
Il Napoli non respirava più. Arrivati attorno all’ora di gioco il pressing del Bologna aveva raggiunto il massimo della ferocia e la partita del Napoli era ormai ridotta alla difesa dell’area di rigore. Quando la palla andava in rimessa dal fondo, o si fermava per un calcio di punizione, il Napoli perdeva tempo. Non sembrava tanto una malizia per congelare il risultato, in quel momento di 1-0, quanto una reazione fisiologica al respiro che manca, e allora rallentare i ritmi diventa una necessità.
Quando una squadra pressa forte l’altra si usano verbi come “strangolare”, “stritolare”: sono violenti, ma rendono l’idea di una squadra, intesa come super-organismo, che non riesce ad avere spazio vitale. Alla squadra pressata cominciano a mancare il tempo e lo spazio, il campo in cui giocare diventa stretto, la presenza fisica degli avversari angosciante.
Per questo c’è qualcosa di disumano in certe partite in cui una squadra pressa in modo furioso l’altra. Il Bologna di Vincenzo Italiano quest’anno ha spesso offerto questo tipo di sensazione: una squadra che gioca con urgenza, ferocia, quasi ansia. Come se l’esaurimento nervoso, con cui il suo allenatore flirta da inizio carriera, possa essere tenuto sotto controllo solo dall’intensità del proprio pressing. A un certo punto del primo tempo la bordocampista di DAZN riportava la frase: «Italiano dice a se stesso di restare calmo».
Attorno all’ora di gioco, con la morsa del pressing arrivata al massimo, il Bologna aveva avuto ben poche occasioni per segnare il gol del pareggio. Il Napoli la lasciava crossare, fidandosi della forza aerea dei propri difensori centrali, e aveva avuto ragione. C’era un’aria da ultimi minuti della partita, col Napoli tutto stretto attorno alla porta di Scuffet, Politano e Neres costretti a ripiegare fino alla propria linea di fondo. Come sappiamo, è un modo di difendere che in Italia ha una sua efficacia atavica. Quale miglior modo per far scontrare gli avversari con i propri limiti tecnici, che togliergli lo spazio in profondità?
La sicurezza del Napoli salta in un momento all’apparenza innocuo. Miranda riceve uno scarico di Lucumì. Jens Odgaard si è momentaneamente spostato a sinistra. Ancor prima che il terzino spagnolo riceva palla, lui è partito. Di Lorenzo viene tratto in inganno e fa un piccolo movimento in avanti, e la palla lo infila alla sua sinistra.

Odgaard arriva sul fondo e mette a rimorchio per Ndoye, che segna uno dei gol di tacco più strani che vi capiterà di vedere. Sbuccia la palla calciandola a terra e quella sul rimbalzo va sulla traversa, ma l’effetto è così strano che quando tocca il prato rientra in porta.
Un’ora prima questo mondo era rovesciato. Il Bologna pressava ma questo pressing non sembrava una buona idea. Il Napoli era a proprio agio, persino rilassato: sapeva come far pagare questa aggressività ai rossoblù. Sapeva palleggiare con Lobotka e Anguissa, oppure sapeva andare direttamente in profondità per attraversare gli spazi con i propri giocatori fisicamente formidabili. Al 18’ Rrahmani lancia verso Lukaku; Lucumì prova ad anticiparlo ma manca il tempo dell’intervento. Alle sue spalle arriva Anguissa come un panzer, si porta avanti la palla con la testa e una volta lanciata è complicato da fermare. Miranda riesce a toccare la palla in scivolata ma Anguissa la riprende, salta Skorupski e segna l’1-0. Un gol non troppo dissimile da quello subito dall’Atalanta contro la Lazio domenica.
In quel momento, e per almeno la successiva mezz’ora, il Napoli sembrava in controllo della situazione. All’andata aveva vinto 3-0 e in generale è una delle poche squadre a cui la brutalità fisica del Bologna sembra fare il solletico. Il Napoli aveva la freschezza per giocare con calma da dietro, oppure la forza per vincere duelli complicati in campo aperto. La parità numerica che il Bologna accettava di lasciare dietro sembrava una cosa da sprovveduti. Lukaku stava dominando i duelli con Lucumì e Beukema.
Invece un’ora dopo il mondo si è appunto rovesciato: il Napoli è stanco, non vince più un duello ed è ridotto, con le minime forze, a resistere. Antonio Conte, squalificato, assiste dall’alto delle tribune del Dall’Ara con l’aria del generale che sta soccombendo. È il dilemma perenne di queste partite: è il Napoli che si è abbassato troppo o è il Bologna che lo ha costretto ad abbassarsi?
La verità sta sempre nel mezzo. Come scritto da Michele Cecere, sono varie le ragioni per cui il Napoli nei secondi tempi cala. C’è una questione fisica, ma anche tattica: una fiducia eccessiva della propria difesa posizionale. Il Napoli finisce in un territorio mentale in cui è troppo stanco per ingaggiare duelli, troppo stanco per giocare sotto pressione, troppo stanco per provare cose difficili. I cambi dalla panchina non arrivano e i giocatori in campo, spesso brillanti nel primo tempo, sono logori e faticano a stare in piedi e a fare scelte coraggiose. Ieri gli unici due cambi di Conte sono arrivati tra il 70’ e il 75’. McTominay è dovuto uscire per problemi fisici, Neres col contachilometri scarico, al termine di un’altra prestazione poco brillante. L’altro cambio, Ngonge, è entrato solo al 91’. È nei momenti di tensione che nello sport si vede il carattere di una squadra e di un’atleta, perché in quei momenti si torna a fare ciò che si pensa di sapere fare meglio. Nei momenti di tensione il Napoli si difende basso e cerca di limitare le cose che succedono. Spesso gli riesce, ma il rischio è che con un margine così stretto agli avversari basti comunque molto poco per rimettere tutto in discussione.
È stata una lotta fisica tremenda, tra le due squadre più fisiche del campionato, anche se usano questa fisicità in modo molto diverso: il Bologna comprimendo il campo in avanti, il Napoli all’indietro e poi correndo negli spazi. La situazione di punteggio ha reso questa differenza ancora più visibile. La prestazione del Bologna però è ancora da sottolineare: la squadra ha accelerato mentre gli altri rallentavano, ha continuato ad assumersi rischi anche dopo aver visto che questi rischi poteva pagarli. È rimasta fedele al piano iniziale, sicura della propria identità di gioco.
Non si tratta solo del sistema generale, delle marcature, dell’altezza del baricentro - comunque estremamente ambiziose.

Anche i difensori centrali, in questo caso Lucumì, arrivavano a pressare vicini all'area avversaria.
Ci sono anche tante piccole cose che mettono pressione agli avversari. Per esempio Thijs Dallinga, autore di una partita inconcludente, che si butta in scivolata in pressing solitario su un passaggio di Rrahmani. Un’azione che non porta a niente ma carica il pubblico, infila dell’incertezza nella testa dei giocatori del Napoli.

Il secondo tempo del Bologna è stato ricco di queste piccole azioni di sabotaggio della tranquillità del Napoli. È a forza di mettere in catena questi piccoli gesti che una squadra si abbassa e l'altra la stritola. La squadra di Conte ha pagato anche le assenze: Juan Jesus e Scuffet sono parsi più maldestri di Buongiorno e Meret nella gestione del possesso. Il Napoli ha iniziato a lanciare lungo un po’ troppo, senza preparare questo lancio, e chiedendo sempre di più a un Lukaku sempre più stanco. Dal 60’ in avanti il possesso palla del Bologna è stato del 67%.
Il Napoli può essere quindi contento di questo pareggio? L'1-1 si infila in un pattern ormai chiaro: il Napoli gioca con brillantezza il primo tempo ed è un disastro nel secondo. Questo spesso non basta a vincere le partite, e le vittorie sono state poche negli ultimi tempi. D’altra parte il Bologna è l’avversario più complicato da affrontare in questa fase della stagione, specie in trasferta. La squadra segna consecutivamente da 12 partite in casa. Nel girone di ritorno ha 6 vittorie e 2 pareggi al Dall’Ara: è prima in Serie A per rendimento in casa, nessuno ha fatto meglio: 20 gol fatti e 8 subiti.
Era l’ultima grande curva per il Napoli di Conte e ora il calendario si fa più morbido, nel duello a distanza con l’Inter. È tutto calcolato o è il grande stregone Conte a darci l'impressione di fare sempre bene i conti.
La partita del Bologna conferma, però, l’efficacia della sua proposta di gioco, controculturale nel contesto italiano. Se il Napoli incarna molti aspetti tipici della Serie A (l’ossessione per la difesa posizionale, la ricerca dei ritmi lenti, la flessibilità tattica, la difesa a 3), nessuno gioca come il Bologna oggi. I dati lo confermano: è la squadra col PPDA nettamente più basso di tutto il campionato, cioè quella che concede meno passaggi agli avversari in costruzione. È la squadra che difende più lontana dalla propria porta. È la squadra che porta più pressioni e riaggressioni, in percentuale, nella parte finale del campo: il 55% e il 77%, rispettivamente, del proprio pressing e gegenpressing. Magari questi numeri vi suonano vuoti, ma se avete presente la partita che il Bologna ha fatto ieri non lo sono affatto. Naturalmente questa strategia comporta dei rischi, ma ogni strategia nel calcio ne contiene. Anche a difendersi bassi nella propria area si rischia, sebbene in modo diverso, e il Napoli deve spesso mettere in campo delle prove difensive eccezionali per avere la migliore difesa della Serie A.
Oggi difendersi così lontani dalla porta è per certi versi la scelta più razionale, in un calcio che non ha molti talenti offensivi, a livello tecnico e fisico. Il Bologna lascia spazi, ma quante squadre hanno la gamba e la tecnica per sfruttare questi spazi? E quanto è difficile attaccare con tanto campo davanti?

La solitudine di Lukaku.
Squadre come il Bologna, o anche la Lazio che gli somiglia per certe cose, vengono spesso presentate come estreme e radicali, ma c’è anche un altro modo di vederle, e cioè come delle squadre che calcolano con razionalità i rischi e le possibilità del proprio gioco.