Dieci giorni fa, dopo il pareggio in casa della SPAL, Inzaghi aveva cercato di guardare il lato positivo: «Io sono molto soddisfatto, oggi, questa è la strada da seguire […] è iniziato qualcosa di nuovo, per noi, dobbiamo dare seguito ai risultati». Un atteggiamento che dall’esterno poteva suonare stonato con i risultati (il Bologna era alla 13esima partita senza vincere) e con la classifica, che continuava a languire dopo un calo lento ma inesorabile.
Eppure, qualche segno di ripresa c’era davvero. Gli uomini di Inzaghi venivano da pessimi risultati, ma avevano chiuso il 2018 con una grande prestazione contro il Napoli in cui avevano mostrato la migliore versione di sé stessi: una squadra compatta e aggressiva, sempre pronta ad attaccare in verticale appoggiandosi alla classe di Palacio e alla fisicità di Santander.
I due sono stati tra i protagonisti dell’ottima prova del Bologna, che ha sfiorato il vantaggio in apertura ed è riuscita a rimontare due volte ai gol di Milik. Il 2-2 di Danilo all’80’ aveva praticamente chiuso i giochi, ma a tre minuti dalla fine Zielinski ha rubato palla a un Palacio stremato, ha allargato per Ruiz e ha fatto partire l’azione del gol di Mertens, che ha superato i sette giocatori a protezione dell’area con un destro che si è infilato alle spalle di Skorupski.
Quel gol ha messo fine all’anno e al girone di andata in modo amaro, chiudendo il cerchio iniziato con la gara d’esordio contro la SPAL, decisa da un gol simile di Kurtić. La sconfitta nel derby è stata la prima di tante delusioni, per la squadra di Inzaghi, che pure aveva iniziato la stagione con altre prospettive.
In estate la mancata conferma di Donadoni era stata un segno di forte discontinuità, che ha voluto mettere fine alle tante polemiche tra tecnico e ambiente, ma anche rivitalizzare le ambizioni di una squadra che non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di mediocrità. Dopo la grande salvezza del 2016, Donadoni non ha mai faticato molto per salvare il Bologna, ma non è mai riuscito a dare nuove prospettive: l’opinione pubblica si è lamentata dello scarso spettacolo offerto dal Bologna con sempre maggior vigore, al punto che Donadoni aveva invitato i tifosi ad andare a vedere il Real Madrid, se proprio cercavano “il bel gioco”.
Alla fine della passata stagione sembrava che la dirigenza potesse scegliere un tecnico dal gusto offensivo spiccato come Roberto De Zerbi, e invece la scelta è ricaduta su Filippo Inzaghi. Un tecnico dall’identità difensiva, che ha dichiarato di volersi ispirare all’Atletico di Simeone. In ogni caso, un tecnico giovane ed emergente, capace di portare il Venezia a un passo dalla doppia promozione consecutiva: un nome forte su cui impostare un progetto futuribile. Fenucci, alla conferenza di presentazione, lo dice chiaramente: «Siamo tutti ambiziosi di voler far bene, e il presidente ha già detto che si tratterà di un percorso negli anni».
Al suo arrivo, Inzaghi è riuscito subito a toccare le corde giuste, dando alla piazza un entusiasmo incendiario in forte contrasto con i toni pacati di Donadoni: «Sono due giorni che sono a Castel Debole, se potessi dormirei lì». Durante la presentazione, l’ex centravanti del Milan ha insistito su concetti come "voglia" e "dedizione", citando come modello la squadra di Simeone: «Una squadra che non è bellissima da vedere, ma vince con il sacrificio di tutti, attaccanti compresi».
Ideali, prima che princìpi di gioco, che rimandavano alla sua storia personale, oltre che di allenatore. Il pensiero non poteva che tornare a due anni prima, quando Inzaghi sorprese tutti accettando l’offerta del Venezia di Tacopina, e quindi la Serie C. In laguna, Inzaghi si è giocato la sua credibilità di tecnico – in un campionato difficile dove aveva tutto da perdere – ma è riuscito a centrare la promozione al primo anno e a replicare poi con una Serie B vissuta da protagonista. In cadetteria il suo Venezia non aveva qualità al livello delle prime, ma si è dimostrata una squadra solida, compatta e pericolosissima in transizione. A fine anno chiude con la terza miglior difesa e il quinto posto in classifica.
L’idea era quella di ripetere lo stesso impianto tattico a Bologna. In estate i felsinei hanno ceduto Verdi e Di Francesco, e Inzaghi ha deciso di proporre il 3-5-2 già visto a Venezia, incentivato dalla presenza di giocatori in teoria abili in transizione come Dzemaili, Santander, Poli e Orsolini. A questi si sono aggiunti acquisti che sembravano cuciti sulle sue idee: Mattiello (reduce da un buon anno alla SPAL), Svanberg (mezzala dinamica e tecnica) e Falcinelli (che aveva fatto vedere le cose migliori al Crotone, in un attacco a due). Il cambio di modulo era quindi una scelta anche funzionale, che però non è riuscita a mascherare completamente le lacune tecniche della squadra.
Cosa non ha funzionato
Le maggiori incognite, come evidenziato nella guida di quest’anno, stavano nella composizione del reparto difensivo. Inzaghi ha dovuto lavorare molto per trovare il trio adatto, complice l’esigenza di abbinare giocatori poco mobili, come De Maio e Danilo (poco adatti a difendere lontani dalla porta), a difensori bravi a coprire gli spazi, ma meno a loro agio palla al piede. Dopo le prime giornate, Inzaghi ha deciso di puntare su con Helander, Danilo e Calabresi, un terzetto senza eccezionali qualità nel possesso, ma adatto a tenere più alta la linea difensiva.
L’uscita del pallone sarà uno dei principali crucci di Inzaghi, un nodo gordiano che ha finito per risolversi con un parziale abbandono delle velleità di controllo viste tra il precampionato e l’inizio della stagione. Senza un possesso ragionato da dietro, però, sono venuti a galla anche i difetti del centrocampo, che con l’infortunio di Donsah e le pausa di Pulgar ha sentito l’assenza di palleggiatori.
Così, buona parte della riuscita offensiva si è spostata sulle spalle dei due attaccanti, in particolare Palacio, che dopo la prima giornata si è infortuna ed è restato fuori due mesi. L’assenza dell’argentino ha acuito i problemi in fase avanzata: i primi gol del Bologna sono arrivati solo alla quinta giornata, nel paradossale 2-0 contro la Roma, che ha raddrizzato la stagione dopo le tre sconfitte nelle prime quattro partite.
La vittoria sui giallorossi ha offerto uno dei migliori Bologna della stagione: la squadra di Inzaghi è ripartita con grande pericolosità e quando ha avuto la palla è riuscita a gestirla senza eccessivi patemi, approfittando della confusione degli uomini di Di Francesco. Soprattutto, stavano iniziando a funzionare i meccanismi di pressione, con la squadra di Inzaghi che riusciva ad alzare un po’ di più il baricentro, a costo di correre qualche rischio.
Il pressing del Bologna, orientato sull’uomo e molto aggressivo. Mattiello sale in pressione sul terzino, Nagy e Dzemaili escono sui centrocampisti. Dietro Calabresi si alza sull’attaccante, mentre la squadra copre a uomo sul lato debole.
Nelle settimane successive il Bologna ha trovato un nuovo equilibrio, assumendo i caratteri di una squadra sempre più speculativa, molto verticale e reattiva. Ha perso contro la Juventus, il Cagliari e l'Atalanta, con in mezzo la vittoria sull’Udinese in rimonta, i due gol recuperati sul Torino e il pareggio di Sassuolo, dove la vittoria è sfumata solo a causa di un rigore all’84’. Nel frattempo, Inzaghi ha anche recuperato Palacio ed è riuscito ad inserire Orsolini, aumentando il tasso tecnico della squadra e alternando fasi di difesa posizionale a momenti di grande aggressività.
Arrivato alla sosta, il Bologna di Inzaghi aveva un’identità ben definita. Citando l’articolo di Dario Pergolizzi, in quel momento Bologna era la squadra “più stretta” del campionato, con soli 44,4 metri di larghezza, aveva un baricentro molto basso (48,2 m) e recupera palla molto indietro (32,8 m). In pratica, la squadra di Inzaghi ha scelto una pressione media molto bassa con l’intento di mascherare i problemi della retroguardia e aprire più facilmente gli spazi in zona offensiva. Un sistema di gioco che ha fatto del Bologna la terzultima squadra per controllo medio del pallone (dietro Parma e Frosinone), la terzultima per passaggi corti (297, una trentina più del Parma) e la quarta per lanci lunghi (63, dietro Chievo, Cagliari e Torino).
La scelta però sembrava funzionare, almeno in parte, visto che la squadra di Inzaghi sembrava in ripresa. Poi, improvvisamente, il tracollo: dopo la pausa delle nazionali il Bologna si è trovato a fare i conti con il calo fisico di Palacio, la progressiva involuzione di Dzemaili (che ha finito per uscire dalle rotazioni) e il momento di pausa di Santander (che ha smesso di segnare). Il calo di questi giocatori ha finito per avere un impatto drammatico, e i rossoblù hanno stentato a trovare soluzioni alternative.
Nel mese successivo alla sosta il Bologna ha fatto solo 3 punti, segnando appena 2 gol in 6 partite. La squadra è scivolata al terzultimo posto, e la fase difensiva, molto bloccata, è diventata una zavorra. Il Bologna ha continuato a difendersi basso e compatto, ma una volta recuperata palla non era in grado di trovare sbocchi offensivi. In un certo senso, Inzaghi ha provato a costruire una squadra reattiva che si difendesse in un campo piccolo e attaccasse in uno grande, con transizioni lunghe. Ma se il Parma, che gioca in modo simile, ha due attaccanti formidabili in transizione come Inglese e Gervinho, il Bologna non forse non aveva abbastanza qualità - tecnica e fisica - per diventare pericoloso con così tanti metri di campo da risalire.
Il Bologna nel 2019
La partita col Napoli nell’ultima gara dell’anno sembrava poter cambiare verso alla stagione, almeno dal punto di vista emotivo. Era tornato il Bologna visto tra settembre e ottobre, e la dirigenza aveva deciso di dare più tempo a Inzaghi, seguendo le sue richieste per il mercato invernale. Nel giro di pochi giorni sono arrivati Soriano e Sansone, due profili che mancavano, ottimi per ovviare alle lacune dei rossoblù a centrocampo e aumentare le soluzioni offensive.
Dopo il loro arrivo il presidente Saputo ha pubblicato un messaggio sui canali ufficiali: «La retrocessione non è da prendere in considerazione. Abbiamo lavorato troppo duramente e investito troppo negli ultimi tre anni per essere nella posizione in cui siamo oggi […]. Le mie azioni d’ora in avanti parleranno più delle mie parole».
Il primo Bologna dell’anno è sceso in campo con il 4-3-3, ma Inzaghi non ha rinuncia ai tre difensori centrali: davanti a Skorupski hanno giocato Calabresi, Danilo, Helander e Dijks; a centrocampo Poli, Soriano e Pulgar, in attacco Sansone insieme a Palacio (prima punta) e Orsolini. Il Bologna è tornato a pressare in avanti, con un atteggiamento più propositivo: e al 24’ da una palla recuperata in alto è arrivato il gol di Palacio. A quel punto i pianeti sembravano essersi riallineati, ma dopo l’ora di gioco la squadra è calata vistosamente e alla fine Kurtić, di nuovo, ha pareggiato.
Dopo la partita, Inzaghi sembrava tranquillo («So cosa Saputo pensa di me e sono molto sereno»), e nulla faceva presagire che la situazione sarebbe precipitata.
Con il Frosinone, il Bologna ha iniziato bene, ma al 13’ Mattiello è sceso sulla fascia, si è allungato troppo la palla e per recuperarla è finito con il piede a martello su Cassata, prendendo un rosso diretto. Per quanto frutto di una situazione di difficoltà strutturale, che si prolungava da mesi, a volte la catastrofe per una squadra gira attorno a piccoli episodi del genere.
Dopo l’espulsione, il Bologna ha mantenuto comunque un atteggiamento offensivo: Poli ha arretrato la sua posizione sull’out di destra, mentre Orsolini ha fatto da mezzala, ma la squadra non ha rinunciato ad attaccare, e al 17’ ha sfiorato addirittura il vantaggio con Palacio, servito sulla trequarti dopo un recupero alto di Poli. Nell’azione successiva, però, il Frosinone ha sfondato sulla fascia sinistra e ha segnato l’uno a zero con Ghiglione. La luce del Bologna si è spenta: due minuti dopo, un’azione fotocopia dei frusinati porta al 2-0 di Ciano, e nella ripresa la squadra è sprofondata del tutto.
Inzaghi ha fatto da spettatore impotente. Nel secondo tempo sono entrati Calabresi, Svanberg e Destro, ma il Bologna non si è ripreso: un errore di Skorupski ha regalato il terzo gol, e nel finale una punizione tragicomica di Pulgar ha finito per lanciare il 4-0 di Ciano.
Per la società, il crollo contro il Frosinone al Dall’Ara ha pesato più della sterilità dell’attacco (16 gol in 21 giornate, con 19,87 xG), delle 14 partite senza vittoria (l’ultima restava quella di ottobre con l’Udinese) e della classifica, che pure aveva portato il Frosinone penultimo a un punto. Nel post-partita, Saputo è durissimo: «La squadra sul campo ha fatto, pietà chiedo scusa, non è il Bologna che voglio vedere io. Posso solo dire che cambierà».
Per quanto fosse atteso a lungo, e da molti fosse stato invocato, l’allontanamento di Inzaghi non era del tutto scontato. Non per i risultati, che mancavano da tempo, ma per il momento della squadra e l’investimento – tecnico ed economico – fatto dalla società appena pochi giorni prima. Il mercato era stato fatto per Inzaghi, o già per il suo successore?
Il suo esonero è anche una sconfitta della società, partita con proclama ambiziosi all’inizio della stagione e finita alla deriva. Dopo aver reinvestito sul suo tecnico, il Bologna ha deciso di sacrificarlo, nel tentativo di responsabilizzare la squadra con una mossa che non si è avuto la forza di fare prima. E adesso tocca a Mihajlović, che aveva già sostituito Inzaghi al Milan, e con cui condivide alcuni princìpi di gioco.
Il tecnico serbo ha giocato sia con un baricentro molto basso e ripartenze (al Milan o alla Sampdoria) che con un gioco più offensivo e verticale (al Torino); sarà interessante vedere che stile di gioco sceglierà per i rossoblù: il 4-3-3 che la squadra giocava con Donadoni e che sembra più adatto ai giocatori arrivati a gennaio, o il 3-5-2 già visto con Inzaghi che si adatterebbe un tipo di gioco più reattivo? Nel frattempo dal mercato di gennaio potrebbero arrivare due giocatori dal Torino, che Mihajlovic conosce: Simone Edera, attaccante che può giocare esterno ma che è forse più a suo agio in un attacco a due, e Lyanco, un difensore estremamente fisico che è stato però in difficoltà in questi suoi primi mesi in Italia.
Il Bologna ha quasi un girone intero per non cancellare quanto di buono era stato fatto con Donadoni: la salvezza. Un traguardo che, forse, a un certo punto è stato dato troppo per scontato.