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Bernardo Silva: invisibile, insostituibile
29 ott 2019
Come l'ala portoghese è diventata fondamentale per il Manchester City.
(articolo)
12 min
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È difficile riconoscere la storia mentre la si sta vivendo, ma è probabile che ricorderemo il Manchester City di questi anni come a una delle squadre migliori del calcio moderno. Anche senza l'agognato trionfo in Champions League, ci saranno sempre i suoi record nella stagione 2017/18: quello di punti (100), del maggior numero di gol segnati (106), del più alto numero di vittorie consecutive (18). Poi altri sparsi anche nella scorsa stagione e in questa, come il maggior numero di gol segnati nel minor tempo (5 in 18 minuti, a settembre al povero Watford).

Non ricorderemo solo i numeri ma anche i giocatori che li hanno costruiti, e quando penseremo al Manchester City di Guardiola penseremo a De Bruyne e ai suoi filtranti illuminanti, come quello con cui ha fatto segnare Gabriel Jesus contro l’Everton; a Mahrez e ai suoi ripetuti dribbling a rientrare sul sinistro; a Kyle Walker, con le sue progressioni palla al piede; Agüero le sue protezioni spalle alla porta o le sue bombe sotto la traversa; a Sterling e ai suoi gol arrivati con smarcamenti in area sempre più raffinati. Se invece penso a Bernardo Silva i contorni diventano più sfumati e devo fare più sforzo, spenderci più tempo per crearmi un’immagine mentale del suo gioco. Non è detto che quando ricorderemo questo Manchester City ci verrà in mente Bernardo Silva, nonostante rappresenti un architrave fondante del sistema di Guardiola.

Arrivato alla terza stagione a Manchester, l’ala portoghese è diventato senza fare rumore una delle architravi su cui si fonda la squadra di Guardiola e alla fine dello scorso anno, dopo che aveva vinto cinque trofei tra club e Nazionale, nonché il premio come miglior giocatore della Nations League, qualcuno si è stupito che non fosse preso seriamente in considerazione nel discorso del Pallone d’Oro, nel secondo anno di fila in cui il dualismo Messi-Ronaldo sembra poter lasciar spazio ad altri protagonisti. Alla fine Bernardo Silva è stato inserito nelle 30 nomination finali, eppure il fatto che questo sia legittimato più che altro dai trofei di squadra vinti (e infatti c’è anche Mahrez, che spesso è la sua riserva sulla fascia destra del Manchester City, ma che ha vinto la Coppa d’Africa con l’Algeria) ci dice qualcosa sulla nostra percezione della sua importanza nel panorama calcistico contemporaneo.

E quindi, per capire perché sia così poco considerato, o cosa gli manchi per esserlo, forse bisogna partire dalla domanda: a cosa pensiamo quando pensiamo a Bernardo Silva?

Un giocatore difficile da inquadrare

È difficile dare una risposta immediata a questa domanda. Innanzitutto perché il talento di Bernardo Silva è difficile da leggere persino attraverso un altro filtro, e cioè i numeri, e non c’è un ambito del gioco in cui statisticamente si stagli in maniera chiara rispetto agli altri giocatori di Premier League.

Avevamo imparato a conoscere Bernardo Silva al Monaco come un grande dribblatore nello stretto, eppure in Inghilterra per dribbling riusciti non rientra nemmeno tra i primi 10 – gliene riescono 2.6 per 90 minuti, lontanissimo dai primi della classe, come Saint-Maximin, Zaha, Boufal e Pépé, che si aggirano tutti tra i 6 e i 4. L’ala portoghese è uno dei giocatori che sa toccare il pallone con maggiore frequenza, ma la sua tecnica in progressione è visibile soprattutto quando deve resistere alla pressione in spazi stretti, sulla trequarti avversaria.

Bernardo Silva non ha un tiro imprendibile, nonostante tiri molto (3.6 volte per 90 minuti, nel City solo Gabriel Jesus e Agüero tirano di più), e non è un finalizzatore d’élite, nonostante sia uno dei giocatori che più tira da dentro l’area piccola (0.6 volte per 90 minuti). L’ala portoghese non è nemmeno un creatore di gioco così influente, realizzando “appena” 2.1 passaggi chiave per 90 minuti, lontano non solo da De Bruyne (4.6) ma anche da Sterling (2.2) e dal concorrente sulla sua stessa fascia, Mahrez (3.9).

Forse gli unici numeri che riescono a definirlo sono, paradossalmente, quelli difensivi: Bernardo Silva fa dell’applicazione maniacale del pressing e della riaggressione una delle sue caratteristiche migliori, spiccando tra i giocatori offensivi delle big six per intercetti (0.8 per 90 minuti) insieme a Pedro (1.7), Mahrez (1) e Mané (0.9).

In questo senso, il suo è un talento quasi di altri tempi – di tempi, cioè, in cui i social e le statistiche non avevano l’influenza che hanno oggi. Bernardo Silva non ha un’esultanza brandizzata che possa diventare virale con un emoji, ha un viso da tifoso più che da giocatore professionista, un fisico da persona comune più che da atleta, e quando segna alza le braccia verso il cielo istintivamente, come vediamo fare ai giocatori nei filmati d’epoca. E nonostante sia emerso nell’élite del calcio europeo con le sue progressioni verticali nel gioco adrenalinico del Monaco, nel sistema più cerebrale di Guardiola il suo gioco è più difficile da riassumere in maniera immediata e ti costringe a guardarlo per apprezzarne le sfumature.

Non è un discorso di scarso appeal mediatico, o di essere sottovalutati dalla stampa – il gioco di Bernardo Silva è poco riconoscibile anche in campo, poco adatto a trasformarsi in GIF su Twitter o in video nelle colonne destre dei siti dei quotidiani sportivi. Talmente devoto ai principi tattici di Guardiola da mimetizzarsi quasi del tutto con il sistema in cui inserito, in un’evoluzione abbastanza sorprendente per quello che era uno dei talenti più eccentrici in una squadra di transizioni verticali come il Monaco. Bernardo Silva è uno dei giocatori di movimento del City che tocca meno palla – appena 51.7 passaggi per 90 minuti in Premier League, più solo di Sterling (37.3), Gabriel Jesus e Agüero (entrambi a 22.7). Spesso il suo gioco è un espressione di minimalismo puro, riassumendosi in un singolo tocco di prima, un appoggio in orizzontale.

In parte, questa è diretta conseguenza della marginalità sempre più accentuata delle ali nel gioco di Guardiola nella creazione di gioco. E soprattutto, in termini realizzativi, delle ali destre. Il Manchester City, infatti, è basato su un sistema che tende a creare a destra per finalizzare a sinistra, e in questo senso non sembra un caso che Bernardo Silva abbia segnato tre dei quattro gol di quest’anno in una delle pochissime occasioni in cui si è ritrovato a sostituire Sterling a sinistra (nella goleada contro il Watford, sconfitto per 8-0).

Bernardo Silva ha un dribbling per lo più difensivo, o comunque orizzontale, ad entrare dentro al campo, ed è meno efficace di Sterling quando punta l’avversario per andare verso la linea di fondo. E con il City che domina la stragrande maggioranza delle partite, e gli avversari schiacciati il più delle volte nella propria trequarti a togliere spazio da attaccare alle spalle della difesa, Bernardo Silva preferisce avanzare sul campo associandosi con i compagni anziché isolandosi in dribbling con Mahrez.

Una giocata che descrive bene la sua dedizione al gioco di squadra è quando serve (a volte addirittura di prima, in un trionfo del minimalismo) l’inserimento della mezzala nello spazio tra il centrale e il terzino avversario.

Oppure, più semplicemente, quando cerca di liberare il terzo uomo attraverso la formazione del triangolo sull’esterno con la mezzala e il terzino. Il problema di quest’ultima soluzione è che spesso l’ala è, tra i tre vertici del triangolo, quello più “penalizzato”, dovendo entrare dentro al campo senza palla per liberare il corridoio al terzino. Ed è sintomo della sua maturità il fatto che un giocatore con la sua tecnica nello stretto decida spesso di creare superiorità con un movimento senza palla.

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Qui Bernardo Silva tocca di prima di testa per Agüero, poi subito dopo si butta dentro l’area ad occupare lo spazio liberato dall’attaccante argentino, liberando il corridoio esterno (e permettendo quindi la ricezione di Walker dietro di lui).

Non è un caso allora che Mahrez e Sterling, nonostante siano portati per caratteristiche personali a venire a giocare spesso anche in zone più centrali di campo, tocchino persino meno palloni di lui.

Eppure tendiamo naturalmente a pensare che siano giocatori più decisivi, più “pesanti” nell’economia del gioco del City. Forse proprio per quella riconoscibilità di cui parlavamo all’inizio. E se per Mahrez vale il discorso dell’appariscenza del gioco, dell’essere attratti da un artista del prestigio, la nostra percezione che Sterling sia salito di livello con Guardiola ci deriva soprattutto dalla sua nuova familiarità con i movimenti senza palla in area e con la finalizzazione, che l’ha portato con il tecnico catalano a segnare 58 gol nelle ultime tre stagioni (a cui vanno aggiunti i 13 già segnati quest’anno).

Negli ultimi due anni Bernardo Silva ha segnato 22 gol in tutte le competizioni, e in questo è a quota 4. Eppure il suo volume di gioco offensivo non è minore del suo compagno di squadra sull’altra fascia. Oltre al volume di passaggi che abbiamo già visto, Bernardo Silva tira come Sterling (3.6 per 90 minuti) ma più spesso al tiro da dentro l’area piccola (0.6 contro 0.2).

La differenza sta nel fatto che l’ala portoghese ha un tasso di conversione non eccelso (quest’anno è al 7.5%, migliorato rispetto al 3-4% delle scorse stagioni) e una capacità di convertire le occasioni da gol che è ancora più che acerba - Bernardo Silva è riuscito a realizzare un numero di gol superiore a quello degli Expected Goals creati solo nel 2017/18, quando in Premier League segnò 6 gol da 5.5 xG. E quindi il gol non è certo la prima cosa che può venirci in mente quando pensiamo a Bernardo Silva.

L’ala portoghese diventa fondamentale nei momenti meno appariscenti del gioco del City: la riconquista immediata del possesso, la gestione della palla sotto pressione, gli smarcamenti, la capacità di sapersi associare con i compagni, la scelta dei momenti in cui consolidare il possesso e quelli in cui invece allungare la squadra. E per qualità invisibili come questa che Guardiola sembra non poterne fare a meno, avendoci rinunciato per scelta tecnica nelle ultime due stagioni dal primo minuto appena 13 volte tra Premier League e Champions League.

Invisibile, insostituibile

Forse è per questo che, nonostante il suo gioco non faccia più promesse sul futuro come qualche anno fa, tutti si aspettano che Bernardo Silva diventerà qualcosa di grande. Kompany, per esempio, alla fine della scorsa stagione, in cui aveva annunciato la fine della sua esperienza al City dopo 10 anni da capitano, aveva parlato della possibilità che proprio Bernardo Silva ereditasse la sua fascia, anche se con toni meno celebrativi di quello che ci si poteva aspettare: «Lui è per il 50 % un buffone, per il restante 50 % un leader. Quando sarà leader per il 75% diventerà il capitano di questa squadra».

Quello della sua legacy, della costruzione della sua eredità, sembra essere un tema già incredibilmente presente nella sua vita, nonostante abbia appena 25 anni. In un’intervista di fine settembre, a Bernardo Silva è stato chiesto se potesse essere considerato l’erede di David Silva, anche alla luce del recente rinnovo che lo ha portato a legarsi al Manchester City addirittura fino al 2025. Ci sono aspettative enormi intorno a Bernardo Silva, insomma, forse perché senza nemmeno rendercene conto pensiamo automaticamente che il talento porti con sé davvero la predestinazione.

Quella di Bernardo Silva, però, è soprattutto la storia del ragazzo troppo gracile che ha paura dei contrasti fisici, che viene escluso dalla prima squadra da Jorge Jesus al Benfica perché considerato fisicamente inadatto, e che arriva in Premier League dalla porta di servizio del Monaco. E, alla luce della fatica fatta per arrivare fino a questo punto, sembra essere cosciente della difficoltà e degli ostacoli che ci sono nel rimanere ad alti livelli per così tanto tempo. «[Quelle di David Silva] Sono scarpe molto grandi da riempire», ha detto Bernardo Silva al Daily Mail «Penso sia ingiusto per David essere comparato a me, perché lui ha giocato a livelli altissimi per 15 anni mentre io ho appena iniziato».

Bernardo Silva è più umile e cosciente dei propri limiti di quanto ci si aspetterebbe da un giocatore arrivato all’apice della propria carriera così presto e sembra avere una visione da artigiano più che da artista del proprio talento, come se fosse un’abilità che viene perfezionata giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, e che quindi ha bisogno di tempo. Lo si vede, ad esempio, quando dice che «tutti guardano il calcio in TV e lo vivono con passione, ma questo è il mio lavoro», contrapponendo il punto di vista di chi guarda il calcio da fuori allo sguardo da professionista con cui lui lo vive dal di dentro.

Oppure quando si vede riflesso nella storia di Foden che, nonostante sembri avere un talento speciale sta facendo fatica a trovare spazio nella squadra di Guardiola. «Quando ero in Portogallo e un giovane interessante passava per il Porto, per il Benfica o per lo Sporting volevano che si sviluppasse nel minor tempo possibile. È normale. Ma non molti giocatori possono passare a 19 anni dalle giovanili alle prime squadre in club come il Barcellona, il Real Madrid, il City, il Liverpool. Anche questo è normale». O per come guarda senza alcuna conflittualità il rapporto con la figura dell’allenatore: «Se sei intelligente capisci che quando l’allenatore ti parla in un certo modo non è per farti arrabbiare ma per migliorare te e la squadra».

Anche da come parla, Bernardo Silva sembra meno interessato alla riconoscibilità di quanto ci si aspetterebbe da un giocatore della sua età, e dare più importanza a valori come la longevità, la costanza e la continuità. Forse Bernardo Silva preferisce essere insostituibile all’essere inconfondibile. E in questo senso, l’associazione con David Silva - altra ala dribblomane che nel tempo ha abbassato il suo raggio d'azione diventando una mezzala di possesso iper creativa - sta diventando sempre più reale non solo per le aspettative intorno al suo futuro, ma anche perché sembra poter davvero assomigliargli nel più inaspettato dei modi, e cioè nell’essere fondamentale senza dover essere necessariamente al centro dell’attenzione.

Forse Bernardo Silva non rimarrà mai impresso nella nostra memoria per un momento, o per una giocata iconica, ma questo non esclude il fatto che stia diventando, lentamente e silenziosamente, uno di quei giocatori che conosce tutti i segreti del gioco, e di cui quindi è impossibile fare a meno.

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