
Rory McIlroy vede la domanda comparire da lontano, lo sguardo annoiato, la testa appoggiata su un pugno: non sembra qualcuno che è stato appena tradito dalla storia. Per mesi è stato la voce dei golfisti leali al PGA Tour, cioè alla tradizione, al blasone che questo sport rappresenta. Ha rifiutato centinaia di milioni di euro pur di non mettere piede nei tornei organizzati dal nuovo tour internazionale LIV Golf, finanziato dal fondo d’investimento sovrano saudita PIF (Public Investment Fund). Ha rilasciato dichiarazioni al vetriolo, ha detto che «la storia non si può comprare». Poi lo scorso 6 giugno è stato lo stesso PGA Tour a smentirlo, decidendo - dopo quasi due anni di minacce, ritorsioni e processi - di unirsi con LIV in una nuova società. Il suo commissioner, Jay Monahan, dopo l’accordo ha detto che «il gioco del golf è migliore grazie a ciò che abbiamo fatto oggi» e il PGA Tour ha venduto la storia che McIlroy ha cercato strenuamente di difendere. Di fatto, si è avverata una delle poche vere profezie di Donald Trump: «Tutti questi golfisti che rimangono leali allo sleale PGA Tour pagheranno un prezzo salato quando arriverà l’inevitabile fusione con LIV, e tutto ciò che otterranno in cambio non sarà nient’altro che un grosso “grazie”».
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