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Big Fish
23 feb 2017
Il grande viaggio di Nicolò Melli.
(articolo)
23 min
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“Tenuto in un piccolo vaso il pesce rosso rimane piccolo.

In uno spazio maggiore esso duplica, triplica o quadruplica la sua grandezza”

[Edward Bloom, “Big Fish”, 2001 - citato all’inizio di ogni capitolo]

Intro

Dicono che quando uno incontra una ‘stella’ il tempo si fermi. Ed è vero

Quando accadde a noi era un nuvoloso martedì dell’ottobre 2006. Il 24, per la precisione. Eravamo accorsi, come i pastori a Betlemme, al PalaLido di Milano per assistere a quei pochi sacri minuti in cui Sua Divinità Michael Jordan si sarebbe manifestato dal vivo. L’occasione era l’arrivo dell’unica tappa italiana del famoso “Jordan Classic”, con MJ per una volta scomodatosi come ambasciatore nel tour internazionale per adempiere ai suoi impegni di uomo Nike.

L’evento, una sorta di All Star Game dei migliori Under16 italiani, era naturalmente un male necessario cui gettavamo sguardi distratti, in ansiosa attesa del Jumpan Logo in carne ed ossa sul parquet milanese. A dirla tutta, anche quelle poche occhiate le rivolgevamo al giocatore sbagliato, col senno del poi. Tommasino Ingrosso, ala toscana dinoccolata del Benetton Treviso, ci stava conquistando grazie a un intrigante mix di altezza e trattamento della palla. Solo un avversario in canotta nera provava a tenergli testa, un biondino un po’ più tosto fisicamente e altrettanto dinamico palla in mano, nettamente superiore al resto dei compagni di squadra. Il loro duello, era chiaro a tutti, avrebbe decretato l’MVP dell’incontro e il conseguente invito al camp di specializzazione americano sempre sotto il brand Jordan.

Il tempo si fermò, dicevamo, quando Nicolò Melli a.k.a. il biondino partì dall’ala in uno contro uno contro Ingrosso. Un palleggio. Arresto fulmineo in due tempi. Tiro in sospensione. E canestro dalla fluidità disarmante.

Tutto il PalaLido, Milano, l’universo si arrestarono.

Nik in aria, immobile, il polso spezzato.

Ingrosso poco distante, a contestare invano il tiro.

Gli avversari e il pubblico fermi a guardare, incuriositi.

Scavalcai le transenne e scesi in campo. Volevo vedere meglio questa “stella” che improvvisamente aveva iniziato a brillare così fulgidamente. Attento a non sfiorare nessuno, mi avvicinai a Nicolò Melli, scrutandone la meccanica di rilascio congelata lassù. Morbida, con l’indice destro a indicare il ferro. Vidi le braccia tese, i muscoli contratti, i riccioli d’oro mossi dal salto. I piedi ancora troppo vicini tra loro. Poi vidi il volto sbarbato da bambino cresciuto, gli occhi azzurri vispi e concentrati.

E dietro Michael Jordan - sedutosi dopo l’arrivo in ritardo all’intervallo lungo - anche lui immobile, lo sguardo stranamente attento. Ne approfittai per farmi un selfie senza nessun bodyguard ad interferire, prima di tornare da Nik. A 15 anni, con la prima panchina in Serie A inserita nel curriculum a 13 e il premio di co-MVP (l’altra “metà” andò proprio a Ingrosso, che oggi gioca in B nell’Urania Milano) ricevuto direttamente dalle sante mani di Michael Jordan, Nicolò Melli era già una stella.

Quello che non dicono è che quando il tempo si rimette in moto va a doppia velocità per recuperare.

Capitolo 1 - 1991-2007

La verità è che nessuno sapeva cosa avessi. Di solito uno cresce un po' alla volta, mentre io andavo di fretta.

Proprio della primissima convocazione in A parla l’allora capo allenatore della prima squadra di Reggio Emilia, Fabrizio Frates, che il 24 ottobre 2004 - esattamente due anni prima - porta Melli in panca per la prima volta stabilendo un record: «Chiamammo Nik a 13 anni per la trasferta di Pesaro (sconfitta di 4) semplicemente per due motivi: ad inizio stagione avevamo grossi problemi con atleti influenzati, e Nik stava facendo talmente bene a livello di settore giovanile che si meritava un premio. Ecco, fu un riconoscimento per quanto stava facendo. Ovviamente non era ancora pronto per scendere in campo, ma dal punto di vista fisico era evidente sin da subito che avesse grande predisposizione, potenziale e talento».

Gli fa eco coach Andrea Menozzi, che ha avuto Nik alla Pallacanestro Reggiana dal minibasket e per quasi tutte le giovanili come responsabile del Settore Giovanile (ruolo ricoperto tutt’ora). L’unica volta che sono stati “avversari” fu proprio nel famigerato giorno del “Jordan Classic” quando, invitato ad allenare una delle due rappresentative, aveva «fatto le squadre come al campetto» con l’altro coach - il mitico Giordano Consolini, guru del nostro basket giovanile -, constatando che forse quella di Menozzi era «leggermente più scarsa», come ci ha detto divertito il Jordan dei giovani italiani.

Un ironico capovolgimento rispetto alla quotidianità, considerato che Consolini con la classe ‘91 della sua Virtus Bologna si scontrava abitualmente con la Reggio di Menozzi. «Era un talento naturale», prosegue Andrea. «Su questo né io, né Max Olivieri, né lo staff tecnico del nostro settore giovanile abbiamo mai avuto dubbi. Un ragazzo che doveva essere allenato ma allo stesso tempo lasciato libero di giocare ed esprimersi, cercando di accompagnarlo nel suo percorso di crescita fisico e tecnico. Infatti, onestamente parlando, la nostra mano e il nostro lavoro si vedono molto di più in giocatori come Riccardo Cervi che in Nik, che era dotato di un talento superiore».

Una naturalezza che, come in altri casi eccellenti, affonda le sue radici in un DNA formidabile, composto dai geni di papà Leo, ex cestista proprio di Reggio Emilia, e mamma Julie Vollertsen, statunitense e argento olimpico con la nazionale di pallavolo alle Olimpiadi di Los Angeles ‘84. Una miscela esplosiva, che produce un figlio sovradimensionato sin da tenera età nel fisico e completamente immerso ed affascinato dalla cultura sportiva che si respira in casa: «A casa mia si parla 25 ore su 24 di sport» ha ricordato Melli in una conferenza stampa, condizione quotidiana che, unita alla sua intelligenza, lo fanno presto emergere.

«Nik, come potrete immaginare, alle giovanili era una forza della natura. Volendo avrebbe potuto portare palla e segnare quasi in ogni azione, ma cercavamo di ampliare le sue scelte "invitandolo" a giocare spalle a canestro» racconta Menozzi, introducendo il grande punto interrogativo della prima parte della sua carriera: ala piccola o ala grande? «A quei tempi Nik era ancora snello, e si ipotizzava anche un ruolo di “3” nel suo futuro: questo era dovuto principalmente al fatto che fosse molto leggero, seppur alto, ma con quelle lunghe leve, come si potrebbe notare anche nella postura di un Gallinari, era difficile pensare che potesse stare piegato costantemente.»

Lampi del Nik Melli dominante delle giovanili, tra Reggio Emilia e la nazionale.

Il problema della postura e del baricentro saranno due tematiche fondamentali nello sviluppo di Nik, ma intanto il figlio d’arte impressionava in campo e stupiva per la sua versatilità legata ad una coordinazione evidentemente genetica, seminando le basi per un futuro da “point forward” di caratura internazionale, incentivato dallo staff di Reggio: «Avere un ragazzo con la sua altezza a portare palla magari non lo avrebbe reso un playmaker, ma di sicuro un giocatore - e col senno del poi un'ala - migliore. Il post basso non era la sua zona preferita del campo, ma giocare in area era determinante per completarlo come giocatore. Per questo molto del lavoro fatto con lui riguardava l’uso delle gambe e dei piedi, il piegarsi, il muoversi rapidamente, magari accoppiandolo in partita con esterni avversari più bassi» spiega sempre Menozzi.

Una completezza che anche Giordano Consolini (che da assistente di Ettore Messina l’ha avuto di recente con la Nazionale per il pre-olimpico) non manca di sottolineare: «Durante il famoso torneo di San Lazzaro Under-17 rimasi colpito: a quell’età non avevo mai visto nessuno con quella statura, padronanza tecnica e un bagaglio così completo». Una superiorità che lo porta direttamente a dominare il secondo livello del basket italiano, la LegaDue, a maggiore età ancora lontana, ovviamente sempre con Reggio Emilia. «Probabilmente il suo inserimento in L2 a 16 anni è arrivato in anticipo rispetto ai tempi naturali, anche se era difficile frenare il suo esordio in un contesto senior: purtroppo il livello pro consentiva molti meno sbagli rispetto alle giovanili per ovvi motivi, costringendo Nik a fare meno cose e quindi anche a rallentare uno sviluppo che, purtroppo, si arrestò bruscamente a causa del primo infortunio al ginocchio contro Sassari a fine 2008.»

Capitolo II - 2007-2010

E allora mi venne da pensare che forse il motivo della mia crescita fosse dovuto al fatto che ero destinato a cose più grandi. Dopotutto un uomo-gigante non può avere una vita di misure ordinarie.

Nella sua prima stagione in LegaDue, la 2007/2008, regala subito lampi di gran classe in poco più di 12 minuti di media a partita, mostrando di essere un giocatore dall’etica del lavoro straordinaria e un’educazione da gentleman inglese di cui tutti non fanno altro che parlare bene, con una famiglia solida e sana alle spalle a supportarlo e una testa che stupisce per la sua maturità.

«La famiglia era molto stabile, fu essenziale nel forgiare una persona super a livello umano», continua coach Menozzi. «E mi piace dire anche "normale" rispetto ai ragazzi della sua età: frequentava il liceo classico, era dotato di una testa di un certo tipo e non potendo lavorare con la prima squadra durante le mattinate doveva comprimere i tempi e sopportare una maggior pressione in termini di recupero, per rimanere allo stesso livello dei compagni senior».

Tatticamente Nik è ancora in piena fase di sviluppo. I suoi movimenti in palleggio-arresto-e-tiro, oltre a mostrare una tecnica già eccellente, raccontano di un giocatore che “sente” ancora di essere un esterno e che vorrebbe continuare su quel percorso, aumentando la propria pericolosità perimetrale. Se la seconda stagione in LegaDue viene chiusa in anticipo dall’infortunio al ginocchio (solo 13 partite disputate), in quella successiva e con le nazionali Under-16 e Under-18 Nicolò Melli può togliersi le prime vere soddisfazioni a livello personale. Con in testa i suoi giocatori preferiti, tra cui Magic Johnson, a soli 17 anni Nik può già condurre coast-to-coast da rimbalzo difensivo, passare la palla dietro la testa in contropiede o concludere in allontanamento su una sola gamba "à la Dirk Nowitzki": un campionario sbalorditivo che mette in moto i principali club italiani ed europei per accaparrarselo.

Pure il sogno NBA, da sempre nei desideri di Nik come è normale che sia per un ragazzo con quelle qualità e quel background, inizia a diventare un’ambizione credibile e non una semplice utopia. Anche per le attenzioni che il club reggiano aveva calamitato nel recente passato con un altro suo prospetto, come ci racconta coach Fabrizio Frates: «All'epoca era normale paragonare Nik ad Angelo Gigli, che proprio al termine della stagione in cui avevamo portato Melli per la prima volta in Serie A si era dichiarato per il Draft [nel 2005, ndr]. Angelo era il giocatore emergente, e Nik quello che a detta di tutti lo avrebbe seguito, come impatto. Purtroppo Angelo non ha avuto la carriera che tutti auspicavamo anche a causa degli infortuni, ma soprattutto il talento di Nik era ed è di un altro livello».

A testimonianza diretta di questi attestati di stima, Nik agli Europei Under-16 del 2007 e Under-18 del 2008 è tra i migliori giocatori dell’Italia e una delle tre migliori ali delle manifestazioni, con partite da 19 punti e 11 rimbalzi contro la Serbia di Dejan Musli (U16) o da 22 punti e 12 rimbalzi contro Israele (U18).

Mentre in LegaDue, in quella che si rivelerà essere la sua ultima annata nella serie cadetta (2009-10), il ragazzone di Reggio toccherà vette di assoluto valore come 24 punti, 14 rimbalzi e 32 di valutazione per una media di 10.7 punti a partita, e la sensazione diffusa che “the new big thing”, la prossima grande rivelazione della pallacanestro italiana, sia quel biondino dalla corsa elegante e l’IQ cestistico di un veterano.

L’evoluzione verso il giocatore del 2017, però, è ancora lunga: il suo tiro da tre è a dir poco ondivago (18%, 9/50 nel campionato 2009-10 da dietro l’arco) e il sospetto che sia più un “4” che un “3” si fa via via sempre maggiore, ma nel complesso stiamo parlando di un’ala 18enne di 2.05 metri con un impatto rilevante sia in attacco che in difesa, dove il suo tempismo per i rimbalzi e le stoppate, le letture nelle rotazioni e gli aiuti difensivi rendono già imprescindibile la sua presenza nei quintetti sia in LegaDue sia nelle nazionali giovanili (l’argento agli Europei Under-20 del 2011 è l’apice della sua carriera azzurra).

Capitolo III - 2010-2015

Tanto più una cosa è difficile, tanto più grande è il premio finale.

Come prevedibile, su di lui nell’estate del 2010 si avventa l’Olimpia Milano. Con il suo appeal, l’Eurolega da giocare, un corposo buyout per Reggio e un contratto di 4 anni la società milanese batte la concorrenza, assicurandosi il miglior 1991 d’Italia in attesa di firmare l’anno successivo con il miglior ‘92, Alessandro Gentile.

È un momento spartiacque per Nicolò Melli: abbandona l’ovile dove è nato e cresciuto nella più classica delle transizioni dalla provincia alla grande città, ma il salto, come dirà lui stesso, è addirittura triplo «da una realtà di LegaDue a una squadra che gioca l’Eurolega».

Il primo anno a Milano, oltre a rinunciare al #9 che Marco Mordente vuole tenere per sé e di cui Nik si riapproprierà nel 2013, coincide con l’ultima travagliata stagione di coach Piero Bucchi cui dal gennaio 2011 subentrerà Dan Peterson fino a fine stagione. Il ragazzo è promettente, ma una società obbligata a vincere subito e ad essere competitiva in Europa non può permettersi di dare troppo spazio ad un giocatore evidentemente ancora in fase di adattamento, per cui dopo sole 18 partite Nik viene mandato in prestito a Pesaro da coach Luca Dalmonte, per continuare il proprio sviluppo con un minutaggio che l’Olimpia non poteva garantirgli.

Melli non delude le aspettative della piazza marchigiana: i minuti raddoppiano (da 8 a 16) e il suo contributo diventa sensibile, segnando proprio all’ultima di campionato contro Milano il proprio massimo stagionale (17 punti). I progressi sono evidenti, la maturità lo fa sembrare talmente più grande (vedere conferenze stampa di quegli anni: mai dichiarazioni banali, ironia, risposte brillanti...) che le prese in giro dei compagni sul “vecchio del gruppo” si protrarranno per tutti gli anni milanesi, e la nuova Milano di coach Sergio Scariolo non può che richiamarlo sotto la Madonnina per la stagione 2011/2012.

È in questo periodo che con lo staff di Milano Nicolò Melli inizia a preparare il terreno per l’ultimo salto di qualità, quello per diventare un giocatore d’impatto europeo. Coach Frates, che ha avuto Nik anche all’Olimpia come assistente di Scariolo, conferma così il grande lavoro messo in atto da Nicolò per scalare i vertici d’Europa: «Ho avuto Nicolò anche a Milano e posso dire che i suoi miglioramenti sono arrivati anche e soprattutto con il grande lavoro di Mario Fioretti, il vice allenatore dell'Olimpia [oggi ricopre ancora lo stesso ruolo con Jasmin Repesa, ndr] che seguiva i lunghi, mentre io seguivo i piccoli. Il lavoro fu fatto principalmente sull’equilibrio e sulla capacità di reggere gli urti, quindi di assorbire fisicamente i contatti in un ruolo dove questo aspetto era fondamentale considerati i fisici che s'incontravano a quel livello».

La figura di Mario Fioretti, anche secondo le parole del capo allenatore delle due stagioni migliori di Nik a Milano, Luca Banchi, è fondamentale se si analizza il percorso di successo di Nicolò Melli da giovane promessa a miglior ala forte d’Europa, come è stato consacrato da un sondaggio tra i General Manager dell’Eurolega lo scorso gennaio.

«Quando arrivò da noi» ci dice proprio coach Fioretti, «era conscio del fatto che dovesse lavorare molto sul suo tiro, ancora altalenante. Così iniziammo sia a ricreare gradualmente situazioni “da partita” per migliorare i problemi di rilascio della palla e di posizione dei piedi sulla ricezione, sia aumentando il grado di autoconsapevolezza con un lavoro di videotape, osservando il corpo e come si piegava.»

«Per costituzione fisica Nicolò aveva un baricentro particolarmente alto» continua Banchi, «e se questo lo agevolava sulla corsa, naturale tanto da sembrare un corridore nato, gli complicava la reattività e altri movimenti strutturalmente difficili per lui. Per cui le parti extra degli allenamenti con Mario Fioretti erano nate per curare certi dettagli:

- situazioni di pick and roll e di ricezione-e-tiro da scarico;

- gestire uno-contro-uno dinamici, da “4” di livello europeo: lo allenavamo a usare la finta di tiro, che poteva permettersi solo se fosse stato pericoloso da fuori, unendola alla partenza in palleggio con l’obiettivo di creare spaziature per la squadra - che diventano più ampie tanto più sei credibile. Per questo lavoravamo molto sia sull’aderenza con il terreno, fondamentale per eseguire al meglio nel minor tempo possibile, sia sulla distanza tra i piedi, la reattività e il corretto uso delle ginocchia.»

«Anche per il passaggio avevamo creato attività specifiche» aggiunge Fioretti, «con l’obiettivo di renderlo più efficace, simulando delle difese che costringevano Nik a scegliere il perno a seconda di come andasse incontro alla palla. Inoltre provavamo a migliorarne le partenze in palleggio, tipo quelle “stessa mano-stesso piede”, proseguendo il lavoro dentro l'area: assorbire i contatti mantenendo la stabilità, uso delle spalle e del perno. C’è da dire che nessun progresso ci sarebbe stato senza l’etica lavorativa di Nicolò, che non ha veramente mai smesso di lavorare.»

Un lavoro meticoloso, puntuale, svolto con pazienza e dedizione in sala pesi e sul parquet da Nik, da Fioretti e Banchi, all’interno della più bella stagione fino ad oggi della gestione Armani, quella del primo Scudetto dal 1996 e dei playoff d’Eurolega.

«Milano non era reduce da una stagione esaltante quando arrivai», afferma coach Banchi. «Ma fin da subito avevo l'idea chiara di costruire la mia Olimpia con un'ossatura italiana, con caratteristiche fisiche e tecniche definite. Melli coincideva con queste mie idee, rappresentando la scuola tecnica italiana in un ruolo che prevedeva taglia fisica, atletismo e tecnica di un certo tipo, valori che mi avevano portato ad identificarlo come il nostro titolare.»

Ultimi indugi sul ruolo tolti dunque, e da “4” con velleità da “3”, Nik si ritrova ad affrontare una trasformazione anche mentale per trovare quella che ad oggi è la sua dimensione ideale nella pallacanestro contemporanea: un’ala grande con minuti anche da centro in un sistema che può cambiare faccia più volte nella stessa partita grazie alla sua mobilità e alla sua versatilità.

«Chiaramente Nik sentiva su di sé un po' di pressione e la conseguente voglia di dimostrare qualcosa, anche a causa dell'oneroso buyout pagato a Reggio Emilia e un contratto che alla mia prima stagione era in scadenza» continua Banchi. «Nulla comunque che ostacolasse il suo progresso, cosa che mi aveva portato a nominarlo vice-capitano grazie a grandi qualità umane dovute ad una spiccata sensibilità, interessi fuori dal campo, grande disponibilità al lavoro e al sacrificio e una famiglia eccellente alle spalle.»

Uno dei leggendari cambi difensivi di Melli, con scivolamenti e stoppata su Matt Janning.

L’Olimpia, soprattutto dopo l’arrivo a Natale 2013 di Daniel Hackett dall’agonizzante rivale Siena, decolla sia in campionato che nelle Top 16 d’Eurolega, giocando un basket corale, efficiente, solido e pure esaltante, che ha tra i suoi cardini proprio il 23enne Melli, cruciale nel dettare i tempi dell’attacco di coach Banchi: «Avendo altre cinque punte di un certo calibro da alimentare era necessario avere qualcuno che scandisse i ritmi dell'attacco. Nik, con la sua versatilità sia da 4 che da 5, un IQ molto più alto della media e la conseguente precisione e concentrazione nell'esecuzione, era diventato un elemento imprescindibile per noi, oltre alla consueta aggressività difensiva sui P&R, gli “show” alti, le "trap" o i suoi [leggendari] "switch”, i cambi difensivi sulle guardie avversarie».

La stagione, trionfale in Italia e chiusa tra gli applausi e l’amaro in bocca in Europa contro un Maccabi Tel Aviv che proprio al Forum di Milano conquisterà poi la coppa, si rivelerà essere anche un piccolo calvario per Melli, alle prese con un problema al ginocchio difficile da tamponare a causa dei ritmi serrati di una squadra competitiva su due fronti. Ma stringere i denti e risollevarsi dai momenti di difficoltà fisica non era mai stato un problema per un giocatore mentalmente tostissimo, che lo stesso Banchi, ringraziandolo, definisce «stoico per come ha tenuto duro», sia di testa dopo il famoso antisportivo su Ricky Hickman nel finale di gara-1 della serie contro il Maccabi, sia soprattutto «durante i playoff e l’epica finale Scudetto contro Siena». Una condizione però non più sopportabile e che porta «prima all’operazione appena conclusasi la stagione, e poi ad una continua rincorsa ed un lavoro individuale extra per riprendere forma, ritmo e condizione nella stagione 2014-15».

Capitolo IV - 2015-2017

Tu eri un pesce grosso nel tuo paesello, ma qui nel vero mondo non sei nessuno.

Nel frattempo Nicolò Melli è diventato gradualmente un elemento essenziale nella nazionale, prima di coach Simone Pianigiani agli Europei di Slovenia 2013 e Germania 2015 e poi di coach Ettore Messina per il pre-olimpico di Torino 2016. Dell’esperienza azzurra ci hanno parlato in due: Pietro Aradori, che di Melli ha visto tutto il percorso dai primi giorni di ritiro alla sanguinosa finale torinese di Italia-Croazia; e Giordano Consolini, che da quel “Jordan Classic” se l’è ritrovato nell’appuntamento più importante per l’Italia degli ultimi anni al Preolimpico.

«Quando arrivò in Nazionale maggiore a 22 anni giocava in maniera diversa rispetto ad oggi, probabilmente perché aveva meno fiducia nei propri mezzi» ci racconta Aradori. «Umanamente invece è sempre stato un grande, sin dal primo giorno: all’inizio, forse anche per i tre anni di differenza, non si parlava troppo, poi il rapporto si è evoluto in modo naturale. Soprattutto però il progresso tattico di Melli in Nazionale ci è stato di grande aiuto, fino a diventare fondamentale: nel pre-olimpico ad esempio Ettore gli chiedeva di contribuire dalla panchina a livello di punti e, seppur fosse una richiesta particolare per quel tipo di lungo, sapevamo tutti che aveva le qualità per farlo, mentre difensivamente ci ha sempre dato una grande mano sia negli “show” che nelle “trappole” sui raddoppi. Ad esser sincero non mi aspettavo un’evoluzione così rapida, la sua inedita fiducia nel tiro da tre punti mi ha stupito in positivo, sono contento per lui».

Una bella sorpresa anche per coach Consolini - vice di Messina che avrà di nuovo il piacere di lavorare con Melli per gli Europei 2017 in Israele - visibilmente compiaciuto dai miglioramenti dell’azzurro fatti negli anni: «Nik ha sempre avuto, ed ha a maggior ragione tutt’ora, un’ottima comprensione del gioco: è quello che si può definire in gergo un giocatore “aperto”, per il quale non c'è bisogno di creare situazioni particolari. Avevo avuto una sorta di visione del suo potenziale durante quel torneo Under-17 di San Lazzaro, e sono stato molto contento di vederla concretizzata al massimo livello continentale».

Operatosi al dannato ginocchio il 22 Luglio 2014 Nik rinnoverà per un solo anno con l’Olimpia, replicando numeri e performance della stagione precedente e liberandosi infine nell’estate del 2015, diventando un target automatico per i maggiori club d’Europa. A convincerlo è il progetto ambizioso e pieno di nuove responsabilità del Brose Baskets Bamberg di coach Andrea Trinchieri e di Daniele Baiesi come direttore sportivo.

La sfida definitiva è quella di abbandonare l’Italia e l’etichetta dell’eterna promessa per diventare non “un” giocatore tra i tanti del ruolo, ma “il” giocatore di riferimento là fuori, in un Paese nuovo e dove nessuno “ti protegge”, di una squadra che, nonostante parta dietro ai team più blasonati, vuole imporsi anche a livello Eurolega. Il “Trinka” non solo gli assegna il ruolo di “4” titolare, ma lo carica di fiducia sin dalla stagione 2015-16, facendogli toccare nuovi massimi in carriera in tutte le categorie statistiche, possessi e minuti in primis (in Eurolega passa dai 20’ di media del biennio Banchi ai 30’ delle prime due stagioni tedesche).

«Nik sarebbe stata la nostra prima, seconda e terza scelta anche nel 2012, a Cantù» racconta coach Andrea Trinchieri, «per cui quando c’è stata la possibilità di prenderlo a Bamberg tre anni dopo ero ancor più sicuro dell’impatto che avrebbe avuto. La ragione principale è che Nicolò appartiene a quella categoria di giocatori che migliorano realmente i compagni, giocando un ruolo, quello del “4”, che nel basket moderno è uno dei più importanti e trasversali. Ricordo che al primo allenamento nel 2015 il nostro play Brad Wanamaker [ora al Darussafaka di coach David Blatt, ndr] ne rimase folgorato, e in poco tempo fu evidente quanto potesse impregnare positivamente la squadra con il suo gioco e con la sua intelligenza totale, sia in campo che fuori. In questo credo la famiglia sia stata fondamentale nel trasmettergli un certo tipo di valori e nel crescere una persona super, con cui ho un gran rapporto».

Nicolò Melli in Germania compie il salto tecnico più importante, diventando finalmente consistente nel tiro da fuori. Un’arma che lo completa e lo rende ancor di più una delle ali più difficili da marcare d’Europa: a parità di triple tentate rispetto alle stagioni milanesi, le sue percentuali spiccano il volo, diventando d’élite e superando il 40%. Ma per il “Trinka” le statistiche sono l’ultima cosa da guardare, se si deve parlare di Nik: «Per noi Melli è un uomo-franchigia, è il nostro Stonerook 2.0, è talmente più importante per ciò che fa per la squadra, al di là del singolo canestro o passaggio o rimbalzo, che l’esplosione planetaria che ha avuto è una conseguenza di tutto questo, della sua sua serietà e della sua dedizione ad una causa che ha sposato con anima e corpo. È molto più importante il ruolo che lui e Zisis hanno all’interno dello spogliatoio, presentandosi sempre con la faccia giusta, il giusto atteggiamento. Nik è quasi più bravo con gli altri che con se stesso».

Una rinnovata fiducia e cattiveria agonistica evidenti nei momenti cruciali delle partite e una concentrazione, una presenza di spirito che sono alla base dei canestri pesanti e delle giocate decisive. Se il Bamberg gioca una tra le pallacanestro più ammirate e vincenti d’Europa - sono campioni in carica di Germania, hanno appena vinto la coppa di Lega e sono ancora in corsa per i playoff nella durissima nuova Eurolega -, è grazie all’aristotelico passaggio del gioco di Nik da potenza ad atto, una metamorfosi che l’ha spinto verso il livello successivo - il più alto. Della sua credibilità perimetrale ne hanno beneficiato direttamente compagni e spaziature, dai ribaltamenti di lato e la ricerca del compagno libero al punire i mismatch e scegliere se rollare, aprirsi per un tiro da fuori o penetrare.

La nuova consapevolezza di una potenza fisica maturata con il lavoro quotidiano in palestra (che insieme al barbone biondo gli hanno fatto perdere esteticamente almeno 2-3 anni di imberbe giovinezza) lo hanno reso un totem cui aggrapparsi sia offensivamente - non arretra più in area, la qualità dei blocchi è salita, i tagliafuori sono solidi - che difensivamente, dove con tempismo ed energia è una macchina da rimbalzi e un intimidatore di prima categoria, essenziale per le rotazioni e per i frequenti cambi sui piccoli.

I prodromi del giocatore attuale si erano intravisti anche sotto la gestione Banchi dell’avventura milanese (a Milano ancora ricordano le triple di gara-6 contro Siena, in Nazionale vale la pena ricordare il tap-in che regalò il supplementare contro la Croazia), ma è a Bamberg che Nik è esploso definitivamente, trovando in questo nuovo sistema quel “quid” che l’ha aiutato a concludere una prima parte di percorso della sua carriera dove il lavorare «come una bestia» (cit. Banchi) ha portato dei frutti che molti, solo due stagioni fa e solo per semplice impazienza, non reputavano neppure possibili.

Il viaggio, però, non è finito: Nik a soli 26 anni deve ancora migliorare, ma quanto fatto fino ad oggi può far pensare solo ad un pesce che sta continuando ad alimentarsi di tutto ciò che lo circonda, con l’obiettivo di diventare tra i più grossi dell’oceano cestistico. Soprattutto da quando hanno ripreso a parlarne con stima e stupore anche dall’altra parte dell’Atlantico.

Nicolò Melli, a dirla con le parole del film di Tim Burton, sta diventando ciò che è sempre stato: "A big fish", un pesce molto grosso. Ed è così che tutto ciò è avvenuto.

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