila sta cercando di renderlo attivo quando si appiattisce sulla linea di fondo, ad esempio utilizzandolo come bloccante lontano dalla palla per liberare l’uomo in angolo quando Embiid viene raddoppiato in post. Una soluzione interessante ma ancora tutta da affinare, specialmente perché Embiid non si è ancora dimostrato il passatore più disponibile in quelle situazioni di gioco. Simmons non dovrebbe tirare di più, dovrebbe semplicemente convertire gran parte dei tiri dalla media distanza in triple dall’angolo. È già estremamente selettivo sulla scelta di tiro a metà campo, ma un ulteriore razionalizzazione lo aiuterebbe a rialzare le percentuali di questa stagione.
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Capisco l’entusiasmo del SMM dei Sixers che deve smerciare contenuti positivi, ma questi tiri sono esattamente quelli che Ben dovrebbe evitare completamente di prendersi.
Pochi minuti dopo questo canestro, tenterà lo stesso movimento mancando il ferro di quasi un metro. Non serve Daryl Morey in questo caso, basterebbe Marie Kondo. Per ora gli unici tiri che Simmons si prende lontano dal pitturato sono contorcendosi e cadendo all’indietro. Sostituirli con tiri in equilibrio, magari da dietro l’arco, preferibilmente dagli angoli, è una sfida che Brett Brown e il suo coaching staff devono vincere.
I problemi di Simmons in avvicinamento a canestro
Simmons è molti giocatori in un solo corpo. Quando è in transizione è un portatore di palla che si mangia il campo come volasse nell’iperspazio; quando è a metà campo è un lungo dinamico senza dimensione perimetrale. Nelle altre occasioni è un ibrido tra i due, galleggiando lontano dalla palla per poi sfruttare le fessure della difesa per arrivare al ferro, con o senza la palla. In una squadra in cui molti necessitano di tanti tocchi in attacco, Simmons deve massimizzare ogni sua iniziativa che si conclude con il tiro.
Uno dei difetti più evidenti - e al quale in tre anni ancora non ha ancora trovato una soluzione - è rappresentato dalla difficoltà a inserire un palleggio in più nelle sue penetrazioni verso canestro. Troppe volte raccoglie il pallone appena dopo la linea dei tre punti e, nonostante i lunghissimi passi, i tiri sono sempre in piena estensione contorcendosi come se fosse in una gabbia invisibile. Per questo motivo, anche se il volume dei tiri presi al ferro (67% di quelli totali) è in linea con la scorsa stagione, la percentuale sta calando pericolosamente (71% nel suo anno da rookie, 67% lo scorso anno, 65% in questa). Inoltre questa sua indisposizione ad arrivare comodo e rilassato all’appoggio a canestro lo forza a molti tiri appena fuori dal semicerchio, che sta sbagliando con sconcertante regolarità (17/60). Un’inefficienza dovuta in parte alle spaziature da ingorgo autostradale dell’attacco di Phila, ma sulla quale incide anche la mancanza di tocco dell’australiano.
Quando ha lo spazio per attaccare un difensore poco mobile riesce ad arrivare nei pressi del ferro con facilità ma non sempre converte in equilibrio e con tocco.
Più a suo agio a finire con la mano destra piuttosto che la sinistra pur essendo nominalmente mancino, Simmons è molte volte indeciso quando attacca il ferro e questa confusione genera tiri fuori equilibrio che non aiutano la scarsa sensibilità della mano sul rilascio. È davvero paradossale considerando l’altissima sensibilità che hanno i suoi polpastrelli quando si tratta di fare qualsiasi altra cosa che non sia tirare, ma il tocco di Simmons è mediocre e questo condiziona anche la sua creatività nel finire a canestro.
Tali difetti condizionano anche il suo sviluppo da rollante, una soluzione che i Sixers vorrebbero inserire nel loro attacco a metà campo seguendo l’antico proverbio “se non sa tirare, fatelo bloccare”. Simmons ha tutte le caratteristiche per essere un bloccante dinamico grazie alla sua taglia fisica, l’esplosività in brevi passi e un eccellente controllo del corpo. È però ancora molto indietro nel predisporre il proprio corpo per accettare il contatto fisico, e la maggior parte delle volte lo evita del tutto per scivolare un attimo prima di prendere l’avversario. La ritrosia ad accettare di essere toccato da un altro essere umano - tipica dei Millennials e di chi non vuole tirare i liberi - lo rende poco efficace come lungo dinamico che gioca a ridosso del ferro e riduce i suoi possessi a favore di una macchina da contatti e liberi come Embiid. Nonostante questo, Simmons guida comunque tutte le guardie in screen assist (4.3), a dimostrazione di come esista un potenziale ancora tutto da sfruttare.
L’eccezionale versatilità difensiva di Ben Simmons
Quando durante il Media Day dei Sixers Ben Simmons aveva dichiarato che a fine anno avrebbe voluto vincere il premio di Miglior Difensore, in molti avevano preso l’affermazione con la leggerezza che appartiene alle conferenze stampa di inizio stagione. Invece Simmons ha preso il suo compito con molta più serietà di quanto fosse possibile credere inizialmente e sta trovando un grande orgoglio personale nel rendere impossibile la vita a qualsiasi avversario si trovi davanti. Che sia un playmaker con punti nelle mani, un lungo che ama sostare nel pitturato o un esterno con velleità offensive, Simmons è equipaggiato per dare battaglia a tutti. La sua versatilità nel difendere contro ogni tipo di attaccante lo rende un jolly comodissimo che Brett Brown può giocarsi ogni qualvolta debba spegnere un avversario troppo caldo. Simmons passa più del 50% dei possessi difensivi sulla point guard o sulla shooting guard avversaria, un netto cambiamento rispetto al 39% dello scorso anno. Un segnale di come la sua efficienza al punto d’attacco sia notevolmente cresciuta: secondo il modello statistico RAPTOR di FiveThirtyEight, il suo apporto difensivo vale 2.4 punti su 100 possessi.
https://twitter.com/jackfrank_jjf/status/1201290235541213184
Già negli scorsi playoff le qualità difensive di Simmons erano emerse quando aveva ricevuto il compito di fermare i playmaker di Brooklyn ed era stato il più ostico marcatore di un Kawhi Leonard in missione, battagliandolo fino agli ultimi quattro rimbalzi sul ferro che hanno cambiato la storia di Sixers e Raptors. Ora ha portato tutto il suo strapotere fisico e mentale a un livello ancora superiore, esaltandosi sia nella difesa di squadra che in quella individuale.
Forza, lunghezza, rapidità, capacità di leggere la situazione e intelligenza tattica sono ingredienti fondamentali per essere un difensore di alto livello, e Simmons riesce a coniugarli con estrema naturalezza. La mobilità orizzontale e la lunghezza delle braccia, unita a un ottimo equilibrio, gli permettono di rimanere davanti a giocatori più piccoli e rapidi di lui, per poi togliergli angoli di passaggio grazie al maggiore altezza. La sua stazza fisica poi gli permette di tenere botta quando si trova a dover cambiare su un lungo, usando bene la sua base inferiore per assorbire gli urti e allo stesso tempo togliere il ritmo all’attaccante. Ora che ha maggior consapevolezza del suo corpo accetta più volentieri la fisicità del gioco NBA, andando a cercare lui stesso il contatto con l’avversario non permettendogli di prendere la posizione che predilige. I Sixers evitano di cambiare spesso sui giochi a due che coinvolgono Embiid per permettere al camerunense di rimanere a protezione del ferro, ma se Simmons dimostrerà di saper gestire anche gli avversari in post, Philadelphia potrà essere più aggressiva nelle proprie scelte difensive, specialmente quando sarà in campo con il quintetto “piccolo” (si fa per dire).
Ma il vero salto di qualità Simmons l’ha fatto quando chiamato a intervenire lontano dalla palla, usando la sua rapidità di pensiero e azione per sporcare ogni traiettoria del pallone. Se il suo diretto marcatore non è coinvolto attivamente nell’azione, Ben vola sul campo e sabota l’attacco avversario, costringendolo a buttare palloni su palloni. Forzare palle perse per scatenarsi in contropiede è una necessità per l’attacco asfittico a metà campo dei Sixers e Simmons, protetto da una linea secondaria di difesa di alto livello, si è assunto la responsabilità di conquistare quanti più extra-possessi possibili.
Simmons quando decide che la palla la vuole avere lui.
Se l’anno scorso la sua applicazione andava e veniva, in questa stagione ha deciso di alzare decisamente l’intensità e anche i numeri danno ragione alla impressione visiva: Simmons è primo per palle rubate in totale (46) e a partita (2,4), nonché secondo per deviazioni e quarto per palle vaganti recuperate. Appena poi riesce a mettere mano sul cuoio arancione riparte velocissimo verso il ferro avversario, situazione di gioco nella quale eccelle.
Non tutte le palle recuperate però hanno lo stesso peso specifico. In alcuni casi sono determinanti per il risultato di una partita esattamente quanto un canestro sulla sirena. Lo sanno bene i Knicks e i Pacers, che hanno subito la stessa sorte a poca distanza gli uni dagli altri. Con New York a due possessi di distanza e con 75 secondi da giocare, sulla rimessa laterale effettuata da Frank Ntikilina all’altezza del tavolo dei segnapunti Simmons è riuscito a rimanere a contatto con RJ Barrett per poi mandarlo fuori equilibrio, spostandolo con il corpo mentre con la mano esterna intercettava il passaggio, tenendo la palla in campo e sgusciando via per l’enfatica schiacciata a due mani che ha chiuso la contesa. Un gesto complicatissimo da eseguire per la quantità di azioni da svolgere in tempo brevissimo e reagendo al volo alla situazione, ma anche il perfetto esempio che descrive tutte le caratteristiche di Simmons - tanto da diventare quasi la sua signature move.
Ventiquattro ore dopo, nella sfida contro Indiana, dopo aver recuperato un pallone sullo scarico incauto di TJ Warren e regalato una schiacciata a Tobias Harris per riportare Phila davanti di uno, su una rimessa laterale identica a quella di New York è riuscito a entrare all’interno della spalla del ricevitore, a toccare una prima volta la palla e poi, come un gatto con un gomitolo, a smanacciarla verso i suoi compagni di squadra mentre si accomodava sul tavolo dei commentatori. Ha poi intercettato anche l’Hail Mary dei Pacers per la terza palla rubata negli ultimi 14 secondi di gioco: un modo decisamente spettacolare e redditizio per alzare le proprie statistiche.
La difficile convivenza con Embiid
La convivenza tra Simmons e Embiid è l’aspetto più scrutinato dopo il suddetto tiro da tre ed è il vero ossimoro del Process dei Sixers. Poche volte nella storia ci sono state delle coppie così giovani e così piene di talento alle quali è stato imposto di lottare per il titolo prima ancora di affacciarsi al loro prime o di essersi tolte tutte le soddisfazioni individuali. Una coppia di giocatori unici ognuno a suo modo, che hanno dovuto costruire un’intesa prima ancora di sviluppare una propria identità. Se Simmons è un playmaker atipico nel suo distruggere ogni convenzione, Embiid sta tentando di far tornar di moda i post-up con la sola imposizione del suo talento. La relazione è sottile, dibattuta fino all’estremo tanto da far tornare a intervalli regolari la richiesta di trade per uno dei due.
In realtà questa convivenza è stata più proficua di quanto la narrazione voglia convincerci. Con Embiid e Simmons in campo Philadelphia è costantemente una delle migliori squadre della lega e anche quest’anno, a roster rivoluzionato, il quintetto base dei Sixers è il migliore per Net Rating (+21.3, secondi i Bucks a +20.4). Certo, le spaziature tra i due saranno sempre traballanti finché uno dei due non solo diventerà un tiratore affidabile piedi a terra, ma un tiratore dinamico capace di costruirsi il proprio tiro dal palleggio. Ma diciamolo già chiaramente: questa rimarrà nei desideri più inconfessabili di qualche membro della Mike Scott Hive.
Elton Brand negli ultimi 18 mesi sta provando a trovare il giusto supporting cast scambiando figurine come se fosse ancora nel cortile di una scuola elementare. Le aggiunte di Harris, Horford e Richardson risolvono molti problemi ed alzano di molto le aspettative della squadra, ma allo stesso tempo lasciano scoperti lembi di campo che verranno attaccati senza pietà quando arriveranno i playoff. Ma questa è l’NBA: da qualche parte la coperta la devi tirare. Poi sta ai tuoi migliori giocatori trovare il modo di rimboccarla senza prendere freddo.
Ben e Joel al loro meglio, quando possono dividere il campo in settori senza finire a pestarsi i piedi a vicenda.
E a Simmons ed Embiid si chiede esattamente questo, di aggiustare una relazione non perfetta e di farla funzionare ugualmente. Quando i due giocano insieme Philadelphia ha un Net Rating decisamente positivo (+11.5) e poche squadre possono pareggiare il loro impatto fisico se decidono di alzare il livello di intensità. Sono un tandem difensivo che può intimorire qualsiasi tipo di avversario, sia sul perimetro che a protezione del ferro, e in attacco sfibrare le difese martellando il tabellone ed andando costantemente in lunetta. Se imparassero a gestire meglio il pallone, la loro efficienza offensiva farebbe un salto in avanti enorme. Le palle perse sono una costante di questo inizio di stagione dei Sixers (terzi con 16.7 a partita) e l’incubo che tiene svegli gli assistenti di Brett Brown la notte. Alcune di queste sono fisiologiche in un sistema che abbraccia il caos come scala per arrampicarsi fino alla vittoria, mentre altre sono da imputare alla mancanza di un vero ball-handler di livello.
Simmons non è un playmaker che ama tenere la palla in mano, anzi: nell’attacco dei Sixers spesso la consegna a un suo compagno per iniziare l’azione. Lo scarso utilizzo del pick and roll di Philadelphia rende inutile avere un giocatore che domina il pallone, quindi Simmons deve trovare altre soluzioni per essere pericoloso in attacco. Questo però non lo limita come passatore: se è vero che eccelle in situazioni dinamiche, cioè quando può esplodere in campo aperto e trovare il compagno libero, anche in semi-transizione o nei primi secondi dell’attacco sa usare lo spazio che gli viene lasciato per conquistare vantaggi. Quando però il cronometro entra in singola cifra e la palla esce dalle sue mani, Phila ha pochi decision makers in grado di prendersi cura del possesso. Sia Harris che Embiid sono molto lenti e macchinosi quando gli viene richiesto di fare letture complesse, i risultati a volte raggiungono l’effetto comico involontario.
Poi ci sono anche i momenti nei quali Simmons decide di scollegare il joystick e perdere ogni tipo di collegamento tra lui e la realtà, ma è il lato oscuro di un giocatore costretto sempre a giocare a mille all’ora per massimizzare le proprie qualità. Specialmente in una squadra che, mentre lui corre, spesso cammina. Simmons è a suo agio quando il parquet si trasforma in una discesa da fare con i rollerblade e senza caschetto; Embiid quando la partita diventa un duello all’arma bianca dove il primo che trema perde. A volte le relazioni più fruttuose sono quelle dove i compiti e gli spazi sono divisi secondo le predisposizioni dei due partner. A volte quando si vince. I tifosi dei Sixers preferirebbero la seconda ipotesi.
Il contesto nel quale deve calarsi Ben Simmons
Le aspettative di Philadelphia entrando in questa stagione sono decisamente alte e, sebbene serva incastrare un puzzle da 1000 pezzi tutti diversi, non così assurde. Certo, molto dipenderà da quanto le due giovani superstar sapranno raggiungere un nuovo livello, superando le molte idiosincrasie che hanno fin qui caratterizzato la loro carriera. In particolare Simmons dovrà dimostrare di essere davvero migliorato, aggiungendo qualcosa al suo gioco in attacco. A volte sembra che non sia ancora riuscito ad ampliare le soluzioni con le quali è entrato in NBA, creando dubbi nella sua effettiva etica lavorativa. Ben deve ancora dimostrare di avere quel potere che ti rende un vero fuoriclasse: quello di aggiungere ogni anno qualcosa di diverso per rimanere sempre un passo avanti agli altri.
Nonostante sia un giocatore che definisce il sistema dentro il quale vuole giocare, Ben Simmons è ancora a un punto del suo sviluppo nel quale non riesce però a dominarlo effettivamente. Questo tipo di giocatori solitamente per funzionare con la massima efficienza deve essere posizionato al centro di un sistema solare copernicano, come Giannis Antetokounmpo ai Bucks o Nikola Jokic ai Nuggets. Simmons non ha questo lusso perché non ha ancora dimostrato di meritarlo e perché giocoforza si è sempre trovato in squadra con compagni troppo forti per essere sacrificati nel tentativo di creare un parco giochi per lui. E, al netto di stravolgimenti epocali che coinvolgano il global warming e l’acqua alta, è difficile prevedere che le cose cambino nei prossimi tempi. Anzi, per la prima volta il nucleo di Philadelphia è sotto contratto per due stagioni complete e si giocherà le proprie chances di titolo, qualunque esse siano.
Non potendolo modellare attorno a sé, Simmons dovrà quindi adattarsi al contesto, riuscendo ad imprimere il proprio carattere senza condizionare eccessivamente i suoi compagni. Dovrà gestire i cali di tensione e concentrazione che manifesta troppo spesso durante le partite e diventare il vero leader di Philadelphia. Ma come diceva Yoda per i Sixers questa stagione c’è fare o non fare, non esiste provare. E, per quanto Baby Yoda sia una delle creature più tenere mai apparse nella nostra vita, anche per Simmons è arrivato il tempo di crescere.