Esistono due Boban Marjanovic. Uno fa il giocatore di basket a Philadelphia; l’altro fa il simpaticone sui social network. Uno domina il pitturato dall’alto dei suoi 222 centimetri; l’altro usa i suoi 222 centimetri come aggancio per un’autoironia poco comune tra i giocatori NBA. Uno è colonna inamovibile della Serbia di Sasha Djordjevic, prossima avversaria dell’Italia al Mondiale; l’altro ha una piccola parte da cattivone in John Wick 3 con Keanu Reeves (a 1:36 del trailer lo intravediamo mentre soccombe ai cazzotti del rivale).
Sono due entità che sembrano viaggiare in maniera distinta, anzi: più la prima vede poco il campo, più la seconda acquista importanza. Ormai la mitologia su Marjanovic fenomeno da social ha superato quella del Marjanovic giocatore, che invece dovrebbe avere una sua dignità, ben oltre l’unica definizione tecnica presente sulla pagina di Wikipedia in italiano: “È il giocatore con le mani più grandi in tutta la NBA”.
Da dove viene Boban Marjanovic
Se a 14 anni sei alto 2 metri e 9 non passi inosservato, anche se giochi a pallacanestro in un piccolo club di Boljevac - città natale di Marjanovic - chiamato Rtanj, in omaggio alla montagna che sovrasta la città ad est di Belgrado. L’Hemofarm di Vrsac è il più lesto di tutti a prenderlo nel proprio settore giovanile nonostante sia poco aggraziato nei movimenti, come tutti i ragazzini di quell’altezza. Insomma, siamo lontanissimi dal poterlo considerare un giocatore. Ma Bobi ha una grande etica del lavoro e compie dei miglioramenti evidenti, tanto che nel 2005 a 17 anni coach Miroslav Nikolic lo butta in prima squadra. Il prestito ai vicini di casa del Kondivik dura poco: Marjanovic torna all’Hemofarm e sempre con Nikolic in panchina fa enormi progressi.
È uno dei migliori coach che Boban possa trovare sulla sua strada: Nikolic ha una grande conoscenza del Gioco e un’innata capacità di lavorare con i più giovani. È lui che guida la Serbia U20 al titolo europeo del 2006 e la U19 al titolo mondiale in casa a Novi Sad del 2007. In quest’ultima squadra c’è naturalmente anche Marjanovic, oltre all’MVP Milan Macvan che in finale contro gli USA - con nelle loro file comprimari di nome Steph Curry e DeAndre Jordan - chiude con una doppia doppia.
Bobi gioca 12 minuti, segna 2 punti e di fatto non incide. Almeno fino alla sirena perché poi fa da scala umana a Stefan Markovic per il taglio della retina e si erge a protagonista.
Nel luglio 2010 Duško Vujošević, che a maggio aveva clamorosamente portato il suo Partizan con Bo McCalebb e Aleks Maric alla Final Four di Eurolega, firma per il CSKA e uno dei primi nomi che fa è quello di Marjanovic. Il triennale firmato da Bobi diventa carta straccia quando a novembre Vujošević viene esonerato dopo l’eliminazione alla fase a girone dei moscoviti, e Marjanovic il campo non lo vede più. Il prestito allo Zalgiris e i sei mesi al Nizhny non cambiano la situazione. Va un po’ meglio con il ritorno in patria al Radnički Kragujevac, che è poi la prosecuzione societaria del Kondivik. Con il Mega Vizura diventa MVP del campionato serbo nel 2013 ma non cambia la percezione diffusa che si ha di lui: per essere alto è alto, per essere grosso è grosso, ma è un peso più che una risorsa per le sue squadre. Al massimo può far bene a casa sua, ma superati i confini diventa un’attrazione per i curiosi.
Chi cambia la storia, la carriera e la vita di Boban Marjanovic è il montenegrino Dejan Radonjić. È il coach che arriva alla Stella Rossa nel 2013 e che si prende (o si ritrova, le cronache non sono chiarissime) il gigante di Boljevac in squadra. Nel giro di due stagioni Marjanovic diventa un giocatore temibile anche in Europa. Radonjić gli costruisce attorno un sistema che lo esalta, lo fa ricevere sempre profondo, gli mette attorno quattro esterni versatili, gli dà poche istruzioni offensive ma tutte efficaci per lui e per il suo modo ingombrante di stare in area. Pick and (rigorosamente) roll, ricezione spalle a canestro in post basso (dove l’uso del piede perno gli dà ulteriore vantaggio oltre alla stazza), mani sempre in posizione di ricezione sulle penetrazioni dei compagni, capacità di servire i tagli altrui anche solo per il fatto di poter vedere sempre quello che succede intorno da posizione privilegiata. In difesa la Crvena zvezda, quando Bobi è in campo, ha l’obbligo e quasi il dovere di forzare le penetrazioni mandando gli avversari nella tana del lupo.
L’Eurolega 2014/15 è quella della consacrazione. La Stella Rossa esce alle Top 16 ma Boban è comunque il miglior giocatore per PIR (Performance Index Rating) a quota 25.67 - uno dei dati più alti della storia del torneo -, si afferma come miglior rimbalzista - i 256 palloni catturati sono ancora un record su singola stagione - e finisce per essere inserito nel primo quintetto. Chiude con una doppia doppia di media e con 16 doppie doppie su 24 partite, anche questo record. Nel sistema dei biancorossi belgradesi si è esaltato e ha saputo - con l’aiuto della squadra - mascherare i suoi limiti strutturali.
Contro il Neptunas un bignami di quello che Marjanovic ha combinato in quella memorabile campagna europea. Dice: eh, basta mettere palla alta in area, che ci vuole! Ma bisogna metterla con i tempi giusti e chi la riceve deve avere una minima idea di cosa fare. Di idee quell’anno Boban ne aveva parecchie.
Bobi va in America
Le prestazioni di quell’annata stuzzicano la fantasia di Gregg Popovich e dei San Antonio Spurs. Marjanovic fa le valigie e attraversa l’Atlantico fino in Texas, diventando subito oggetto di facili ironie per la sua statura alle quali peraltro contribuisce volentieri lui stesso - ma di questo parleremo dopo.
Prestazioni di alto livello non mancano: 18 punti ai Philadelphia 76ers; 17 con il 100% al tiro contro i Minnesota T’Wolves; 12 rimbalzi in 15 minuti contro i Phoenix Suns; 19 punti ai Miami Heat; 22 ai Dallas Mavs. Ma al di là di queste perle sparse qua e là, Bobi fatica a ritagliarsi uno spazio costante. Si dimostra subito un professionista esemplare, un eccellente compagno di squadra ben voluto da tutti, ma non un giocatore su cui costruire una squadra NBA. La sua mole costringe a fare scelte difensive molto estreme nel basket contemporaneo, una su tutte l’impossibilità di accettare un cambio difensivo. In più è impossibilitato a inseguire i lunghi che dopo il blocco non rollano ma si allontanano oltre l’arco: il pick and pop diventa un’arma troppo semplice da utilizzare contro di lui. In più correre da ferro a ferro ai ritmi degli atleti NBA è un grande aggiustamento, così come la regola dei tre secondi difensivi.
I Pistons di Stan Van Gundy gli offrono un triennale da 21 milioni complessivo e gli Spurs non rilanciano - quelle cifre sono troppo alte per un giocatore che ha già raggiunto il suo apice -, così Boban finisce in Michigan. Una stagione e mezza a Detroit, un anno ai Clippers e ora Philadelphia. In questo periodo di tempo Marjanovic ha capito come poter mascherare i suoi difetti e guadagnarsi più minuti, pur non facendo miglioramenti evidenti. Di fatto è lo stesso tipo di giocatore del secondo anno con la Stella Rossa e allora la differenza la fa chi c’è attorno a lui, in quale contesto può esprimersi. Il serbo è allo stesso tempo colui che influenza il contesto che lo circonda (perché quando è in campo bisogna farci i conti, nel senso che va servito in attacco e protetto in difesa) e colui che ne è maggiormente influenzato (perché senza il giusto supporto non ha una chance di rimanere in campo).
La stagione corrente era già iniziata bene con i Clippers di Doc Rivers che di lui ha detto: “Deve continuare a essere gigante”. Tradotto: non può garantire chissà che minutaggio perché alla lunga andrebbe in totale sofferenza senza poter dare un contributo; deve invece essere capace di spremere il massimo da se stesso in quei minuti che i coach gli concedono. Minuti che a dirla tutta stanno aumentando: Rivers lo teneva in campo 10.4 minuti, Brett Brown lo tiene 14.
Ricorderete sicuramente quando venne fuori la storia che Boban Marjanovic fosse il miglior giocatore della storia NBA secondo il PER (Player Efficiency Rating) davanti a giocatorini come Jordan, LeBron e compagnia varia. Tre mesi dopo il suo dato resta altissimo (26.4, Jordan è 27.91) ma non ha abbastanza minuti per essere considerato eleggibile da Basketball-Reference. È tuttavia indicativo di quanto Bobi sia effettivamente un giocatore di sostanza, uno che quando è chiamato in causa offre un contributo tutt’altro che secondario, rispondendo alle esigenze di squadra e dando un senso alla sua presenza in NBA.
Ok, questo è un video celebrativo e quindi vediamo solo il meglio. Però ci permette di capire davvero quanto, se messo nelle condizioni di dominare nel pitturato, Marjanovic sia difficilmente gestibile anche a livello NBA. Mettersi davanti, anche se si è grossi grossi, non è quasi mai una buona idea; le sue braccia arrivano lì dove in pochi possono avventurarsi; le sue mani sono molto più educate di quanto si possa immaginare. In più è l’unico Sixers ad avere un rating difensivo sotto i 100 quando è in campo. Insomma, non è solo un simpatico spaventapasseri.
L’altra faccia di Bobi
Fin qui il Marjanovic giocatore, che come abbiamo visto ha una sua dignità e un suo motivo d’esistere anche in NBA - figuriamoci a livello FIBA. Poi c’è l’altro Marjanovic, il compagnone, il burlone, il primo a prendersi in giro per la sua altezza spropositata, attivissimo su Instagram e Twitter. Nelle prossime righe vedrete una selezione delle sue migliori uscite social.
Quando uscì la statistica sul PER di cui sopra Boban commentò così:
“Mandria, nome: un certo numero di animali tenuti, alimentati o che viaggiano insieme; gregge. Usato in una frase: Boban è il numero 1 in una mandria di capre!”
L’autoironia è la dote principale di Marjanovic: è il primo a scherzare sulla sua altezza e sulle sue mani enormi — ancora più enormi quando vengono rapportate a quelle dei piccoli tifosi Sixers.
Ma non c’è solo ironia rivolta verso se stesso e verso le proprie misure. C’è anche molto sano cazzeggio che fa breccia nei tifosi, non solo della sua franchigia. Qui mette insieme l’assistente personale di Amazon con un brano di DMX:
Qui invece raggiunge il top: per commentare il suo passaggio da Los Angeles a Philadelphia, usa una gif della sigla del Principe di Bel Air montata in reverse. Se non è genialità pop questa...
Come si fa a non amare Boban Marjanovic? Se poi lo chiedete a Tobias Harris vi risponderà che non solo è impossibile non amarlo, ma l’intera esistenza umana non avrebbe senso.
I due si conoscono nell’estate del 2016 quando Boban firma per Detroit dove Tobias gioca già da qualche mese. L’intesa tra i due è totale e immediata, l’amicizia si salda repentina e non li abbandona più. Sembra quasi una forma di rispetto che i dirigenti di Clippers prima e 76ers poi hanno: prendono Harris ma solo insieme a Marjanovic. Sono inseparabili e come tali devono essere trattati. Non sono solo ottimi amici: sono un duo comico prestato alla pallacanestro. Non sappiamo dove andrà Harris a fine stagione né cosa farà il serbo, anche lui in scadenza, ma preghiamo tutti che la coppia non venga divisa.
Il primo tweet di Marjanovic: il promo di “The Bobi+Tobi Pre-Preseason”, un web show prodotto dai Clippers che purtroppo ha avuto solo tre episodi visibili qui.
Altra citazione di altissimo livello.
A volte chiamano un terzo compagno di squadra per la danza pre partita. Qui tocca a DeAndre Jordan.
Tobi e Bobi a caccia di dinosauri. Questo video trasuda bellezza da ogni frame.
Cosa ricorderemo di Marjanovic quando appenderà le scarpe al chiodo? Avrà avuto la meglio Boban il giocatore o Boban il personaggio dei fumetti che sta sui social? È probabile che, per quanti sforzi possa fare e per quanti titoli possa vincere, il Boban giocatore soccomberà nel ricordo di “quel serbo alto 2 metri e 22 con le mani più grosse di tutta l’NBA che faceva un sacco di post buffi”. E altrettanto probabilmente sarà un’ingiustizia. Ma così è la vita dell’atleta professionista nell’era dei social network.