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Che senso avrebbe Bonucci alla Roma?
28 dic 2023
Perché sarebbe contraddittorio per il progetto.
(articolo)
10 min
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Foto di Matthias Koch / Imago
(copertina) Foto di Matthias Koch / Imago
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"Totti.. Sai perché perdi le partite più importanti e hai vinto poco nella tua carriera ? PERCHÉ SEI FOCALIZZATO SULL'INGIUSTIZIA ! #SVEIATE”. A macchiarsi di quest’atto di lesa maestà è Alberto Ferrarini, che dopo quel celebre Juventus-Roma - la partita dei tre rigori, del violino di Rudi Garcia - aveva pensato di rispondere così alle polemiche di Totti («La Juventus dovrebbe giocare un campionato a parte»). Ferrarini era il motivatore di Leonardo Bonucci, una figura inseparabile dal successo improvviso del difensore, arrivato tardi ai massimi livelli del calcio e attraversando grandi difficoltà.

Quella sera Bonucci aveva segnato il gol della vittoria, in una partita straordinariamente polemica, persino per lo storico delle sfide tra Juve e Roma. Lo aveva segnato con un complicato tiro al volo da fuori area, su una palla che usciva innocua da un calcio d’angolo. Un tiro che racconta il suo talento tecnico e il suo carisma. Dopo, esultando, aveva detto a tutti di sciacquarsi la bocca.

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Era un difensore tecnico, elegante, ma la sua forza sembrava soprattutto mentale. Quel carisma spigoloso di certi grandi giocatori resi vivi dall’ostilità, competitivi fino all’ossessione, che usano il disprezzo altrui come benzina motivazionale. Ferrarini gli faceva mangiare aglio prima delle partite perché aveva capito che la sgradevolezza poteva essere una qualità. Nell’immaginario Bonucci somiglia a uno di quei personaggi bordeline di Bret Easton Ellis disposti a barattare qualsiasi idea di morale per la realizzazione personale. Nonostante mezzi atletici modesti, aggrappandosi solo a tecnica, intelligenza e mentalità, ha avuto una carriera leggendaria.

Dopo la partita, mentre Rudi Garcia aveva detto che le aree di rigore a Torino erano più grandi che altrove, Bonucci era stato più lapidario: «Abbiamo ribadito che i più forti siamo noi». Bonucci era il principale volto di quella Juventus vincente e mal sopportata, che chiudeva tutti i messaggi con l’hashtag #finoallafine. La partita aveva assunto un significato ulteriore già dall'estate che aveva preceduto quel campionato. La Roma aveva strappato Iturbe alla Juventus e gli aveva dichiarato guerra: dopo il secondo posto dell’anno precedente ora voleva vincere, e per riuscirci aveva preso il miglior giovane del campionato, che quella sera aveva segnato il gol del momentaneo 2-1. Quei 4 minuti, fino al pareggio del 2-2 di Tevez, sono stati il picco dell’illusione della Roma di Rudi Garcia, che da quel momento ha cominciato a sfaldarsi e ad andare in pezzi.

Quella partita è stato l’inizio della fine di quel mini-ciclo, e Bonucci il volto più odioso della sconfitta più odiosa.

Nove anni dopo, con alcune scelte discutibili di carriera in mezzo, Leonardo Bonucci sembra vicino a diventare un giocatore della Roma. Mentre scrivo pare sia disposto ad accettare le condizioni contrattuali minime: sei mesi senza opzioni per il rinnovo, mentre non è chiara la posizione dell’Union Berlin, che lo aveva preso in estate per aumentare lo spessore europeo della squadra in vista della prima Champions League. Il torneo è stato un disastro, così come la parabola di Bonucci. Era una scelta affascinante di fine carriera - aveva detto di voler «conoscere nuove culture e stili di vita» - si è trasformata in un'altra cattiva scelta.

Il passaggio alla Roma sembra quindi un altro colpo di coda inatteso, difficile da interpretare. Cosa spinge un giocatore di 36 anni, che ha già dichiarato di volersi ritirare a fine anno, ad andare in uno dei club a cui è simbolicamente meno legato, e in un ambiente così difficile? È probabile che Bonucci cerchi di rilanciarsi per giocare gli Europei, visto che Spalletti lo ha escluso dalle ultime convocazioni. Ma i tifosi della Roma come la stanno prendendo?

La tifoseria giallorossa in questo momento appare divisa, tra chi considera inaccettabile prendere in squadra una bandiera della Juventus e chi invece resta lealista sempre e comunque alle idee di Mourinho e della società - e che comunque vede in Bonucci un possibile rinforzo, per una difesa senza Smalling quasi da inizio stagione. Tiago Pinto ha ammesso che in quel reparto la squadra è corta e interverrà sul mercato. La Gazzetta dello Sport ha raccolto l’indiscrezione secondo cui la disapprovazione di alcuni tifosi starebbe spingendo la società a riflettere. Davvero delle questioni identitarie possono ancora avere un peso nella gestione di un club nel 2023?

Questo dovrebbe dirci qualcosa su cosa rende diversa la Roma dei Friedkin, un club il cui successo non sembra dipendere solo dai risultati sportivi. Dopo gli anni di conflitto con Pallotta, la nuova presidenza ha cercato di ricreare entusiasmo ed energia attorno alla squadra. Riportare i tifosi all’Olimpico è considerato un risultato dal valore paragonabile a quello di un trofeo, e il giornalista Angelo Mangiante ha scritto che è ritenuto dalla dirigenza uno dei punti a favore del rinnovo di José Mourinho. L’arrivo dell’allenatore due anni e mezzo fa è stato il primo grande colpo di teatro dei Friedkin, che ogni anno ne hanno riservato uno (prima Dybala e poi Lukaku), come quei rapper che danno in pasto all’algoritmo con regolarità i propri singoli, per non scendere mai dal treno dell’hype e delle tendenze.

I tifosi della Roma riempiono lo stadio sorretti dall’amore per i colori, ma anche animati da una storia che Mourinho a Roma è riuscito a raccontare benissimo. La media spettatori della stagione 2018/19, l’ultima prima del Covid, era di 38mila persone; lo scorso anno è stata di 61mila persone. Attorno alle abilità stregonesche di Mourinho, la Roma è riuscita a creare un universo narrativo perfetto per la propria storia. Una squadra ruvida, “testaccina”, non bella ma con carattere. I mezzi limitati, da underdog, rispetto alle squadre del nord. Gli arbitraggi spesso avversi. Il poco rispetto per il club. L’auto-narrazione sul tifo più speciale di tutti. Tutto impacchettato dallo stile comunicativamente affilato di Mourinho, e sospinto da un’inedita competitività nelle coppe. L’epica primaverile delle campagne europee, con l’Olimpico sempre strappalacrime, sublime e disperato, è la luce in fondo ad autunni e inverni spesso deprimenti.

Questa è la storia che ha costruito Mourinho intorno alla squadra, che ha cementato un ambiente storicamente balcanizzato. È questa storia, con le illusioni e l’amore che si porta dietro, a mantenere l’aura magica attorno alla Roma, nonostante il gioco spento, i risultati altalenanti, le difficoltà finanziarie del club. Mourinho da solo ha creato questa specie di apparato magico di protezione per lui e per la Roma, che mette la squadra al riparo da critiche e sempre pronta a riaccendersi di entusiasmo. Rispetto alla severità con cui è stata giudicata spesso la Roma in passato, dai suoi tifosi e dalla sua stampa, a Mourinho viene concesso un credito diverso. È qualcosa che ha sottolineato anche Maurizio Sarri, che lamentandosi dell’ambiente “frustrante” che circonderebbe la Lazio ha detto che «con questi risultati la Roma farebbe i fuochi d’artificio». Un curioso ribaltamento dei ruoli, visto che quello della Lazio è sempre stato considerato un ambiente più disteso e meno incline ai voli dell’immaginazione, mentre quello della Roma è da sempre indicato come spaccone e incontentabile.

Gli ego di Mourinho e Bonucci si scontrano sul prato dello Juventus Stadium, al termine di una vittoria a Torino del suo Manchester United.

In un contesto come questo, i problemi identitari nella gestione del club diventano centrali. Ingaggiare un giocatore che non piace ai tifosi, instillare anche solo un piccolo sentimento negativo, anche una piccola venatura della coesione dell’ambiente, rischia di rompere l’incantesimo dentro cui vive la Roma da quasi tre anni. La tifoseria ha accettato più o meno tutto: alcuni derby persi malamente, un gioco anti-spettacolare e dei piazzamenti mediocri di classifica. Lo ha accettato in cambio dell’idea romantica di potersi identificare totalmente in una squadra, nella sua mentalità e nella sua guida spirituale, Mourinho, oltre ovviamente all'orizzonte di vittoria che rappresenta. Bonucci, in questo senso, rappresenterebbe forse il salto dello squalo: il momento in cui la narrazione della Roma smette di essere credibile.

Per i romanisti Bonucci ha rappresentato la parte più violenta del dominio della Juventus, il suo simbolo, per il semplice fatto che lui ha fatto di tutto per diventarlo. In ogni sua dichiarazione ha sempre cercato un angolo leggermente provocatorio, è sempre sembrato attento all’idea che la Juventus dovesse vincere seguendo una sorta di missione storica. Non senza malizia, ha detto di stare antipatico perché vincente. La sua storia di tifo somiglia a una parabola demoniaca: «Nasco juventino in una famiglia dove erano tutti interisti. Ero la pecora nera, deviato dai miei zii, tutti juventini» (il ratto del bimbo tifoso da parte degli zii è una pratica straordinariamente diffusa tra centro e sud-Italia). Col tempo ha finito per assorbire solo la parte più distruttiva della retorica della Juventus, e cioè l’idea che ai vincenti tutto è permesso. E Bonucci si è considerato al di sopra di tutto, più importante della Juventus stessa, andandosene per ritornare, e infine portandola in tribunale. «La Juventus mi ha umiliato», ha detto in una recente intervista.

E così si è generato questo paradosso per cui il giocatore che ha dato tutto a un solo club, e che non è riuscito a esprimersi altrove, se non in Nazionale, non è amato nemmeno dalla sua stessa tifoseria. Un difensore magnifico, dalla carriera grandiosa, ma con una reputazione difficile, che rischia di sporcarne il ricordo nel tempo. Un difensore la cui storia finisce per essere mangiato dal proprio stesso mantra, e cioè che vincere è l'unica cosa che conta.

Per molti aspetti il suo arrivo a Roma sarebbe perfetto: alimenterebbe lo spirito di una Roma spigolosa e che in questi anni non è stata simpatica ai tifosi neutrali; sarebbe anzi perfetto per una "banda di banditi" che è quello che ha detto di volere Mourinho in questa stagione, lamentandosi del rendimento esterno della squadra (come d'altra parte aveva chiesto al Tottenham di trasformarsi in una "bunch of cunts", con piglio da attore consumato). Bonucci si allinea perfettamente a questa idea, che va oltre qualsiasi considerazione tecnica e tattica.

Proprio le considerazioni tecniche e tattiche su Bonucci aprono altre riflessioni interessanti. A Roma si dice spesso che certi giocatori senza Mourinho non sarebbero mai venuti, e nessuno può davvero contraddire il fatto che Tammy Abraham due stagioni fa, Dybala la stagione scorsa e Lukaku in questa stiano permettendo di arrivare a risultati che raramente la squadra giallorossa ha visto nella sua storia. Bonucci, però, è un difensore già sulla via del ritiro ed è sempre più propenso agli infortuni: per credere che possa dare la spinta finale alle ambizioni della Roma bisogna guardare ben oltre il campo. Bonucci richiede l'atto di fede più grande per i tifosi romanisti, che devono dimenticarsi del passato e del suo stato attuale di forma, e mettersi nelle mani del proprio allenatore nella speranza che anche questa volta abbia trovato la combinazione giusta per portare la squadra fino in fondo ai suoi obiettivi.

Mourinho ha detto che la differenza della Roma è anche quello di aver giocato "come una famiglia". Ma adesso i romanisti sono disposti ad accogliere Bonucci, il cattivo degli altri, nella propria famiglia? Anche Mourinho un tempo era un nemico per i romanisti, si dirà. È vero, ma Mourinho è Mourinho.

È stato un inizio di stagione difficile per la Roma, con risultati discontinui e una squadra che sembra mal costruita. Il club è in un momento delicato. Ci sono i paletti del FFP e una qualificazione in Champions League che pare complicata. Il contratto di Mourinho è in scadenza e nemmeno la posizione del direttore sportivo Tiago Pinto è più così solida. Eppure lo stadio è sempre pieno, i tifosi continuano a coltivare amore e speranza, e domenica contro il Napoli la squadra ha dimostrato di essere ancora capace di produrre notti magiche. I Friedkin riflettono sulla prossima mossa.

Ingaggiare Bonucci significherebbe poter contare su un difensore pronto ed esperto per i prossimi sei mesi, ma a quale costo?

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