Se vi dovessero chiedere una definizione di perfezione, d’ora in poi potrete avvicinarvi molto all’idea menzionando la prestazione di Oleksandr Usyk contro il pluri campione mondiale, beniamino del pubblico e favorito sulla carta, Anthony Joshua. Non solo perché il pugile ucraino ha vinto, ma soprattutto per come lo ha fatto. Con questa performance straordinaria, intanto, Usyk ha strappato a Joshua i titoli IBF, WBA, WBO e IBO dei pesi massimi, ed è ancora imbattuto. Si è presentato all’incontro con un record di 19 vittorie in altrettanti match, di cui 13 ottenute per KO, e adesso è salito a 20.
Oleksandr Usky ha conosciuto lo sport in tenera età: nato trentaquattro anni fa a Sinferopoli, città della penisola della Crimea, Usyk da bambino ha cominciato praticanto wrestling, karate e altre forme di combattimento corpo a corpo, pur restando sempre un amatore. La scintilla della passione scocca per il calcio: Usyk viene reclutato dall’accademia della squadra locale SC Tavriya Simferopol, che allora militava nella Serie A ucraina. Purtroppo (o per fortuna, ragionando con il senno di poi) la carriera da calciatore comporta spese che la sua famiglia non può sopportare, come spiegherà in seguito lo stesso Usyk: «Giocavo piuttosto bene, non ero un panchinaro, mi mettevano sempre titolare. Ma il calcio richiede un investimento che i miei genitori non potevano permettersi, al contrario della boxe. Quando ho iniziato a fare pugilato il mio allenatore mi ha regalato i suoi guantoni, mentre sua moglie li ha resi della giusta misura per me con ago e filo».
È nel 2002 che Usyk si imbatte finalmente nel pugilato, mentre nel frattempo si dedica ai lavori più disparati per aiutare la famiglia (in futuro si laureerà in scienze motorie): «Ho venduto gelati, frutta, ho lavorato in una fattoria, ho pascolato il bestiame. Non me ne vergogno perché l'ho fatto per sopravvivere». Come pugile dilettante l’ucraino registra uno score impressionante: 335 vittorie e 15 sconfitte. Nel 2006 vince il bronzo ai campionati europei nei pesi medi, nel 2008 conquista l’oro alla Strandja Cup in Bulgaria, una vittoria che lo lancia in ottica Olimpiadi, dopo essere salito nella categoria dei mediomassimi. E infatti nello stesso anno Usyk partecipa ai giochi olimpici di Pechino, dove viene sconfitto ai quarti di finale da Clemente Russo nei pesi massimi (lo stesso Russo in questi giorni è stato uno dei pochi a pronosticare la vittoria dell’ucraino contro Joshua). Conclude l’anno aggiudicandosi la medaglia d’oro agli Europei di Liverpool. Nel 2009 vince il bronzo ai mondiali di Milano, nel 2011 l’oro a quelli di Baku. E infine, ad agosto 2012, Usyk si prende la rivincita contro Russo, battendolo in finale alle Olimpiadi di Londra. Nella stessa manifestazione, ma nella divisone di peso superiore, il suo futuro avversario Anthony Joshua sconfigge l’altro italiano Roberto Cammarelle e mette in bacheca la medaglia d’oro.
Usyk decretato vintore contro Clemente Russo (via Olympics.com).
Nel 2013, all’età di 26 anni, decide di diventare professionista nei pesi massimi leggeri dopo aver firmato per il management dei fratelli Klitschko. Usyk comincia a combattere con un titolo in palio sin dal suo quinto match da pro, fino ad arrivare al 2016, quando disputa il suo primo mondiale contro il polacco Krzysztof Glowacki, sconfitto per decisione unanime: una vittoria che vale la cintura WBO. Intanto due anni prima la Russia aveva dichiarato l’annessione della Crimea. Interpellato sulla questione, Usyk dichiara: «La Crimea appartiene a Dio. Le persone hanno sempre la priorità sulla politica».
Nel 2018 ecco il secondo riconoscimento mondiale, con la conquista del titolo WBC ai danni di Mairis Briedis nel torneo World Boxing Super Series. Sei mesi dopo Usyk sconfigge ai punti anche il russo Murat Gassiev ed entra nella storia: è il primo pugile di sempre a detenere le cinture WBO, WBC, WBA e IBF (quest’ultime strappate a Gassiev) nei pesi massimi leggeri. Ma l’ambizione del pugile ucraino non si ferma qui: nel 2020 decide di salire di categoria, e affronta Dereck Chisora nei pesi massimi, battendolo per decisione unanime, assicurandosi sulla propria vita la cintura WBO intercontinentale.
Ed è a questo punto che la sua strada si incrocia con quella di Anthony Joshua, cioè quando le trattative tra l’entourage di Tyson Fury e quello di AJ per un match tra i due saltano per una clausola che obbliga Fury a combattere prima contro Deontay Wilder (e a chiudere la loro trilogia). A questo punto la WBO identifica in Usyk l’avversario contro cui Joshua deve difendere i suoi titoli, e dà 48 ore di tempo al management di AJ per riprogrammare l’incontro con Fury o accettare l’atleta ucraino. Il team di Joshua sceglie la seconda opzione, anche perché non trova l’accordo con la controparte per realizzare il tanto atteso derby inglese.
Pur da sfavorito, nella conferenza stampa prima dell’evento Usyk sì è subito mostrato tranquillo, con la serenità del pugile consapevole delle proprie capacità e ragionevolmente sicuro di sé. Alla successiva cerimonia del peso Joshua ha fatto registrare un peso di 108.8 chilogrammi, mentre Usyk era più leggero di ben 8 chili, fermando la bilancia a 100.4.
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Le statistiche dei due pugili a confronto.
L’incontro si è tenuto nella straordinaria cornice del Tottenham Hotspur Stadium di Londra, gremito da 62mila persone. Sul ring Joshua avrebbe dovuto far valere la maggiore stazza e una fisicità strabordante con colpi potenti e sfruttando il proprio allungo. Il problema per il campione in carica è che il pugile ucraino si è dimostrato più difficile da colpire del previsto (non a caso è soprannominato “il gatto”), grazie ad una difesa da manuale che molto deve ad un footwork eccezionale e a puntuali movimenti di busto e schivate da cui Usyk rientrava andando spesso a bersaglio.
All’inizio i pugni dello sfidante non sembrano pesanti, ma sono precisi, colpiscono Joshua interrompendone l’iniziativa e gli impongono un ritmo e una distanza che il campione inglese non riuscirà mai a volgere a proprio favore, nonostante avesse cercato immediatamente di pressare l’avversario. Per di più Usyk è mancino, mentre l’inglese combatte in guardia ortodossa, usando il jab sinistro per gestire lo spazio e trovare il momento giusto per sferrare il pericolosissimo destro.
A venti secondi dalla fine del terzo round Usyk esplode un sinistro che colpisce Joshua alla mandibola; il campione in carica barcolla, il match si accende, ma la campana interrompe l’azione. Usyk comincia così a spostare l’inerzia dell’incontro a proprio favore. Il momento migliore di Joshua arriva al termine del sesto round, quando finalmente riesce a raggiunge l’avversario più volte con il destro, ma dall’altra parte Usyk incassa senza battere ciglio, continuando a muoversi per il quadrato.
Dopo questa sequenza, e giunti ormai a metà match, ci si aspetta che l’atleta inglese, verosimilmente in svantaggio sui cartellini dei giudici, faccia qualcosa per dare una svolta all’incontro in suo favore. E invece nelle riprese successive è ancora l’ucraino a prevalere, prima mandando a vuoto Joshua, che continua a boxare in linea senza successo salvo per qualche singola azione che causa anche una ferita sul volto del pugile ucraino, poi lavorando di rimessa con il sinistro, accelerando addirittura nei round conclusivi.
Capendo il momento, Usyk nel finale si lancia all’attacco, colpendo con entrambe le mani un Joshua sfinito, rassegnato. Fino all’epilogo, che vede Joshua drammaticamente inchiodato alle corde mentre subisce l’ultima scarica di colpi dell’ucraino. Il match finisce con il campione in carica che si accascia al suo angolo, la sofferenza sul viso evidente, mentre lo sfidante si inginocchia al centro del ring, dove fa il segno della croce guardando in alto, verso il cielo.
È l’ultimo round: Joshua arranca alle corde, Usyk lo incalza (Julian Finney/Getty Images).
Usyk viene dichiarato vincitore con una decisione unanime netta. I cartellini raccontano l’andamento del match: 117-112, 116-112, 115-113. La seconda sconfitta in carriera per Joshua solleva legittimi dubbi sulla tenuta mentale di un pugile che, quando viene messo in difficoltà, fatica a reagire, anche perché non è un grande incassatore. L’inglese è stato surclassato dal punto di vista tecnico, concludendo il match in balìa di Usyk (il suo manager a fine incontro ha precisato che dal nono round in poi Joshua ha combattuto con un occhio semichiuso, quindi con una vista parziale, ma la sostanza non cambia). L’atleta inglese ha mostrato quella fragilità per cui molti lo considerano un buon combattente ma senza la stoffa del vero campione, e a questo punto il rematch con Usyk (previsto nel contratto firmato da entrambi) sarà un crocevia fondamentale per dare al mondo una prova di carattere e capacità, pena un ridimensionamento notevole di carriera e ambizioni.
Finite le ostilità, Usyk ha dichiarato: «È andata esattamente come mi aspettavo. Ci sono stati un paio di momenti in cui Anthony ha spinto forte, ma niente di speciale. Non avevo l’obiettivo di mandarlo KO perché i miei allenatori mi hanno detto di non farlo. All’inizio ho cercato il knockout, ma ho ascoltato il mio angolo che mi ha suggerito di fermarmi e di seguire la strategia». Le prime parole di Joshua dopo il verdetto sembra siano state: «Vincerò il rematch».
Il Tweet con cui Joshua ha commentato la sconfitta a caldo, ringraziando i suoi tifosi.
Merita una menzione anche un altro pugile ucraino salito sul ring nella stessa card, Maxim Prodan (arrivato all’incontro con 19 vittorie, 15 ottenute per KO, e nessuna sconfitta), che vive e si allena a Milano, dove ha svolto tutta la sua carriera prima della trasferta inglese. Prodan ha messo in palio il titolo IBF International dei pesi welter, conquistato nel 2019, contro l’ostico Florian Marku. Una sfida tra imbattuti che ha visto prevalere Marku per split decision, ma nella quale Prodan si è dimostrato un pugile all’altezza di calcare palcoscenici così importanti.
Con la vittoria di sabato sera Usyk ha raggiunto Evander Holyfield e David Haye tra i pugili vincitori di un titolo nei pesi massimi dopo essere già stati campioni nei massimi leggeri. Un trionfo inatteso da molti ma non dal pugile ucraino, che fin dalla presentazione dell’incontro ha dimostrato di sapere cosa doveva fare per battere il campione in carica. Una sicurezza mostrata sul ring. «La potenza non viene dal corpo, ma dallo spirito» aveva dichiarato prima dell’incontro, quasi a voler allontanare la possibilità di soccombere alle qualità fisiche di Joshua. Sabato sera sul ring Usyk di spirito ha dimostrato di averne parecchio, e oggi può sfoggiare parecchie cinture per dimostrarlo.