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Bernal ha reso tutto facile
29 lug 2019
La vittoria del Tour de France da parte del giovane ciclista colombiano è stata fortunata ma non casuale.
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14 min
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Oggi è il giorno della celebrazione di Egan Bernal, che a 22 anni ha vinto il suo primo Tour de France dimostrando un talento che non si vede spesso. Eppure c’è stato un momento, durante l’ultima tappa pirenaica di domenica scorsa, in cui Bernal non è sembrato sicuro di se stesso e del suo ruolo all’interno della sua squadra. La serenità del suo viso e la sicurezza della sua pedalata si sono rotte per un attimo, quando la sua andatura è sembrata oscillante, le spalle ricurve sul manubrio tenuto sempre con le braccia un po’ allargate.

Scrive Ludwig Klages in “Espressione e Creatività” che «il dubbio sottrae agli impulsi la direzione ferma e proprio questo aspetto viene portato a espressione da una postura dell’intero corpo fisico che sembra oscillare costantemente tra il cercare e lo scansare, l’indugiare per persistere e l’avanzare, il prendere e il dare». Egan Bernal stava seguendo gli scatti di Thibaut Pinot sulle rampe di Foix Prat d’Albis lasciandosi alle spalle il suo compagno e capitano Geraint Thomas. Non poteva dare cambi per aiutare il francese nel suo attacco alla maglia gialla e per un attimo non ha saputo bene che fare. Un’indecisione che almeno in quella tappa gli è stata fatale, dato che Thibaut Pinot ha piazzato un altro, ultimo, scatto lasciando il giovane scalatore colombiano sospeso a metà tra l’indugiare e l’avanzare.

È il 21 luglio, Julian Alaphilippe mostra i primi segni di cedimento dopo due settimane praticamente impeccabili ma tiene ancora saldamente la sua prima posizione in classifica generale e con essa la maglia gialla; Thibaut Pinot stacca tutti i suoi avversari con una prestazione mostruosa sull’ultima salita di giornata e recupera tempo e posizioni. È la perfetta chiusura di un fine settimana pirenaico che ha visto rinascere le speranze del ciclismo francese dopo oltre trent’anni di oblio, almeno apparentemente.

Apparentemente perché invece è bastato poco per ribaltare il tavolo. È stato sufficiente spostarsi qualche centinaio di chilometri verso est e arrampicarsi in cima alle Alpi francesi per superare più volte i 2000 metri sul livello del mare. È lì che Bernal ha attaccato per la prima volta, sul Galibier il 25 luglio, solo quattro giorni dopo la manifestazione di pura potenza di Thibaut Pinot sui Pirenei. È arrivato in cima da solo, dopo aver staccato i suoi diretti avversari, con una trentina di secondi di vantaggio che al traguardo diventeranno trentadue. Pochi minuti prima, sul traguardo di Valloire, era arrivato un altro colombiano: Nairo Quintana, ormai non più così giovane, con una carriera fatta di tanti momenti difficili e pochi, sporadici episodi di enorme esaltazione generale, sua e nostra.

Ma la cosa più importante ai fini della maglia gialla, e chissà forse anche della stessa carriera di Bernal, era che, con quell’attacco sul Galibier, Egan Bernal è sembrato togliersi definitivamente di dosso il dubbio.

Il dubbio, per esempio, di attaccare sul Col de l'Iseran, il giorno dopo. Per attaccare a oltre quaranta chilometri dal traguardo serve coraggio o un po’ di incoscienza. Perché inizialmente non sembra nemmeno funzionale alla vittoria del Tour, quanto più che altro fare sfoggio semplicemente della sua superiorità fisica. Il giovane colombiano allunga e guadagna pochi metri, poi si mette lì seduto e va via in progressione. Nessuno lo tiene e Kruijswijk mette De Plus, il suo miglior gregario, a fare l’andatura forse più per allontanare Alaphilippe che per riprendere Bernal. Anche perché riprendere un Bernal del genere pare un’impresa irrealizzabile e infatti il colombiano in maglia bianca di miglior giovane guadagna oltre cinquanta secondi sul gruppetto guidato da De Plus, riprende tutti i fuggitivi di giornata e se li mette a ruota. E per capire la superiorità che Bernal stava esprimendo in quel momento c’è un momento preciso, in cui si vede Egan Bernal con il sorriso stampato in faccia mettere gli avambracci sul manubrio a simulare la posizione da cronometro, come fanno i passisti quando tirano in pianura e cercano la posizione migliore per spingere il rapportone. La differenza, ovviamente, è che siamo in salita a 2764 metri sul livello del mare.

Il 26 luglio, negli ultimi chilometri di strada verso la cima del passo di montagna più alto d’Europa dopo venti giorni di Tour de France e nel bel mezzo di un attacco in salita, Egan Bernal sorride.

Colombia - Sicilia, solo andata

Egan Arley Bernal Gómez è nato in Colombia a Bogotá ma ha sempre vissuto a Zipaquirá nel dipartimento di Cundinamarca a pochi chilometri dalla capitale. Un posto meno sperduto rispetto al luogo di nascita di Carapaz in Ecuador ma comunque a un’altitudine molto elevata, ben superiore ai 2500 metri sul livello del mare. Da ragazzino inizia a correre in mountain bike quasi per caso, andando in giro in bicicletta con il padre. Un giorno i due passano accanto a un centro sportivo dove si stava per disputare una gara. Bernal decide di iscriversi ma non ha abbastanza soldi con sé. «Me la pagò un amico e alla fine ho vinto. Il premio era una specie di tirocinio con un club sportivo per più di un anno. Poi ho iniziato ad allenarmi con Fabio Rodríguez, il mio primo allenatore».

Fabio Hernán Rodríguez Hernández, per tutti soltanto Fabio Rodríguez, è un ex ciclista professionista che ha corso negli anni Novanta in Europa per qualche tempo. Non ha mai ottenuto grandi risultati, a dire il vero, ma ha saputo reinventarsi alla fine della sua carriera come allenatore di giovani talenti della mountain bike. Un piccolo dettaglio interessante: ha corso l’ultimo anno della sua carriera, nel 1996, con la Glacial-Selle Italia, squadra diretta all’epoca da Gianni Savio.

In breve tempo e sotto la guida di Fabio Rodríguez, Egan Bernal si impone come uno dei migliori biker del Paese, cosa che non sfugge al team manager della nazionale colombiana di mountain bike, Andrea Bianco, che lo convoca per i Mondiali in Norvegia nel 2014 dove vince la medaglia d’argento nella gara Juniores alle spalle del danese Simon Andreassen. È l’unica medaglia colombiana in quell’edizione dei Mondiali.

Nel 2015 ovviamente è di nuovo ai Mondiali, stavolta ad Andorra, dove arriva terzo sempre battuto da Andreassen ma è proprio in quel periodo che arriva la svolta nella sua carriera e nella sua esistenza. Andrea Bianco, che di nazionalità è colombiano ma è italiano di nascita, posticipa il suo rientro a casa di un mese per mandare Egan Bernal in Sicilia da Paolo Alberati, talent scout e procuratore.

«Ho avuto un contatto con Paolo Alberati. Il piano era di rimanere un mese con lui, dopo i Mondiali, per cercare un team di mountain bike. Mentre ero con Paolo, gli ho spiegato che avevo sempre desiderato passare al ciclismo su strada, ma lui mi ha consigliato di aspettare le Olimpiadi 2016. Ho pensato però che fosse tempo di cambiare, quindi abbiamo iniziato a cercare opzioni», spiega Egan Bernal in un’intervista del 2015.

Bernal quindi corre le sue prime gare in Italia in quell’autunno del 2015, vincendo e attirando l’interesse di parecchie squadre. I primi d’ottobre dello stesso anno è in Toscana per la corsa juniores “Sognando il Giro delle Fiandre”: 123 chilometri e duecento metri su un percorso molto movimentato. Fra le varie salite con i nomi più assurdi spiccano la salita di Ponte Grande a Calci e lo sterrato di Agnano dove, secondo le cronache locali dell’epoca, ci fu l’attacco di Bernal, che staccò i restanti 112 concorrenti. Bernal attacca seguito da Federico Rosati, poi stacca anche lui e vince in solitaria.

Foto di Jean Catuffe / Getty Images

Lo nota soprattutto Gianni Savio, detto “il Principe”, che si innamora di questo piccolo escarabajo, cioè scarafaggio, come vengono chiamati gli scalatori sudamericani (perché di solito sono piccoli e schizzano in salita senza permettere a nessuno di farsi riprendere). Savio è un direttore sportivo con un’esperienza decennale ed è stato anche commissario tecnico sia della nazionale colombiana che di quella venezuelana: sa come far crescere i giovani scalatori, soprattutto nella delicata fase di trasferimento da un continente all’altro a neanche vent’anni. È soprattutto grazie a lui che Egan Bernal passa professionista nel 2016 con la Androni Giocattoli - Sidermec, quando doveva ancora compiere diciannove anni.

Il primo anno Bernal corre per la verità molto più spesso con gli Under 23 prendendo parte solo a qualche corsa minore fra i professionisti principalmente in Italia, come la “Settimana Internazionale Coppi e Bartali” e il Giro del Trentino dove vince in entrambi i casi la classifica dei giovani. La gestione di Gianni Savio nel biennio alla Androni Giocattoli è perfetta e la crescita di Bernal è costante e senza strappi.

Nel 2017 Bernal domina il Tour de l’Avenir e il Tour de Savoie Mont Blanc, due fra le più prestigiose corse a tappe per gli Under 23. Fra i professionisti arriva terzo alla Settimana Coppi e Bartali e al Tour of the Alps si mette in mostra in mezzo ai favoriti per il Giro d’Italia. È a quel punto che gli occhi delle squadre World Tour cominciano a puntare dritti su di lui.

Come i calciatori

Nel ciclismo non esiste il mercato fra le squadre come lo intendiamo nel calcio: non si fanno acquisti o cessioni, si lavora solo sugli svincolati in scadenza di contratto. È il motivo per il quale spesso e volentieri i contratti dei ciclisti sono molto brevi, mediamente di due anni. Questo perché il budget delle varie squadre è molto ridotto e dipende dalla generosità dei vari sponsor che ogni anno stanziano delle cifre fisse per finanziare le squadre che portano il loro nome. Con quei soldi, i direttori sportivi devono portare avanti la squadra per tutto l’anno, compresi gli stipendi dello staff, dall’ultimo dei portaborracce fino ai preparatori atletici, gli spostamenti, i training camp, tutto. Non esistono molti altri mezzi per ottenere soldi nel ciclismo per le squadre: i diritti televisivi delle corse vanno tutti agli organizzatori (Rcs per il Giro d’Italia, ad esempio, o Aso per il Tour de France) che poi stabiliscono dei premi in denaro per le varie classifiche o per le tappe. Ovviamente però questi premi coprono solo una piccola parte delle spese delle squadre e vengono in ogni caso distribuiti direttamente fra gli stessi ciclisti.

Non esistono poi neanche introiti derivanti dai biglietti o dagli abbonamenti, visto che non esistono stadi o palazzetti nel ciclismo. Insomma, il sistema economico del ciclismo si regge solo e soltanto sugli sponsor che scelgono di finanziare le squadre. Quando uno sponsor si ritira, il direttore sportivo deve trovarne un altro in fretta oppure chiudere i battenti e licenziare tutto lo staff.

Per le squadre World Tour (ad oggi 18 squadre fanno parte del World Tour, che è la massima categoria possibile) ottenere questi finanziamenti non è troppo difficile ma è comunque sempre un problema. Non è difficile perché le squadre con la licenza World Tour hanno il diritto/dovere di partecipare a tutte le corse del circuito World Tour, ovvero tutte le corse più importanti del mondo come le grandi classiche e le principali corse a tappe. Per le squadre Professional (la seconda categoria) la questione diventa molto più complicata. Spesso queste squadre vivono solo nella speranza di essere invitate al Giro d’Italia o al Tour de France e quando questo invito invece non arriva sono problemi seri: per ovvi motivi gli sponsor non amano rimanere esclusi dai grandi eventi.

In Italia è RCS che decide indirettamente vita e morte di molte delle squadre Professional italiane con l’arma degli inviti. RCS, infatti, organizza il Giro d’Italia, il Lombardia, la Milano-Sanremo. E anche per una squadra come quella di Gianni Savio avere o non avere un invito per queste corse fa la differenza fra restare in piedi o crollare. Nel 2017 la Androni Giocattoli di Gianni Savio non viene invitata per il secondo anno di fila al Giro d’Italia.

Così, quando il Team Sky si presenta da Savio con un’offerta di acquisto per Egan Bernal, il contratto di quattro anni che il giovane colombiano aveva firmato un anno e mezzo prima vola nel tritarifiuti. E Bernal vola in Inghilterra nella più ricca squadra di ciclismo di sempre.

Foto di Jean Catuffe / Getty Images

Insomma: non c’è niente di normale nel passaggio di Egan Bernal al Team Sky, che al contrario rappresenta un’eccezione clamorosa alla consuetudine. La Sky non poteva permettersi di aspettare la naturale scadenza del contratto di Bernal con il rischio poi di farselo soffiare da qualcun altro, e così ha pagato per averlo subito in squadra.

Sliding doors

Il 4 maggio 2019, dopo un 2018 di apprendistato a fianco di Chris Froome, Egan Bernal si frattura la clavicola in allenamento a pochi giorni dal suo primo Giro d’Italia che avrebbe dovuto correre con i gradi di capitano unico del Team Ineos. Un infortunio che complica non poco la vita alla sua squadra che da un lato si vede costretta ad affrontare il Giro con il giovanissimo Pavel Sivakov a fare da capitano, e dall’altro si ritrova con tre ciclisti potenzialmente in grado di fare il capitano per il Tour de France. E cioè: Geraint Thomas, vincitore uscente, che non ne vuole sapere di fare il Giro d’Italia e che alla fine costringe la squadra a portarlo al Tour; Chris Froome, che dopo il tentativo di fare doppietta Giro-Tour nel 2018 vuole vincere il suo quinto Tour de France; e infine Egan Bernal, che, dovendo saltare il Giro d’Italia, viene dirottato al Tour de France.

La mattina del 12 giugno, però, uno dei capitani viene meno. Chris Froome è a fare la ricognizione con la bici da cronometro in vista della prova contro il tempo del Delfinato, la principale corsa a tappe di preparazione in vista del Tour de France. Nella discesa di Saint-André-d'Apchon, Chris Froome toglie una mano dal manubrio per soffiarsi il naso mentre viaggia a quasi 60 km/h. Una folata di vento improvvisa lo investe in pieno, la ruota lenticolare fa da vela e il fuoriclasse britannico vola via insieme alla sua bicicletta contro un muro. «Ho pensato che fosse morto», dirà Daniel Martin che era in macchina dietro di lui in quel momento. Froome invece se la caverà, per così dire, con svariate fratture alla gamba destra, al gomito, al collo, alle costole.

La stagione di Chris Froome finisce contro quel muro. E a quel punto anche la stagione del Team Ineos, che proprio nel corso di quest’anno ha rilevato Sky come main sponsor della squadra, sembra davvero maledetta. Senza Froome, Egan Bernal scala una posizione nelle gerarchie della Ineos e inizia il Tour de France come vice di Geraint Thomas. Ed è proprio in questa veste che viene mandato a seguire Pinot a Foix Prat d’Albis, nell’ultima tappa pirenaica, e ancora all’attacco sul Galibier nella prima tappa alpina. La strategia è chiara, identica a quella che la Sky già realizzò in una tappa del Tour de France 2017 con Landa e Froome: il vice va all’attacco e prende vantaggio, il capitano aspetta e parte poco dopo cercando di fare il vuoto. A quel punto il compagno davanti si ferma per farsi raggiungere dal capitano per andare via insieme fino al traguardo.

Bernal parte sul Galibier e stacca tutti. Dopo pochi minuti arriva puntualissimo l’attacco di Geraint Thomas. Ma Thomas non è Froome e non riesce a staccare i suoi diretti avversari. A quel punto, Bernal è libero di andare da solo fino al traguardo con quel poco vantaggio accumulato. Pochi secondi, appunto, che però bastano per far traballare le gerarchie della Ineos.

Grandine

Il giorno dopo si scala il Col de l’Iseran prima di affrontare una lunga discesa, dieci chilometri di fondo valle e l’ultima breve salita che porta al traguardo. La Ineos screma il gruppo e a poco più di sei chilometri dalla vetta dell’Iseran arriva l’attacco di Thomas che fa esplodere la corsa. Il gallese è seguito da Kruijswijk e Buchmann mentre poco più indietro Egan Bernal è deputato a marcare a uomo la maglia gialla di Alaphilippe che perde terreno ed è vistosamente in difficoltà. È qui che Bernal decide di mollare Alaphilippe e in pochi metri si riporta con facilità sul terzetto al comando, riprende fiato per un attimo e riparte. Il suo non è un vero e proprio attacco ma piuttosto una rapida accelerazione in progressione che taglia le gambe a tutti i suoi avversari.

Mentre sul versante di Bonneval-Sur-Arc Egan Bernal brucia la strada in salita, lungo la discesa che conduce alla Val d’Isère si abbatte una violenta e improvvisa grandinata. I prati si ricoprono di nevischio in pochi minuti e in più punti la terra a monte della strada frana lasciando via libera a un fiume di fango e ghiaccio che invade la sede stradale. È davvero questione di pochi minuti, tanto che la notizia della frana arriva solo quando anche Alaphilippe ha già iniziato la discesa con oltre due minuti di ritardo dalla testa della corsa.

La decisione della giuria dei commissari è drastica ma ineccepibile: il finale si taglia, la vittoria di tappa rimane non assegnata e i tempi per la classifica generale vengono presi in cima all’Iseran sul traguardo del gran premio della montagna.

Egan Bernal è quindi in maglia gialla con quarantacinque secondi di vantaggio su Julian Alaphilippe e un minuto e undici sul suo compagno Geraint Thomas. E non è tutto, perché la grandinata in Val d’Isère costringe l’organizzazione non solo ad annullare il finale di giornata ma anche a mutilare la ventesima tappa che da circa 130 chilometri passa a 59. Vengono tagliate anche le prime due salite in programma e insieme ad esse le uniche speranze per gli avversari di Egan Bernal di provare a ribaltare ancora una volta la classifica.

Il giorno successivo Egan Bernal, 22 anni e 6 mesi, al traguardo di Val Thorens mantiene la maglia gialla, diventando così il primo colombiano di sempre a vincere il Tour de France, il terzo più giovane nella storia, il più giovane dal Dopoguerra. Per lui è la prima vittoria in una grande corsa a tappe, anche se per come è arrivata sembra proprio che non sarà l’ultima.

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