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Football Hackers, intervista a Christoph Biermann
03 lug 2019
Abbiamo parlato con l'autore del libro "Football Hackers".
(articolo)
9 min
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«All’inizio di una stagione, tutti i club si imbarcano in un viaggio verso l’ignoto, pieno di difficoltà impredicibili e turbolenze. La prossima crisi non è mai molto lontana. [...] Gli infortuni ai giocatori-chiave, le cessioni a metà anno di un calciatore o di un collaboratore tecnico, o solo una striscia sfortunata davanti al portiere possono portare chiunque in una spirale negativa in un istante».

Football Hackers” è un libro di Christoph Biermann che parte dalla premessa che durante la traversata descritta qua sopra, l’analisi delle prestazioni con le statistiche è la bussola che i club usano per orientarsi. Il libro raccoglie le testimonianze dei protagonisti della rivoluzione digitale che sta investendo gran parte delle squadre di calcio europee. In 304 pagine si racconta dei primordi dell’uso delle statistiche per analizzare le prestazioni, singole o collettive; di come i numeri hanno modificato negli anni ogni aspetto della gestione di un club; infine, si lancia uno sguardo verso le tecnologie che nel futuro prossimo innoveranno ancora i metodi di allenamento e i sistemi tattici.

Christoph Biermann è un giornalista tedesco della rivista 11 Freunde, che ho intervistato per approfondire le questioni che mi parevano più interessanti.

“Football Hackers” non è stato un viaggio solo in senso narrativo: Biermann si è mosso fisicamente tra Germania, Danimarca e Inghilterra per visitare le strutture dei club e per capire dalla viva voce degli addetti ai lavori come si è iniziato a lavorare con i numeri e cosa si sta facendo oggi all’interno dei club professionistici. Dal punto di vista lavorativo, il mondo del calcio è stato a lungo impermeabile a chi non avesse un pedigree maturato sul campo, ma quando certe conoscenze sono tornate utili al calcio, pur se consolidate in ambiti aziendali o accademici molto lontani – come la medicina, l’economia o la matematica – le barriere all’ingresso si sono abbassate di colpo per nuove figure professionali.

Molti di quelli che per primi hanno messo a punto modelli statistici di successo che hanno effettivamente aumentato la comprensione del gioco non avevamo mai calcato un campo di calcio in vita loro. Ho chiesto a Biermann se il modello di lavoro che aveva funzionato per i pionieri della prima fase della penetrazione delle statistiche nel calcio fosse ancora il migliore possibile. Oppure se, in una seconda fase come quella che stiamo vivendo, anziché avere una separazione netta dei ruoli, avesse senso formare professionalmente all’utilizzo degli strumenti matematici le persone con esperienze calcistiche, come allenatori, preparatori o ex calciatori.

«Non penso che esista un modello di lavoro ideale. Penso che abbia più a che fare con le singole persone. Se hai qualcuno che ha un background analitico-matematico, e lo metti a lavorare con qualcun altro che ha esperienze di campo, con i secondi che possono educare i primi alle conoscenze calcistiche, è una buona cosa. Oppure se hai un osservatore o un direttore sportivo aperti a questo nuovo tipo di approccio, pronti a imparare e ascoltare, per includere nuove informazioni all’interno del loro processo decisionale, è ancora una buona cosa».

«Penso che nel futuro assisteremo a una penetrazione dei dati in sempre più aspetti legati alla gestione di un club di calcio, e penso che avremo una compresenza dei due modelli di lavoro che hai descritto».

Nel suo libro, Biermann racconta l’epopea tedesca dei “laptop trainers”, iniziata con l’ingaggio di Thomas Tuchel al Mainz, e proseguita poi con Julian Nagelsmann all’Hoffenheim. I paragrafi che descrivono i metodi di allenamento implementati da Nagelsmann sono davvero impressionanti, il lavoro che propone ai suoi giocatori è vario e interdisciplinare e si percepisce quanto complesso può essere oggi l’impegno di un manager in un club di prima fascia.

I “laptop trainers”, i primi analisti e i nuovi talent scout aiutati dalle statistiche sembrano tutti condividere lo stesso destino: hanno avuto la loro opportunità solo in un contesto di crisi. Sven Mislintat, direttore sportivo ora tra i più corteggiati d’Europa, era uno studente senza esperienza quando ha avuto la sua prima occasione al Borussia Dortmund, un club, ai tempi, in estreme difficoltà finanziarie. Nagelsmann era un tecnico molto considerato dai suoi dirigenti quando era già alla guida delle formazioni giovanili dell’Hoffenheim, ma un’opportunità gli è stata concessa quando la prima squadra era ai margini della zona retrocessione.

In ogni ambito, e il calcio non fa eccezione, le aziende sono motivate a spingere sul pedale dell’innovazione quando è in gioco la loro stessa sopravvivenza.

E magari queste nuove idee, nella tattica e nei metodi di allenamento, portate da una nuova generazione di allenatori, stanno avendo successo anche grazie a una nuova generazione di calciatori: più ricettivi rispetto ai nuovi stimoli e, in un certo senso, più professionali della generazione di calciatori che li ha preceduti?

«Tutti i calciatori di oggi, specialmente quelli giovani, richiedono questo tipo di feedback complesso», dice Biermann. «Perché ci sono così tanti soldi che si possono fare con il calcio, e ciascuno di loro vuole tirar fuori il meglio dalle proprie carriere. Tutti i calciatori oggi pretendono di lavorare con i migliori professionisti, con le metodologie più avanzate, con le migliori risposte che possono ricevere, dai report statistici o dalle video-analisi, su ciò che fanno bene o su ciò che fanno meno bene».

«Vogliono sapere quanto corrono e come corrono, ma non solo: sono pronti ad ascoltarti anche su metriche più complesse se capiscono che questo può migliorare la loro performance. Ripeto, non sono solo più aperti che in passato a ciò che gli viene proposto, è proprio una loro specifica richiesta. Molti direttori tecnici mi hanno detto che i giocatori si lamentano molto se hanno la percezione che il capo-allenatore o qualcuno dei suoi collaboratori non sia abbastanza bravo».

Nel 2010, l’Arsenal è stata una delle prime squadre a fare un passo ufficiale nel nuovo mondo. L’acquisizione della società di analisi americana StatDNA è stata portata avanti dall’allora massima carica dei Gunners, il CEO Ivan Gazidis, con l’aiuto di una sola persona: Hendrik Almstadt, un ex lupo della City di Londra che ha trovato una via per utilizzare le sue competenze finanziarie nel calcio dopo la crisi dell’economia mondiale del 2008.

L’operazione è stata portata avanti all’oscuro di tutti gli altri dipendenti dell’Arsenal: un po’ come fa Apple con i suoi ingegneri al lavoro su un prodotto innovativo, segregati da accordi di riservatezza rispetto al resto dell’azienda. L’Arsenal era convinta che produrre in casa le proprie analisi statistiche costituisse, in quel momento, un vantaggio competitivo enorme sugli altri club della Premier League.

https://twitter.com/Bundesliga_EN/status/1134539290560438274

Oggi le cose sono cambiate. L’interesse e il coinvolgimento diretto del Barcellona nella creazione di nuovi algoritmi e nuovi strumenti di analisi è pubblico già da qualche tempo. La Bundesliga colleziona dati e li condivide con tutte le squadre della propria lega. Un modello cooperativo, tipico degli sport americani, sarà presto possibile anche tra le grandi squadre europee?

«Più che cooperativo, quello della Bundesliga lo definirei collettivo» ha detto Biermann. «Loro raccolgono e distribuiscono dati grezzi che in fondo tutti potrebbero avere facilmente. La parte interessante è nell’interpretazione dei dati, è cosa ci fai. I dati che la Bundesliga raccoglie non sono immediatamente utilizzabili, hai bisogno di uno staff che li selezioni, li raggruppi, che gli dia un significato, anche in relazione al tuo modello di gioco».

«Rispetto al 2010 oggi c’è ricchezza di dati in giro, il vantaggio competitivo dei club non è nell’avere i dati, o nell’averne di più. O che siano più precisi o più complessi. Il vero vantaggio oggi è nell’avere persone nel club che sappiano dare ai dati un significato, mediante la loro interpretazione».

Almstadt ha seguito Gazidis al Milan. Il calciomercato, specialmente in Italia ma non solo, si muove spesso sui binari di rapporti di fiducia “storici”, su relazioni consolidate nel tempo. Chissà se invece non è lecito aspettarsi una replica del modello Arsenal al Milan, cioè se le decisioni in fatto di calciomercato saranno guidate dai dati.

«Non ho informazioni di prima mano a riguardo, ma posso immaginare che questo dipenderà da chi sarà il loro direttore sportivo, se riusciranno a mettere sotto contratto una persona aperta a questo tipo di approccio (l’intervista è stata realizzata alcuni giorni prima degli ingaggi di Zvonimir Boban e di Frederic Massara, ndr). Ma se il direttore sportivo incaricato deciderà di perseguire un approccio tradizionale, il dipartimento che si occupa delle statistiche non so a cosa gli serva».

«Pensa a cosa accade in Inghilterra», continua Biermann. «Lì ormai quasi tutte le squadre adesso hanno un team di analisti. La questione ancora aperta è cosa ci fanno. Quanto questi team sono coinvolti nei processi decisionali? Sono coinvolti dall’inizio, prima ancora che parta una trattativa? Tipo: ho bisogno di un difensore centrale, che abbia determinate caratteristiche, voglio che i miei analisti selezionino i profili corrispondenti, che poi cercherò di acquistare. Oppure avviene il contrario? Cioè: un procuratore mi ha proposto questo calciatore, dimmi cosa puoi trovare nei dati su di lui».

«Secondo me dipende da quanto l’allenatore o il direttore sportivo sono disposti ad ascoltare i suggerimenti di chi stila i report analitici».

https://twitter.com/TalkingLaLiga/status/1140957485731319809

Racconto a Biermann di quanto siamo abituati in Italia agli allenatori che, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, tendono a svalutare l’importanza delle analisi statistiche e il loro apporto nella valutazione delle performance, e lui mi conferma che ha osservato lo stesso atteggiamento nei professionisti degli altri campionati.

E aggiunge: «La realtà è ben diversa. Nessun club fa a meno del supporto delle statistiche. Se guardi alla Bundesliga o alla Premier League, le decisioni in fatto di calciomercato sono diventate molto più sensate che in passato, e questo è merito dei dipartimenti che elaborano i numeri e che preparano le video-analisi».

«Se ci fosse una sola lega in cui l’analisi statistica non fosse ancora così diffusa, e se in questa lega ci fosse anche solo un piccolo club, con un piccolo budget, che decidesse di lavorare in modo diverso da tutti gli altri, prendendo decisioni basate sui numeri, questo club avrebbe immediatamente un vantaggio sugli altri davvero enorme».

Dalla valutazione delle performance, al sostegno del lavoro in allenamento, all’assessment della fattibilità di un trasferimento: sono tutti aspetti del lavoro che si fa in un club che sono stati completamente rivoluzionati dalle statistiche.

Queste sono però attività descrittive. In definitiva, come dice Biermann nel suo libro, per i professionisti quello che conta, e che conterà sempre di più, sarà la capacità del metodo statistico di prevedere le mosse future da compiere. «Le analisi predittive diventeranno via via più importanti. Gli allenatori vorranno ancora sapere perché l’ultima partita ha preso una determinata piega, ma avrà sempre più significato per loro scoprire cosa ci vuole per vincere la prossima».

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