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I "salmonari" più forti d'Europa
10 apr 2025
Da dove arriva e come gioca il Bodø/Glimt, avversario della Lazio.
(articolo)
14 min
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IMAGO / ANP
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A settembre 2020, nel bel mezzo del calcio pandemico, il Milan pesca il Bodø/Glimt nei preliminari di Europa League. Sui giornali italiani questo piccolo e sconosciuto club norvegese viene, giustamente, raccontato come un’esotica nota di colore sul percorso europeo dei rossoneri (“Le stranezze del Bodø” titolava in quei giorni La Gazzetta dello Sport). Una squadra con il segno della divisione (/) nel nome, i cui tifosi vanno allo stadio con degli spazzolini gialli, che ha una trota gigante accanto al campo da gioco e il cui centravanti ha girato un video rap con Haaland.

A San Siro però il Bodø fa bella figura: perde 3-2, ma mostra un calcio ambizioso e offensivo, nonostante lo scarto tecnico ed economico tra le due squadre. Fa così bella figura che il Milan decide di non lasciarsi scappare Jens Petter Hauge, l’esterno sinistro dei norvegesi, che in quella partita segna un gol e fa assist. Lo compra per 5 milioni di euro. Qualche giorno fa l’AD del Bodø Frode Thomassen ha fatto risalire alla partita con il Milan il cambio di mentalità del club: «La partita a San Siro ci fece capire che potevamo competere a livelli alti».

Da quel momento il Bodø è diventato un avversario scomodo per tutti in Europa. In Italia se lo ricordano soprattutto i tifosi della Roma, per le quattro sfide nella Conference League 2021/22: nella prima ai gironi, sul sintetico dell’Aspmyra Stadion di Bodø, i norvegesi vinsero addirittura 6 a 1, una partita passata alla storia per le successive epurazioni di Mourinho (tra cui quella di Calafiori, uscito malissimo da quel viaggio al Polo Nord), ma che forse avrebbe dovuto dirci di più sul livello di prestazioni che può offrire questo piccolo club sperduto tra i fiordi.

La Roma si sarebbe vendicata ai quarti.

I norvegesi negli ultimi 4 anni hanno battuto squadre del calibro di Ajax, Porto, Besiktas, Dinamo Zagabria, Celtic, AZ Alkmaar; hanno messo in difficoltà Arsenal e Manchester United. Per loro questa è la miglior stagione europea di sempre: nel mega girone hanno battuto Braga e Porto, poi negli spareggi hanno eliminato il Twente con un'incredibile rimonta nei minuti finali della gara di ritorno e regolato l’Olympiacos agli ottavi con un’autorità sorprendente. Ora ai quarti si giocano contro la Lazio un posto in semifinale di Europa League. Per mettere le cose in prospettiva: nessun club norvegese è mai arrivato a una semifinale europea prima d’ora.

Secondo Transfermarkt il valore della rosa del Bodø è di circa 43 milioni di euro, poco più della metà dei Glasgow Rangers, la seconda peggiore tra le otto squadre rimaste in corsa in Europa League. Il valore della Lazio è di oltre 290 milioni di euro, quasi 7 volte tanto.

La squadra di Baroni è ovviamente favorita nel doppio confronto, ma sminuire il Bodø e trattarlo alla stregua di «una squadra di salmonari», come fece Di Canio dopo l'eliminazione contro la Roma con una famosa iperbole, era e continua a essere un errore. L'evoluzione di questo non più sconosciuto club norvegese e i suoi successi degli ultimi anni sono la dimostrazione di come nel calcio le idee possano ancora dare filo da torcere ai soldi, le cose fatte bene battere il blasone, l’organizzazione superare il talento.

Il più classico dei “I wasn’t familiar with your game”.

KJETIL KNUTSEN E LA CULTURA DELL'ALLENAMENTO
Bodø si trova 300 chilometri a nord del Circolo Polare Artico e in Norvegia è conosciuta principalmente per il forte vento che sferza le sue coste e per essere la sede di un’importante base aerea della NATO. Il calcio qui non è mai stato particolarmente fortunato. Fino al 1971 al Bodø/Glimt (glimt vuol dire “fulmine” in norvegese) non era concesso neanche di partecipare al campionato nazionale (sarebbe stato troppo scomodo per le squadre del sud andare in trasferta fin lassù) e fino al 2017 il club faceva su e giù tra Eliteserien (la loro Serie A) e la 1. divisjon (la loro B), rischiando anche il fallimento in un paio di occasioni (l’ultima nel 2009, quando è stato salvato dai suoi stessi tifosi).

Poi tutto è cambiato grazie a Kjetil Knutsen.

Nel 2017 Knutsen viene assunto dal Bodø come vice di Aasmund Bjørkan, poi, dopo la promozione in Eliteserien, viene promosso a capo allenatore, mentre Bjørkan diventa il direttore sportivo. Nel 2018 arriva un 11° posto in campionato; nel 2019, nonostante a inizio stagione era indicata tra le probabili retrocesse, il Bodø arriva secondo. Nel 2020 incredibilmente vince il titolo, il primo nella storia del club, il primo per un club della Norvegia del Nord. Il Bodø non si limita a vincere: stravince. Conquista 81 punti sui 90 disponibili, con un record di 26 partite vinte su 30. Chiude con 19 punti di vantaggio sulla seconda (record), segna 103 gol (16 più del precedente record) e ne subisce solo 32.

Da quel momento sono arrivati altri tre titoli in quattro anni, e gli incredibili risultati europei di cui sopra. Se exploit del genere sono difficili a tutti i livelli, che a farlo sia una squadra con pochissime risorse, in un contesto calcistico così particolare è praticamente un miracolo. Come è possibile cambiare così radicalmente la storia di un club senza rivoluzioni economiche?

Per qualcuno il segreto è Bjorn Mannsverk, un ex pilota di aerei di caccia con missioni in Afghanistan e Libia, che Knutsen ha assunto come mental coach. Mannsverk, che del calcio non sapeva bene neanche le regole, ha insegnato ai giocatori a non concentrarsi sul risultato, ma sulla prestazione. Un approccio che include la meditazione prima dell'allenamento, riunioni di gruppo e sessioni individuali incentrate su tecniche per migliorare il focus delle prestazioni. «Siamo davvero, davvero precisi su quale dovrebbe essere il nostro focus», ha detto Patrick Berg, il capitano, «e quando hai quel focus, non pensi alle conseguenze e a cosa potrebbe succedere».

Ma, ovviamente, c’è molto di più. Christian Kalvenes, il vice di Knutsen, ha raccontato che al suo arrivo tutto quello che gli ha detto Knutsen è stato: «voglio che tu sottolinei in particolare una cosa, e cioè la cultura dell'allenamento, la cultura dell'allenamento, la cultura dell'allenamento». Freddy Toresen, giornalista locale, ha scritto che Knutsen “ha costruito qualcosa di grandioso, con allenamenti brevi ma molto intensi, tutti con la palla, con numerosi esercizi di posizione e tanta attenzione agli spazi”. Ola Solbakken lo ha definito «sovrallenamento»: l’idea è che le sessioni di allenamento debbano essere più impegnative delle partite, per creare nei giocatori una naturale capacità di essere intensi e focalizzati per 90 minuti una volta che sono in campo.

Nelle ultime stagioni il nome di Knutsen ha iniziato a spuntare anche per panchine di livello più alto. A un certo punto è stato in ballottaggio con De Zerbi per la panchina del Brighton, più recentemente per quella dell’Ajax e poi del Porto. Non è chiaro quanto sia stato lui a non voler lasciare un club la cui cultura ha praticamente costruito con le sue mani, e quanto invece siano state le altre squadre a non fidarsi, alla fine dei conti. È difficile capire se un sistema del genere sia replicabile fuori dalla Norvegia, in un contesto più stressante. Knutsen, però, oltre tutte le peculiarità del club in cui si trova, sembra un ottimo allenatore di calcio, uno che sa insegnare calcio e avere coraggio nelle proprie idee. E lo si vede da come gioca il Bodø.

COME GIOCA IL BODØ
L'intensità è il primo strumento che il Bodø di Knutsen usa per colmare le distanze con i club che hanno più talento e risorse. Il suo 4-3-3, modulo che resiste dal giorno in cui ha messo piede nel club, è sempre molto offensivo, con la difesa alta e la ricerca dell’ampiezza. Senza palla, quindi, c’è tutto quello che potete aspettarvi: pressing, contropressing dopo la perdita del pallone, tanti calciatori nella zona del pallone per rendere la vita difficile agli avversari. «Al Bodo mi hanno fatto capire che è più importante quello che ho di fronte, di quello che ho dietro», ha spiegato Hugo Vetlesen, «in questo senso siamo un piccolo Liverpool di Klopp». Nell’ultimo campionato norvegese (vinto, il nuovo è appena iniziato) hanno avuto per distacco il PPDA più basso e in generale primeggiano in tutte le metriche offensive e di pressing, ma quando giocano in Europa provano anche ad adattarsi in base all’avversario che incontrano, giocando se necessario fasi difensive con un blocco medio-basso e con grande densità centrale per mandare gli avversari sull’esterno, sfruttando poi l’atletismo e i centimetri dei suoi difensori.

Pressione alta a tutto campo contro il Porto.

Ovviamente prendere questo tipo di rischi in Europa ha un prezzo. Il Bodø è la squadra che ha concesso più xG in questa Europa League tra quelle ancora in corsa, e il ritorno della partita contro l’Olympiacos ha messo in mostra tutti i limiti difensivi di questa squadra. I greci hanno chiuso la partita di ritorno con 27 tiri e oltre 3 xG prodotti, e solo l’imprecisione degli attaccanti ha permesso al Bodø di non venir rimontato.

È però con il pallone che il Bodø diventa una squadra davvero sorprendente, che in qualche modo è riuscita a scardinare quello che è un principio difficilmente violabile nel mondo del calcio, e cioè che con giocatori di basso livello tecnico non si può giocare bene e vincere.

Nell’idea di Knutsen l’azione parte sempre da dietro, con una paziente costruzione 4+1 che cerca di attirare la pressione avversaria, per poi cercare l’uomo libero alle spalle. Il gioco a quel punto si sviluppa sfruttando le catene laterali sulle fasce con combinazioni veloci e spesso a pochi tocchi, in cui tutti hanno ben chiaro in mente quello che devono fare.

Solitamente il Bodø preferisce costruire le sue azioni a sinistra, dove c’è più qualità con la catena composta dal terzino ambidestro Bjørkan, la mezzala Ulrik Saltnes (storico capitano del Bodø) e Hauge (che nel frattempo è tornato a casa), ma questo gol segnato contro l’Olympiacos dimostra come a essere importante non sono i giocatori in sé, ma quanto sono preparati e disponibili ad adattarsi al sistema di Knutsen.

Di gol simili - e cioè con combinazioni veloci nella trequarti avversaria per poi trovare l’uomo libero dentro l’area - il Bodø ne ha segnati diversi, anche in Europa, dove non dovrebbero assolutamente dominare col pallone in questo modo. Gol in cui hanno saputo unire una grande fluidità collettiva a giocate individuali pregevoli. Ci sono molti degli elementi classici del moderno gioco di posizione nel calcio di Knutsen: le continue rotazioni dei giocatori, il sovraccaricare il lato forte, la ricerca del terzo uomo, le corse nello spazio alle spalle della difesa. Ma il Bodø sa giocare bene anche in transizione, sfruttando la velocità dei suoi giocatori e una lettura degli spazi sempre di alto livello.

Questa sintonia, questa capacità di giocare di squadra, di giocare un calcio di posizione ambizioso ma abbastanza semplice nella sua applicazione, sta aiutando molto il Bodø in questa stagione, dove forse il talento individuale è anche leggermente inferiore rispetto a qualche anno fa. Prendiamo il centravanti Kasper Høgh. Høgh è arrivato l’anno scorso al Bodø, a 25 anni e senza mai essere andato oltre i 5 gol in stagione in Danimarca e in Norvegia. Quest’anno è capocannoniere dell’Europa League con 7 gol insieme a El Kaabi (che però è stato eliminato). Come spiegarlo? A vederlo giocare Høgh è legnoso, con poca tecnica e senza grandi doti fisiche. Eppure è sempre al posto giusto, fa quasi sempre la scelta giusta e dentro l’area di rigore ha inaspettate doti di finalizzazione, che gli permettono di fare la differenza a un livello dove non era mai stato testato e che non sembra appartenergli.

Forse l’unico insostituibile per Knutsen è il mediano Patrick Berg. Berg è il simbolo dell’identità di questo club: il nonno Harald, il prozio Knut, il padre Ørjan e gli zii Runar (passato anche per il Venezia) e Arild hanno tutti giocato per il Bodø, e ora tocca a lui. In mezzo al campo, con un’espressione sempre serena e una fascetta bianca a tenere fermi i capelli biondi, Berg si muove in continuazione. Pur senza avere spiccate qualità fisiche è molto dinamico, e la sua intelligenza nel collegare attacco e difesa è decisiva. È da lui che passano quasi tutte le azioni della squadra, è lui che decide il ritmo a cui si gioca.

In ogni caso passano gli anni, cambiano i giocatori, ma chiunque viene schierato nel Bodø sembra avere ben chiaro quello che deve fare, come deve farlo e quando, soprattutto quando giocano in casa: delle 12 partite giocate in Europa in questa stagione, il Bodø ha vinto cinque volte su sei in casa e appena una volta su sei in trasferta. È all’Aspmyra Stadion che hanno costruito la loro fortuna, sfruttando anche il fatto di giocare su un campo sintetico (anche Baroni nella conferenza stampa di ieri ha detto che per loro sarà un vantaggio molto grande questo campo), qualcosa a cui le altre squadre non sono abituate, e le particolari condizioni logistiche e climatiche a cui sono sottoposti gli avversari. 

Qui da noi siamo in piena primavera, a Bodø per la partita sono previsti -1° e forse la neve.

La Lazio stasera dovrà quindi fare molta attenzione fin dai primi minuti di gioco. Davanti infatti si troverà un avversario consapevole di giocarsi molte delle sue possibilità di passare il turno nei primi 90 minuti, e che farà di tutto per mettere la partita sul piano che predilige, ovvero ritmi alti e controllo del pallone. La Lazio di Baroni in questa stagione europea è riuscita spesso a non farsi mettere sotto, ed è una squadra che anzi si esprime meglio più il ritmo a cui si gioca è alto. Contro Torino e Atalanta ha poi mostrato di aver recuperato una forma migliore rispetto a quella degli ultimi mesi. Non deve però rischiare di andare fuori giri, anche perché poi al ritorno all’Olimpico avrà sicuramente la possibilità di inclinare la qualificazione dalla sua parte. Peserà l’assenza di Rovella, squalificato per due turni, che sarebbe stato il giocatore ideale per resistere e saltare la pressione del Bodø.

Parlando di questo doppio confronto con la Lazio, in una lunga intervista rilasciata a Zach Lowy, Hauge ha detto che secondo lui è possibile che i biancocelesti possano aver paura di affrontare il Bodø, per via del suo significato nella rivalità con la Roma: «Hanno preso in giro i tifosi e i giocatori della Roma per quattro anni, da quando hanno perso 6-1 qui, ma ora anche loro hanno la possibilità di perdere contro di noi».

L'IDENTITÀ DEL BODO
Hauge è nato a Bodø, così come Berg. Loro due rappresentano pienamente l’idea di crescita sostenibile del club, e cioè produrre i migliori giocatori in casa, lavorando sul reclutamento e lo sviluppo dei giovani calciatori (qualcosa che, comunque, sta funzionando bene in tutta la Norvegia, vista la quantità di talenti che stanno producendo in questi anni). Da questo punto di vista l’idea è quella di essere un piccolo Athletic Club: una buona parte dei calciatori della rosa del Bodø arriva infatti da questa zona del Paese sopra il Circolo Polare Artico. «Puntiamo ad avere il 40% della rosa con giocatori della Norvegia del Nord», diceva qualche anno fa il padre di Berg, che è il responsabile del settore giovanile, «i ​​tifosi vogliono che giochino i norvegesi del nord».

Il nonno di Berg, Harald, ha una statua fuori allo stadio. Un giorno potrebbe esserci quella del nipote vicino. A Bodø i Berg sono visti alla stregua della famiglia reale.

Tuttavia il Bodø sta facendo così bene che è difficile mantenere questa identità. L’AD del club, anche lui nato a Bodø, ha ammesso che «è difficile sviluppare giovani talenti mantenendo la competitività in competizioni europee», che è giustamente l’ambizione attuale del club, per il prestigio e i ricavi che genera. Anche per questo, la versione attuale del Bodø ha una strana peculiarità: tra i titolari ci sono ben 4 calciatori che hanno iniziato la loro carriera qui, sono stati acquistati da club di livello più alto, ma ora sono tornati. Hauge è il più conosciuto, ricomprato in estate per 3.5 milioni di euro dopo non aver combinato molto tra Milan e Eintracht Francoforte, ma vale anche per lo stesso Berg, Evjen e Bjorkan (e fino a gennaio c’era anche Zinckernagel).

Un altro esempio che potrebbe seguire è Solbakken: conteso da Roma e Napoli dopo la brillante stagione della Conference League, sembrava davvero potesse diventare un giocatore da “top 5 campionati”, ma la realtà si è scontrata con la percezione che avevamo di lui. Solbakken non ha trovato spazio a Roma, non ha trovato spazio all’Olympiacos e in Giappone e ora non sta trovando spazio all’Empoli. Ma anche Albert Grønbæk, venduto in estate per 15 milioni di euro al Rennes, e cessione più remunerativa nella storia del Bodø, è già stato mandato in prestito al Southampton, dove non sta giocando. Paradossalmente il calciatore più di successo passato da queste parti, Victor Boniface, non è quasi mai stato titolare (anche per via di alcuni infortuni) e non ha davvero impressionato prima di affermarsi all’Union Saint-Gilloise prima e al Bayer Leverkusen poi.

La sensazione è che il sistema Bodø, la perfetta sintonia tra guida tecnica, dirigenza e identità dei tifosi, sia in qualche modo un accelerante, che abbia davvero il potere di aiutare i giocatori in campo a farli rendere più del loro valore reale. Anche per questo il Bodø di Knutsen è stato paragonato all’Atalanta di Gasperini, e per certi versi qualche similitudine tra i due club è possibile trovarla, sia in come viene gestito e allenato il club, sia nelle difficoltà che hanno i calciatori a mantenere lo stesso livello di prestazioni anche una volta che vengono venduti. Toresen la chiama la «simbiosi tecnica, organizzativa e ambientale», che per lui è il vero segreto del Bodø. Sempre lui ha predetto che le trasferte fin qui per le squadre europee continueranno per molto. C’è da credergli, che alle altre squadre piaccia o meno arrivare fino a ben sopra il Circolo Polare Artico.

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