«Può fare tutto, l’importante è che non interrompa mai la camminata». Ci tiene a specificarlo Giuseppe Signori, l’inventore della “scommessa del buondì”, a chi il 9 settembre 2001 sta guardando Controcampo. Il buondì è una merendina golosa e leggera, come da claim, e per vincere la scommessa bisogna mangiarla tutta in trenta passi. A tentare la sorte quella sera era stata Luisa Corna, che del programma di Italia Uno era co-conduttrice. Mentre Signori contava i passi come fossero le monete d’argento di Giuda, si era capito che quella era una sfida impossibile. Alla fine della prova, tra le risate dei presenti, Sandro Piccinini aveva chiesto divertito «Ma è così difficile?». Non potendo parlare, stava ancora finendo di deglutire la metà del buondì che era riuscita a consumare in quei trenta passi, Corna aveva allora provato a rispondere sgranando gli occhi e gesticolando con le mani. Stravaccato sulla sedia Signori aveva fatto notare tronfio «Ancora tutto in bocca ce l’ha», aizzando il boato di un pubblico da avanspettacolo.
La passione per le scommesse di Signori non era una novità. L’anno precedente aveva scommesso con Guidolin che se fosse arrivato a 15 gol in campionato quello avrebbe dovuto lustrargli gli scarpini. Quando all’ultima giornata aveva raggiunto la quota con un calcio di rigore contro il Bari, era corso in panchina per far pagare dazio al suo allenatore. Ai giornalisti parlava di questa sua ossessione senza problemi: «Sono stato a Saint Vincent, a Campione, a Venezia, ma il fascino di Montecarlo è unico. Punto sui miei numeri, perché li ho, ma non li dico». Il suo testo di riferimento è Privé. La vita è un gioco di Emilio Fede: «Se uno legge il libro di Fede capisce il fascino e l'attrazione: impara, soprattutto, qual è l'anima del giocatore vero. Non avere limiti. [...] Giocare a calcio è un'altra cosa, ma quando esce il tuo numero sulla ruota, quando la pallina si ferma, beh l'emozione è simile a quella di un gol». Signori scommetteva su tutto: su chi avrebbe portato la 10 con Locatelli; sul tempo che avrebbe fatto alla cyclette con il medico sociale; con Fontolan avevano un format che chiamavano “scommettiamo che”. Scommetteva anche sulle partite di Serie A, «ma mai sul Bologna» aveva assicurato. Nel 1999 prese l’improbabile vittoria della Fiorentina a San Siro contro il Milan, facendo, pare, un sacco di soldi.
La fama da scommettitore di Signori era diventata cosa nota a tutti grazie al buondì, ma negli spogliatoi di Serie A che fosse uno scommettitore compulsivo si sapeva da sempre. «Scommetteva su tutto» dicevano i compagni della Lazio, secondo alcune voci anche sui gol sbagliati da Boksic con Casiarghi. La leggenda vuole che ai tempi abbia scommesso anche sul numero di gol che avrebbe segnato in Serie A: mezzo miliardo se avesse superato le 200 reti. Si era fermato a 188. Lo stesso calciatore non ci vedeva nulla di male: «È vero, scommetto e la cosa mi diverte tantissimo. E, spesso e volentieri, vinco».
La scommessa del buondì, per esempio, era tanto allettante quanto scivolosa per chi accettava: solo 50mila lire per partecipare, addirittura un milione di lire da riscuotere in caso di vincita. L’origine va ricercata lontano nel tempo: «Lo facevamo da ragazzi in discoteca. Dopo i balli, fuori col buondì: 30 passi cercando di inghiottirlo tutto». In un’altra versione, l’aveva vista proporre in una discoteca di Bergamo per 10 milioni di lire. Nessuno ci era riuscito. Per trovare un vincitore avevano dovuto aumentare i passi e abbassare il premio. «Ce la fece un tipo con 38, prese mezzo milione. Perché il buondì ha una proprietà strana, quando lo mastichi: se lo fai velocemente si impasta e non ce la fai ad inghiottire». Signori poi l’aveva perfezionata nei lunghi pomeriggi vuoti dei ritiri, tanto che da più parti si legge che è nata a Sestola, dove il Bologna aveva fatto il ritiro nel 2000. Il buondì doveva essere nella sua versione classica e per mandarlo giù non era possibile usare farciture di marmellate o creme, ne tantomeno liquidi in cui inzupparlo per renderlo meno arcigno per il palato. Signori sosteneva che era un modo per accendere i ritiri, fare gruppo in maniera divertente. Verso la fine del ritiro avevano aperto la possibilità di partecipazione anche ai tifosi, previo il pagamento della tassa d’entrata all'attaccante.
Insomma, a cavallo del nuovo millennio tutti conoscevano questa storia. Prima di un Bologna-Roma della stagione 2002/03 l’aveva tirata fuori anche Totti. «Signori chi? L'ultima volta l'ho visto fare pubblicità al buondì Motta» aveva replicato piccato all’attaccante, il quale aveva sostenuto che, in caso di assenza del numero 10, i giallorossi avrebbero potuto schierare giocatori più importanti per gli equilibri di squadra. In quel caso Signori se l’era presa molto, rifiutandosi di passare per quello delle scommesse con le merendine: «È ridicolo parlare così di un collega. Forse non si ricorda chi sono perché quando io segnavo gol decisivi nei derby veri lui faceva ancora il raccattapalle».
A sentirla, comunque, una merendina in trenta passi sembra una sfida quasi banale. «Io mangio il buondì in 30 passi, lui mi dà un milione, sono sicuro di farcela» così sosteneva Cesare Cremonini, ancora leader dei Lunapop e grande tifoso del Bologna; riportato però a migliori consigli da Ballo: «Guarda che non è facile Cesare, altrimenti col cavolo che regalava un milione». E facile non era, come dimostrato dal tentativo di Luisa Corna e come confermato dallo stesso Signori più volte sia in televisione che sui giornali. Qualche anno dopo, sempre a Controcampo, sempre con la conduzione di Piccinini, sempre con Signori a fare la conta, a provare era stata Elisabetta Canalis. Niente da fare.
“Lasciate il cinquantino nella mani di Peppino” sembrava dicesse Signori al perdente, mentre ancora quello cercava di finire il suo boccone.
Fosse uscita oggi, probabilmente la “scommessa del buondì” sarebbe diventata virale. Perfetta per Instagram e TikTok. Allora lo era diventata nella sua forma pre-internet: sicuramente più di qualcuno dei trentenni che stanno leggendo queste righe ci avrà provato in qualche sera estiva con gli amici, come avrà provato a calciare qualche rigore senza rincorsa, l’altra grande specialità di Signori. Su YouTube, comunque, è possibile trovare più di un video sgranato di persone che provano a risolvere il rebus. Qualcuno ci riesce anche, ma sembra sempre esserci un trucco. Personalmente sono sicuro che la sfida non possa essere risolta.
Con il ritiro di Signori la “scommessa del buondì” era passata di moda, come era passata di moda quel tipo di interazione tra calciatori, giornalisti e pubblico, ognuno sempre più rinchiuso nella propria torre d’avorio. All'improvviso però era tornata alla ribalta quasi 10 anni dopo, quando il 1° giugno 2011 Signori era stato arrestato con l’accusa di aver fortemente condizionato il risultato di alcuni incontri. «Arrivo a Bologna e in Questura mi ritrovo, come nei film, appoggiato al muro col numeretto, per le foto segnaletiche. Forse ho pagato una nomea sbagliata. Scommetto, ma in modo lecito. Faccio la sfida del buondì Motta, io», così racconta l’attaccante quel giorno, quando in poche ore la guasconeria delle sue scommesse è diventata una macchia incancellabile. L’operazione, chiamata Last Bet, era molto estesa e coinvolgeva diverse persone, tra cui altri ex calciatori, ma Giuseppe Signori era ovviamente il nome di punta, quello su cui tutti si erano concentrati.
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La storia del buondì era tornata prepotentemente sui giornali, ma se nel 2000 era un simpatico aneddoto, adesso era diventata il segno dei problemi di Signori. “Beppe Signori scommetteva sui buondì: ecco come cominciò la dipendenza” titolava dritto Fanpage il 3 giugno. Quello lì, era il sunto dei mille articoli usciti in quei giorni, scommetteva pure sulle merendine, figuratevi sulle partite. L’accusa tra l’altro era grave: Signori era considerato il garante di un’organizzazione criminale che arrivava fino a Singapore e che era arrivata a drogare anche dei giocatori per influenzare i risultati. Secondo le indagini Signori avrebbe scommesso 60mila euro su Atalanta-Piacenza, addirittura 150mila su Inter-Lecce, aveva incontrato i commercialisti coinvolti e aveva in casa degli appunti che parlavano di cifre, nomi. Accanto alle notizie di quei giorni, erano uscite altre scommesse folli dell’attaccante quando ancora giocava. Una volta aveva incrociato un tipo che gli aveva consigliato il Maccabi favorito in Eurolega con una buona quota. Signori convinto aveva scommesso 20mila euro. Aveva perso. In questo articolo de La Stampa si virgoletta anche l’ammissione di aver scommesso sulla vittoria del suo Bologna contro il Milan data a 3,40. In quella circostanza aveva azzeccato il risultato, ma faceva parte di una schedina che non si era chiusa bene.
Mentre tutti usavano la “scommessa del buondì” per evidenziare come il suo essere compulsivo verso il gioco lo avesse trascinato in questa brutta storia, Signori la usava per discolparsi. Dai domiciliari aveva provato a difendersi: «Certo che mi piace scommettere: ma soldi miei, regolari. Poi mi emoziono vedendo come va. Non credo sia reato. Certo, tutti ricordano la mia scommessa del buondì: sono sfide così, posso mangiarlo in trenta passi, è questo il mio genere di scommesse». Erano stati giorni d’inferno, come un mantra Signori si affidava al buondì per far capire come il suo scommettere fosse innocuo. «Fare la sfida del buondì Motta, è illegale?» aveva chiesto al cronista di Repubblica, sostenendo che quella banda si fosse servita del suo nome alle sue spalle perché aveva la nomea dello scommettitore. In quei giorni erano saltati anche i due contratti che aveva con Mediaset, come opinionista, e con il bookmaker austriaco Skysport365 a cui doveva fare da testimonial. Ad agosto la FIGC gli aveva comminato cinque anni di squalifica con preclusione da qualsiasi categoria o rango della Federazione.
Poi, naturalmente, anche questa storia era passata di moda. Il ciclo delle notizie dura sempre meno, mentre i processi sempre di più. Signori rapidamente è scomparso dalle nostre vite, senza che nessuno se ne preoccupasse più di tanto. Ogni tanto spuntava da qualche parte, ma più come ricordo. Nel programma Una poltrona per due! i due protagonisti, tifosissimi del Foggia, erano andati a trovarlo a Bologna, nel giorno dell'inaugurazione del suo bar. Signori era apparso scavato, stanco. I due poi si erano anche imbucati alla festa per i suoi 50 anni. Con lo smoking sopra i jeans e l’aria malinconia gli avevano fatto tenere un pacco di buondì sul palco. Signori aveva pianto.
Dopo altri dieci anni, nei giorni scorsi, si è tornato a parlare di Signori. L’attaccante è stato assolto in primo grado sia dal Tribunale di Piacenza che da quello di Modena. Due processi in cui aveva rinunciato alla prescrizione, convinto di poter dimostrare la sua innocenza. A dicembre invece era scattata la prescrizione per il processo in cui era coinvolto al Tribunale di Cremona. «Sono passati dieci lunghi anni che nessuno mi restituirà più ma sono un combattente nato», ha dichiarato appena uscito dal tribunale, la mascherina tirata fin sopra il naso come a voler nascondere gli occhi gonfi. Ora Signori proverà a riabilitarsi anche dal lato sportivo, cercando di invertire la sentenza di radiazione che al momento gli impedisce di tornare in quello che vagamente viene definito “il mondo del calcio”. «Il calcio mi ha lasciato solo cose positive, vorrei rientrare in quel mondo» è stata la sua ultima frase, con una mancanza di risentimento difficile da comprendere.
In questi giorni nessuno ha tirato fuori "la scommessa con i buondì", come se fosse ormai morta e sepolta, né aneddoto da seconda serata, né manifestazione di un carattere compulsivo. A voler riflettere ci sarebbe, forse, una lezione su come vivono gli sportivi la propria condizione di continua competizione (Signori ha sempre parlato delle scommesse come «un modo per mettersi in discussione, funzionale al mio approccio alla vita»), sul giornalismo, anche sulla giustizia a dirla tutta. Ma questa invece è solo la storia di un attaccante meraviglioso e di una scommessa scema che non poteva essere vinta.