Quando parlano di calcio gli inglesi si riferiscono ai campionati che non siano la Premier Legaue come “farmer leagues”, appellativo ironico nato dall'assunto per cui in Inghilterra, a differenza degli altri paesi, si rischia di perdere con qualsiasi squadra, a prescindere dalla posizione in classifica. Troppo facile la vita per Barcellona e Real in Spagna, così come per Juventus e Bayern Monaco in Serie A e Bundesliga. Qualche anno fa l'opinionista ed ex calciatore scozzese Andy Gray si chiedeva addirittura cosa avrebbe saputo fare Messi in un piovoso mercoledì sera a Stoke-on-Trent.
Mentre scrivo, il Manchester City dell'allenatore più lontano possibile dai canoni inglesi è passato sopra la Premier League come un carro armato ed è distante tre vittorie dalla matematica certezza della vittoria del campionato. La settimana scorsa il Siviglia, quinto in Liga, ha eliminato dalla Champions League il Manchester United secondo in Inghilterra e nella fase eliminatoria della competizione,dal 2013 a oggi, il tabellino degli scontri diretti tra spagnole e inglesi riporta un eloquente 9-1 in favore della Liga. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi su quale sia il campionato più competitivo al mondo, potrebbe allora rivolgersi alla semplice classifica. Vero, i quattro posti che portano in Champions League sembrano già assegnati, ma tra l'undicesimo e il quinto posto del campionato spagnolo scorrono appena sei punti. La classe media in Spagna è più viva che mai e al di là di Siviglia, Villarreal e Celta Vigo, sorprende ritrovare in questo trenino squadre come Girona, Getafe, Eibar e Betis.
Girona e Betis occupano il settimo e l'ottavo posto e probabilmente si giocheranno l'ultimo slot valido per l'Europa League. Entrambe rappresentano un esempio virtuoso di scalata sociale nella Liga. I catalani ormai, dal 2014, seguono fedelmente la proposta offensiva di Pablo Machin, capace di trasformare Christian Stuani, uno scarto della Reggina, in un attaccante da diciassette gol in ventiquattro presenze. Il loro è un percorso nel segno della continuità, supportato dalla collaborazione tecnica (e dai prestiti) del Manchester City.
Il Betis, invece, ha deciso di tagliare tutti i ponti col passato: la dirigenza, probabilmente stanca di vivacchiare nella parte destra della classifica, in estate ha dato una virata decisiva alla storia del club, puntando su un profeta del gioco di posizione come Quique Setien. Il Betis ora ha un progetto ambizioso, studiato per raggiungere i piani alti della classifica attraverso un'idea di calcio per certi versi estremista.
Quiqueè arrivato a Siviglia dopo aver diffuso il verbo del proprio calcio al Las Palmas, negli ultimi due anni, e il suo arrivo ha fatto dimenticare in fretta la partenza di Dani Ceballos. La società gli ha messo a disposizione subito i giocatori che voleva: Boudebouz, Guardado, Feddal e Marc Bartra; tutti giocatori tecnicamente raffinati, perfetti per il suo gioco, a cui si è aggiunta l'esplosione di alcuni canterani, come Fabian Ruiz.
Fino a questo momento i biancoverdi di Quique non hanno tradito le attese e per uno spettatore neutrale sono garanzia di spettacolo, nel bene e nel male, per l'efficienza del sistema offensivo, ma anche per le amnesie di quello difensivo. Uno squilibrio divertente rappresentato bene dai 49 gol segnati e dai 53 subiti: quasi due gol incassati a partita, una media che in teoria sarebbe da retrocessione (solo Deportivo e Las Palmas hanno fatto peggio) riequilibrata da un attacco ricco di soluzioni collettive e individuali.
Una difesa che fa centrocampo
Uno degli aforismi più consumati di Guardiola è quello relativo allo scarso valore dei moduli. Per Setien vale lo stesso, in maniera quasi letterale: 4-4-2, 4-2-3-1, 4-3-3, 3-4-3, 3-5-2, il Betis cambia moduli come uno spacciatore cambia numeri di telefono. Quique Setien è un tecnico di principi: costruzione bassa insistita, che attira gli avversari fuori posizione, per poi colpirli alle spalle con più campo a disposizione; progressione al centro tramite la formazione continua di triangoli e rombi, figli degli interscambi tra centrocampisti e attaccanti; occupazione del campo in tutta la sua ampiezza, così da smagliare la difesa avversaria e rendere più facili le ricezioni in profondità e nei mezzi spazi.
I feticisti del culto di Quique Setien amano più di ogni altra cosa la costruzione dal basso delle sue squadre, talmente fluida ed elaborata da restituire un senso di perfezione geometrica anche all'occhio di uno spettatore che non sia super appassionato di tattica. Comprendere l'importanza del possesso basso per squadre come Betis e Las Palmas significa afferrarne, a catena, i principi del resto della manovra.
Al di là degli interpreti in campo e del modulo scelto, il Betis inizia il possesso con un rombo di costruzione che permette di avere più linee di passaggio a disposizione. Setien ha usato più spesso il 4-3-3, 4-2-3-1, 3-4-3. Con il primo modulo è il playmaker ad abbassarsi facendo la salida lavolpiana tra i due centrali che si allargano, mentre una delle mezzali si posiziona da vertice alto del rombo. Col secondo modulo, invece, ai tre difensori di partenza più avanti si aggiunge uno dei due mediani, mentre l'altro si alza in prossimità della trequarti. Con il terzo modulo uno dei centrali di difesa si allarga mentre a centrocampo Fabian Ruiz si sposta lateralmente nello spazio opposto, tra il difensore centrale e il terzino, che si alza; l'altro mediano staziona centralmente in verticale e diventa il vertice alto del rombo. L'obiettivo, come accennato, è quello attirare il pressing avversario per poi colpirlo alle spalle tramite il palleggio, per questo non si prescinde dalla costruzione bassa.
Quique Setien può insistere su questo principio anche grazie a due particolarità tecniche importanti per il Betis. Innanzitutto, in caso di emergenza si può coinvolgere il portiere: Antonio Adan sta vivendo la miglior stagione in carriera soprattutto per la sua importanza in fase di costruzione, non si limita solo a smistare il pallone lateralmente con lanci quasi sempre precisi, ma ha sviluppato una certa dimestichezza anche con i filtranti taglialinee capaci di sorprendere gli attaccanti in pressione.
Vero, l'insistenza con cui il Betis chiama in causa Adan è costata qualche gol subito, come contro il Villarreal a inizio stagione, ma col tempo si è rivelata fondamentale. I retropassaggi al portiere invitano a un pressing ancora più esasperato, che però induce l'attaccante ad abbandonare il difensore per alzarsi sul portiere, generando automaticamente la superiorità numerica. Adan, come detto, sa tagliare col suo sinistro le linee di pressione per trovare il difensore lasciato libero dell'avversario in pressione, e questo causa un effetto domino nei movimenti senza palla degli avversari, che libera sempre un compagno alle spalle di chi pressa: il principio base del gioco di posizione.
Più che Adan però, la vera garanzia sul possesso basso per Quique Setien sono i suoi difensori centrali. Mandi, Feddal, e da gennaio Bartra, sono i registi arretrati del Betis, in grado sia di trasmettere con pulizia il pallone al centrocampo, sia di trovare direttamente i compagni sulla trequarti grazie a doti di passaggio ben sopra la media. Mandi è un centrale algerino con trascorsi da terzino, quindi abituato a portare palla anche in zone profonde di campo. Feddal, difensore marocchino ex Parma, in passato ha giocato anche da centrocampista e ai mondiali insieme a Benatia completerà uno dei pacchetti difensivi più tecnici della competizione. Per Bartra, invece, basta ricordare la trafila dalle giovanili fino alla prima squadra del Barcellona per parlarne come di un difensore tecnico, il suo arrivo permette a Setien di schierare stabilmente Javi Garcia a centrocampo, senza più costringerlo a effettuare la salida lavolpiana o addirittura a partire da difensore centrale.
Vero, nel calcio moderno le doti in fase di possesso per i difensori sono importanti tanto quanto quelle puramente difensive, ma nel sistema di Setien a un difensore non basta avere la tecnica di un centrocampista: deve arrivare a pensare come un centrocampista. In questo senso il tecnico cantabrico spinge ancora più in là la sfera d'influenza dei centrali, che non possono limitarsi solo a trasmettere il pallone, ma devono muoversi anche per facilitare il possesso.
Devono ragionare in funzione dello spazio, cioè, e non di una posizione rigida. Se, ad esempio, il terzino riceve palla e non ha linee di passaggio a disposizione, allora il centrale dovrà muoversi alle spalle del proprio marcatore, avanzando anche fino a centrocampo per offrire un nuovo sbocco al possesso. Il difensore diventa una vera e propria parete: compito svolto egregiamente da un giocatore come Mandi, ma anche da un centrocampista come Fabian Ruiz, che proprio per la sua capacità di muoversi con intelligenza lungo tutto il campo si abbassa spesso a fare da terzo centrale.
Dopo aver scaricato la palla sul portiere, Mandi si muove di nuovo alle spalle del marcatore, nello spazio svuotato a centrocampo dalla pressione del Madrid. Ora il Betis può risalire il campo in superiorità numerica rispetto al Madrid.
Nella metà campo avversaria
Una volta superata la prima linea di pressione il Betis può costruire nella metà campo avversaria, dove diventa fondamentale che i giocatori si dislochino in modo intelligente. Quique Setien invita i suoi a occupare il campo in tutta la sua ampiezza: a inizio stagione, col 4-3-3 solitamente a partire largo era uno dei terzini (Durmisi più di Barragan) e una delle ali, mentre quella del lato opposto stringeva nel mezzo spazio; col passaggio al 4-2-3-1 e al 3-4-3 invece sono direttamente i terzini ad alzarsi per garantire ampiezza, con entrambe le ali libere di stringere verso la trequarti.
L'occupazione fissa dei due corridoi laterali ha l'obiettivo di rendere complicata la fase di non possesso avversaria: i due riferimenti larghi fanno da specchietti per le allodole, perché a dover difendere il campo in tutta la sua larghezza rischia di sfilacciare le linee di difesa e centrocampo, creando ampie zone di ricezione al centro. Ecco perché il Betis copre bene anche gli spazi di mezzo. Di solito il centrocampista centrale e uno dei trequartisti occupano la fascia centrale. Le ali invece stringono negli halfspace. Ovviamente esistono delle varianti: quando nei primi mesi di 4-3-3 l'ampiezza era garantita da un'ala e da un terzino l'occupazione dei mezzi spazi spettava all'altra ala e a una mezzala, che si alzava.
In nessun caso si tratta di un'occupazione statica dei corridoi verticali. Nel migliore dei casi il mediano o i centrali laterali di difesa possono verticalizzare direttamente alle spalle del centrocampo, ma se gli avversari riescono ad addensare il centro del campo, allora i giocatori delle fasce centrali si scambiano tra di loro la posizione, provando ad attrarre il proprio marcatore fuori zona per aprire ricezioni comode ai compagni. Anche in questo caso è difficile inquadrare il Betis in uno schema rigido. Capita che anche i trequartisti si abbassino sulla linea del centrocampo per aiutare la costruzione e attrae fuori posizione i marcatori.
Quando la palla arriva sulla trequarti, la posizione ravvicinata dei trequartisti favorisce combinazioni tecniche che possono aprire spazi nella difesa avversaria: un contesto che esalta il talento dei trequartisti a disposizione di Setien. In questo articolo dello scorso anno sul Las Palmas, Alejandro Sierra sottolineava come uno dei limiti dei canari fosse l'assenza di giocatori in grado di creare superiorità posizionale col dribbling. «Nel gioco di posizione, infatti, il dribbling è importante quasi quanto un passaggio: è una risorsa individuale capace di creare vantaggi collettivi. Inoltre, in alcune circostanze, ad esempio quando il gioco non è fluido, permette di superare gli avversari e aprire dei corridoi di campo per arrivare in area di rigore».
Quique Setien stavolta si è premunito e la dirigenza in estate ha infarcito la rosa di giocatori creativi ed estrosi nell'uno contro uno. A partire dal centrocampo, regno di Fabian Ruiz e di Guardado. Gli anni in Eredivisie hanno convertito il principito in un giocatore a metà tra un regista basso e una mezzala di possesso, ma il passato da ala lo rende un giocatore estremamente creativo in mezzo al campo, capace di mantenere il possesso sotto pressione e di ricorrere al dribbling se necessario. Senza dimenticare la visione di gioco: per media tra assist e third passes Guardado è il giocatore più efficiente del Betis.
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Di Fabian Ruiz, già pupillo di Sabatini, si è lodata l'intelligenza nei movimenti in fase di prima costruzione. Ciò che stupisce però è la sua influenza anche sul resto della manovra. Il canterano è in grado di accompagnare il possesso fin dentro l'area avversaria. Setien lo ha schierato sia da terzo centrale di sinistra che da mediano di un centrocampo a due, da mezzala di un centrocampo a tre e da trequartista. Sa sempre quando muoversi per formare triangoli con i compagni e all'istinto associativo coniuga ottime qualità sia fisiche (un metro e novanta d'altezza) che tecniche: passaggi sul corto sempre puliti, filtranti alle spalle della difesa avversaria, dribbling sugli avversari in controtempo e anche un discreto tiro dalla media distanza.
Più avanti rispetto a Ruiz e Guardado agisce poi la batteria dei trequartisti, estremamente varia per caratteristiche tecniche: dalla velocità pura di Tello al sinistro di velluto di Boudebouz. L'algerino spazia lungo trequarti e se è necessario si propone per ricevere a centrocampo, dove fa valere le sue innate doti di protezione palla. Alla tecnica sopraffina, che gli permette di saltare l'uomo con facilità anche con pochissimo spazio a disposizione, abbina poi un'eccellente visione di gioco, con cui riesce ad assistere i compagni sia sul lungo sia sul corto. La sua lentezza avrebbe potuto rappresentare un limite in un campionato competitivo come la Liga, ma il sistema di Setien ne ha canalizzato al meglio il talento: oggi Boudebouz è il trequartista più creativo del Betis, in grado di generare oltre il 25% delle occasioni di squadra.
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Il partner perfetto dell’algerino nelle combinazioni palla a terra è Joaquin, leggenda betica e in generale giocatore di culto del calcio iberico. Se oggi, a 37 anni, il capitano continua ad essere decisivo in Liga probabilmente lo deve ai due anni trascorsi nella Fiorentina di Montella. Il miglior giocatore della Spagna ai mondiali del 2002 ha stravolto totalmente la propria concezione di calcio: l'ala destra il cui stile di gioco era riassunto nel motto la finta y el sprint si è evoluta in un giocatore universale, sempre incline al dribbling e utilissimo in ogni contesto. Se si parla di over 35, forse siamo davanti a uno dei migliori giocatori di movimento al mondo. Per sopperire all'usura del tempo Joaquin ha imparato a muoversi anche in zone più interne e ad associarsi ai compagni. Per i giocatori del Betis il passaggio sul diciassette è sempre un'ottima scelta: anche nelle ricezioni spalle alla porta ha sviluppato doti di protezione palla davvero eccellenti.
Joaquin al top.
L'alternativa è l'ampiezza
Il sistema di Setien per altro ha messo in evidenza un'altra caratteristica inedita di Joaquin, che non si limita più a reclamare palla sui piedi ma quando serve è capace di dare anche una dimensione verticale al suo gioco senza palla, con tagli profondi alle spalle della difesa, spesso utilissimi per il Betis. Un altro effetto collaterale della copertura del campo in tutta la sua ampiezza.
Se contro una squadra con i terzini sempre alti e larghi le ricezioni dei trequartisti nei mezzi spazi sono il problema più immediato, un'altra preoccupazione per chi difende è la copertura della profondità. Il Betis cerca di sfruttare la “coperta corta” della difesa per poterla colpire alle spalle appena possibile. Da qui l'importanza dei movimenti senza palla di Joaquin o degli altri trequartisti.
È una soluzione utile sia per vie centrali che sulle fasce. Molte squadre contro il Betis preferiscono difendere il centro, scivolando in pressione da un lato all'altro del campo a seconda della zona palla. Il cambio gioco da un lato all'altro sui terzini sempre aperti può essere una buona soluzione contro squadre compatte che indirizzano il possesso lateralmente. Spostando il possesso sul lato debole, si costringono gli avversari a faticosi spostamenti da un lato all'altro del campo.
Con la palla sulla fascia, gli andalusi possono provare a punire lo scivolamento difensivo in maniera abbastanza diretta: uno dei giocatori coinvolti nella costruzione in fascia detta il passaggio con un movimento verticale alle spalle della difesa che scivola in orizzontale. Col filtrante giusto è possibile cogliere controtempo la difesa e guadagnare più facilmente il fondo. A quel punto il Betis deve riuscire ad attaccare l'area con più uomini in modo da non rendere vano il cross.
Barragan largo in possesso. La difesa del Levante stringe verso il lato palla. Leon scatta alle spalle dei difensori e detta il filtrante al compagno. Da questa combinazione di ampiezza e profonditò nasce il cross che porta al gol di Sanabria.
Se però gli avversari riescono a raggiungere in tempo il lato palla e a negare l'attacco alla profondità, allora il Betis deve provare a costruire con calma, spostando la superiorità posizionale a ridosso della fascia. Di solito nel possesso largo sono coinvolti almeno quattro giocatori, diversi a seconda dello schieramento: terzino, mezzala, mediano e ala col 4-3-3, terzo centrale di difesa, esterno, trequartista esterno e trequartista centrale col 3-4-3 a diamante, terzo centrale di difesa, mediano, esterno e ala col 3-4-3 in linea.
Anche sull'esterno, il capannello di giocatori attorno alla palla deve provare ad aggirare l'avversario tramite combinazioni tecniche favorite dal continuo scambio di posizioni. Se la catena laterale riesce a superare la pressione vicino al centrocampo o della trequarti, allora si può far tornare il pallone al centro per poi colpire il nuovo lato debole degli avversari. Se invece si riesce a scoprire il pallone a ridosso del vertice dell'area, allora la soluzione migliore diventa il cross a rientrare sul secondo palo, dove l'esterno del lato opposto deve essere pronto ad attaccare il fianco scoperto della difesa.
Approssimazione difensiva
L'intero sistema di Setien dunque si regge su un'impalcatura offensiva sofisticata e oliata in ogni meccanismo. Forse è proprio a causa dello sforzo per sostenere questa complessità offensiva che l'organizzazione difensiva non è altrettanto accurata. Se oggi il Betis invece di ritrovarsi stabilmente a lottare per la Champions è ancora (di poco) fuori dall'Europa League lo deve soprattutto a una fase di non possesso approssimativa in ogni zona del campo.
Setien, come qualsiasi allenatore con ambizioni di controllo del pallone, vorrebbe provare a recuperare il possesso fin da subito e in zone alte di campo. È un postulato necessario per una squadra che porta così tanti uomini vicino all'area avversaria. Gegenpressing e pressing dovrebbero essere compito di attaccanti e centrocampisti, sostenuti da una difesa sempre alta e pronta ad accorciare in avanti. Il problema è che non sembra ci siano meccanismi coordinati di pressione sulla difesa avversaria, soprattutto in caso di perdita del possesso. In fase di riaggressione i giocatori più avanzati sembrano quasi passivi, a volte si assiste a dei tentativi di pressione individuali, mai supportati in maniera collettiva e sistematica. Per questo motivo, una volta persa palla sulla trequarti, il Betis si trova spesso in balia delle transizioni offensive avversarie.
Dopo aver perso palla vicino alla linea di fondo il Betis prova a riconquistare immediatamente il possesso. Durmisi controlla Isco mentre al limite dell'area Javi Garcia si alza su Modric in possesso. Tello però è lontano da Casemiro e si avvicina al brasiliano in maniera davvero passiva. Casemiro può ricevere lo scarico di Modric e giocare su Kroos alle spalle del centrocampo betico.
Kroos ha tutta una prateria a disposizione per avanzare palla al piede. Davanti a lui, fuori inquadratura, ci sono Bale e Cristiano Ronaldo, in parità numerica con i due difensori centrali avversari.
Non va meglio con la pressione sul possesso consolidato degli avversari. In questo caso subentrano due tipi di problemi. Da una parte i tempi non sempre perfetti di uscita di attaccanti e centrocampisti in pressione, che concedono ampio campo da attaccare per gli avversari. Dall'altra l'atteggiamento della linea difensiva, restia ad alzarsi troppo e poco coordinata nei suoi movimenti.
A inizio anno, col 4-1-4-1 in fase di non possesso, il Betis portava le mezzali in pressione sui centrali a seconda del lato palla, mentre la punta schermava il passaggio verso il centro; sul passaggio laterale le ali erano pronte a uscire sul terzino di competenza. La difesa doveva restare sempre alta per aiutare eventualmente il mediano, Javi Garcia, a coprire lo spazio ai suoi lati. Anche in questo caso però, l'approssimazione di alcuni meccanismi rendeva i tentativi di pressing del Betis praticamente vani. La difesa non si muoveva seguendo una zona pura, era piuttosto una zona che prendeva l'uomo come riferimento. Setien lasciava molte responsabilità ai suoi uomini nella marcatura degli attaccanti e questo causava spesso incomprensioni tra i quattro dietro. Ad esempio, ad una squadra abile in fase di possesso come la Real Sociedad di Eusebio, è bastato mettere un attaccante, Willian Jose o Juanmi, tra difensore centrale e terzino per liberare uno dei mezzi spazi a fianco di Javi Garcia. Terzino e difensore centrale infatti erano indecisi su chi dovesse restare sull'attaccante e su chi invece dovesse uscire aggressivo per aiutare il mediano.
Illarramendi in possesso. Guardado di fronte a lui prova a schermare, male, la linea di passaggio su Xabi Prieto libero al fianco di Javi Garcia. Più avanti Willian José impedisce a Feddal di uscire in marcatura nel mezzo spazio.
Prieto può girarsi e appoggiare a Willian José che viene incontro. Incredibilmente la difesa betica non sa cosa fare. Feddal se la prende con Mandi che non è uscito sul brasiliano, ma in realtà avrebbe dovuto seguirlo lui.
Il Betis raramente riusciva a recuperare palla nella metà campo avversaria; un vero peccato per una squadra con interpreti perfetti per colpire anche in transizione.
Via Futbol Avanzado. Grafica risalente a Febbraio: il Betis è tra le squadre che recupera meno palloni nella metà campo avversaria ogni novanta minuti. Appena il 24 % dei tentativi di pressing alto va a buon fine.
L'incoerenza tra pressione degli attaccanti e orientamento della linea difensiva finiva per sfilacciare del tutto la squadra. Mentre gli uomini davanti si spostavano secondo la direzione del pallone, i difensori dovevano muoversi in base alla posizione e alle decisioni degli attaccanti avversari: non era raro vedere attaccanti e mezzali pressare in avanti mentre i difensori rinculavano per seguire il movimento in profondità delle punte avversarie.
Una linea difensiva così poco coordinata non solo facilitava il possesso avversario in zone cruciali di campo, ma rischiava di sfaldarsi anche a ridosso della propria area. Se un difensore usciva aggressivo sull'avversario nel mezzo spazio, non sempre il compagno di reparto era pronto a dargli copertura alle spalle.
Ecco perché ultimamente Setien è passato alla difesa a tre. In questo modo i centrali laterali possono aggredire i mezzi spazi con più tranquillità, sicuri della presenza di un uomo in più alle loro spalle. Ne dovrebbe beneficiare tanto la linea difensiva quanto il mediano, in teoria non più scoperto sui fianchi. I difensori del Betis però, Mandi e Feddal soprattutto per via della loro lentezza, non se la sentono di alzarsi in marcatura, ecco perché nonostante il cambio di modulo il Betis non riesce ancora a risolvere i propri problemi difensivi.
Le vittorie di Setien
In Italia negli ultimi mesi si è discusso molto, e non senza retorica, sul “bel gioco” e su quello che sarebbe il lascito del Napoli di Sarri qualora non dovesse vincere lo scudetto. Il tecnico toscano ha cercato di difendere il valore del proprio lavoro tramite l'esempio dell'Olanda di Michels, un paragone purtroppo frainteso dalla maggior parte dell'opinione pubblica. Setien, pur non lottando per la vittoria della Liga, corre comunque il rischio di non raggiungere nessun risultato tangibile, in questo caso la qualificazione europea. Eppure ritenere fallimentare la stagione del Betis e l’impatto del tecnico sulla squadra sarebbe ingiusto.
A Setien sono bastati pochi acquisti mirati per trasformare la salvezza stentata della scorsa stagione in un lontano ricordo. Ha dato lustro alla cantera betica lanciando, oltre a Fabian Ruiz, altri due '96 di prospettiva. Francis, terzino destro e soprattutto Junior Firpo, terzino sinistro iperatletico in grado di relegare Durmisi in panchina. Ma uno dei successi più esemplari di Setien si chiama Loren Moron. Punta andalusa classe '93, in tre anni di Betis B non era mai riuscito a esordire in Liga. Aveva accettato di rimanere in seconda squadra solo per la sua fede betica, ma senza il debutto nel massimo campionato sarebbe andato via a fine stagione. Setien ha visto in lui le caratteristiche che mancavano a Sergio Leon, a partire dal fisico: un metro e ottantotto a cui affidarsi in caso di difficoltà, come col Boateng di Las Palmas. Ma Loren non è solo un centravanti boa: alla stazza abbina una buona velocità è un ottimo istinto associativo, perfetto per venire incontro e combinare con i trequartisti. In più, non disdegna il tiro dalla distanza, grazie al quale ha firmato la sua prima rete in Liga contro il Villarreal. Oggi l'ex attaccante della squadra B ha segnato cinque gol in sette presenze ed è la dimostrazione della capacità di Setien di valorizzare al massimo il mondo Betis.
A nove giornate dal termine i verdiblancos si ritrovano ottavi a pari punti col Girona e a due punti dal Siviglia sesto con entrambi gli scontri diretti ancora da giocare: in trasferta con i catalani e in casa nel derby, forse il momento più atteso dalle parti del Benito Villamarin. Dopo quattro anni dall'ultima vittoria contro i cugini, a gennaio il Betis è riuscito a rimettere in discussione la supremazia cittadina. Lo stesso lasso di tempo trascorso dall'ultima apparizione europea, il quarto di finale di Europa League perso ai rigori proprio per mano del Siviglia.
Ad ogni modo, Quique Setien non sembra soffrire più di tanto il culto della vittoria. Ha illimitata fiducia nel proprio credo tattico e sa riconoscere l'importanza di idee e principi nella costruzione di un sistema di gioco: “la gioia collettiva è più appagante di quella individuale”, parafrasando Sarri, proprio perché più di tutte eleva il singolo. Quique Setien non ha dubbi: «A molta gente importa solo del risultato e non pensa al calcio come uno spettacolo. Nonostante per me sia una professione amo vedere la mia squadra giocare bene e solo dopo mi preoccupo del risultato».