
È difficile indicare con esattezza quando Matteo Berrettini è tornato.
Forse si può pensare alla sfida di Coppa Davis, a quella partita durissima vinta contro Thanasi Kokkinakis.
Forse, ancora, si può pensare a quando è riuscito a battere Novak Djokovic per la prima volta in carriera. Era a Doha, all’inizio del 2025, e gli erano bastati due set.
La partita di ieri a Montecarlo contro Alexander Zverev, però, forse è un segnale ancora più deciso del suo ritorno a certi livelli. Anzi, si può dire che per molti aspetti abbiamo visto il miglior Berrettini di sempre. Per esempio: non aveva mai battuto uno dei primi due giocatori della classifica mondiale. Ora in pochi mesi ha battuto prima Djokovic (che non è numero uno ma lo è stato) e Zverev (che è numero due).
Se si vuole scegliere un momento ancora più preciso in cui la nostra percezione del valore di Berrettini è cambiata, questo è arrivato nel terzo set. Il momento in cui si è giocato uno scambio di cui parliamo da ieri.
Il punteggio è sul 5-5 e al servizio c’è Zverev. Le occasioni mancate cominciavano a essere tante. Berrettini aveva già sciupato una palla break in quel game e aveva subito il break nel game in cui, sul 5-4, serviva per il match. Un break subito giocando senza coraggio, e quindi al contrario di come aveva giocato fino a quel momento.
Da quando si trova a certi livelli, però, Berrettini colma con la sua durezza mentale alcuni gap fisici e tecnici con gli avversari. Sul 5-5, appunto, Zverev gioca una seconda di servizio corta e sul dritto di Berrettini, che risponde profondo.
L’inizio dello scambio ricalca il tema della seconda parte della partita: Berrettini comanda il gioco col dritto, si sposta molto alla sua sinistra per colpire, mentre Zverev cerca di imbrigliarlo sulla diagonale di rovescio. Berrettini non riesce a sfondare col dritto e così lo scambio si allunga. Zverev a un certo punto ha la possibilità di approfittare del lungolinea del campo lasciato sguarnito da Matteo spostandosi per colpire di dritto. Un tema classico delle loro partite. Zverev però ha paura: dal secondo set in poi la sua palla non viaggia più. I suoi colpi sono lenti e sgonfi, e non si capisce se sia il prodotto di uno sfinimento fisico o mentale; è la sua atavica paura, quando il contesto si fa troppo agonistico, oppure c’è qualche problema fisico?
Così lo scambio si riannoda, però ora è Zverev che muove di più Berrettini. Non si prende grandi rischi, ma gioca profondo negli angoli vuoti. Siamo già oltre i 20 colpi e Berrettini non è certo un giocatore a proprio agio quando lo scambio si allunga. Il suo è un tennis che vive di velocità. Ha bisogno di ritmi rapidi e sincopati, punti brevi, servizio e dritto, servizio e basta. Con Zverev è difficile fare una partita del genere, perché il suo mix di resistenza regolarità e prudenza tattica tende sempre ad allungare gli scambi.
Un Berrettini normale non avrebbe retto uno scambio diventato una maratona. Le gambe, quelle gambe sottili che sembrano dei Mikado, diventano di gelatina, incapaci di portare a spasso per troppo tempo un corpo così pesante. Il corpo di Berrettini, fotografato di recente da Hugo Boss con dei chiaroscuri caravaggeschi, è la sua ossessione, la sua fortuna e la sua condanna: «Ho pensato che il mio corpo non fosse fatto per i ritmi a cui mi sono spinto. Sono cose che ho pensato in un attimo di debolezza, per un giorno, in un momento di delusione. So che nonostante tutto ne vale la pena e che, come dice il mio allenatore, devo ringraziare madre natura per il corpo che mi ha dato perché altrimenti non sarei arrivato al livello che ho ora».
Questo nuovo Berrettini invece si muove con più leggerezza del solito, con meno senso della fatica. È una versione che avevamo visto in nuce negli ultimi tornei, per esempio contro De Minaur o contro Fritz a Miami, ma che su terra si nota ancora più chiaramente. Una nuova condizione fisica in cui ha inciso il lavoro di Umberto Ferrara: ex preparatore di Jannik Sinner, probabilmente uno degli uomini meno amati d’Italia (perché tra i responsabili della sua squalifica per doping).
Quando lo aveva preso con sé, un mese fa, Berrettini era stato lapidario: «Mi aiuterà a migliorare, non mi interessano i giudizi altrui». Da qualche mese ha anche cambiato il movimento del dritto, con cui “strappa” di meno per proteggersi dagli infortuni. Berrettini, insomma, sta lavorando per una versione di sé stesso più stabile e duratura.
Intervistato da Ubitennis, Ferrara ha detto di aver fatto con Berrettini un lavoro innanzitutto di “destrutturazione”. È dimagrito, perché aveva «qualche chiletto in più», poi un lavoro sui polpacci, uno dei suoi punti deboli più strani ed evidenti, per proteggere le fragili caviglie e migliorare i cambi di direzione. I frutti si vedono nella freschezza che Berrettini riesce a mantenere anche in partite molto lunghe e dure, come con Fritz, e in scambi come quello di ieri.
Zverev finalmente accelera per davvero: prende coraggio e tira un rovescio lungolinea su cui Berrettini arriva scivolando. Raccoglie la palla in dritto in slice, mandandola lenta negli ultimi centimetri di campo. Lo scambio ricomincia ma Zverev ora comanda, aspetta altri due colpi interlocutori e poi accelera ancora col rovescio lungolinea. È l’unico colpo con cui riesce a cambiare ritmo, forse troppo poco per il tennista numero due al mondo. La sua accelerazione non è molto angolata ma è profonda. Il recupero in slice di Matteo, un colpo da grande giocatore di terra, stavolta è più angolato ma meno profondo. Zverev rimanda ancora una palla alta sul rovescio di Berrettini. Quello accelera incrociato, il tedesco risponde con la terza accelerazione di rovescio lungolinea. Sembra quella buona perché passa a un paio di centimetri dalla riga laterale. Berrettini però ci arriva e tira un altro slice di dritto, un colpo difensivo sempre più importante nell'economia del gioco. Allora lo scambio riparte ancora, Berrettini si muove da sinistra a destra con una grazia mai vista, resta in slice sulla diagonale di rovescio, poi gli arriva una palla più corta e stavolta è lui a cambiare ritmo. È un rovescio lungolinea colpito dall’alto verso il basso che sorprende Zverev. Un colpo che non gli avevamo mai visto fare.
Il rovescio è il peggior colpo di Berrettini, questo lo sanno tutti. Il rovescio in top, almeno, visto che quello in back invece è un gran colpo. Il peso negativo che questo colpo ha sul suo gioco si può rilevare, in controluce, nei grandi risultati che Berrettini ha ottenuto in carriera su erba. Su una superficie che valorizza il suo slice di rovescio come colpo non solo difensivo il suo gioco ha un’altra luce. È a tratti straziante vedere la differenza di sicurezza e potenza tra il dritto di Berrettini e il suo rovescio - «la sua kryptonite», l’aveva definita McEnroe. Il suo movimento rattrappito ha sempre generato colpi piatti e attaccabili. Questo lo ha portato spesso ad abusare dello slice, e per gli avversari era un punto debole troppo invitante. Questo squilibrio fra i due colpi ha condizionato strutturalmente l’approccio allo scambio di Berrettini; lo costringe a posizionarsi sempre spostato alla sua sinistra, a cercare continuamente di girare attorno al dritto. In quella posizione ha il suo colpo migliore, ma lo costringe a essere sempre molto aggressivo perché da lì si è molto esposti se non si fa male. Ora Berrettini è più solido sul rovescio, ne gioca di più in top, ed è diventato persino un’arma ogni tanto. Certo, non è al livello del suo gioco, non è al livello dei migliori al mondo; gli avversari però non possono più considerarlo “una banca” di punti, e questo sposta molto a livello psicologico.
«Sono migliorato col rovescio e in risposta, che erano un po’ i miei punti deboli» aveva detto dopo Dubai.
Il rovescio lungolinea di Berrettini costringe Zverev a una risposta fiacca col dritto. A quel punto Matteo entra con un dritto incrociato per lui semplice. Ottiene così il break, subito dopo averlo subito mentre serviva per il match. Sarebbe stata una mazzata psicologica per molti. Pochi minuti dopo chiude la partita e ottiene una delle vittorie più belle della sua carriera.
La squalifica di Sinner apriva a Zverev uno spazio per prendersi finalmente il numero uno del mondo. Finalmente l'immagine che lui ha di sé stesso avrebbe coinciso con la realtà. Prima di questo torneo, forse in un tentativo di auto-inganno, aveva dichiarato che sono in quattro a giocare su un altro livello: Djokovic, Sinner, Alcaraz e lui. Si è auto-iscritto a un gruppo a cui sulla carta non dovrebbe appartenere: è l'unico, tra i nominati, a non aver vinto uno Slam e non essere diventato numero uno. Nel 2025 ha vinto pochissime partite e rimediato tante sconfitte nei primi turni. Ieri ai microfoni era sconvolto: «Da due mesi è sempre la stessa storia, parto bene e perdo al terzo. Non ho idea di cosa mi stia succedendo, sto ancora cercando di capirlo».
È stato un match aspro e Berrettini potrebbe pagarne il prezzo già al prossimo turno, dove troverà uno tra Lehecka e Musetti. Un lato del tabellone da cui è già uscito Holger Rune, ex finalista dello scorso anno. In questo momento, però, più dei risultati conta il processo, costruire determinate certezze attorno ai propri colpi, e vittorie come quella di ieri forse valgono persino più di un torneo vinto.