Nel paese al confine tra l’Abruzzo e le Marche dove ho passato quasi tutte le estati della mia infanzia, per giustificare la bestemmia - usata alla stregua di un intercalare ricorsivo - si diceva che era colpa dello Stato della Chiesa. Per secoli da quelle parti il potere temporale del Papa aveva fatto più danni della grandine, tra dazi e tasse, e quella di offendere Dio era per loro una pratica molto più terrena che divina. Insomma anche a distanza di centinaia di anni, in un posto fatto da quattro bar e una chiesa, le tradizioni rimanevano tradizioni e per tutti la bestemmia era un retaggio culturale della loro condizione di contadini sfruttati e non una ribellione alla religione cristiana.
Sinceramente non so se ci sia davvero una correlazione tra le due cose, in Italia si bestemmia molto anche in regioni in cui la Chiesa non era presente come Stato, tuttavia è indubbio che il rapporto tra il nostro paese e la blasfemia sia peculiare (ancora oggi gli italiani vanno all’estero e insegnano alle ragazze straniere le bestemmie, perché dicono che nelle altre lingue non esistono, anche se non è del tutto vero). Dopo essere stato un reato per moltissimo tempo, dal 1999 bestemmiare in pubblico in Italia è un illecito amministrativo come da articolo 724 del Codice penale (se condannati, la sanzione va da 51 a 309 euro). Una legge che in questo momento sembra più una formalità da galateo che non una vera forma di punizione contro la pubblica morale: è molto più probabile trovare macchine parcheggiate in sosta vietata che non gente che bestemmia per strada (anche se le due cose possono essere correlate).
L’unico luogo dove pronunciare blasfemia sembra avere ancora un effetto concreto sulle persone è il campo da gioco. Nelle ultime settimane - da quando il calcio è ripartito negli stadi vuoti - le squalifiche per bestemmie in Serie A sono lievitate: Iachini (al secondo stop per bestemmia) e Caceres sono stati fermati dal giudice sportivo per aver usato “un'espressione blasfema” (come viene chiamata nei comunicati del giudice sportivo) durante Brescia-Fiorentina, stessa sorte capitata a Skriniar, colpevole di aver offeso il divino nel momento dell’espulsione contro il Sassuolo. Il difensore dell’Inter è riuscito in un triplo carpiato da tre giornate: una per l’espulsione, una per le offese all’arbitro e una per quelle a Dio.
La squalifica per bestemmia sembra una peculiarità del nostro calcio. Non si trovano riferimenti in nessun altro dei principali campionati europei. Kakà, molto religioso, appena arrivato in Spagna disse che si bestemmiava molto meno che in Italia. Quando Sarri reagì al diniego di Kepa alla sostituzione nel finale dei supplementari della FA Cup con una bestemmia in mondovisione, solo in Italia se ne parlò (anche perché, ovviamente, il labiale era decifrabile con facilità solo a chi conosce la nostra lingua).
L’assenza di pubblico rende ovviamente più facile per gli arbitri captare un giocatore mentre impreca Dio, allo stesso modo anche chiudere un occhio può diventare più difficile, anche se dopo le prime squalifiche la situazione sembra essersi già calmata.
Tra alti e bassi la regola che punisce le “espressioni blasfeme” è sempre esistita nel nostro calcio, ma la Lega Calcio l’ha impugnata alla bisogna, alternando momenti di totale silenzio assenso ad altri da Santa Inquisizione. Negli ultimi anni tra squalifiche per entrate pericolose, offese agli arbitri e reazioni violente, ogni tanto è comparso il nome di qualcuno fermato per aver rivolto espressioni blasfeme alla terna arbitrale o anche solo al loro stessi, magari dopo un gol sbagliato o un colpo subito.
Prima dell’interruzione è capitato a Giulio Donati, colpevole di aver bestemmiato dopo essersi fatto un autogol in una partita che il Lecce ha perso 7-2 e - in Serie B - a Serse Cosmi che appena tornato sulla panchina del Perugia è stato colto dalle televisioni mentre irrimediabilmente si rivolgeva al divino con parole oscure.
A scartabellare la storia dei fermati dal giudice sportivo - ma forse sarebbe più corretto dire da Dio - non mancano però storie ed episodi particolari, a dimostrazione di come nel nostro paese quando calcio, politica e religione si incontrano c’è sempre da divertirsi.
La bestemmia che portò a un gol
Nella seconda giornata del campionato 1975/76 si incontrano allo Stadio Giuseppe Sinigaglia la Juventus campione d’Italia e il Como neopromosso. Su un campo impregnato d’acqua i padroni di casa mettono sotto i bianconeri, ribaltando il vantaggio lampo di Furino con i gol di Pozzato e Fontolan. Al minuto 88 però il capitano Claudio Correnti bestemmia per riprendere il compagno Scanziani, reo di aver buttato un pallone in tribuna invece di giocarlo con i compagni per far passare il tempo. L’arbitro Menegali avendo sentito chiaramente la blasfemia di Correnti decide di assegnare un calcio di punizione indiretto alla Juventus.
«Fu un episodio increscioso, il primo in assoluto in Italia» così ricorda quel momento Correnti, entrato nella storia del calcio italiano come un bestemmiatore nel paese in cui nella cabina elettorale “Dio ti vede, Stalin no”. In quel momento il giocatore del Como pensava di averla scampata, visto che l’arbitro gli disse che avrebbe dovuto anche mostrargli il rosso, ma le cose peggiorarono rapidamente. Da quel calcio di punizione la Juventus trovò un fortunoso pareggio, grazie a un tiro di Cuccureddu deviato dalla coscia di Fontolan, uccidendo così il sogno di uno storico successo.
La prima punizione per fallo di blasfemia.
Nel post-partita succede il finimondo: Correnti prima ammette le sue colpe, poi ritratta, poi giustifica l’arbitro costretto a combattere per tutta la partita contro 22 avversari. Cancian, l’allenatore del Como, si sente defraudato «Tutti bestemmiano in campo, non è una bella cosa, ma succede sempre così. E noi dobbiamo perdere una vittoria ormai acquisita soltanto perché l’arbitro ci fischia una punizione contro perché uno tira un moccolo! È una cosa che non sta né in cielo né in terra. C’è da tirare qualche moccolo adesso, non prima».
Si scopre all’improvviso che da regolamento (articolo 12, comma D), la bestemmia andrebbe punita con un calcio di punizione indiretto e l’espulsione diretta del blasfemo. Una regola che però non era mai stata applicata prima. Il mondo del calcio si unisce contro questa improvvisa criminalizzazione della bestemmia sui campi da calcio, sostenendo che se gli arbitri dovessero applicare il regolamento per ogni imprecazione verso l’alto non si giocherebbe più. Su Il Giornale interviene addirittura Alfonso Gatto, il poeta, chiedendosi se «L’arbitro, in virtù stessa della sua personalità ch’egli fa di tutto per mostrare, fa parte dello spettacolo», proponendo di aggiungere un microfono alle maglie dei giocatori per poter conoscere nel dettaglio il vernacolo usato in campo, anticipando i tempi che verranno.
Arrivano i microfoni
Rapidamente la blasfemia ritorna nei ranghi: o i giocatori diventano devoti o gli arbitri decidono di lasciare la religione fuori dal campo da gioco. Sembra più vera questa seconda opzione se il 3 maggio 1985 dopo la partita tra Verona e Roma, Bruno Conti espulso dall’arbitro perché accusato di aver sputato in faccia al guardalinee si giustifica così: «Ho la coscienza pulita. Se ho sputato in faccia al guardalinee? No, e chi sostiene questa accusa sporca la mia immagine di professionista. Al limite posso aver bestemmiato, come hanno bestemmiato tanti giocatori del Verona». Da regolamento sono tutti e due comportamenti punibili con il cartellino rosso, ma Bruno Conti non sembra saperlo. Se poi è peggio sputare a una persona o bestemmiare, questo lo lasciamo alla vostra sensibilità. Gli annali riportano solo un caso di espulsione per espressioni blasfeme - curioso - perché Marco Pacione viene espulso dopo un minuto dall’inizio della partita tra Ascoli e Reggiana per aver bestemmiato dopo essere stato colpito al ginocchio da un difensore avversario.
Le espressioni blasfeme vengono tollerate in campo perché ci rimangono: le cose cambiano quando telecamere e microfoni iniziano ad invadere gli stadi. Nel 1996 una telecamera riprende Del Piero mentre bestemmia dopo essere stato ammonito durante un Real Madrid-Juventus. Un labiale che scatena le ire di Padre Sebastiano Bernardini, l’inventore della Nazionale dei cappuccini «Del Piero doveva essere espulso. Ha bestemmiato ripetutamente, lo hanno sentito e visto tutti. È uno scandalo. Si fa il segno della croce prima della partita e poi si lascia andare e impreca in diretta?». Gianni Mura gli fa notare che l’arbitro era olandese.
Il numero 10 della Juventus viene ribeccato qualche mese dopo, questa volta per una bestemmia di gioia, almeno a quanto racconta il suo procuratore Pasqualin: «Finale di Coppa Intercontinentale a Tokyo tra Juventus e River Plate. Segna Del Piero e dopo il gol gli scappa una bestemmia in mondovisione. Ero il suo procuratore e l’ho rimproverato: ricordo il suo dispiacere. Non mi dette una spiegazione razionale, perché di razionale quel gesto non aveva alcunché. Alex, ne sono sicuro, non aveva intenzione di offendere Dio, lui è un ragazzo molto cattolico. Si scusò e credo che poi non sia più caduto in tentazione...».
In un famoso momento di televisione, Del Piero viene accusato di aver bestemmiato durante un’intervista.
Un altro costretto in quegli anni a doversi scusare per aver sfidato l’Altissimo è Renzo Ulivieri, che da allenatore del Bologna - senza accorgersi di essere in diretta su alcune radio tra cui una della Curia - bestemmia in sala stampa dopo la sconfitta col Parma. Ulivieri si costruisce una cattiva fama perché c’è una radio a riprendere la sua blasfemia, tanto che qualche settimana dopo Franco Sensi - nuovo presidente della Roma - per rispondere alle accuse di mancanza di stile dell’allenatore sentenzia «Ulivieri non merita risposta, in quanto a stile: bestemmia dalla mattina alla sera».
Forse per rispondere ai labiali in mondovisione, la Serie A inizia a punire le bestemmie. Succede addirittura a Lippi che - nello stesso giorno del novembre 1998 in cui Del Piero ad Udine si rompe il legamento crociato - viene espulso per aver proferito espressioni blasfeme: «Sono rimasto sorpreso, mi sembra un'assurdità. Ho detto al guardalinee, non condividendo una sua decisione su un fuorigioco, "ma che c. hai visto?" Ed ho tirato una bestemmia, noi toscani ne tiriamo tremila al giorno». Gli allenatori provano a reagire, chiedendo che tutti i microfoni vicino alle panchine vengono spenti. Azeglio Vicini, presidente dell'Associazione italiana allenatori di calcio, fa un esposto al garante della privacy, ma non avrà il successo sperato.
Secondo Demetrio Albertini, comunque si bestemmia meno che in passato: «A volte alcuni compagni di squadra mi collegano all'attività di mio fratello sacerdote, che ha fatto certo una scelta molto più impegnativa della mia. Al Milan ho preso l'impegno di convincere i compagni a non bestemmiare. Ho avuto qualche discussione ma ho continuato a riprendere chiunque bestemmiasse. Sono finito con l'essere visto quasi come una persona mandata lì a controllare. A tal punto che quando qualcuno bestemmia, poi viene a chiedermi scusa... Al Milan si bestemmia molto ma molto meno, ed è una cosa che mi fa piacere».
Il giro di vite sulle bestemmie
Il 30 ottobre 2001 il Commissario speciale della FIGC Gianni Petrucci convoca gli arbitri e mette al bando la blasfemia: «Basta con il gioco duro ed anche con le bestemmie». Finora per lo più tollerati, gli insulti al divino devono essere puniti con il cartellino rosso e la squalifica. Il primo a pagare, appena una settimana dopo, è Silvio Baldini. L’allenatore dell’Empoli viene squalificato per una giornata perché «al 47' del secondo tempo, dopo aver oltrepassato i limiti dell'area tecnica, nel rivolgersi ai calciatori della propria squadra pronunciava ad alta voce alcune espressioni blasfeme». Nel rapporto il quarto uomo scrive che Baldini avrebbe bestemmiato più volte - pare sessantasette - rivolto ai suoi giocatori. L’allenatore accetta la punizione come divina: non ricorda di aver bestemmiato (67 volte) «Ma se è successo, è giusto che mi abbiano squalificato». L’unico appunto che l’allenatore non trattiene è quello dei due pesi e due misure linguistiche: «Gli stranieri sono avvantaggiati. Chi si è accorto che Terim smoccolava in turco?»
In una settimana vengono squalificati Flachi, Novellino e Vavassori, che non ci sta. L’allenatore dell’Atalanta afferma di non aver affatto bestemmiato, ma di aver usato l’intercalare «Zio caio» da lui comunemente usato, dopo un gol subito dalla sua squadra. Prende le sue difese anche l’allora direttore generale Giuseppe Marotta: «Vavassori non ha offeso nessuno: stava per conto suo in panchina, non gli si può togliere la libertà di rammaricarsi per un gol subito». Comunque, come è arrivata, l’improvvisa blasfemofobia nel calcio italiano scompare, senza neanche arrivare a incrociare L'ora di religione, film di Bellocchio uscito nel 2002 che scandalizzò il paese per due bestemmie urlate in una scena memorabile.
Per tornare a parlare di offese all’Altissimo bisogna aspettare il 2004, quando dopo una bestemmia particolarmente ben captata dai microfoni di Fabio Bazzani nuovamente Petrucci - a questo punto arrivato allo scranno più alto del CONI - invita il calcio ad estirparle: «La bestemmia nello sport è vietata, basta alle bestemmie in campo». Qualche settimana prima del suo rimbrotto, Marcello Lippi aveva ammesso ai microfoni che rientrato negli spogliatoi dopo la sconfitta contro la Slovenia - nelle qualificazioni ai Mondiali 2006 - «ho mollato qualche bestemmione. Senza offesa a Dio. In Toscana, la bestemmia è un intercalare».
Don Marcello Morelli, padre spirituale di Coverciano, gli risponde che «sarà anche un'abitudine toscana, ma va controllata come ogni istinto. Lippi mi pare uomo un po' fragile». Interviene anche il Cardinale Fiorenzo Angelini nella trasmissione Non solo sport di Radio Vaticana e a quel punto l’allenatore sbotta: «Dico che ho tirato un paio di bestemmie, e subito spunta un cardinale» come aveva fatto nel 1998, Lippi rivendica l’aspetto culturale della bestemmia «se la prendono [...] senza conoscere la cultura tradizionale della Toscana. Si tratta solo di un modo di parlare nostro: è come dire bianco, verde, giallo o rosso».
Nonostante i tentativi di Petrucci, appoggiato dal Cardinal Bertone che propone anche una forte punizione pecuniaria come deterrente, la squalifica per espressioni blasfeme rimane sullo sfondo: tutti sanno che in campo si bestemmia, qualcuna viene percepita da microfoni o telecamere, qualcun’altra (molto raramente) punita. Più che per la squalifica, chi bestemmia diventa il calciatore edonista e degenerato in contrapposizione ad una nuova generazione di calciatori che non ha paura di portare in campo la fede in Cristo. In Serie A i due rappresentanti più conosciuti sono Adriano - che dopo un gol al Porto mostra una maglia con scritto Filippesi 4:13, “Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica” - e Kakà, che in un’intervista alle Iene ammette di bestemmiare ogni tanto in campo, ma che fuori dal campo gli da fastidio sentire i compagni farlo. Successivamente in una lettera alla Gazzetta dello Sport ritratterà, dicendo che in realtà voleva dire che ogni tanto gli scappano delle parolacce, ma che lui non bestemmia.
La prova tv per le bestemmie
Nel febbraio del 2010 Petrucci torna alla carica: «Ad Abete ho chiesto un intervento urgente per bloccare le bestemmie in campo». Le espressioni blasfeme vengono sempre più spesso inchiodate dalle telecamere, con i labiali, e dai microfoni. Complice YouTube, dove gli utenti raccolgono le bestemmie dei calciatori come fossero compilation di gol, le profanazioni dei calciatori ormai rimangono immortali nell’etere. Secondo Petrucci «La religione non c'entra, è un fatto di civiltà e di etica. Quanti ragazzi vedono le partite e assistono a questo brutto spettacolo, pensando così che la bestemmia sia lecita se nessuno la punisce».
Qualche settimana prima era stato beccato Iaquinta, che si era rivolto verso l’altro dopo aver sbagliato un gol facile con la maglia dell’Italia, difeso da Lippi, tornato CT, che in un’intervista a Papanews.it assolve chi bestemmia in campo: «Chi impreca in campo lo fa per istinto e rabbia non per mancanza di fede o per offendere Dio» tornando ancora una volta sul rapporto affettuoso tra i toscani e la blasfemia «Per esempio in Toscana la bestemmia è quasi utilizzata come un intercalare, ma è stato un attimo e non per astio verso Dio».
Nonostante Lippi, le bestemmie tornano ad essere uno spauracchio da punire senza pietà. Mourinho interrogato a riguardo dice di non conoscere cosa siano e una volta informato dai giornalisti afferma di non averle mai sentite, a rimarcare come sia una specialità tutta italiana. Petrucci trova una sponda in campo nel solo Legrottaglie, difensore convertito, «Ha ragione il presidente. In campo tutti noi giocatori dovremmo impegnarci a dare il buon esempio». A essere beccato in quei giorni - dalle telecamere non dalla tolleranza zero voluta dal capo del CONI che sarebbe partita solo la settimana successiva - è anche Gigi Buffon, capitano della Juventus e eroe Nazionale per il Mondiale del 2006.
I portieri sono tra i giocatori più a rischio, lavorando a ridosso dei microfoni dietro le porte e vivendo in attesa di essere trafitti dal pallone. Buffon con la sua voce forte e cavernosa viene beccato a bestemmiare in maniera così evidente da guadagnarsi un Tapiro d’Oro, premio non si sa bene a cosa del programma Striscia la Notizia. Con un apprezzabile spirito fatalista il portiere incassa e rimanda il suo giudizio: «Chiedo scusa, se un giorno avrò la fortuna di incontrare Dio sarà lui a decidere se perdonarmi». Anni prima Buffon era stato strigliato anche da Trapattoni «Lascia stare la Madonna. Sei tu che non hai parato, mica Lei» (Trapattoni che anni dopo verrà poi silurato da commentatore della Rai per aver bestemmiato in diretta. Si difenderà dicendo che era un orcozio «un modo di dire popolare dalle mie parti»).
La grande novità è che per punire la bestemmia non serviranno le orecchie della terna arbitrale, ma ci si potrà affidare alla prova tv per decifrare il labiale. Per i giocatori diventa quindi molto più difficile limitarsi al giudizio di Dio in caso di offese. Il rapporto tra bestemmia e squalifica diventa rapidamente un caso. La Gazzetta dello Sport lancia un sondaggio tra i suoi lettori: per il 52% di loro ritiene che le espressioni blasfeme non debbano portare al cartellino rosso. A difesa dei giocatori interviene anche la FifPro, sindacato internazionale dei calciatori, tramite l’avvocato olandese Wil van Megen «Come chiunque altro, i giocatori hanno il fondamentale diritto di espressione».
I primi a farne le spese sono Domenico Di Carlo e Davide Lanzafame. In serie C gli squalificati per bestemmie saranno nove. A Kaladze le giornate combinate saranno addirittura quattro, oltre alla bestemmia il giocatore del Genoa avrebbe detto all’arbitro che “se stavo al Milan non mi avresti ammonito”. Si salva invece Marcolini, assolto dopo che il giudice ha esaminato le immagini televisive perché, si legge nella decisione, "uscendo dal terreno di gioco in conseguenza dell’espulsione inflittagli dall’Arbitro pochi attimi prima, proferiva apparentemente un’espressione gergale, in uso nel Triveneto ed in Lombardia, con becero riferimento a "Diaz" e non a Dio”.
La versione edulcorata della bestemmia diventa l’appiglio di calciatori e allenatori. Buffon prima di cospargersi il capo di cenere aveva provato a scaricare l’offesa sul parente: «Ho uno zio un po' porcellino. Provate che uno dice Dio e non zio», Claudio Ranieri aveva messo tutti sull’attenti: «Ben venga il provvedimento. Con la tv entriamo in casa di milioni di persone, ci vedono molti bambini. Dobbiamo dare l'esempio, ma attenti a non fraintendere, spesso la parola viene tramutata in zio». L’avvocato di Scurto, squalificato con la prova tv per blasfemia con la maglia della Triestina in Serie B, tra le carte del ricorso porta la dichiarazione giurata di una sordomuta secondo cui quella interpretata dal giudice come una “d” sarebbe in realtà una “z”, riuscendo così a far annullare - per ragionevole dubbio - la squalifica.
Intanto, soprattutto in panchina, le giornate di sospensione fioccano: sotto Pasqua tocca a Campilongo che nega con fermezza dichiarandosi devoto a Padre Pio e - addirittura - che essendo Venerdì Santo, stava digiunando dal giorno prima. Nicola Pozzi viene squalificato dopo la relazione del collaboratore della procura federale, che l'avrebbe sentito bestemmiare negli spogliatoi alla fine della partita col Cesena mentre mangiava una piadina con un compagno. Anche Foschi, ds del Palermo, viene beccato dai microfoni e a un Monsignore che lo rimprovera dice «Sono più bestemmiatore io o quelli delle tv che ancora mandano in onda le immagini?».
I presidenti allora vanno davanti ad Abate e ai vertici arbitrali per chiedere di abolire la norma che prevede la squalifica con la prova tv «o l'arbitro sente la bestemmia e giustamente espelle oppure basta con gli zii e con le letture del labiale dalla tv. D'altro canto o una bestemmia è declamata e percepita chiaramente dall'arbitro oppure è un pensiero tra sé e sé di un giocatore, quindi non punibile da nessuno». Una riflessione particolarmente significativa, che sembra la versione cristologica del “Se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa rumore?”.
A pochi giorni dal Natale 2011 una presunta bestemmia di Zlatan Ibrahimovic diventa un giallo. Per qualcuno lo svedese ha apostrofato l’Altissimo, quello a cui qualche anno dopo si paragonerà stabilmente, mentre secondo i legali del Milan le immagini tv non sono assolutamente chiare. Forse lo spirito natalizio pervade anche la Procura federale che ritiene di non avere sufficienti elementi per avallare la tesi e lascia tutto in mano a altri tribunali o - al massimo - alla sensibilità di Ibrahimovic in confessione.
Come nelle altre occasioni in cui i vertici del calcio hanno provato a penalizzare la blasfemia, anche in questo caso dura poco. Il numero di squalifiche scema rapidamente, ma non si azzera del tutto. Ad aprile 2012 tocca a Pellissier pagare caro per aver rivolto espressioni blasfeme all’arbitro nel tunnel. Il suo allenatore Di Carlo - primatista delle squalifiche per blasfemia, tre - però non ci sta: «Bisogna stabilire una volta per tutte questa regola perché non può essere applicata una volta ogni tanto e su chi vogliono loro. Ciascuno di noi, durante e dopo le partite, magari non si rende conto di quello che dice. Si sputa fuori una parola ma lo fanno anche gli altri».
Sono infatti molti a protestare perché ad essere beccati sono sempre i pesci piccoli. In quei mesi i labiali evidenti di Ibrahimovic, Gattuso e Maicon vengono fatti passare, dopotutto si parla di religione e non di un tocco di mano in area di rigore e i confini sono molto labili.
Il declino delle bestemmie
L’ultimo guizzo delle espressioni blasfeme arriva nuovamente dal CT della Nazionale. Ma se Lippi aveva pacificamente ammesso le sue colpe rifugiandosi nelle sue origini per giustificarsi, Prandelli - beccato a bestemmiare dopo un gol di De Rossi contro il Giappone - si rifugia sull’incomprensione linguistica «Non mi ricordo cos'ho detto, probabilmente sarà stato un 'dai, andiamo'. In ogni caso non dico mai Dio, semmai dico zio».
Negli ultimi anni la squalifica per espressioni blasfeme ha imparato a convivere con il calcio. È toccato a Siligardi, Padelli, Gastaldello, anche a Menez, squalificato per 4 giornate per aver sbroccato con l’arbitro, di cui una per bestemmia. Recentemente è toccato a Maran, Longo, Scozzarella e Mandragora, che a causa della sua blasfemia espressa «imprecando senza rivolgersi ad alcuno dei presenti» è stato rispedito da Mancini dalla Nazionale maggiore all’Under 21. Altri invece l’hanno scampata, nonostante audio o labiali molto chiari, come De Rossi dopo un gol alla Sampdoria (forse perché una bestemmia, quando tirata con gioia, è meno grave? È una distinzione che possiamo fare?).
In generale però la blasfemia in campo è tornato ad essere più un fatto folkloristico, da categorie minori. Nel dicembre 2013, ad esempio, la partita tra Vermiglio e Ozolo Maddalene, serie D trentina, viene interrotta perché 5 giocatori degli ospiti vengono espulsi per espressioni blasfeme. Nella Prima Categoria piemontese un arbitro ha assegnato un rigore dopo aver captato una bestemmia in area di rigore, ma dopo il ricorso la partita è stata ripetuta: le espressioni blasfeme sono punite con una punizione indiretta come il retropassaggio al portiere che la raccoglie con le mani (quindi portano al rosso diretto ma non possono causare un rigore). Sempre nel 2013 il Csi, un'associazione vicina alla Chiesa Cattolica che organizza campionati di calcio amatoriale, ha sperimentato un particolare cartellino azzurro, tinta inconfondibile della Madonna, da mostrare a chi bestemmia. Il colpevole deve stare otto minuti fuori dal campo a rimuginare sui propri errori mentre i compagni devono giocare 10 contro 11, una sorta di cura Ludovico.
Dopo la squalifica di Skriniar molti si sono chiesti perché non è stato trattato allo stesso modo anche Buffon, che avrebbe offeso la Madonna dopo aver solo sfiorato il rigore di Politano nella lotteria contro il Napoli in finale di Coppa Italia. A voler fare un tentativo, il difensore ha bestemmiato in faccia all’arbitro, mentre il portiere lo ha fatto “nel suo privato” (ma vicino ai microfoni). Può essere questa una distinzione? Ci sono bestemmie che valgono più di altre? Chi lo sa.
Agli arbitri è chiesto di muoversi lungo un confine sottile, far rispettare una regola molto poco terrena in uno sport molto terreno. È vero: ascoltare una bestemmia in tv può essere sgradevole, poco educativo per il pubblico più giovane, ma al tempo stesso è difficile impedire ad un giocatore di esprimere il proprio disappunto (o la propria gioia) come meglio credono. Le espressioni blasfeme in televisione sono la controindicazione di un calcio sempre più vivisezionato, con telecamere e microfoni che seguono i giocatori fin dentro gli spogliatoi, anche prima delle partite, anche mentre i giocatori scendono dal pullman.
Possiamo volere uno senza volere le altre? Impossibile.