Ogni serie di playoff vive di fasi, a volte separate tra loro in maniera netta e facilmente riconoscibile, altre volte più sfumate.
Di solito la fase di studio reciproco si consuma con le prime due o tre partite, un po' perché gli staff tecnici esauriscono i possibili aggiustamenti, un po' perché giunte a quel punto entrambe le squadre hanno maturato un’accentuata familiarità con pregi e difetti dell’avversario. Le Finals, però, anche da questo punto di vista rappresentano un caso a parte.
Le contendenti, giocando in conference diverse ed essendosi quindi incontrate solo due volte durante la regular season, tendono spesso a prolungare la fase di studio alla ricerca della soluzione tattica in grado di alterare gli equilibri. A maggior ragione se, come nel caso di Boston Celtics e Golden State Warriors, si tratta di due realtà molto distanti tra loro per caratteristiche e identità tecnica.
Così, se i primi due capitoli della serie erano serviti rispettivamente a Boston per ribadire la propria solidità difensiva e mentale e a Golden State per alzare il livello dell’attenzione in difesa e sfruttare meglio l’arma del pick and roll, gara-3 è sembrata una specie di compendio delle due precedenti. Un compendio che però ha dato indicazioni chiare circa le forze in campo.
Un piccolo aggiustamento, una differenza sostanziale
Ben conscio dei danni prodotti dai giochi a due tra Curry e Green nella gara di domenica, coach Ime Udoka ha iniziato la partita mettendo Jayson Tatum in marcatura su Draymond Green, spostando Al Horford su Andrew Wiggins Wiggins, nel tentativo di sfruttare la maggior mobilità dell’ex Duke sui cambi e disinnescare i pick and roll tra i due fulcri dell’attacco di Golden State. A facilitare l’ottimo avvio di Boston, però, è stata più che altro l’aggressività nell’altra metà campo, dove i Celtics hanno spinto sull’acceleratore entrando più velocemente nei giochi e lasciando così meno tempo di organizzarsi alla difesa avversaria.
La velocità e la precisione nel liberarsi della palla di Tatum non dà scampo alla difesa di Golden State. I suoi miglioramenti nei passaggi ormai non fanno più notizia, anche se dovrebbero.
Come avvenuto in gara-2, è stato un primo quarto praticamente perfetto di Jaylen Brown (17 punti, 5 rimbalzi e 3 assist) a scavare il primo solco e a permettere ai padroni di casa di dettare il ritmo della partita. Ritmo che i Celtics hanno gestito senza grandi problemi, attaccando il ferro con continuità (chiuderanno con il 65.4% dal campo al ferro e il 60% nel pitturato) e forzando Kerr a rimettere in pista la difesa a zona, praticata in una sola azione nella vittoria casalinga di tre giorni prima. Il parziale di 8-0 a metà del secondo quarto, costruito dagli Warriors sulle palle perse e sui rari passaggi a vuoto della difesa biancoverde, bastava a malapena ricucire lo strappo in vista dell’intervallo lungo. Lo stesso spartito, con Golden State a vivere di fiammate e Boston a ricacciare indietro l’avversario, si è ripetuto anche nel terzo quarto, parziale di solito dominato dagli Warriors (106-63 in loro favore il conteggio nella serie fin qui) che, nonostante il primo vantaggio della partita sull’83-82 a 3:38 dalla fine del quarto, non hanno mai dato l’impressione di poter davvero invertire l’inerzia della gara.
Errore di Horford nel close-out, ma la scelta dei Celtics di rimanere comunque in drop sui pick and roll con Curry ha finito per rivelarsi vincente, per quanto controintuitiva. In compenso l’attacco di Golden State si è inceppato: Curry e Green hanno realizzato solo 5 assist sui 22 di squadra.
E infatti gli ultimi 12 minuti di gioco si sono trasformati un lungo assolo dei padroni di casa, che sulle spalle di un Robert Williams dominante in difesa (4 rimbalzi, 3 palle recuperate, 1 stoppata e un net rating di +33.3 nel solo quarto periodo) e a tratti quasi commovente per la voglia di sacrificarsi e giocare sul dolore, sono apparsi più in palla e pronti a sfruttare ogni errore commesso da Curry e compagni. E di errori gli Warriors ne hanno commessi parecchi durante l’ultimo parziale, collezionando 8 delle loro 16 palle perse e segnando la miseria di 11 punti, con gli Splash Brothers autori di un inconsueto 1/7 dal campo dopo aver tenuto in piedi l’attacco praticamente da soli. A Boston, per contro, è bastato gestire con attenzione i possessi in attacco – prima palla persa dei Celtics nel quarto a 3:09 dalla fine, con la partita già abbondantemente in ghiaccio – e mettere a frutto una superiorità fisica mai così evidente.
La tenacia, il tempismo e le gambe di Jaylen Brown, che anche a meno di 5 minuti dalla fine nega l’appoggio a Thompson.
La forza dei numeri (e delle palle perse)
La supremazia di Smart e compagni traspare dalle statistiche, tanto che dopo gara-3 i Celtics potrebbero appropriarsi dello slogan reso celebre proprio dagli attuali avversari qualche anno fa. Che i ragazzi di Udoka disponessero di taglia e mezzi atletici ben superiori agli Warriors era cosa nota già prima che la serie iniziasse, ma se nelle prime due partite Golden State era riuscita a compensare con altri mezzi, in primis la capacità di lettura su entrambi i lati del campo. Stanotte però non ha avuto scampo: il differenziale nei punti nel pitturato, dove Boston ha segnato il doppio di Golden State (52-26) e quello a rimbalzo (47-31 per i Celtics, 15-6 a rimbalzo offensivo) sono i dati più lampanti, ma al contrario di quanto successo fin qui, in gara-3 i Dubs sono andati sotto anche nel conteggio dei gang rebound (cioè quelli dove la palla atterra tra un gruppo di giocatori e non viene catturata in maniera chiara da un singolo, con Boston che ha vinto la statistica per 11-8), ambito in cui non possono assolutamente permettersi di concedere un ulteriore vantaggio agli avversari. Il conteggio delle voci statistiche che confermano il differenziale a livello di intensità tra le due squadre potrebbe proseguire, ma il dato che sembra destinato a segnare la serie è un altro.
Per quanto possa apparire banale, le palle perse continuano infatti a rappresentare il discrimine tra sconfitta e vittoria per i Celtics. La forbice già registrata durante la regular season (13.2 nelle vittorie, 14.4 nelle sconfitte) si è fortemente ampliata durante i playoff, dove Tatum e compagni hanno mandato a referto 12.8 palle perse di media nelle vittorie e addirittura 16.7 nelle sconfitte. Le 12 perse stanotte, dato speculare a quello della vittoria in gara-1, si contrappongono alle 18 della sconfitta di domenica. L’impressione, quindi, ma giunti a questo punto è qualcosa in più di un’impressione, è che per tornare campioni NBA dopo 14 anni ai Celtics potrebbe bastare non buttare via troppi palloni in attacco, perché in molti degli altri aspetti del gioco hanno dimostrato di essere una squadra migliore rispetto agli Warriors, mettendoli in difficoltà come forse non accadeva dalla serie contro gli Oklahoma City Thunder di Durant e Westbrook nel 2016.
La capacità di reagire
Con la vittoria Boston conferma la straordinaria capacità di reagire dopo un ko (7-0 in questi playoff dopo una sconfitta) e mantiene il vantaggio del campo conquistato dopo gara-1. D’altro canto, per quanto messo in mostra durante questi playoff, in cui sia Celtics che Warriors hanno vinto gare decisive in trasferta – e Golden State ne ha vinta almeno una in ogni serie di playoff giocata dal 2013 a oggi – risulta difficile attribuire a questo fattore un’importanza davvero significativa. La serie, quindi, prenderà una direzione a prescindere dalla collocazione geografica delle singole partite. Anche perché un’altra cosa che Celtics e Warriors hanno in comune è la capacità di dimenticare in fretta una brutta sconfitta, che si tratti di gara-6 persa con Miami per Tatum e compagni o dell’imbarazzante debacle dei ragazzi di Kerr in gara-5 a Memphis.
Golden State è però di nuovo con le spalle al muro, situazione in cui Curry e compagni si sono trovati molte volte durante gli ultimi anni. L’aspetto psicologico è forse quello meno preoccupante per gli Warriors, il cui vantaggio più significativo, nonché forse unico, nei confronti dei Celtics sta proprio nell’abitudine a gestire momenti come questo. Per non lasciarsi scappare la serie di mano, però, gli servirà qualcosa di più dell’abilità nel controllare i nervi e della fiducia nei propri mezzi. I Dubs dovranno provare a colmare l’evidente gap fisico e atletico che li separa dagli avversari giocando sull'intelligenza tattica di molti dei suoi protagonisti, Green in primis, davvero disastroso in gara-3. E proprio lui potrebbe essere l’uomo chiave per Golden State, soprattutto se sarà in grado di giocare con l’aggressività di gara-2 senza eccedere, anche se il suo curriculum da questo punto di vista non lascia molto sereni.
Le speranze di Golden State di ribaltare una serie molto complicata si aggrappano a lui e ancor di più agli altri due veterani Curry e Thompson - considerando Iguodala come presenza più simbolica che altro - un po' per mancanza di reali alternative, con Wiggins e Poole fin qui troppo discontinui, e un po' perché se anche dovesse andare a fondo è probabile, per certi versi anche comprensibile, che Kerr lo farà con i suoi uomini di fiducia in campo.
La fase di studio a cui si accennava in apertura potrebbe protrarsi ancora un po', anche perché infortuni di varie entità – a partire dal ginocchio di Robert Williams, alla spalla di Tatum fino alle caviglie di Smart e Curry – potrebbero influenzare i minutaggi e limitare l’apporto di alcuni dei protagonisti. La partita a scacchi tra le due panchine appare quindi destinata a proseguire, anche se come in ogni serie arriverà presto il momento in cui a fare la differenza non sarà tanto cosa le due squadre faranno quanto come lo faranno.
Da qualche parte, nella seconda parte della serie, ci potrebbe essere la ventilata prestazione alla Klay Thompson di Klay Thompson così come la gara iconica di un Tatum fin qui incostante al tiro (9/23 stanotte, 33.9% dal campo nella serie) ma eccellente nel servire i compagni (9 assist in gara 3, 8.3 di media nella serie). Oppure a prendersi il palcoscenico potrebbero essere Curry e Jaylen Brown, a oggi i migliori delle due squadre, o ancora qualche gregario che si farà trovare pronto negli istanti decisivi delle partite. Per ora, in attesa dello sprint finale, dove l’esecuzione di squadra e l’estro dei singoli conterà più degli aggiustamenti e delle contromisure, i Celtics sembrano aver messo la testa avanti.