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Il Muro Giallo contro il razzismo
27 set 2019
Come il Borussia Dortmund e altre società stanno combattendo l'estremismo di destra nelle curve.
(articolo)
9 min
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Il bacino della Ruhr, situato nel Länder della Renania Settentrionale-Vestfalia, deve il proprio nome all’omonimo fiume che lo attraversa e costituisce una delle più grandi aree urbane europee. Stiamo parlando di una superficie di oltre 4.500 km² e un numero di abitanti superiore ai cinque milioni.

Soprattutto, però, la Ruhr rappresenta l’antico cuore industriale della Germania per via delle intense attività estrattive e manifatturiere che a partire dal XX secolo hanno provocato grandi flussi migratori verso quelle zone, sia dalle altre regioni tedesche che da diversi paesi europei. I principali nuclei produttivi sono Duisburg, Essen, Bochum, Gelsenkirchen e Dortmund.

È da quest’ultima città, e soprattutto dalla sua squadra di calcio, che è partita una crociata per combattere la piaga del razzismo, tuttora presente in alcune curve degli stadi tedeschi. Il Borussia Dortmund è diventato il principale oppositore di quegli ideali nazifascisti che, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, avevano trovato terreno fertile anche nella sua tifoseria. Non è un problema che riguarda, e che ha riguardato, solo il Borussia Dortmund: in un certo senso la cultura ultras ha facilitato l’ingresso di valori di estrema destra secondo un modello – come spiegato da Sebastien Louis, autore di Ultras. Gli altri protagonisti del calcio – che «propone un’esaltazione della violenza e del campanilismo nonché una ribellione contro il politicamente corretto».

In Italia, per esempio, il razzismo è un problema che si trascina da almeno trent’anni. Spesso accantonato e mai realmente risolto, nell’ultimo anno è tornato alla ribalta per una serie di deplorevoli episodi occorsi nel campionato di Serie A: dapprima gli ululati indirizzati a Kalidou Koulibaly durante Inter-Napoli del 26 dicembre 2018, poi i buu rivolti da alcuni spettatori della Sardegna Arena a Blaise Matuidi e Moise Kean nella passata stagione – peraltro reiterati qualche settimana fa nei confronti del neo acquisto dell’Inter Romelu Lukaku – infine i cori razzisti verso Franck Kessie in Hellas Verona-Milan con conseguente minimizzazione dei fatti da parte della società scaligera.

Tornando in Germania: a comandare nella curva del BVB c’erano gli ultrà del Borussenfront, gruppo affiliato all’estrema destra tedesca. A partire dagli anni Duemila sono stati esiliati dall’avvento di tifoserie organizzate di sinistra e dalla creazione di fan project finanziati dallo Stato, dalla Dfb e dalle stesse città di appartenenza. Si tratta di organizzazioni socio-pedagogiche indipendenti che lavorano a stretto contatto con i club e i sostenitori più giovani, al fine di informarli sugli estremismi ed educarli ad una cultura inclusiva e diversificata. I fan project – percepiti con diffidenza dagli ultrà che ne dubitano l’indipendenza e li reputano meri depositari delle politiche dirigenziali – hanno anche il compito di intervenire in caso di dissidi tra le società, i tifosi e le forze dell’ordine, di contrastare condotte antisociali e favorire la cooperazione con le autorità.

Il problema non era però stato del tutto debellato, ed è riapparso nel 2013, in concomitanza con il trentesimo anniversario di nascita del Borussenfront. Durante una partita di Champions League disputata nel 2013 a Donetsk, in Ucraina, due delegati del fan project erano stati aggrediti nel settore ospiti. Due anni più tardi, invece, il Supporter Liaison Officer (SLO) Daniel Lörcher era stato minacciato con uno striscione per essere apparso nel documentario intitolato BVB contro l'estrema destra. Ex ultrà del club, da qualche anno è lo stesso Lörcher il principale esponente della campagna antirazzista dei gialloneri. Il suo compito è curare la relazione tra la società e i tifosi per scongiurare il ripetersi di quei comportamenti turbolenti di un tempo, di cui egli stesso fu testimone e protagonista. Dal 2011 Lörcher organizza dei viaggi formativi nei campi di concentramento dove vennero sterminati migliaia di ebrei originari di Dortmund, così da accrescere la sensibilità e la consapevolezza sul reale significato dei messaggi contenuti in alcuni cori intonati allo stadio.

Ad aiutarlo ci sono gli stessi ultrà gialloneri che, in virtù di una presa di coscienza collettiva, hanno cominciato a preoccuparsi di cosa fosse giusto o meno cantare durante le partite. L’impegno da parte loro e della dirigenza è valso il premio #EqualGame, assegnato dalla UEFA nel corso dei sorteggi di Champions League a Montecarlo, per promuovere la diversità, combattere il razzismo e affrontare le infiltrazioni dell’estrema destra.

Nel corso degli ultimi anni le società tedesche hanno dato vita a diverse campagne di sensibilizzazione analoghe, rivolte ai più bisognosi. Il Bayern Monaco, per esempio, nel 2015 stanziò un milione di euro a favore dei migranti arrivati in città e allestì un campo d’allenamento loro riservato. In quello stesso periodo, molte curve tedesche furono colorate dagli striscioni Refugees welcome come gesto di solidarietà e vicinanza verso la crisi migratoria che stava attraversando l’Europa.

Non è un caso che questa riflessione sia nata proprio in Germania, e non c’entra solo la sensibilità che nel Paese c’è da sempre su queste tematiche. Vanno citati aspetti più specifici. Una prima motivazione riguarda il fatto che, specialmente nei grossi centri industriali, i club sono diventati l’espressione delle tradizioni socialiste e post-comuniste. Questi stessi club, infatti, in passato annoveravano tra le proprie fila soprattutto calciatori provenienti dal proletariato.

Foto di Alex Grimm/Bundesliga/Bundesliga Collection via Getty Images

La seconda motivazione, invece, esula dalla politica: al di là delle simpatie di sinistra di alcune curve, a ricoprire una certa influenza è stato anche il fatto che, in Germania, i tifosi sono parte integrante dei club, tanto da detenere la maggioranza dei diritti di voto in assemblea. È la regola del 50%+1, secondo la quale le società non possono permettere ad investitori privati di possedere più del 49% delle loro azioni. Questo implica, soprattutto nelle piazze storicamente legate a ideali di sinistra, che i tifosi abbiano a cuore non solo l’aspetto puramente manageriale e commerciale della squadra, ma anche quello legato a quanto succede sugli spalti. L’obiettivo è di promuovere un’immagine più pulita e positiva.

Nel caso del Borussia Dortmund, questa volontà si è manifestata in maniera esplicita attraverso l’ideazione e la diffusione del video Borussia unito. Insieme contro il razzismo. Pubblicato al termine della stagione 2013-14, il filmato ridicolizza l’immaginario nazista, mostrando una partita di calcio tra alcuni gerarchi guidati da un allenatore che ricorda Adolf Hitler, che alla fine viene steso da una sua stessa pallonata. Segue il messaggio “Calcio e nazisti non si mescolano bene insieme”, enfatizzato da una forte presa di posizione: «Noi del BVB rendiamo la nostra posizione inequivocabilmente chiara. Non tollereremo alcuna posizione di estrema destra nel nostro stadio. Chiunque voglia godere di un calcio di alta qualità è benvenuto, le intimidazioni e le discriminazioni non sono invece ammesse. Speriamo di creare un effetto domino questo video. I tifosi, gli sponsor e il resto della lega sono tutti chiamati a prendere parte assieme alla lotta contro il neo-nazismo. È l'unico modo per liberare i nostri impianti da simili atteggiamenti».

L’invito del Borussia Dortmund non è rimasto inascoltato, ma è diventato un modello per almeno una decina di altre realtà calcistiche: tra queste ci sono l’Eintracht Francoforte – il cui presidente Peter Fischer ha promesso di bannare chiunque abbia sostenuto il partito di estrema destra Alternative for Deutschland (AfD) – e il Werder Brema, che ha definito incompatibili con i valori del club le idee di AfD. L’ultima squadra, in ordine di tempo, ad aver lanciato un chiaro segnale ai razzisti è stata lo Schalke 04, che lo scorso agosto ha sospeso per tre mesi il presidente Clemens Toennies a causa di alcune sue frasi discriminatorie per il popolo africano.

Al netto dell’impegno dei singoli club, bisogna ricordare che la situazione politica nelle curve tedesche è più tranquilla rispetto agli anni Ottanta per via delle dure norme in vigore contro l’apologia del nazismo e lo sfoggio di qualsiasi materiale ad essa correlato. Dal 1998 l’articolo 86 del codice penale punisce un simile reato con pene fino a tre anni di carcere, circostanza che ha comportato un generale ammorbidimento dei gruppi ultras verso posizioni apolitiche o moderatamente schierate.

Ideali tendenti all’estrema destra permangono ancora nelle tifoserie dell’ex Germania Est, al tempo schiava dell’influenza sovietica tanto da aver sviluppato un forte sentimento anticomunista visibile in realtà come Hansa Rostock, Energie Cottbus e Dynamo Dresda. È in particolare tra gli ultrà di quest’ultima squadra, attualmente iscritta alla Zweite Liga, che si annida il nocciolo duro degli HoGeSa (Hooligan Gegen Salafisten, ovvero “hooligan contro i salafiti”) sodalizio nato nell’ottobre 2014 a Colonia con lo scopo di diffondere mobilitazioni islamofobiche e razziste. La sigla racchiude gruppi di neonazisti decisi a mettere da parte le rivalità calcistiche per unirsi contro la presunta minaccia del terrorismo islamico in Germania in modo da fare piazza pulita di tutti i musulmani presenti nel Paese.

Gli HoGeSa vengono considerati il braccio armato di Pegida (Patriottici Europei contro l’islamizzazione dell’Occidente), movimento politico di estrema destra fondato proprio a Dresda nel 2014 che a sua volta trae ispirazione da GnaHonnters (storpiatura dell’inglese New Hunters), forum clandestino comparso su internet due anni prima che racchiudeva diciassette diversi gruppi hooligan provenienti da tutta la Germania.

Sebbene i riferimenti nelle curve tedesche all’olocausto, ad Auschwitz, al nazismo e allo sterminio degli ebrei siano calati rispetto al passato, il livello di guardia rimane alto – specialmente all’indomani di fatti di cronaca particolarmente gravi come quello degli adesivi di Anna Frank, ritratta nel 2017 con la maglia dello Schalke 04.

Proprio per prevenire lo sdoganamento dell’antisemitismo nel calcio, nel febbraio di quest’anno si è tenuta a Francoforte la conferenza "You'll Never Walk Alone", alla quale hanno preso parte diverse tifoserie tedesche in uno scambio di idee, consigli e strategie nella lotta alla discriminazione razziale. Iniziativa analoga è quella che dal 1993 vede coinvolta la Association of Active Football Fans (BAAF), associazione nazionale che, in aggiunta alle campagne per il mantenimento delle safe standing e contro la commercializzazione del prodotto calcistico, si occupa del razzismo negli stadi.

Nel suo statuto si legge che «la BAAF si oppone attivamente alla xenofobia, al razzismo, alla discriminazione e al sessismo durante le partite di calcio». Dei 140 membri che la compongono, la maggior parte proviene dalla tifoseria del St. Pauli – nota per essere una delle più schierate a sinistra del Paese. Le sue attività, in attesa del riconoscimento dello statuto legale per diventare un ente pubblico e godere di finanziamenti, vengono momentaneamente sostenute economicamente da una ventina di sponsor: nel caso dell’impegno contro il razzismo, il S. Pauli diffonde fanzine di sensibilizzazione ed eventi aperti a calciatori, tifosi e funzionari.

Più in generale, in Germania, la lotta al razzismo si sta rivelando efficace per una duplice ragione: il rispetto e l’applicazione delle normative vigenti combinati con la volontà, da parte delle singole società, di non tollerare quei comportamenti deleteri per l’immagine e l’autorevolezza di un campionato tra i più attenti in Europa a quanto avviene sul campo e fuori.

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