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Il Michael Jordan delle scommesse sportive
29 apr 2020
Billy Walters, ovvero il più grande scommettitore al mondo.
(articolo)
25 min
(copertina)
Foto di Martin Bureau / AFP via Getty Images
(copertina) Foto di Martin Bureau / AFP via Getty Images
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Steve Wynn non è certo il tipo che si lascia spaventare facilmente. Non si diventa uno degli imprenditori più di successo, una delle persone più ricche e influenti della terra, lasciando che qualche giocatore d’azzardo degenerato si prenda gioco di te. Nel 1986 Wynn era il proprietario, tra le altre cose, del Golden Nugget di Atlantic City, il casinò più prestigioso della città, quello che attirava i giocatori migliori, dove venivano scommessi più soldi. Quando un certo William Thurman Walters decise di mandare una provocazione a tutta la città, sostenendo di poter sbancare alla roulette lasciando al banco ogni vantaggio, Wynn non ci pensò due volte e accettò la sfida.

La richiesta di Walters era molto semplice: «Il prossimo venerdì arriverò ad Atlantic City con due milioni di dollari in contanti, e li depositerò nella banca del casinò che mi permetterà di giocare alla roulette americana, e solo a quella, raddoppiando i limiti consentiti per puntata», ovvero duemila dollari a colpo invece di mille.

Una provocazione che suonava paradossale, e non solo perché la roulette americana avvantaggia il banco di un ulteriore 5.26% rispetto a quella francese – avendo 38 numeri invece dei canonici 37 grazie alla presenza del doppio zero – ma perché dopo una serie di ricerche su di lui, Wynn aveva scoperto che Walters, per quanto considerato già all’epoca un grosso giocatore d’azzardo, era un personaggio tutt’altro che ineccepibile: bevitore, capace di perdere milioni a qualsiasi tipo di gioco conosciuto. Wynn e tutto il suo entourage ritennero quindi che sarebbe stata una follia lasciarsi sfuggire una mano così vantaggiosa, l’occasione di spennare l’ennesimo “pollo” fino a lasciarlo in mutande.

Quel fine settimana il Golden Nugget allestì una serata di gala speciale per l’occasione, Steve Wynn accolse lo sfidante con la consapevolezza che anche stavolta avrebbe vinto lui, il croupier pronunciò il celebre rien ne va plus e Billy Walters fece esattamente quello che aveva promesso di fare: distruggere il casinò sconfiggendolo al proprio gioco.

Walters e un socio, col quale ogni tanto si dava il cambio, giocarono per quaranta ore consecutive, puntando sempre sugli stessi cinque numeri e sempre duemila dollari a numero. 7, 10, 20, 27, 36: diecimila dollari a piatto per una vincita massima potenziale di 62mila dollari a colpo. Quella che sulla carta sembrava una follia si rivelò essere una strategia chirurgica, che incrementava il numero delle fiches a disposizione di Walters man mano che il tempo passava.

Il casinò dovette sospendere la partita per evitare di perdere ancora più soldi e quello che restava della faccia. Le polemiche iniziarono praticamente all’arrestarsi dell’ultima pallina. Il proprietario gridò al furto, convinto che qualcuno avesse manomesso la macchina. Walters disse che, per quanto lo riguardava, quelli del Golden Nugget potevano pure predisporre una poligrafia di verifica. Fu proprio quello che accadde, ma neanche i due ingegneri della NASA ingaggiati per l’occasione riuscirono a riscontrare alcuna anomalia.

William “Billy” Walters uscì dal Golden Nugget Casinò di Atlantic City con in tasca la più grande vincita mai effettua alla roulette in America – 3.8 milioni di dollari – e senza che nessuno fosse riuscito a capire cosa fosse realmente accaduto.

Nei giorni successivi iniziò a circolare ogni genere di teoria, ognuna delle quali destinata a restare senza risposta per molto tempo. Quello che era successo veramente, in realtà, era molto più semplice di ogni complotto. Per quanto praticamente nessuno se ne fosse ancora accorto, Billy Walters, insieme ad alcune persone fidate, aveva già iniziato una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il mondo del gioco d’azzardo, innestando un fenomeno destinato a protrarsi nelle successive tre decadi senza il minimo cedimento strutturale, e che, infine, lo avrebbe portato a essere riconosciuto come il miglior scommettitore professionista di tutti i tempi.

Blue moon of Kentucky

Proprio negli stessi giorni del 1946 in cui il leggendario Bill Monroe scriveva le parole di quella che sarebbe divenuta una delle icone della musica country, Billy Walters viene alla luce nella minuscola cittadina di Munfordville, Kentucky. La sua infanzia ha davvero il sapore malinconico del bluegrass, con il padre morto d’infarto quando aveva appena diciotto mesi e la madre, alcolizzata, che fugge a Louisville abbandonandolo alla nonna. Dovendo fare due lavori per mantenersi, la signora Lucy Queensburry lo lascia spesso in consegna alla sala da biliardo dello zio, dove un giovanissimo William impara a giocare a stecca stando in piedi sopra le casse della Coca-Cola. Inizia a scoprire il piacere delle scommesse.

A otto anni Walters consegna i giornali e taglia il prato a chi ne ha bisogno, d’estate dà una mano in una falegnameria della zona. Ogni dollaro che guadagna finisce per rigiocarlo sul panno verde o nella drogheria del paese dove il salumiere, per arrotondare, prende anche le scommesse sulla stagione di baseball.

La prima svolta della sua vita arriva a tredici anni, quando, seppur a malincuore, è costretto a trasferirsi dalla madre dopo la morte della nonna. La Louisville degli anni ’60 è una delle migliori “scuole” della nazione per imparare il mestiere, tra le innumerevoli bische clandestine di carte e dadi, il mitologico Churchill Downs – che da quasi 150 anni ospita la corsa di cavalli più famosa del mondo, il Kentucky Derby – e la possibilità di stringere connessioni con il circolo di Newport, la “Sin City” d’America prima dell’avvento di Las Vegas, distante appena un’ora di macchina.

Walters lavora al mattino in una pasticceria e alla sera in una stazione di servizio, sposa una compagna di classe dopo averla messo incinta all’età di sedici anni e, una volta finite le superiori, inizia a lavorare in una concessionaria di auto usate. La sua bravura nel trattare con le persone e nel riconoscere gli affari – due qualità che gli torneranno molto utili più avanti – lo rendono in breve tempo il miglior venditore della città. Ha le tasche piene di soldi e ogni fine settimana vola verso la Mecca di ogni giocatore d’azzardo d’America.

La Las Vegas degli anni’70 significa soprattutto Horseshoe Club, il casinò del leggendario Benny Binion, che oltre a essere uno dei pionieri della patria ludica statunitense è anche l’ideatore delle World Series di Poker. Walters frequenta assiduamente il locale, e oltre a vincere e perdere milioni ai tavoli da gioco, scopre anche quanto gli piaccia giocare a golf – un altro grande amore della sua vita – cosa che gli permetterà di diventare molto amico del figlio di Benny Binion, Jack, e di poter partecipare agli esclusivi tornei di golf e di poker organizzati dal casinò.

È in quegli anni che conosce personaggi come Doyle Brunson (campione del mondo di poker per due anni consecutivi, nel ’76 e ’77), Billy Baxter, Fred “Sarge” Ferris (che diventerà suo leale braccio destro), Stanley Tomchin e soprattutto David “Chip” Reese, un altro famosissimo giocatore di poker dell’epoca, che sarà anche quello che gli chiederà di iniziare a prendere scommesse per conto suo nel Kentucky. Walters accetta e sfruttando l’amicizia di vecchia data con Luther James – storico bookmaker e figura chiave della criminalità organizzata del Midwest – nel 1979 inizia a fare l’allibratore per Las Vegas.

La sua avventura per le strade di Louisville dura appena tre anni, prima dell’arresto che si risolverà con sei mesi di condizionale; ma in quel periodo, Walters arriva a stringere la collaborazione che cambierà per sempre la sua vita. «Avrei potuto diventare il miglior venditore d’auto del mondo», racconta lui stesso nel libro Gambling Wizards di Richard Munchkin, «Invece decisi di cambiare vita e seguire il mio istinto: il mio amore, il mio cuore e la mia testa erano sempre state rivolte alle scommesse».

Per quanto le sue parole suonino sentimentali, non corrispondono alla verità, e soprattutto non rivelano quello che era stato un piano studiato con largo anticipo, e che aveva iniziato a svilupparsi in modo totalmente scollegato dal suo volere dieci anni esatti prima.

Computer Group

È una domenica piacevole nei sobborghi di Pittsburgh, Pennsylvania quando la squadra degli ingegneri della Westinghouse Electric Company vince nuovamente il campionato aziendale di softball. Durante i festeggiamenti in spogliatoio, uno dei catcher della squadra non può fare a meno di togliersi dalla testa una domanda: “Ma come facciamo a essere così forti?”

Il suo nome è Michael Kent, un matematico che da qualche anno lavora per uno dei conglomerati dell’energia elettrica, sviluppando tecnologia per sottomarini nucleari. Kent ha deciso di utilizzare i numeri per analizzare la sua squadra amatoriale, ma il suo si rivela ben presto un esercizio di stile, non potendo reperire statistiche a sufficienza da costruire un database affidabile. Intuendo però la bontà della sua idea, Kent decide di spostare la sua attenzione verso il college football, probabilmente lo sport più amato della nazione nel 1972, e inizia ad accumulare dati da giornali, vecchie riviste e libri della biblioteca, dandoli poi in pasto a uno dei computer della Westinghouse. È in questo modo che Kent costruisce quello che, a posteriori, diventerà il primo algoritmo in grado di predire il punteggio di un evento sportivo.

Kent scopre presto che i suoi calcoli hanno un grande potenziale, perché ogni volta che prova a comparare le sue quote con quelle di Las Vegas, si accorge di essere quasi sempre più preciso. Quello che era iniziato come un hobby diventa un lavoro a tempo pieno, fino a quando sette anni più tardi, nel 1979, Kent decide di licenziarsi dalla Westinghouse e trasferirsi a Las Vegas per tentare la sorte.

Nonostante alcuni mesi traballanti, la prima stagione produce subito grandi risultati, tanto che il denaro accumulato lo rende paranoico. Da persona tutta di un pezzo, Kent non si sente sicuro nel muovere soldi da una parte all’altra di una città così promiscua, e inizia a sentire il bisogno di trovare qualcuno con cui condividere il lavoro. Dal momento che Dio non gioca a dadi neanche sopra il cielo del Nevada, quel qualcuno compare proprio al momento giusto e si chiama Ivan Mindlin, un chirurgo e scommettitore della città.

I due decidono di mettersi in società: Kent si occupa della parte teorica, mentre al dottor Mindlin spetta la gestione dei soldi e delle relazioni con i bookmakers; ogni vincita è da dividersi in parti uguali. I due decidono di ribattezzare la nuova associazione “Computer Group”, un nome che nei decenni successivi sarebbe diventato tabù nei casinò di tutti gli Stati Uniti.

Sfortunatamente per Kent, però, Mindlin non era stato del tutto sincero con lui. Non gli aveva detto di essere sul lastrico. Necessitando dell’accordo molto più del compagno, quindi, e dovendo aprire conti grandi a sufficienza per soddisfare le richieste economiche di entrambi, Mindlin aveva finito col rivolgersi a Dominic Spinale, figura di spicco della famiglia Angiulo di Boston. Trovò i soldi, ma finì anche per attirare l’interesse dell'FBI verso di loro. Inoltre, realizzando che i numeri di Kent gli avrebbero cambiato la vita, Mindlin, tenendo il compagno all’oscuro di tutto, inizia a espandere la società ovunque negli Stati Uniti. Nel giro di qualche mese vere e proprie filiere di scommettitori associati a loro nascono a Salt Lake City, a El Paso, a Baltimora, a Philadelphia e anche a Louisville, dove grazie all’aiuto di Chip Reese, conosciuto da Mindlin qualche anno prima, c’era già qualcuno su cui poter contare.

Anni ruggenti

Dopo aver “mosso soldi” per conto di Reese e Mindlin dal Kentucky, Walters arriva a Las Vegas sul finire della stagione NFL del 1982. L’alleanza con Reese brucia come una candela nel vento, e si consuma al termine della prima March Madness. Questo non impedisce ai Computer Group di continuare a crescere con una velocità impressionante. Secondo le stime di Kent, nel 1983 i profitti del gruppo si aggirano sui tre milioni di dollari netti, mentre già nell’anno successivo salgono fino a circa un milione e mezzo… al mese!

Che il 1984 sarebbe stato un anno trionfale sul fronte delle scommesse sportive lo si capisce già dal secondo giorno di gennaio, in occasione dello Sugar Bowl tra Michigan e Auburn. La presenza del grande Bo Jackson sbilanciò le scommesse clamorosamente verso Auburn, ma secondo i calcoli del gruppo, Michigan non era poi così sfavorita e Walters arrivò a scommettere oltre un milione di dollari sui Wolverines, incoraggiando i suoi compagni a seguirlo.

Stan Tomchin, altro famoso scommettitore sportivo affiliato al gruppo in quel tempo, racconta: «Avevamo soldi su tutti gli handicap possibili: 4, 4.5, 5, 5.5, 6, 6.5 [riferendosi al fatto che, essendo favorita, Auburn avrebbe dovuto vincere con quei punti di scarto per “coprire” la scommessa, nda] … Il punteggio era 7-6 in favore di Michigan e con l’ultimo possesso Jackson poteva segnare e farci perdere tutto. Fortunatamente la difesa riuscì a tenere e vincemmo un sacco di soldi!».

In quegli anni ruggenti, però, Walters non riesce ancora a trovare un equilibrio tra il successo nelle scommesse sportive e i milioni persi ai tavoli da blackjack o baccarat. I soldi entrano ed escono in ogni direzione, in una girandola infinita di occasioni e deliri degni della penna di Hunter Thompson – il quale, tra l’altro, è nato a Louisville – che trova il suo apice in occasione del Super Bowl del 1985. Proprio mentre Joe Montana guida i suoi San Francisco 49ers alla vittoria del secondo titolo, infatti, l'FBI fa irruzione in 43 abitazioni sparse su sedici stati diversi e arresta una ventina di persone compresi Walters, Mindlin e Kent.

Non essendosi mai reso conto del casino in cui si era cacciato, Michael Kent chiederà l’immunità in cambio di una sua totale collaborazione con le indagini, condizione che i federali accettano senza pensarci due volte data la loro convinzione di essere sul punto di smantellare una delle organizzazioni criminali legate alle scommesse sportive più grandi della nazione. Tra le persone in stato di arresto, infatti, si trova di tutto: allibratori di strada, veterani della Guerra in Corea, giornalisti famosi, alcuni dei maggiori imprenditori di Las Vegas, personaggi legati alla mafia come Spinale. Quello che sarebbe dovuto essere un colpo enorme, però, inizia a ridimensionarsi prima ancora che Kent abbia finito di testimoniare, perché c’è una differenza sostanziale tra “prendere” scommesse sportive di altre persone – illegale al di fuori del Nevada fino al 2018 – e scommettere sulle partite, l’attività del tutto legale che Walters e soci praticavano ormai da anni. «Nessuno aveva mai visto niente di tutto simile» dirà a Nevada Public Radio l’agente Noble dell'FBI, raccontando di come tutta l’operazione fosse nata nella speranza di frugare tra gli affari del crimine organizzato di Boston e di come lo stesso FBI avesse fatto fatica a credere (parliamo sempre della metà degli anni’80) che un mestiere come quello dello scommettitore potesse essere tanto redditizio.

La differenza, per la verità, appariva già chiara dalle intercettazioni richieste dal Giudice Distrettuale Lloyd D. George nel dicembre’84, e con l’avanzare degli interrogatori divenne sempre più evidente che l’unico reato commesso dal gruppo era stato quello di utilizzare alcuni conti bancari offshore per non pagare le tasse sui profitti. La situazione entrerà in una fase di stallo: l’anno successivo all’arresto, Walters non solo sbanca il Golden Nugget ma vince anche il Super Bowl of Poker, la seconda competizione più importante dell’epoca, mettendo a frutto le ore passate ad allenarsi con Stuey Ungar – se non il miglior giocatore di poker di tutti i tempi, sicuramente il più leggendario.

La diatriba con l'FBI si chiuderà soltanto dopo cinque anni – il massimo consentito per legge, cosa che porterà Walters a chiedersi se non ci sia dietro lo zampino di qualche casinò che aveva smesso di vederlo di buon occhio – risolvendosi però con la sua totale assoluzione.

La quantità di dettagli di quel caso meriterebbe un articolo a parte ma ci sono due cose che vale la pena ricordare: la prima è che l’avvocato di Walters altri non poteva essere che Oscar Goodman (ve lo ricordate? Proprio lui!) e la seconda è che in quegli anni Walters inizia a collaborare segretamente sia con la polizia locale del Nevada che con l'FBI, dimostrandosi ancora una volta un calcolatore implacabile.

Il cambiamento di Walters si rivela anche sul piano “strategico”. Sfrutta la lite tra Kent e Mindlin per sciogliere ufficialmente i Computer Group nel 1987, smette di bere, inizia a interessarsi all’imprenditoria – fonda la Berkeley Enterprises, che poi diventerà la Walters Group – e soprattutto decide di abbandonare per sempre i tavoli da gioco per concentrarsi sulle scommesse sportive.

Il Michael Jordan delle scommesse sportive

«L’analisi statistica aveva messo gli scommettitori talmente avanti rispetto ai bookmakers da essere quasi ridicolo» ricorda Art Manteris, storico Capo Sala dello Station Casinò e membro della Hall of Fame del gioco d’azzardo. Ma la matematica di per sé non era ancora sufficiente per far saltare il banco, serviva qualcuno che la sapesse fondere con la conoscenza del mercato e dei suoi ingranaggi. Non basta trovare il delta, infatti, quella discrepanza tra la quota fornita da Las Vegas e il numero ricavato dai nuovi calcoli dei computer, occorre saperlo manipolare a proprio vantaggio e in ogni situazione. La genialità, la forza di Billy Walters sta proprio in questo.

Abbinando il fattore conoscenza (come scommettere) al fattore tempo (quando scommettere), Walters inizia a ribaltare il mercato delle scommesse sportive, aggiungendo un dinamismo mai visto prima. «Nessuno aveva mai fatto prima quello che faceva lui» ha raccontato a Cover, Chris Jordan, un handicapper professionista «Per il mondo delle scommesse sportive, Billy Walters è davvero quello che Michael Jordan è stato per la NBA»

Walters tiene ogni bookmakers della nazione in costante agitazione. Immaginate di essere in una piazza circondata da palazzi altissimi con infinite finestre e di sapere che dietro una di esse c’è un cecchino pronto a colpirvi e non avete alcun modo di poterlo individuare. La paranoia divenne dilagante. Qualcuno iniziò a credere che Walters fosse un mago che influenzava ogni scommessa, che fosse il Mercato stesso. «Ogni giocata di un certo spessore economico veniva subito attribuita a lui», ricorda Ted Sevransky, un altro handicapper professionista di Las Vegas, «Ma la verità è che trovare il mostro di Lochness sarebbe stata un’impresa più semplice di capire la sua strategia». Ogni casinò della nazione decise di bandirlo a vita, oltre ad aggiornare le proprie strutture di analisi nella speranza di tenere il passo. Dal momento che una parte molto cospicua del suo gioco riguardava lo sport collegiale, scommettere tanti soldi sulle partite di NCAA divenne pressoché impossibile, con molti casinò che addirittura arrivarono a bandire tutti quelli che puntavano sulle cosiddette added-game, quelle partite delle Division minori che non venivano trasmesse neanche dalle televisioni locali e dove Walters andava fortissimo.

In quel periodo iniziarono a nascere anche altri gruppi organizzati (chiamati sindacati) che ricalcavano quel modello, come gli IBM, i Kosher Boys, Poker Player; ma nessuno di loro spaventava i bookmakers come Walters. Soprannomi come “Satana” oppure “Il Grande Saggio” iniziarono a rivestire il suo nome di una patina mistica. Nello stesso articolo di Cover, Chris Jordan ricorda anche di aver assistito a una scena, nel 2001, in cui un supervisore di un casinò aveva iniziato a gridare “Walters è qui! Walters è qui!” nelle stesso modo in cui gli spacciatori di Baltimora preannunciano agli altri l’arrivo di Omar in The Wire.

Billy’s comin!

Nell’intervista rilasciata a Munchkin, Walters sostiene che i proprietari dei casinò divennero così disperati da rivolgersi alla polizia. Così quando nel 1996 le autorità del Nevada perquisirono la sede della Sierra Sports Consulting, una delle società satellite della Walters Group, arrivando a confiscare 2.8 milioni di dollari con l’accusa di riciclaggio di denaro, fu il turno di Walters di gridare al complotto. Il caso non arrivò mai in tribunale e Walters fu nuovamente assolto con formula piena, ma il raid rivelò molte cose interessanti sul suo modus operandi, trasformando la teoria del complotto di Walters da improbabile a quantomeno curiosa.

Nella sede della compagnia vennero trovati oltre 40 telefoni, ognuno dei quali aveva effettuato oltre dodicimila chiamate interurbane soltanto nell’ultimo mese, con ID riconosciuti in Canada, America Latina, isole caraibiche ed Europa. Vennero trovati documenti di trasferimenti bancari offshore per quasi un milione di dollari e schemi di circolazione del denaro che arrivavano a intrecciare fino a sei paesi diversi e altrettante banche. Questo porterà Walters a diventare ancora più scrupoloso: cambierà la sede legale della compagnia praticamente ogni anno (passando da Panama, Tijuana, Bahamas, Londra, insomma, ovunque tranne che negli Stati Uniti) e soprattutto rivelerà al mondo a cosa servisse realmente la Sierra Sports Consulting.

L’esercito invisibile

Quella che era registrata come una compagnia di consulenze, in realtà, era una piattaforma utilizzata per trovare persone che scommettessero per lui. Non potendo più mettere piede nei casinò, e non potendo utilizzare le solite facce note, Walters aveva iniziato (già dalla fine degli anni’80) a reclutare chiunque fosse disposto a piazzare le scommesse al posto suo. L’accordo era molto semplice: chi accettava di lavorare per lui otteneva l’1% delle quote della Sierra Sports Consulting e, una volta divenuti soci, Walters riempiva il conto bancario dell’affiliato e lo istruiva su come giocare. Il 10% di ogni vincita restava al “galoppino”, mentre in caso di sconfitta a rimetterci sarebbe stato solo Walters.

Utilizzando questo stratagemma, nel giro di qualche anno Walters arrivò ad avere centinaia di persone che giocavano al posto suo, persone insospettabili, la cui vera identità veniva mascherata con nomi in codice tipo “Wolf”, “44”, “Lubbock” e che per quanto essenziali al procedimento non erano per niente implicati nella strategia. Per ognuno che veniva bandito dal casinò perché sospettato di essere in combutta con lui, ce n’erano altri cinque pronti a prendere il suo posto. Non solo: in The Smart Money, il libro che scrisse dopo aver fatto parte del gruppo di Walters per circa tre anni, Michael Konik racconta di non aver mai conosciuto nessun altro che lavorasse per lui perché, per stessa ammissione di Walters, nessuno dei suoi “assistenti” doveva conoscere l’identità dell’altro. Secondo Konik, molti non sapevano neanche per chi stavano lavorando realmente; altri erano certi di lavorare per Walters nonostante non lo avessero mai visto. L’uso quasi coreografico dei beards, come vengono chiamati in gergo, permise a “Satana” di rendere ogni sua traccia ancora più indecifrabile, cercando di illudere il mondo fino a rendere invisibile la sua vera natura.

Il vero talento di Walters, tuttavia, non ha niente a che vedere con il cinema o la magia: era preparazione maniacale. Nonostante si fosse sbarazzato di Kent e Mindlin, l’utilizzo del computer era ovviamente al centro di ogni operazione, con alcuni dei migliori matematici del paese che vennero assunti per raccogliere milioni e milioni di dati ed effettuare simulazioni sempre più precise. Grazie al libro di Konik e alla preziosa testimonianza di David Malinsky, un altro handicapper di Las Vegas che prima di morire ha confessato di aver lavorato per Walters negli anni’90, sappiamo che il sindacato utilizzava almeno due esperti di numeri per competizione: NFL, NBA, college football e basket. Malinsky e gli altri effettuavano valutazioni delle squadre a cadenza settimanale, riducendo punti di forza e punti deboli a numeri e lettere che venivano evidenziati con colori diversi. Gli algoritmi servivano a trovare la squadra che era stata più “sottovalutata” da Las Vegas, in modo da poter lavorare la quota nel corso della settimana fino a portarla al numero esatto per guadagnarci in eccesso. Ovviamente è solo la punta dell’iceberg.

Walters aveva a libro paga ogni tipo di esperto: c’era chi si occupava di psicologia, chi di meteorologia, chi cercava di capire quanto un campo sintetico potesse fare la differenza rispetto a uno naturale in una partita NFL, chi doveva cercare di anticipare le breaking news. Agli inizi degli anni’80, i Computer Group pagavano una serie di persone per andare ogni mattina all’aeroporto di Las Vegas a racimolare, o addirittura comprare dai viaggiatori, i giornali degli altri Stati, di modo da tenersi aggiornati su infortuni e novità di formazione. Con l’avanzare della tecnologia, Walters ingaggiò un personaggio della costa Est, conosciuto solo con lo pseudonimo “Il Lettore”, che aveva inventato un programma che gli permetteva di rastrellare in tutto Internet (canali di informazione, account Twitter, pagine di gossip, post di Facebook) in cerca di scoop e notizie che ancora non erano arrivate alle orecchie dei quotisti di Las Vegas.

Se pensate che sia finita qui significa che finora non siete stati attenti.

Il Super Bowl del 2010 è stato sicuramente il picco più alto della sua carriera, con i 3.5 milioni di dollari vinti scommettendo sui New Orleans Saints. Il programma americano 60 Minutes dedicò un intero episodio alla sua vita, l’anno successivo. Lo trovate su YouTube, se vi interessa.

Grazie alle connessioni strette negli anni di Louisville e Newport, Walters ha usufruito per anni di informatori che, come gli uccellini di Varys in Game of Thrones, gli “sussurravano” all’orecchio le condizioni dei giocatori di tutta la SEC (la Division di NCAA dove giocano, tra le altre, anche le squadre dello stato del Kentucky). Lo stesso si può dire di arbitri, allenatori, e anche quei manager di casinò che, pur di far parte della grande ruota del suo carro, erano disposti a farsi corrompere rivelandogli in anticipo dove sarebbero state fissate le quote, dandogli un ulteriore doppio vantaggio competitivo: poter essere il primo a scommettere e poter indirizzare l’andamento del mercato a suo vantaggio. Infine, non potendo gestire ogni informazione da solo, e soprattutto non avendo il tempo materiale di riconvertirla in scommesse efficaci, Walters si è servito per anni di un’organizzazione, situata in Irlanda e strutturata come un’agenzia interinale, che a ogni suo segnale iniziava a telefonare a decine e decine di conti online giocando al posto suo.

«Billy era come un capo allenatore che decide lo schema dopo un time-out», ricorda Malinsky, «Ascoltava tutti i suoi assistenti, ma alla fine era lui a prendere la decisione finale».

In trentanove anni di carriera da scommettitore professionista, Billy Walters ha sempre vinto più soldi di quanti ne ha investiti ad eccezione di una stagione, un record (38-1) che difficilmente verrà eguagliato nel prossimo futuro. Negli anni ha costruito un impero che comprende un jet privato, oltre dieci campi da golf, catene di ristoranti, parcheggi, ville di lusso e una decina di concessionarie di auto. Nel 1997 è stato eletto Filantropo dell’Anno dopo aver donato oltre dieci milioni di dollari alla Opportunity Village, una fondazione che aiuta persone con malattie cerebrali. Alcuni l’hanno visto come un modo per ripulire la sua reputazione, altri come un’appropriata strategia politica – dal momento che le sue cospicue donazioni, nel tempo, sono arrivate anche a politici, appaltatori e imprenditori.

Migliaia di scommettitori hanno provato a imitarlo, agenti federali e imprenditori miliardari hanno provato a ostacolarlo, qualcuno ha provato a derubarlo: Billy Walters li ha sconfitti tutti, uno dopo l’altro, destreggiandosi senza cadere sopra la zona grigia che separa legalità e reato. Almeno fino al 2016.

Il peso della corona

Dopo aver sconquassato il mercato delle scommesse sportive per quasi quattro decadi, Walters aveva deciso di ritirarsi dalla scena – nel 2015 aveva dichiarato che le scommesse sportive occupavano il 7% del suo tempo – per provare a conquistare la “lega” di scommesse più grande e pericolosa del mondo: Wall Street.

L’essere un avido golfista e un milionario gli aveva dato la possibilità, nel corso della sua infinita carriera, di conoscere ogni genere di persona, dallo sportivo di successo al dirigente d’impresa, ognuno dei quali sempre pronto a trovare nuovi modi per fare soldi. A partire dal 2008, però, quella vecchia amica di Walters che risponde al nome di FBI aveva iniziato a prestare particolare attenzione alla sue diciotto buche settimanali con Carl Icahn, il miliardario proprietario di Dean Food, una delle più grosse aziende di prodotti alimentari degli Stati Uniti. Soprattutto al rapporto confidenziale tra lo scommettitore e Thomas Davis, uno dei membri del consiglio di amministrazione, scoprendo che non solo Davis si era indebitato per oltre un milione di dollari con Walters giocando a golf, ma che gli aveva passato oltre quaranta pagine di documentazione riservata sulla compagnia, permettendogli di comprare e vendere azioni in modo estremamente proficuo.

Nel maggio del 2016 le forze dell’ordine erano entrate in azione, arrestando Walters, Davis, e anche il famosissimo golfista Phil Mickelson, al quale Walters aveva passato l’informazione a sua volta per permettergli di recuperare un po’ di soldi – dal momento che anche lui era indebitato con Satana.

Walters negherà tutto fin dal primo momento, ma quello che era stato il suo vantaggio nel mondo delle scommesse sportive, essere in possesso di informazioni incredibilmente accurate, diventa una ricetta perfetta di insider trading quando si parla di Wall Street. Le accuse di frode fiscale, frode via cavo e cospirazione di commettere frode via cavo – tutti reati federali negli Stati Uniti – vengono confermate dalla sentenza del luglio 2017, condannandolo a cinque anni di galera e ponendo fine alla sua striscia fortunata. «Ho perso la più grande scommessa della mia vita» dirà lui stesso appena uscito dal tribunale.

Adesso Walters siede in una cella di prigione. Provare a capire quali saranno le sue prossime mosse resta, come sempre, un esercizio impossibile. Quando uscirà avrà quasi 76 anni, e per allora troverà un mondo completamente diverso da quello che aveva lasciato, un mondo dove scommettere su eventi sportivi è divenuto legale praticamente ovunque negli Stati Uniti. Chissà se avrà di nuovo voglia di rimettersi in gioco. La sua vita è stata una continua e implacabile ricerca di ciò che non può essere conquistato, una pallina che gira in eterno sopra il piatto di legno di una roulette.

Chissà se anche stavolta troverà qualcuno disposto a confidargli in anticipo quali potrebbero essere i numeri su cui scommettere. Chissà se Steve Wynn, dopo quasi quarant’anni, magari seduto sopra un lussuosissimo divano, abbia bevuto un calice di champagne in suo onore.

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