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Il bidone più famoso d'Italia
24 lug 2020
La storia romanzesca di Luiz Silvio Danuello.
(articolo)
15 min
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Anche se il suo nome potrebbe non dirvi niente è probabile che già conosciate la storia di Luiz Silvio Danuello. Allo stesso modo, però, è probabile che le cose che avete letto su di lui siano false o inventate.

Danuello è stato un modestissimo giocatore capace di racimolare appena 6 presenze in Serie A e una in Coppa Italia eppure oggi è una sorta di giocatore di culto. Il re, anzi l’imperatore, dei cosiddetti “bidoni” di calciomercato, pietra di paragone per qualsiasi cattivo affare concluso dal 1980 in poi, con una sproporzione inverosimile tra quanto effettivamente fatto dall’ex calciatore brasiliano della Pistoiese e le pagine scritte su di lui. Su Danuello circolano le peggiori illazioni e leggende metropolitane, e secondo molti “L’allenatore nel pallone” è ispirato in realtà alla sua vicenda.

La sua figura, per noi ormai un profilo Facebook di un uomo sessantenne che non manca di rendere omaggio di continuo alla Pistoiese, ha preso una forma quasi incorporea, mistica. Anche perché non ci sono nemmeno molti video del periodo in cui aveva messo piede in Italia, nella stagione 1980-81, in cui la squadra toscana era all’esordio assoluto in Serie A. E quindi vale tutto, più o meno, tradizione orale e scritta in particolare.

Che cos’è stato, quindi, Luiz Silvio Danuello? Un gigantesco scherzo? O semplicemente la persona sbagliata al posto sbagliato nel momento sbagliato? Com’è stato possibile che sia diventato un mito?

Il giocatore

Come già detto, Danuello ha raccolto sette presenze totali con la Pistoiese, realizzando zero gol, un assist, un’ammonizione. Un contributo quasi inesistente nella storia del club toscano, quindi. Eppure se si va fuori dallo stadio Marcello Melani non è raro trovare tra le tante scritte anche alcune “Luiz Silvio c’è”. Come se fosse un motivo di vanto, una rivendicazione da fare davanti al mondo, che Luiz Silvio Danuello è esistito davvero, non è una leggenda metropolitana, la maglia arancione l’ha indossata e chissenefrega se è stato un disastro assoluto, nato da un’operazione che è stata una micidiale combinazione di disorganizzazione societaria, problemi di comunicazione e adattamento tattico. D’altra parte, si sa, esiste in quasi tutte le tifoserie un certo compiacimento del “bidone”, quasi un orgoglio dei fallimenti peggiori passati per la propria squadra. Qualcuno, come Luther Blissett, è addirittura diventato il nome di un collettivo di scrittori.

Il 10 agosto del 1980 Luiz Silvio Danuello atterra a Fiumicino insieme a Paulo Roberto Falcao, con un volo proveniente da Rio de Janeiro. Ma mentre il centrocampista della Roma viene accolto come un re, il giocatore della Pistoiese fa la figura del passeggero qualunque, la notizia di spalla accanto a quella principale sulle pagine dei giornali. In realtà è anche peggio di così perché al controllo dei passaporti per poco Danuello non rischia di vedersi rispedire indietro.

Gli equivoci sono immediati. Nella bolgia che accoglie il nuovo giocatore della Roma un cronista si avvicina a Falcao, circondato da una folla di tifosi frementi, per chiedergli: “Sul suo aereo c’era anche Luiz Silvio della Pistoiese, cosa ci può dire di lui?”. E il neo-giallorosso, probabilmente con l’aria basita, stanco per il lungo viaggio e il jet-lag, e forse anche per la presunzione di dover conoscere qualcuno solo perché connazionale, risponde: “Chi? Non l’ho mai sentito nominare”.

L’estate del 1980 è quantomai propizia per i calciatori stranieri che vogliono giocare in Serie A. È infatti l’anno della “riapertura delle frontiere” dopo 14 anni di autarchia in cui le squadre del nostro campionato non potevano tesserare dei non-italiani. Oltre a Falcao, arrivano Ruud Krol, l’ex leader della difesa “totale” dell’Olanda (al Napoli), l’argentino Daniel Bertoni, campione del mondo due anni prima (alla Fiorentina), l’irlandese Liam Brady (alla Juventus, che a lungo aveva sognato di prendere Maradona) e il centrocampista austriaco Herbert Prohaska (all’Inter campione d’Italia).

Mentre le radio trasmettono canzoni come “In alto mare” di Loredana Berté e “Kobra” di Donatella Rettore, solo cinque delle sedici squadre della Serie A decidono di non acquistare stranieri, e cioè Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro e Como. Per il resto le operazioni sono in tono minore, perlopiù colpi esotici: l’olandese Van de Korput al Torino, il tedesco Neumann all’Udinese, l’argentino Fortunato al Perugia, gli attaccanti brasiliani Juary per l'Avellino ed Eneas per il Bologna. Tra questi, l’unico a lasciare un segno sarà Juary, per la sua esultanza correndo attorno alla bandierina.

E poi, per l’appunto, c’è Luiz Silvio Danuello. La Pistoiese ha grandi attese per il suo debutto nel massimo campionato. È una squadra in cui si mischiano vecchi mestieranti e giovani promesse. Da un lato in difesa giocano tra gli altri Mauro Bellugi e Marcello Lippi, a centrocampo Mario Frustalupi, ex “cervello” della Lazio dello scudetto con Chinaglia, e davanti Giorgio Rognoni, ex Milan. Dall’altro ci giovani promesse come Paolo Benedetti, destinato a essere venduto al Napoli l’anno successivo addirittura per un miliardo, capitan Borgo detto “Il professore”, il baffuto portiere Poerio Mascella e Andrea Agostinelli.

Benedetti è anche il giocatore che segna il primo gol nella storia dei toscani in Serie A, servito proprio da Luiz Silvio Danuello, la cui esperienza in Italia sembra promettere grandi cose: gran cross suo e colpo di testa del centrocampista non ancora ventenne, 1-1 contro l’Udinese allo Stadio Comunale. Siamo alla seconda giornata di campionato e l’entusiasmo corre. Quel brasiliano sembra davvero un bell’acquisto: è costato 170 milioni di lire di cartellino e l’ingaggio è di 50 milioni, in un periodo in cui un operaio prende intorno alle 350mila lire al mese. La figurina Panini che lo ritrae mostra una faccia furba, capelli lunghi, occhi chiari, forse vagamente impaurito.

Quello contro l’Udinese, però, è l’unico segno di vita di Luiz Silvio. Gioca centravanti, ma sembra un po’ troppo leggerino per il ruolo, e la squadra soffre, non vince mai, alla fine retrocederà in B, senza vincere nessuna delle ultime 17 partite. Il mercato autunnale porta un “nove” vero, il baffuto Vito Chimenti, l’uomo del dribbling detto “bicicletta”, classico bomber di provincia degli anni Settanta-Ottanta. E per il brasiliano si spalancano le porte della panchina, via via, fino a non venire più convocato. Anche se rimane a Pistoia, Luiz Silvio in inverno è già sparito dalla squadra.

C’è un bel ritratto che ne fa il “Corriere della Sera”, a firma del compianto Silvio Garioni, nel gennaio 1981, dal titolo eloquente: Sarà un calciatore, ma in Italia fa il turista. E via con il racconto delle settimane precedenti trascorse da Danuello, le scritte sui muri di cinta dello stadio “Silvio risorgi”, la moglie Jane, giovanissima, che lo ha accompagnato in quell’avventura e che già di strugge di nostalgia, già soffre di saudade. “Degli undici stranieri acquistati nell’estate scorsa è stato il più deludente e il più misterioso”. È anche il più giovane, ha solamente vent’anni, ma è l’unico, si legge nell’articolo, “a non essersi ambientato”.

Così passa i weekend al cinema o in giro per l’Italia, e quando non è convocato, cioè sempre più spesso, è a Venezia, Firenze e Roma, tanto nessuno lo riconosce. Al massimo va a sedersi in tribuna nelle partite interne. A Pistoia i ragazzini che lo incontrano cercano di tirargli su il morale. “Mi alleno e non ho mai pensato di scappare in Brasile”, protesta Luiz Silvio. “A fine stagione, quando mi scadrà il contratto, però, torno a casa – aggiunge –. Io ammiro il calcio italiano, ma è un’altra cosa rispetto a quello brasiliano. Non rimarrei neanche in una Juventus, in un’Inter o in una Roma. No, non è un calcio che fa per me”. Il vero rimpianto di Luiz Silvio è un altro: “Forse ho fatto un passo troppo lungo, venendo a giocare in Italia. Se la Pistoiese avesse voluto un campione avrebbe dovuto spendere tanti soldi come la Roma per Falcao. Io ero solo un giovane promettente e non è vero che fossi uno sconosciuto”. E infine: “Qui è più difficile anche per il freddo, mamma mia”.

Certo, Pistoia non è la Sicilia, d’altronde il suo connazionale Eneas De Camargo al Bologna gioca con la calzamaglia (c’è persino una foto scattata con i due assieme sorridenti prima dello scontro diretto). Ma forse Luiz Silvio non è nemmeno il giocatore che la Pistoiese si aspettava, visto che credeva che fosse un centravanti e invece è un’ala destra. Stando ad alcune fonti interne del club, riportate sempre nel lungo articolo del “Corriere”, nemmeno troppo bravo. “Lasciamo perdere”, taglia corto un anonimo interrogato sulla faccenda.

In TV Luiz Silvio appare poco, e non potrebbe essere altrimenti. C’è una rara intervista che gli fa Marcello Giannini, giornalista di “Novantesimo Minuto”, a casa. Con il brasiliano la giovane moglie Jane, che parla un più che discreto italiano (“Meglio che io”, ironizza Danuello con una voce leggera) e che pare si fosse ingelosita perché una volta, uscito da una sessione di allenamento, Luiz Silvio avesse chiesto a un giornalista se gli potessero presentare l’attrice Ornella Muti. Il discorso verte più che altro sul titolo di studio brasiliano che in Italia non vale, e poi sul “calore della gente”, come se i tifosi della Pistoiese lo dovessero consolare. In realtà per lo più lo ignorano - forse hanno davvero capito fin da subito che si è trattato di un bluff, di uno scherzo. Le caricature dei giornali lo vedono in lacrime, “consolato” dal brasiliano forte per davvero, e cioè Falcao.

La leggenda metropolitana

C’è da dire che il Ponte Preta di Campinas, cioè la squadra in cui ha giocato Luiz Silvio in prestito dal Palmeiras, è un club di bassa classifica, famoso in Brasile più che altro perché è stato il primo a schierare calciatori di colore. Attualmente è in Seconda Divisione: il più grande giocatore in epoca recente ad aver mai indossato la maglia bianconera, seppur a inizio carriera, è stato “O’Fabuloso” Luiz Fabiano.

Eppure su Danuello la Pistoiese non ha dubbi, nonostante l’abbia pescato un po’ a sorpresa. La squadra toscana cercava sì uno straniero, ma con un budget molto ridotto rispetto alle altre squadre di Serie A, e quindi aveva mandato in Brasile il vice-allenatore Giuseppe Malavasi. Il Brasile, in questo senso, era considerato quasi un Eldorado, anche se la Seleçao non vinceva nulla dai tempi di Pelé. Allora non esistevano DVD, cassette o Wyscout, e quindi Malavasi va alla cieca, fidandosi solo di alcune segnalazioni. Vorrebbe prendere Palinho, del Palmeiras, ma è troppo caro, sforerebbe il budget.

Una sera Malavasi è a cena in un ristorante di San Paolo per incontrare un mediatore. Stiamo già entrando nel terreno della leggenda, quasi dell’incorporeità, o forse questa storia l’abbiamo vista da un’altra parte; sta di fatto che la persona che conosce Malavasi lo invita a vedere di lì a pochi giorni un’amichevole tra il Ponte Preta e il Comercial di Ribeirao Prieto.

“Vedrà un vero fenomeno, altro che Palinho”, si sente raccontare dal faccendiere il vice-allenatore della Pistoiese. Ed effettivamente quando va a vedere la partita rimane strabiliato da quel ragazzino che corre come un fulmine e che segna tre gol. Certo, con marcature un po’ blande, è pur sempre un’amichevole, però i numeri sono quelli di un potenziale crack. E poi costa solo 170 milioni, è ampiamente sotto il budget. A Malavasi raccontano anche la storia di come alternasse le ore di allenamento con quelle da fattorino, il suo vero lavoro fino a pochi anni prima.

L’affare si va via via materializzando: il Palmeiras tramite l’agente Juan Figer (una vecchia volpe del mercato sudamericano ancora attivo oggi, dopo aver gestito più di mille affari in carriera) conclude la trattativa: finalmente la Pistoiese ha il suo brasiliano. Malavasi è contentissimo e telefona al suo presidente Marcello Melani, detto “Il Faraone”, a cui intitoleranno lo Stadio Comunale. Gli dice: “Le porto un campioncino”.

Felice anche Lido Vieri, allenatore dei toscani, che è coadiuvato da “Mondino” Fabbri in qualità di direttore tecnico. Finalmente ha un centravanti, o forse no, perché qua cominciano i primi scricchiolii nella storia di Danuello. Malavasi, infatti, chiede subito al suo nuovo pupillo: “Sei una punta?”, e quello gli risponde di sì, ma per un errore di traduzione, perché capisce “Ponta”, e “Ponta” in Brasile è l'ala - il giocatore che va sulla fascia ed effettua i cross.

E non è nemmeno l’aspetto più tragicomico della vicenda, perché presto si scoprirà che la famosa amichevole Ponte Preta-Comercial è stata in realtà una gigantesca messinscena del Palmeiras, proprietario del cartellino di Danuello, per raggirare il povero Malavasi.

Un recente servizio di Dribbling che ripercorre la storia di Danuello.

Qualche sospetto lo si poteva avere anche solo guardando i giornali a poche settimane dall’inizio del campionato: su “La Stampa”, per esempio, è l’unico tra gli undici nuovi stranieri a non avere nemmeno una foto. “Dicono che sia una punta che vale gli 11 secondi sui 100 metri piani. Dunque è un velocista”, si legge. Il “si dice” è un po’ la sintesi della sua carriera da calciatore: è tutto sfuggente. Sempre sul quotidiano di Torino nella scheda di Danuello si può anche leggere che: “Non si sa molto sotto l’aspetto tecnico”. Nel 1980 anche i giornalisti, come gli specialisti di calciomercato, non è che abbiano tutte queste informazioni di prima mano.

Longobarda

Come abbiamo già detto, la storia di Danuello è quasi identica a quella de “L’allenatore nel pallone”, film del 1984 di Sergio Martino, che probabilmente si è ispirato proprio al brasiliano della Pistoiese. La Longobarda neopromossa in Serie A che si affida in panchina alla “Iena del Tavoliere”, Oronzo Canà (interpretato da Lino Banfi), tecnico che cerca di imitare Liedholm nel gergo e nell’atteggiamento (“Il self-control”) e che invece fin lì ha collezionato solo esoneri e figuracce. Al momento del calciomercato, dopo aver sognato Platini, Rummenigge e Maradona, la Longobarda si ritrova indebolita e piena di mezze cartucce, più un attaccante (Speroni) interessato più a spassarsela con la moglie del presidente Borlotti che alle vicende di campo, caratterizzate dal celebre schema di Canà, il 5-5-5.

Per ovviare alle carenze tecniche della sua squadra, quindi, Borlotti si convince ad andare in Sudamerica a cercare qualche buon giocatore, come stanno facendo del resto tutte le concorrenti. Così Canà assieme a uno strambo “mediatore”, che in realtà è un mezzo truffatore (Andrea Bergonzoni, interpretato da Andrea Roncato) va in Brasile dove su un campaccio dissestato un ragazzo sta dando spettacolo: è Aristoteles, pronto a giocare in Serie A come Socrates, perché come afferma Canà “prendiamo tutto con filosofia”. Dopo un iniziale periodo difficile la Longobarda si salverà anche grazie ai gol del giovane brasiliano, nonostante il presidente Borlotti avesse scelto “la Iena del Tavoliere” proprio per retrocedere (“Lo sa quanto mi costa una squadra in Serie A?”, “Perdere e perderemo!”).

Quello che però il film non poteva prevedere è che la storia di Danuello è continuata, in maniera ancora più romanzesca. Non appena torna a casa, le leggende su Luiz Silvio esplodono, come se fosse un ufo iniziano gli avvistamenti, uno più assurdo dell’altro: venditore di gelati nel bar dello stadio di Pistoia, anzi no, direttamente proprietario del chiosco dentro il Comunale/Melani, oppure attore in film porno brasiliano. In un’epoca in cui, a differenza di oggi, le persone si potevano nascondere più facilmente, bastava mettere in giro una voce e questa diveniva quasi subito verità. Nel 1985 un bilancio del “Corriere della Sera” sull’andamento degli stranieri nel nostro campionato propone il brasiliano, “di cui nel frattempo si sono perse le tracce”, come “Il più misterioso di tutti”. Ed effettivamente era stato così, dopo la Pistoiese aveva tentato una nuova esperienza in Brasile, col Botafogo, ma senza grandi risultati. Il nome di Luiz Silvio Danuello in compenso ogni volta che un giocatore straniero viene in Italia e fallisce clamorosamente torna, ciclicamente, da pietra di paragone, sempre come il peggiore di sempre o giù di lì. Come se fosse stata davvero tutta colpa sua. “Una maschera beffarda e comica, nella quale da qui all’eternità si rispecchieranno tutti gli stranieri falliti al nostro campionato”, secondo una definizione del giornalista Furio Zara nel suo libro "Bidoni".

E via di nuovo con le leggende, ogni volta con una variazione diversa (“Fa il pizzaiolo, ha coronato il sogno della sua vita”, nientemeno), la rievocazione della famosa partita farlocca per renderlo un fenomeno agli occhi della Pistoiese.

“Luiz Silvio? Mi sembrava un pulcino bagnato – ricorderà anni dopo Marcello Lippi, suo compagno in maglia arancione all’epoca –. Metteva un’enorme tenerezza. Era giovanissimo, spaesato, intimidito. Per farlo sentire a suo agio, lo invitavo spesso a cena. Parlavamo, gli facevo coraggio ma al tempo stesso intuivo il disagio. Pareva capitato in un microcosmo di cui non capiva nessi e ragioni ma non era un brocco, era molto veloce, anzi. Gli mancò il tempo di adattarsi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il portiere di allora, Mascella: “Noi cercavamo un attaccante in grado di risolvere i problemi. Invece giunse Danuello. Stava lì sulla fascia, a un passo dalla linea laterale, distante dalle mischie, dal centro del gioco, della questione. Sarebbe anche servito per mettere cross e palloni al centro ma per chi? Lui bidone? Una cattiveria gratuita. Era solo un bambino, acerbo anche fisicamente, ma i colpi li aveva”.

Inutile per il diretto interessato smentire, anche con rabbia, i racconti strampalati fatti sul suo conto: “Ma quali gelati? Ma quali film? Mio figlio mi cerca su Google e trova un sacco di falsità, di bobagens (sciocchezze in portoghese, ndr). Tornato in Brasile, rimasi fermo per sei mesi. Diedi una mano nella pasticceria dei miei e poi ricominciai con l’attività di sempre. Non ero Cruijff e neanche Pelè. Ero solo un buon calciatore. Non il salvatore della patria”.

Il problema forse è che invece all’epoca gli stranieri erano davvero considerati salvatori della patria, giocatori che avrebbero dovuto fare la differenza rispetto agli italiani. E chi non ci riusciva agli occhi della critica diventava immancabilmente un “bidone”.

L’unica cosa che invece Luiz Silvio ha sempre confermato è stato il tragicomico disguido linguistico, “punta” o “ponta”, lo credevano centravanti e invece era un’ala, a conferma che allora in certi club l’organizzazione era, diciamo così, zoppicante. “Mi dissero che il mio compito era di stare in mezzo all’area, ma non l’avevo mai fatto”.

In realtà, Luiz Silvio dopo il calcio ha iniziato a gestire una ditta di ricambi di macchine industriali. O almeno, così è scritto sulla sezione “lavoro” del suo profilo Facebook, dove oltre alle immagini in maglia Pistoiese ci sono quelle con le sue squadre successive e dove il volto è incredibilmente uguale a quello della foto dell’Album Panini di quarant’anni fa. I tifosi italiani, come allora, continuano a salutarlo e a ricordarlo con affetto nei commenti.

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