A ogni sessione di calciomercato tornano alla ribalta le discussioni legate al Fair Play Finanziario e su come questo possa incidere sulle campagne acquisti delle squadre. Ne abbiamo già parlato in passato, ma visti gli ampi dibattiti sulla correttezza o meno delle strategie portate avanti da Inter, Roma e Milan in queste settimane, vale la pena ricordare in cosa consiste e analizzare come le nostre tre squadre hanno deciso di affrontare questa normativa dell’Uefa.
La prima cosa da ricordare, spesso poco compresa, a riguardo del Financial Fair Play (da qui in poi abbreviato in FFP) è che il suo regolamento attuativo non è stato scritto con l’intenzione di escludere le squadre inadempienti dalle coppe europee ma di aiutarle a rendere sostenibili i loro conti tramite “Settlement Agreement” stipulati con l’Uefa. Questi accordi dovrebbero indicare la strada per riportare nel giro di poche stagioni il pareggio di bilancio. Solo nel caso in cui i club non in regola continuino a registrare elevati passivi di bilancio, senza sottostare alle restrizioni imposte dall’Uefa, si può arrivare all’esclusione dalle coppe europee per una o più stagioni. Una punizione estrema, finora applicata ad appena tre squadre: i rumeni dal Rapid Bucarest, gli spagnoli del Malaga e i turchi del Galatasaray.
In estrema sintesi, per non infrangere il FFP l’Uefa richiede di sottostare a quattro vincoli:
1. Dimostrare, tramite i bilanci del club ed eventuali integrazioni richieste dall’organismo di controllo, che il proprietario del club può garantire la continuità aziendale della società;
2. Non avere debiti scaduti (la parola “scaduti” è molto importante, perché va sottolineato che avere debiti non rappresenta di per sé un motivo di sanzione) verso club, dipendenti e istituzioni;
3. Avere un Patrimonio Netto Non Negativo o dimostrarne il miglioramento anno dopo anno. La società deve cioè dimostrare di avere nelle proprie casse delle riserve, segno di buona salute del club;
4. Non superare nell’arco dell’ultimo triennio un passivo totale di 30 milioni di euro calcolato sui bilanci al netto dei costi virtuosi (ovvero le spese per settore giovanile, infrastrutture e altro che non sia direttamente collegato con le spese di gestione della squadra ma possa in qualche modo aumentare la ricchezza del club nel lungo periodo). Proprio quest’ultimo vincolo (noto come “Break-Even”) è il più importante e quello per il quale l’Uefa non ammette deroghe se non quella di dimostrare come l’eventuale sforamento sia un fatto temporaneo, portando in visione eventuali bilanci chiusi in attivo dei periodi immediatamente precedenti al triennio di riferimento.
Da questa stagione il regolamento del FFP è stato implementato con il cosiddetto “Voluntary Agreement”, aperto a tutte le squadre che abbiano ottenuto la licenza Uefa dalla propria federazione e siano in regola con i vincoli del Fair Play Finanziario al momento della richiesta. Il “Voluntary Agreement” prevede che si possa richiedere uno sforamento maggiore rispetto a quello concesso dal Break-Even per un periodo di tempo definito in cambio della presentazione di un credibile piano di rientro che dimostri la possibilità di aumentare i ricavi (o diminuire le spese) nell’arco di alcune stagioni. A patto che questo piano sia stilato con criteri di prudenza e non tenga conto dei soldi incamerati per eventuali qualificazioni future alle coppe europee, essendo quest’ultima una situazione aleatoria e dipendente dai risultati sul campo. Inoltre, per facilitare il compito ai nuovi proprietari, è concesso ai club appena acquistati di presentare un “Voluntary Agreement” anche se i bilanci degli ultimi anni riferiti alla precedente proprietà non sono virtuosi, a patto che il club non sia già sotto osservazione dell’Uefa tramite un “Settlement Agreement” già in vigore. Per questo motivo, ad esempio, il Milan ha potuto provare a presentare il suo “Voluntary Agreement” mentre l’Inter no, nonostante entrambi i club abbiano vissuto nell’ultimo anno un cambio di proprietà.
Ripassato l’aspetto regolamentare, andiamo a vedere ora quali sono le posizioni di Inter, Roma e Milan rispetto al FFP.
Inter: risanamento con un po’ di furbizia
L’Inter ha lavorato du un doppio livello: con Thohir si è preoccupata di tagliare i costi mentre con Suning sta cercando di mettere insieme nuovi ricavi. Grazie a questi sforzi, nel primo anno sotto osservazione l’Inter (il cui “Settlement Agreement” stipulato nel maggio 2015 è consultabile in inglese qui) è riuscita a soddisfare le richieste dell’Uefa in extremis, situazione che in attesa dell’ufficialità prevista per l’autunno dovrebbe essersi ripetuta anche per la stagione 2016/17 conclusasi il 30 giugno.
Tutte le principali fonti erano concordi nell’indicare nella cifra di 30 milioni la quantità di denaro che l’Inter avrebbe dovuto recuperare nel mese di giugno tramite plusvalenze generate dalla cessione di alcuni giocatori. Prendendo per buoni i dati usciti sui giornali (visto che l’Inter non è obbligata a comunicare le cifre di acquisto e cessione dei propri giocatori al momento della chiusura delle contrattazioni non essendo quotata in borsa) le plusvalenze incassate dai nerazzurri si dovrebbero essersi attestate attorno ai 26 milioni ed essere state così suddivise: 6 per Banega; 5,7 per Caprari; 4,5 per Eguelfi; 4 per Dimarco; 3,5 per Miangue; 1,5 per Gravillon; 0,7 per Erkin; 0,3 per Gyamfi. La somma delle plusvalenze (26,3 milioni) si avvicina talmente alla richiesta Uefa che è difficile pensare che, anche tramite qualche minimo aggiustamento a bilancio, l’Inter non riesca a far quadrare i conti e a passare indenne anche il secondo anno di osservazione.
La dirigenza è quindi riuscita a evitare la grossa cessione che in molti si aspettavano (anche se va detto che Banega è comunque un giocatore di livello che ha dovuto lasciare la rosa), ovvero quella di Perisic, che però potrebbe arrivare in queste settimane. Non solo perché il giocatore parrebbe essere ormai un separato in casa, ma anche perché all’Inter è richiesto di raggiungere il pareggio di bilancio anche nel corso della stagione 2017/18 e senza coppe europee qualche plusvalenza sarà per forza di cose necessaria a meno di un clamoroso aumento dei ricavi da sponsor. L’obiettivo da perseguire entro il 30 giugno 2018 sarà quello di raggranellare quella sessantina di milioni necessari a passare l’esame del FFP anche al termine della prossima stagione (al netto di eventuali aumenti dei costi di monte ingaggi e ammortamenti dovuti alle sessioni estiva e invernale del calciomercato 2017/18).
La modalità utilizzata per raggiungere l’obiettivo, dando valutazioni un po’ fuori mercato ad alcuni giovani, ha fatto storcere il naso a parecchi, ma va tenuto conto che l’Uefa può intervenire solo quando i costi di certi calciatori risultano clamorosamente fuori mercato. In un periodo in cui gli Under 20 passano a grandi club per cifre molto elevate, e nel quale il Chelsea vende il non eccezionale Aké al Bournemouth per 22,8 milioni, non sono certo i 2-3 milioni in più o in meno a far scattare l’allarme a Nyon. Il discorso sarebbe stato diverso se i giovani ceduti dall’Inter fossero stati venduti ciascuno a cifre astronomiche. In sintesi: quando il “sotterfugio” è piccolo l’Uefa tende a lasciar correre.
Roma: nessuna alternativa alle cessioni di massa
Nel suo piccolo anche la Roma ha ceduto tre suoi giovani calciatori a prezzi abbastanza elevati concludendo con il Sassuolo un’operazione da 12,5 milioni complessivi per il trasferimento di Ricci, Frattesi e Marchizza.
Ma il passivo di bilancio con il quale la Roma aveva iniziato il mese di giugno era ben più ampio di quello dell’Inter e quindi non ci potevano essere alternative, come vi avevamo segnalato, alla cessione di almeno due big (che si sono poi rivelati essere tre perché i soli Salah e Paredes non sono bastati a raggiungere la somma necessaria a coprire gli 80-85 milioni necessari). I trasferimenti di Rudiger e dei giovani del Sassuolo, dati per chiusi a fine giugno, sono stati ufficializzati nel mese di luglio, ma tutto lascia supporre che la Roma riesca a inserirli - se necessario - nel bilancio dell’anno passato. Ci riuscirebbe sfruttando la possibilità di retrodatare alcune cessioni, se avvenute con qualche giorno di ritardo rispetto alla scadenza dei termini, soprattutto in presenza di documenti già firmati, come dovrebbe essere il caso del tedesco ceduto al Chelsea
Il “Settlement Agreement” sottoscritto dalla Roma, anch’esso nel maggio 2015 (consultabile in inglese qui), richiedeva di non superare i 30 milioni di Break-Even nel biennio 2014/16 con l’obiettivo di riallinearsi alle squadre in regola nel triennio 2014/17 o al più tardi nel triennio 2015/18. Se gran parte degli 89 milioni di plusvalenze (Salah 29, Rudiger 28, Paredes 19 oltre ai giovani andati al Sassuolo) incassati nelle ultime settimane saranno messi nel bilancio 2016/17 i giallorossi sarebbero riusciti nel loro intento e dovrebbero ottenere dall’Uefa in autunno il via libera per uscire dal “Settlement Agreement”. Il che, ben inteso, non vuol dire che poi la dirigenza potrà spendere e spandere come vuole, ma che dovrà attenersi al vincolo del Break-Even come tutti gli altri club senza però dover sottostare ancora ad ulteriori limitazioni da soddisfare per dimostrare all’Uefa di compiere passi verso il risanamento.
Con la qualificazione automatica alla Champions League e la possibilità per la stagione 2017/18 di chiudere il bilancio a -30 milioni rispetto ai pareggi al netto dei costi virtuosi con i quali dovrebbero essere stati chiusi gli ultimi due esercizi, la Roma può sicuramente guardare con un po’ più di serenità i mercati futuri. Anche se la necessità di cedere qualche giocatore per fare plusvalenze che mettano a posto i conti è ormai un obbligo dal quale pochissime società sono esenti. D’altra parte Il confronto fra quanto fatto dall’Inter nel mese di giugno e cosa è stata costretta a fare la Roma mette in evidenza quanto sia diverso l’impatto su una strategia di mercato fra uno scenario che richiede di dover raggranellare una cifra attorno ai 30 milioni e uno costruito sapendo di doverne recuperare poco meno di 100.
Nel malaugurato caso in cui la Roma non sia riuscita a inserire tutte le cessioni fatte nel bilancio 2016/17 i tifosi giallorossi non dovrebbero preoccuparsi più di tanto: basandoci su quanto accaduto in passato il “buon senso” dell’Uefa dovrebbe giudicare comunque in maniera positiva le uscite operate sul mercato dalla società, anche se chiuse con pochi giorni di ritardo e non aggravare ulteriormente le richieste che rimarrebbero a quel punto da soddisfare, quelle sì senza deroghe, entro il 30 giugno 2018. Nella peggiore delle ipotesi - quella legata al mancato raggiungimento dell’obiettivo - si può pensare al massimo a una leggera multa e a una nuova limitazione al numero dei giocatori tesserabili in Europa per la stagione 2018/19.
Milan: all-in preventivo, scommessa vincente?
La situazione dei rossoneri rispetto al FFP è totalmente diversa rispetto a quella di Inter e Roma. Il Milan non ha alcun “Settlement Agreement” aperto con l’Uefa e quindi a norma di regolamento è libera di spendere sul mercato come e quanto vuole, fermo restando che in caso di deficit eccessivo l’Uefa potrà intervenire successivamente, anche se con richieste che riguarderanno in ogni caso le prossime stagioni.
Va quindi detto che, almeno per quanto riguarda questo mercato, l’unico limite di spesa che hanno Fassone e Mirabelli è dato dalla disponibilità economica messa loro a disposizione da Yonghong Li. Al momento ci interessa solo di capire cosa potrà succedere in futuro e a cosa andrà incontro il Milan relativamente alle regole del FFP.
Il netto cambio di rotta del mercato è evidente dai giorni conclusivi della trattativa con Donnarumma, nel corso dei quali è stato quasi raddoppiata l’offerta d’ingaggio che al momento della prima rottura era stata indicata dallo stesso Fassone come il massimo e più generoso sforzo possibile per venire incontro alle richieste del giocatore (da 4 milioni per lui si è passati a 6,5 per lui e 1 per il fratello). Proprio a margine della trattativa Fassone ha dichiarato ai giornalisti che rispetto ai piani iniziali era stato deciso dalla proprietà cinese un budget “extra” immediatamente a disposizione. Difficile pensare che questa decisione non sia legata a doppio filo con lo stallo creatosi con l’Uefa nella redazione del “Voluntary Agreement” presentato dal Milan. Per settimane la dirigenza si era dichiarata fiduciosa sul buon esito della trattativa che avrebbe – nelle speranze rossonere – dovuto avallare in toto il piano industriale di aumento dei ricavi provenienti dalla Cina nel prossimo quinquennio calcolando su questo gli investimenti concessi al Milan nei prossimi anni e avvalorando quindi il piano triennale di investimenti da 400 milioni previsto all’inizio.
Le due parti però non sono arrivate a un accordo soddisfacente tanto che l’Uefa ha suggerito al Milan di ritirare il piano originario in modo da poterne presentare un altro per ottobre, termine ultimo prima che parta per i rossoneri la procedura di infrazione per i deficit eccessivi realizzati nell’ultimo triennio (superiori ai 200 milioni). A posteriori, valutando il mercato stellare che sta portando avanti il Milan dal rinnovo di Donnarumma in poi, e soprattutto la scelta di destinare più di 100 milioni fra costo del cartellino e ingaggio per Bonucci, che per bocca dello stesso Fassone non faceva parte dei piani originari di investimento, pare abbastanza chiaro che la dirigenza abbia deciso di tagliare la testa al toro. Il Milan sta spendendo in questa sessione gran parte - se non tutti - i soldi stanziati per il triennio, in modo da anticipare eventuali sanzioni Uefa che avrebbero potuto impedire di farlo in futuro. Sanzioni che, a questo punto, sembrerebbero inevitabili visto che da Nyon non vedranno di certo di buon occhio una società che dopo aver chiuso il bilancio 2016/17 a -75 milioni decide di aumentare le proprie spese fra monte ingaggi e monte ammortamenti di più di 60 milioni annui (e non è detto che a fine settimana non siano di più, visto che se da una parte ci sono alcune cessioni da fare per ridurre le spese dall’altra si cerca una punta molto costosa che difficilmente peserà a bilancio meno di Bonucci).
Dato lo scenario che si sta delineando è possibile prevedere, sia in caso di “Voluntary Agreement” che ancor più in caso di “Settlement Agreement””, una serie di richieste dell’Uefa che non si discosteranno molto da quelle subite dall’Inter due anni fa. Dal 2018/19 in poi, quindi, la dirigenza sarà chiamata a sostenere questa impennata dei costi tramite aumenti dei ricavi e – se necessario – plusvalenze create dalla cessione di giocatori. Quantificare ora quanti soldi ogni anno dovranno essere incamerati tramite plusvalenze o quanti calciatori dovranno essere sacrificati sull’altare del FFP sarebbe aleatorio, visto che dipenderà non solo da come finirà il mercato ma anche dall’andamento del Milan in campionato e in Europa League e dall’eventuale qualificazione alla prossima Champions League, oltre che dalla capacità dei giocatori in rosa di aumentare il loro valore e quindi diventare appetibili a prezzi elevati per società estere (basti pensare per esempio ad Alex Sandro, per il quale la Juventus era stata criticata per aver speso “addirittura” 26 milioni e per il quale solo ventiquattro mesi dopo ne sono stati rifiutati 70).
Quello del Milan ha quindi tutti i contorni di un“all-in” in relazione ai paletti del Fair Play Finanziario: se il Milan si qualificherà alla Champions League, inizierà a portare in cassa nuovi ricavi, farà una buona Europa League e la squadra giocherà in modo da permettere a diversi giocatori della rosa di far crescere il proprio valore, il “rischio” preso questa estate sarà ripagato e la gestione del prossimo biennio sarà più agevole e il ventaglio di scelte per gestire il “piano di rientro” sarà più ampio; se invece la stagione prenderà una piega negativa rialzarsi da un deficit annuale a tre cifre per portarlo ad avvicinarsi a quelle che saranno le richieste dell’Uefa non sarà un’impresa facile e indolore.
Il caso Neymar
Non possiamo concludere questo articolo dedicato al Fair Play Finanziario senza parlare del possibile passaggio di Neymar al PSG per la cifra record di 222 milioni corredata da 30 milioni netti a stagione offerti al giocatore (pari a circa 55,6 milioni lordi). È un'ipotesi che si è leggermente raffreddata nelle ultime ore, dopo il tweet di Gerard Piqué che ha provato a rassicurare i tifosi blaugrana. La dirigenza del Barcellona ha già preannunciato una protesta formale all’UEFA nel caso in cui venga conclusa l’operazione proprio chiamando in causa il regolamento del FFP.
Dando uno sguardo agli ultimi bilanci noti dei parigini (2014/15 e 2015/16, chiusi entrambi con attivi di 10 milioni nonostante il taglio voluto dall’Uefa delle sponsorizzazioni legata direttamente al Qatar) e provando a stimare quello del 2016/17 (che potrebbe generare un attivo ben maggiore visto il mercato virtuoso chiuso dai francesi nella scorsa stagione con le cessioni di David Luiz, Ibrahimovic e Digne che - al netto di altre uscite di minor valore e degli acquisti - hanno avuto un impatto positivo sul bilancio in termini di plusvalenze e risparmi sul monte ingaggi e monte ammortamenti rispetto all’anno precedente di quasi 50 milioni) l’impressione è che il Paris Saint-Germain possa permettersi questa mossa folle senza correre rischi di sanzioni “immediate” (che in realtà immediate non sarebbero perché l’Uefa valuterà il bilancio 2017/18 nell’autunno del 2018 con eventuali sanzioni valevoli dalla stagione 2019/20) e senza ricorrere ai trucchi che vengono ipotizzati negli ultimi giorni (come per esempio far pagare la clausola a Neymar tramite una equivalente sponsorizzazione personale offertagli da Qatar Airways).
Andando nello specifico, l’operazione Neymar peserebbe sul bilancio del club circa 100 milioni annui, ipotizzando per il brasiliano un contratto quinquennale (quindi ammortamento di 44,4 milioni e stipendio di 55,6 milioni). Nella valutazione del bilancio triennale, il PSG potrà contare sui primi due attivi da 10 e all’incirca 50 milioni, quindi l’importante per il club sarà non chiudere il bilancio 2017/18 con più di 90 milioni di passivo. Togliendo dai 50 milioni di attivo stimati per il 2016/17 circa 35 milioni di plusvalenze, il PSG partiva da un attivo stimato di 15 per il 2017/18 ipotizzando anche per questa stagione eliminazione agli ottavi di Champions League e ricavi commerciali invariati. Quindici meno cento fa -85, valore ancora dentro i margini, e va inoltre considerato che con l’eventuale acquisto di Neymar i ricavi commerciali subirebbero un’ulteriore impennata e quindi la pericolosa soglia di -90 dovrebbe essere mantenuta a distanza di sicurezza nonostante questa operazione a prima vista impossibile. Ovviamente il PSG nelle successive stagioni avrà il problema di non ripetere passivi di bilancio in serie nonostante i cento milioni di costo di Neymar su monte ingaggi e ammortamenti. Per farlo le strade saranno come sempre due: o aumenti di ricavi o cessioni con conseguenti plusvalenze pena, allora sì, una nuova punizione Uefa legata al FFP.
Infine una curiosità “comparativa”: i dieci acquisti chiusi fino a questo momento dal Milan peseranno per 42,3 milioni sul monte ammortamenti annuale, 52,6 milioni sul monte ingaggi e 413 sul costo totale contando gli anni di contratto di ogni giocatore acquistato. Numeri simili alla singola eventuale operazione Neymar.