Conosciamo Benzema, uno dei migliori attaccanti al mondo da più di 10 anni, come un giocatore completo, in grado di segnare in mille modi diversi ma anche di influenzare la fase offensiva del Real Madrid con i suoi movimenti, galleggiando sulla trequarti per offrire una linea di passaggio o cercando la profondità per spezzare le difese avversarie. Tuttavia niente ne sintetizza la grandezza come ciò che può fare dopo il primo controllo. Benzema, che è praticamente ambidestro, ha una pulizia tecnica che gli permette di manipolare il difensore avversario fin dal primo tocco: può accarezzare il pallone davanti a sé con l’interno e con l’esterno per attirare la pressione, può nasconderlo con la suola o minacciare qualsiasi tipo di giocata. Gli avversari sanno che non possono rischiare nulla quando il francese ha il pallone tra i piedi.
Benzema ama scegliere soluzioni diverse perché possiede soluzioni diverse. Ha una conoscenza enciclopedica del gioco del calcio, forgiata nei campetti di Lione prima, nell’accademia del Lione poi e infine giocando per oltre un decennio nel Real Madrid, dove ha trovato compagni e allenatori tra i migliori al mondo che gli hanno permesso di sviluppare una sensibilità per il gioco che non ha paragoni tra i centravanti di tutto il mondo. La sua anima da rifinitore gli permette di essere utile al Real Madrid in tantissime situazioni diverse: Benzema può ordinare la squadra in campo, scegliere cosa è meglio. Tutti possono provare a fare la prima cosa che gli viene in testa con l’illusione che, giocando velocemente la palla, si possa aiutare la manovra, ma non basta vederlo, bisogna anche saper farlo.
Prendiamo ad esempio l’azione più famosa della sua carriera al Real Madrid, quando ha manipolato da solo tutta la linea difensiva della squadra più attenta all’ordine e all’equilibrio tattico della storia recente della Champions League, durante il ritorno delle semifinale della Champions League del 2016/17 contro l’Atletico Madrid. Con la squadra in svantaggio di due gol, dopo l’ennesimo movimento ad uscire per chiamare a sé il centrale e liberare spazio per i compagni nella fascia centrale del campo, Benzema riceve il pallone al lato dell’area di rigore. È spalle alla porta e al centro dell’area di rigore non ci sono compagni, decide quindi di temporeggiare, dare la pausa alla manovra. Per farlo deve inizialmente proteggere il pallone dalla marcatura di Savic, ma subito arriva il raddoppio di Godín che gli chiude la linea di passaggio verso il centro e lo costringe ad andare verso la linea laterale. Benzema a questo punto ha solo una via d’uscita: dopo aver spostato il pallone con l’interno del piede destro, sposta il baricentro verso il lato libero e con l’esterno sempre del piede destro cambia improvvisamente direzione dirigendosi verso la linea di fondo.
Arriva a triplicarlo anche un terzo difensore, Giménez, e quindi Benzema si trova col pallone tra i piedi, il corpo che tocca la linea di fondo e la necessità di saltare tre avversari in un fazzoletto per entrare in area di rigore. Sappiamo bene come è finita: Benzema li supera tutti e tre con quella finta che in Spagna chiamano croqueta (crocchetta) resa celebre da Laudrup prima e Iniesta poi, in cui si fa passare il pallone tra i due interni del piede così da dargli velocità e spingerlo oltre l’avversario prima dell’intervento. Benzema ne fa due consecutive in uno spazio strettissimo per superare prima Savic e poi Giménez, così da poter entrare liberamente in area di rigore.
Il successivo passaggio è un delizioso tocco con l’esterno del piede per l’accorrente Kroos che può calciare di prima da buona posizione. Il tiro del tedesco viene respinto da un grande intervento di Oblak, che però nulla può sul successivo tap-in di Isco. «È la cosa più bella che ho fatto in Champions League? Per come vedo il calcio, sì; ma forse non come lo vedete voi, se dite che non è stato considerato come gol o come assist. Per i giornalisti di oggi, ciò che conta sono le statistiche». Effettivamente l’azione di Benzema può essere raccolta dal punto di vista statistico come un dribbling riuscito e un passaggio chiave, quello che porta al tiro di Kroos, ma niente di più. Dei numeri con cui si parla normalmente degli attaccanti a fine stagione (gol e assist) non rimane nulla. Eppure questa è l’azione che porta in finale il Real Madrid (che all’andata aveva vinto 3-0, ma che come detto era sotto 2-0 al momento del gol) e rimane quella più riconoscibile della sua carriera, anche perché è quella che racconta meglio la capacità quasi soprannaturale di Benzema nell’essere elegante e pratico allo stesso tempo.
Non è un caso se anche l’azione più importante, finora, della sua stagione sia in qualche modo simile. Su un lungo cambio di campo di Marcelo verso l’area di rigore, Sergio Ramos è il primo ad arrivare, il suo colpo di testa è alto e lento e il taglio in area di Benzema sembra ben controllato dal marcatore, che si trova tra il francese e la porta dopo il controllo di petto. Benzema non può quindi girarsi e calciare, ma deve pensare a proteggere il pallone con il corpo rivolto verso la linea di fondo. Senza mai girare la testa verso il centro dell’area però Benzema attende il rimbalzo del pallone e al momento giusto lo colpisce di tacco.
Eccolo qui, l’attesa del momento giusto, la pausa in cui tutto si ferma prima del gesto decisivo che sblocca la manovra. Il tacco di Benzema è di una difficoltà tecnica incredibile: per far passare il pallone tra le gambe dell’avversario deve incrociare prima la gamba sinistra con un movimento coordinato come un passo di danza. Il povero Bernardo Espinosa, concentrato sul tenere la posizione per spingere l’avversario verso l’esterno, si ritrova il pallone che gli passa sotto le gambe senza che possa neanche avere il tempo di reagire, gira la testa quando è già andato e fa giusto in tempo a vedere il tiro di Casemiro, che intanto aveva tagliato da fuori verso il centro dell’area piccola. È il gol vittoria per un Real Madrid imbattuto da quando la Liga è ripresa, che con la striscia positiva ha prima raggiunto e poi superato il Barcellona in testa alla classifica, fino alla vittoria del campionato arrivata ieri grazie a una vittoria per 2-1 contro il Villarreal (grazie a una doppietta del francese).
Davanti ai microfoni Benzema spiega l’azione come normale manifestazione del suo talento: «Mi riescono le cose. Vedo il calcio in questo modo, sapevo che sarebbe arrivato dietro di me». Casemiro svela invece quello che la televisione non mostra, ovvero che Benzema non aveva visto il suo taglio, ma ne aveva sentito la voce: «Sapendo come gioca, con la qualità con cui gioca, ci siamo abituati. Mi ha ascoltato, gliel’ho chiesta nello spazio. Il gol è di Karim. Il colpo di tacco è un assist incredibile». Neanche Zidane era particolarmente sorpreso: «Al contrario, è un giocatore che inventa cose in campo. Il controllo, il colpo di tacco».
Le parole di Benzema però hanno sempre una venatura di rivalsa, perché se tutti adesso sono disposti a riconoscerne in modo indiscutibile il posto tra i migliori giocatori al mondo, non è perché con il tempo il calcio di Benzema abbia realmente conquistato tutti, ma perché nelle ultime due stagioni il suo apporto in termini di gol non è più questionabile: «Come devono ammettere anche i campioni riguardo la praticità del proprio talento, devo dire che sono stati solo i numeri (i gol che valgono punti), e non il suo gioco intelligente e fine, quello che ha generato il riconoscimento generale». Scrive così Valdano di Benzema nel suo libro Il gioco infinito. La carriera di Benzema al Real Madrid ha conosciuto nel rapporto con l’opinione pubblica madridista diverse fasi, negative ogni volta che il numero dei gol è sceso troppo in basso. È stata questa la sua colpa in Spagna, mentre in Francia veniva criticato soprattutto per i problemi fuori dal campo.
Benzema ha specificato più volte che il suo gioco non è legato esclusivamente al gol, nonostante il numero 9 dietro la maglia e la posizione in campo come attaccante centrale del Real Madrid da più di dieci anni.
Anche davanti ai microfoni in conferenza stampa per il suo ultimo rinnovo di contratto si è parlato del suo rapporto con il gol, in un momento in cui segnava poco: «Dipende da come vedi il calcio. Un attaccante non è solo il gol, deve partecipare, creare gli spazi, fare assist… Capisco la critica, però io ho un’altra visione del calcio. Voglio segnare di più, chiaramente, però l’importante è la squadra e si deve fare altro. Una punta moderna deve saper passare, muoversi senza palla, segnare e fare assist». Questo giustificare la propria natura di attaccante che gioca e fa giocare, rispetto alla dimensione classica di finalizzatore è un tema che lo accompagna da sempre.
Il suo idolo da bambino era Ronaldo il Fenomeno, e paradossalmente anche di lui ci si dimentica spesso la capacità di giocare lontano dall’area di rigore, mentre ci ricordiamo la miriade di gol dribblando tutti, portiere compreso. Ronaldo era un attaccante completo ed è con quella idea di gioco che è cresciuto Benzema. Eppure nel suo documentario “Le K Benzema”, per esempio, c’è una scena in cui parla col padre mentre passeggiano per il centro sportivo del Lione. Benzema racconta che i genitori dei suoi compagni si mettevano dietro la linea laterale, mentre il padre si posizionava sempre dietro la porta avversaria: «Venivo a tutte le partite, a tutte. L’unica cosa che dicevo era che dovevi segnare, niente di più. “Forza tira! Tira! Tira! Forza segnalo! Non la passare dai, andiamo.”» Solo negli ultimi anni, confessa Benzema, il padre ha iniziato a fargli qualche complimento. Benzema vede il calcio fuori dai canoni classici del suo ruolo, ma al contempo ha sempre vissuto con la pressione esterna del dover, principalmente, fare gol.
Questa scontro di percezioni ha quasi portato alla rottura tra giocatore e ambiente. Il rinnovo di contratto con il Real Madrid è stato un passaggio più complicato di quanto ci sia sembrato da fuori. Nell’estate 2017, la stessa dell’azione contro l’Atlético per esempio, sembrava fatto il passaggio all’Arsenal, stanco forse delle tante discussioni sulle sue capacità di finalizzatore. Neanche le parole di Zidane lo avevano persuaso a rimanere al Real Madrid, che aveva appena vinto la sua seconda Champions League consecutiva. Va detto che Zidane l’ha sempre difeso apertamente, anche quando il gol non arrivava e il suo ruolo sembrava solo quello della spalla di Cristiano Ronaldo: «Non devo convincere la gente. C’è chi sa di calcio e sa che Karim è molto forte», coccolato e guidato in allenamento o fuori dal campo. Quando gli chiedono se si sente il cocco di Zidane Benzema ammette che in fondo tra i due c’è un canale speciale, che però non significa preferenziale: «Per niente, che abbiamo un canale di comunicazione non significa nulla. Anche se è come se fosse mio fratello maggiore e anche se posso parlare con lui nel suo ufficio, so molto bene che se non sono in forma non gioco. Bisogna stare al massimo e dare tutto per giocare per lui».
Benzema con il Real Madrid aveva però vinto tutto e un cambiamento sembrava quasi naturale anche per la “Casa Blanca”. Non erano così infondate, in questo senso, le voci di un interessamento per Lewandowski, che ovviamente avrebbe portato conseguentemente al suo addio. Da quel che si sa, ad avere un peso decisivo nel portare Benzema a scegliere di rimanere è stato il padre, una figura non sempre in vista ma che ha avuto e continua ad avere una grossa influenza. Hafid Benzema, che l’aveva già rimproverato quando si lamentava del trattamento di Mourinho perché secondo lui avrebbe dovuto rispondere con le prestazioni e non con le parole, al telefono gli dice che se davvero si sentiva il miglior attaccante al mondo allora non avrebbe avuto senso lasciare quella che era la migliore squadra al mondo.
Che sia vero o meno, quel che è certo è che il picco della carriera di Benzema è arrivato proprio dopo quell’estate e quel rinnovo. Proprio nel momento in cui aveva accettato il suo ruolo da rifinitore (nella stagione successiva, la 2017-18, chiuderà la Liga con solo 5 gol in Liga, di cui 2 su rigore, ma ben 11 assist), succede che Cristiano Ronaldo decide di cambiare aria mettendolo al centro del nuovo progetto tattico di Zidane, complice anche il declino di Modric, l’arretramento di Kroos, l’esclusione di Bale e la discontinuità di rendimento di Isco e della nuova stella Hazard. La somma di questi fattori ha spinto Zidane a lavorare su una versione diversa del suo Real Madrid precedente, quella del ciclo delle tre Champions League consecutive - una versione in cui le responsabilità offensive di Benzema sono aumentate. Includendo per esempio non solo il compito di lavorare lungo tutto il fronte offensivo per il suo solito lavoro di raccordo tra centrocampo e attacco, ma anche quello di essere il principale finalizzatore della manovra in area. Benzema quindi non deve soltanto ordinare la squadra nella trequarti offensiva ma anche essere quello che arriva alla conclusione al termine dell’azione.
La risposta di Benzema alle richieste di Zidane è stata all’altezza. L’attaccante francese, che quest’anno compie 33 anni, ha iniziato a lavorare tantissimo per migliorare la propria condizione fisica, evitando le serate fuori, prestando più attenzione ai cicli del sonno, perdendo 6 chili rispetto a due anni fa. Ma anche per diventare sempre più leader in campo, aumentando per esempio l’espressività in campo per guidare i più giovani - come Vinicius, a cui spesso indica con il braccio la zona del campo in cui dovrebbe stare. «Senza ombra di dubbio Benzema è quello che mi ha aiutato di più da quando sono arrivato al Real Madrid», ha dichiarato Vinicius, «Ogni volta che giochiamo insieme, mi ricorda di rimanere calmo e concentrato. C'è stata una partita contro l'Atlético quando ho perso il possesso e abbiamo concesso un gol. Benzema mi ha parlato del cambio di posizione per alcuni minuti, in modo da ricevere meno palla e ritrovare la fiducia per tornare in gioco. Lo abbiamo fatto e ha funzionato perfettamente».
Nelle ultime due stagioni Benzema è stato il miglior giocatore offensivo del Real Madrid a mani basse, partecipando direttamente a 78 tra gol e assist. Anche se a lui non piacerebbe parlare del numero di gol, ha chiuso come secondo miglior marcatore della Liga dietro Messi la scorsa stagione (21 gol) ed è il secondo miglior marcatore della Liga dietro Messi anche in questa (21 gol). Ma al di là del momento contingente, ciò che più importa è che Benzema è diventato il protagonista principale di questo Real Madrid e uno dei più importanti di tutta la storia della “Casa Blanca”. In questa stagione ha raggiunto i 248 gol (in 511 presenze) ed è diventato il quinto marcatore di sempre del Real Madrid, superando Puskas. Adesso davanti ha solo Santillana, Di Stéfano, Raúl e Cristiano Ronaldo. Il Pantheon del madridismo, insomma.
Ma Benzema, come lui stesso ama sottolineare, non è solo gol. Parlare solo dei suoi gol, per quanto decisivi o anche bellissimi - come quello al Valencia nella vittoria del 18 giugno in cui su di un cross basso da destra controlla il pallone col sinistro per sistemarselo per il destro al volo - significa scendere al ricatto psicologico che gli fece a suo tempo Mourinho quando lo soprannominò “il gatto”. La genesi del soprannome è quasi crudele, come racconta Valdano ne Il gioco infinito parlando proprio delle difficoltà che può incontrare un attaccante poco focalizzato sul gol come Benzema: «Quando arrivò Mourinho, uno di quegli allenatori che preferiscono i Diego Costa del caso ai Benzema, lo chiamò “il gatto”. Sappiamo tutti che i gatti sono della famiglia dei felini, come i leoni, le tigri, o le pantere, però a Mourinho interessava proprio che i gatti sono domestici, pacifici, inoffensivi. La cosa funzionava così: quando Benzema non segnava, Mourinho aveva ragione, è un gatto; e se Benzema segnava allora era perché Mourinho l’aveva aiutato a svegliarsi chiamandolo gatto. Ci sono persone che hanno sempre ragione». Rigirando la similitudine, si potrebbe però dire che il gatto è anche un animale elegante e pratico, due delle caratteristiche di Benzema, che ha usato in questi ultimi anni per brillare da prima stella.
A questo proposito, se si dovesse utilizzare una metafora per parlare di Benzema allora a mio avviso la più adatta sarebbe quella dell’orologio - una delle grandi passioni di Benzema. «Mi piacciono gli orologi. È diventata una specie di passione, ho imparato molto al riguardo negli ultimi anni», ha detto Benzema una volta, «Sono un grande fan dell'alta orologeria. Mi affascina vedere e comprendere i diversi meccanismi, i movimenti e i disegni». Ecco, è fin troppo facile fare un parallelismo tra i meccanismi di un orologio e quelli della manovra di una squadra. Più difficile, invece, vedere Benzema come un orologiaio - una figura certosina, cioè, esperto di meccanismi raffinatissimi e infinitesimali, che sa toccare con precisione per per rendere il tutto funzionante alla perfezione.
Il calcio di Benzema, in altre parole, è il più delle volte invisibile, va letto tra le righe. È la pausa dopo il controllo che gli permette di scegliere che azione compiere mentre tiene l’avversario alle spalle, in balia delle sue decisioni. È il momento in cui il tempo si ferma e tutti attorno rimangono a contemplarlo, in attesa della sua prossima mossa.
Il pallone è sempre sotto di lui, vicino a uno dei due piedi, mentre attende che i compagni possano sistemarsi. Chi in area, chi gli viene incontro per associarsi, chi va in profondità. Più avversari sono arrivati a circondarlo e meglio è, perché questo significa che si è liberato un compagno e si è venuta a creare un’altra linea di passaggio da poter scegliere - un’altra possibilità nel futuro dell’azione che sta conducendo. Un passaggio corto, un tiro a giro, un cross, un dribbling: cosa serve alla squadra in questo momento?