Fernandinho ha sempre voluto fare il calciatore, da che se ne ricordi. Da piccolo, quando era ancora troppo piccolo per la palla, seguiva il padre ovunque andasse. Anche lui è stato un calciatore, anche se non ha mai giocato da professionista e per tutta la vita è rimasto un dilettante di Londrina, la piccola cittadina a est di San Paolo dov’è nato. Fernandinho lo imitava in tutto. Nelle cose che faceva in campo, perché anche lui è stato un centrocampista, ma anche nei gesti apparentemente irrilevanti. Il modo di allacciarsi le scarpe, ad esempio.
Nel documentario che il Manchester City ha pubblicato nel giorno più buio della sua carriera, il padre di Fernandinho ha i capelli bianchi e gli occhi spenti. Il viso gli si illumina solo quando, vicino al giardino in cui giocava con il figlio, dice di aver sempre saputo che sarebbe diventato un professionista. Anche Fernandinho ci ha sempre creduto. A scuola si distraeva nell’attesa del momento in cui sarebbe uscito a giocare con gli amici. E quando quello di sua madre è diventato l’unico stipendio della casa, perché i suoi genitori si erano separati, Fernandinho non si è perso d’animo di fronte al fatto che adesso avrebbe dovuto badare alla casa e soprattutto alla sorellina nata da un secondo matrimonio. Invece di interrompere gli allenamenti per fare queste cose, ad esempio, preferiva portarsi la sorellina al campo, sugli spalti, mentre la madre era fuori a lavorare.
Fernandinho ha continuato a crederci anche quando la strada che lui vedeva per sé nel mondo del calcio stentava ad apparire. Quando, ad esempio, è stato respinto dopo i provini con il Londrina, e poi con il Portuguesa Londrinense. E poi quando, al primo anno con la squadra giovanile del PSTC, è stato contattato dal Flamengo, passando anche un provino, vedendo però naufragare il suo trasferimento a Rio de Janeiro per il rifiuto del padre e del presidente della sua squadra. E così, quando è arrivato finalmente all’Atletico Paranaense, alla soglia dei 18 anni, ha dichiarato, con grande serietà e senza alcuna incertezza sul volto, che il suo sogno era vincere un Mondiale con la Nazionale del Brasile. Una convinzione che, credo, a quel punto fosse riposta nella fiducia che Dio avesse un piano per lui.
Fernandinho è arrivato in Europa relativamente presto, a 20 anni, ma in un campionato che se non era visto nei campionati più importanti del Vecchio Continente, figuriamoci in Brasile. Allo Shakhtar Donetsk, in Ucraina, pensava di dover vivere solo la prima tappa della sua ascesa al calcio europeo. Ma quella tappa è durata più del previsto. Anni, per la precisione, in cui Fernandinho era il titolare indiscusso della squadra ucraina ma continuava ad essere ignorato dalla Nazionale brasiliana. Ne sono passati sei prima del suo esordio in maglia verde-oro. Sei anni di campionati nazionali vinti e presenze in Champions League. Sei anni in cui ha fatto il suo dovere al centro del campo dello Shakhtar Donetsk e in cui ha perso l’occasione di giocare due Mondiali con la maglia del proprio paese. Le squadre ucraine, com’è noto, sono rimaste in quella fase del calcio in cui i presidenti posseggono quasi fisicamente i propri giocatori. E per questa ragione Fernandinho è rimasto per lungo tempo una gemma nascosta in Ucraina.
L’estate del 2013 è stata l’ultima occasione per andarsene. L’anno successivo si sarebbe giocato il Mondiale, in Brasile per di più, e se Fernandinho non fosse stato convocato in quella stagione allora forse il suo treno sarebbe passato per sempre. Deve aver pensato: o ora o mai più. Il centrocampista brasiliano ha spinto per la cessione, rinunciando a bonus previsti nel suo contatto per una cifra intorno ai quattro milioni di euro pur di andarsene, e alla fine è riuscito a farsi vendere al Manchester City. Nel campionato più famoso del mondo, in una delle squadre più ricche. In Inghilterra, come era già previsto nel nome della sua città natale, Londrina, letteralmente la piccola Londra - chiamata così perché fu costruita negli anni ’30 in onore di un’azienda inglese di cotone che per prima aveva deciso di investire in quella zona. «Avevo una vita stabile in Ucraina», ha detto al quotidiano O Globo dopo aver concluso l’accordo «Ma sono stato escluso dalla Nazionale all’inizio del 2012 e non sono stato più richiamato. Questo mi ha molto colpito. Poi è arrivata questa occasione di spostarsi in Inghilterra e ho deciso di andare per avere più visibilità sia in Brasile che in Europa. Adesso le mie chance di tornare in Nazionale saranno sicuramente di più».
Fernandinho, all’esordio in Premier League, ha fatto una delle sue migliori stagioni in Inghilterra di sempre. Fin da subito ha giocato da titolare accanto a un fuoriclasse come Yaya Touré. Ha segnato 5 gol in campionato, come riuscirà a fare solo un’altra volta dopo. Tra questi: una doppietta in uno storico 6-3 all’Arsenal e il primo gol della Premier League del 2014 - una rete segnata allo Swansea il primo di gennaio. Come fare a non scambiarlo per un un segnale chiaro che quello sarebbe stato il suo anno? Dopo quella partita una giornalista gli ha detto che avrebbe dovuto essere fiducioso di essere convocato per il Mondiale in Brasile se avesse continuato così. È stato l’unico momento di quell’intervista in cui il suo viso si è aperto in un sorriso.
Il 5 marzo Fernandinho è finalmente tornato a vestire la maglia della Nazionale, in un’amichevole di preparazione al Mondiale contro il Sudafrica. E alla prima partita con il Brasile dopo più di un anno ha segnato il quarto dei cinque gol della squadra di Felipe Scolari. Una specie di punto di sospensione in mezzo alla tripletta di Neymar. A quel punto è diventato chiaro a tutti che ce l’avrebbe fatta. Mancava solo l’ultimo passo: vincere quella Coppa del Mondo, magari da titolare. In un’intervista realizzata per il sito del Manchester City poco prima della partenza per il Brasile, una giornalista gli ha chiesto se se ne aspettava altri di gol come quelli al Sudafrica anche al Mondiale. «Ci proverò in tutti i modi, sì», ha risposto «E in un paio di mesi, forse, potrei essere campione del mondo». Poi, dopo una piccola pausa sognante, ha alzato gli occhi e gli indici al cielo, e ha detto: «Lo spero».
Fernandinho non ha iniziato quel Mondiale da titolare, ma Dio aveva un piano per lui. Scolari lo ha fatto entrare per la prima volta nella terza e ultima partita del girone, contro il Camerun, facendogli prendere il posto di Paulinho alla fine del primo tempo. E Fernandinho non lo ha deluso, dimostrando il suo talento e segnando il 4-1 finale che ha permesso al Brasile di passare da primo nel girone. Un tiro con la punta sul secondo palo dopo un’elegante progressione in area che sembrava dovergli spianare la strada per le fasi finali del Mondiale. Dopo quello al Sudafrica in amichevole, è stato il secondo e ultimo gol mai segnato da Fernandinho per il Brasile.
Il numero 5 ha così vissuto da titolare il surreale ottavo di finale contro il Cile vinto ai rigori, con l’incredibile traversa di Pinilla ai supplementari, e poi, ancora più da protagonista, il brutale quarto di finale contro la Colombia. Una partita in cui Fernandinho ha vinto 5 contrasti e commesso 4 falli, di cui alcuni molto duri su James Rodriguez. Una prestazione talmente spigolosa da ricordare a più di una persona quella di Claudio Gentile su Maradona al Mondiale del 1982. Forse più una battaglia che una partita, in effetti, dove il Brasile ha lasciato sul campo diversi uomini. Neymar, uscito dal campo in barella con una vertebra rotta per l’intervento alle spalle di Zuniga, ma anche Thiago Silva, ammonito da diffidato e quindi costretto a saltare la decisiva semifinale contro la Germania. Fernandinho, però, aveva fatto quello che gli era stato chiesto di fare, per l’ennesima volta: distruggere il gioco avversario, ripulire il pallone e consegnarlo come nuovo a chi sarebbe dovuto occuparsi di metterlo nella porta avversaria. Con il suo lavoro si è guadagnato la titolarità anche per la semifinale, dove avrebbe affrontato il centrocampo Schweinsteiger-Kroos-Khedira.
Per quella partita la Germania è scesa in campo con una maglietta rossa e nera a bande orizzontali, ispirata alla divisa del Flamengo. Chissà se vedendola Fernandinho non abbia ripensato a quel provino superato anni prima, alla strada che avrebbe preso la sua carriera se il padre gli avesse permesso di partire per Rio de Janeiro, dove il Flamengo gioca e dove il Brasile avrebbe potuto partecipare a una finale storica di questo Mondiale irripetibile. Credo che diversi giocatori verde-oro abbiano pensato a questo mentre entravano in fila indiana in campo, con una mano sulla schiena del compagno che lo precedeva. David Luiz prima del fischio d’inizio ha tenuto tra le mani una maglia di Neymar, il numero 10 che si è sacrificato per far arrivare il suo paese fino a qui. L’ha tenuta così per tutta l’esecuzione dell’inno che, come ha iniziato a fare il Brasile in quel Mondiale, ha cantato a cappella insieme a tutto il resto dello stadio, in un rito sacro che ha unito la Nazione alla squadra nel canto.
Sull’onda emotiva di quel momento, la squadra di Scolari ha cominciato bene - difendendo in avanti e cercando di recuperare la palla appena persa in maniera aggressiva. Già prima del primo gol di Müller, però, si erano notati gli squilibri che avrebbero portato al disastro successivo. La modernissima fluidità del centrocampo di Low ha mandato in crisi le marcature di Luiz Gustavo e Fernandinho, aprendo il campo alle transizioni della Germania che poteva attaccare sempre fronte alla porta una difesa talmente aggressiva da essere a tratti irrazionale. Una difesa, cioè, che provava a rompere la linea anche quando il tempo era ormai perso. Ma tra i problemi tattici del Brasile e il massacro che avverrà di lì a poco c’è stato qualcos’altro di più. Qualcosa di inspiegabile.
Al 22esimo del primo tempo, sull’ennesima transizione in superiorità numerica recuperata in extremis dal Brasile, la Germania ha guadagnato un fallo laterale sulla trequarti. Müller si è scambiato la palla con Lahm vicino alla linea del fallo laterale e poi ha visto Kroos in attesa ad un paio di metri dalla mezzaluna dell’area di rigore. Un passaggio orizzontale, pigro, perché era l’unico possibile senza tentare prima un dribbling. Eppure Müller lo ha tentato lo stesso. Fernandinho era lì a due passi e aveva già capito cosa stava per succedere. Quando è partito il passaggio del centrocampista tedesco era già piegato sulle gambe per intercettare il pallone. Ma quando ha allungato il piede per catturarlo e partire in verticale, il pallone non si è fermato - come se Fernandinho avesse perso qualsiasi consistenza. Il pallone, a sorpresa, è passato, quindi. Talmente a sorpresa che Kroos ha fatto fatica a controllarlo e solo dopo alcuni tocchi ha potuto servire il taglio di Müller, che poi ha lasciato a Klose l’incombenza di finire l’opera.
Due minuti dopo la Germania era di nuovo nell’area avversaria, ancora con un’iniziativa di Lahm a destra. Il terzino del Bayern Monaco ha visto Müller inserirsi in area centralmente, da dietro, e ha pensato che fosse una buona idea servirlo, perché la difesa del Brasile nel frattempo era corsa verso la porta. L’unico ad aver capito cosa stava per succedere era, ancora una volta, Fernandinho, che ha provato a recuperare alle spalle di Müller correndo più che poteva. Il numero 5 verde-oro è riuscito ad arrivargli alle spalle nell’esatto istante in cui stava per tirare, ma proprio in quel momento, per la seconda volta in meno di due minuti, è accaduto qualcosa di inspiegabile. La palla, infatti, invece di finire sui piedi di Müller, è improvvisamente rimbalzata verso l’alto, superando agilmente il piede del centrocampista tedesco, finendo perfettamente a tiro dell’uomo alle sue spalle, Toni Kroos, che l’ha colpita con il più perfetto e soddisfacente dei tiri. Collo pieno di controbalzo.
Rivendendo il replay più volte è difficile capire se l’assist di Lahm fosse diretto davvero a Müller, come a Fernandinho e a tutto il resto del mondo sembrava certo all’inizio, o a Kroos, che era totalmente libero alle sue spalle. Per Müller, infatti, sarebbe stato molto più difficile segnare tirando sul primo palo di piatto, eppure il suo non è un velo, ma un vero proprio liscio. Se Fernandinho non si fosse affrettato a chiudere, Müller avrebbe comunque accelerato il tiro facendosi superare dal rimbalzo del pallone? E se avesse provato a controllarlo, la Germania avrebbe segnato lo stesso? E se Dio avesse avuto davvero un piano per Fernandinho, che era stato portato da tutte le scelte della sua vita ad arrivare in leggero ritardo su Müller spingendolo a provare un tiro forzato che sarebbe finito nel vuoto per via di un rimbalzo irregolare del pallone?
Ovviamente non so se Fernandinho ha pensato a questo. So, però, che a qualcosa stava pensando quando l’arbitro ha fischiato la ripresa del gioco e la palla è arrivata a lui, solo davanti alla difesa, dopo il calcio d'inizio. Forse al fatto che c’era qualcosa che non riusciva a spiegarsi in quella serata, chissà. In ogni caso, mentre pensava, non si è accorto che Kroos era arrivato alle sue spalle e se lo stava per mangiare vivo. Il centrocampista tedesco gli ha rubato il pallone con la punta del piede, spostandolo con un braccio come se stesse andando urgentemente da qualche parte e poi ha servito Khedira a sinistra. E quando Dante e Fernandinho hanno provato disperatamente a recuperare, Khedira ha restituito palla a Kroos, che ha segnato il più semplice dei gol. E la più veloce doppietta della storia dei Mondiali.
Nel tentativo di recuperare l’irrecuperabile, Fernandinho ha aggirato Julio Cesar e poi è stato costretto a guardare la palla entrare in porta. A quel punto ha concluso la sua corsa verso la rete, dove forse avrebbe voluto avere una parete solida dove appoggiarsi. O un muro, magari, dove nascondere il viso o sbattere i pugni per quello che stava accadendo. E invece si è ritrovato solo una rete molle a cui è stato costretto ad aggrapparsi per non cadere in avanti. È rimasto comunque così, per qualche istante, con le braccia protese in avanti a segnare il momento in cui il Brasile si è definitivamente abbandonato al suo destino.
Poco più di quattro minuti dopo, su un rilancio nel vuoto di David Luiz, Hummels ha preso palla dalla difesa e l’ha condotta fino alla trequarti, nel corridoio aperto dal movimento ad uscire di Kroos che si è portato dietro la marcatura di Fernandinho. Il numero 5 del Brasile ha avuto un momento in cui è sembrato voler tornare sui suoi passi, impuntando i piedi, ma poi ha lasciato perdere, forse preferendo godersi quello spettacolo surreale in cui la Germania sembrava poter segnare qualunque cosa avessero fatto gli avversari. E infatti Hummels, nonostante si fosse allungato il pallone e avesse trovato sulla sua strada non uno ma due giocatori del Brasile a contrasto (David Luiz e Luiz Gustavo), è riuscito comunque con un rimpallo fortunato a servire Khedira, che a sua volta ha servito in area Özil e così via fino allo 0-5, con un tiro proprio di Khedira finito perfettamente tra le gambe di Maicon, che aveva provato a stendersi in tutta la sua lunghezza per coprire lo specchio lasciato libero da Julio Cesar.
Ad ognuno di questi gol subiti, circa 65mila famiglie brasiliane spegnevano il televisore e si mettevano a fare qualcos'altro, magari andare in città a spaccare delle vetrine o incendiare degli autobus. Nessuno aveva voglia di assistere ai secondi 45 minuti, che persino i giocatori tedeschi, forse in imbarazzo, sembravano voler far passare più velocemente possibile. La leggenda vuole che persino Neymar, che guardava la partita dal lettino d’ospedale, abbia spento il televisore dopo il settimo gol e si sia messo a giocare a poker con degli amici. Fernandinho, dal canto suo, non è mai rientrato in campo dagli spogliatoi dopo la fine del primo tempo, sostituito da Scolari con Paulinho. A fine partita non è riuscito a spiegarsi cosa gli era appena accaduto. «È successo qualcosa di incredibile», ha dichiarato «Cercheremo di spiegare per il resto delle nostre vite, ma non riusciamo a trovare le parole. Non ho mai provato nulla di simile in tutta la mia vita». Dopo aver perso anche la finale per il terzo posto con l’Olanda per 0-3, tornerà in campo con la maglietta della Nazionale solo poche settimane dopo, nel secondo tempo della prima partita giocata dal Brasile dopo quel Mondiale maledetto. Un’amichevole con la Colombia, organizzata forse per rimuovere quella semifinale con la Germania. Per rievocare quell’ultima vittoria del Brasile al Mondiale, prima dell’1-7.
Dopo quell’estate, Fernandinho in Nazionale ha giocato a sprazzi. Ha partecipato alla Copa America del 2015, persa ai quarti di finale contro il Paraguay ai calci di rigore, e poi poco altro. Al Mondiale successivo, quello russo del 2018, ci è andato da riserva di Casemiro entrando per fargli tirare il fiato nelle parti finali delle partite. Il Brasile lo ha messo in campo solo per lo stretto necessario, come si fa con le cose che non si è proprio orgogliosi di mostrare. Il centrocampista del Real Madrid, però, è stato squalificato per i quarti contro il Belgio per diffida, e al suo posto ha giocato Fernandinho, che ha aperto le marcature mettendo la palla nella propria porta con il gomito su un calcio d’angolo. La partita è finita 2-1 per il Belgio, Courtois ha salvato un tiro a giro di Neymar all’ultimo secondo con un miracolo e il Brasile è stato eliminato. Inevitabilmente, in molti lo hanno insultato, dandogli della scimmia o accusandolo di portare sfiga. Alcuni non hanno potuto fare a meno di notare il numero che portava dietro la schiena, il 17, non tanto perché portasse sfortuna di per sé quanto per il momento che ricordava - quell’1-7 che forse Fernandinho non era ancora riuscito a spiegarsi.
In realtà, Fernandinho è sempre stato affezionato al numero sette. Era il suo numero preferito in Brasile e anche quello che ha portato sempre sulle spalle quando era allo Shakhtar Donetsk. Arrivato al Manchester City, trovando il 7 occupato, ha scelto il 25, perché suo figlio piccolo per qualche ragione dopo il suo passaggio in Inghilterra aveva detto che “adesso papà è il numero 25”. E visto che due più cinque fa sette, Fernandinho ha trovato un segno anche in questo. In Nazionale, però, aveva dovuto cambiarlo ancora, perché i numeri arrivavano solo fino al 23. E quindi ecco il 5 e poi il 17, che ha scelto dopo quel Mondiale. Senza pensare troppo al simbolismo che avrebbe potuto portare con sé o magari senza curarsene troppo.
Forse, come il resto del Brasile, Fernandinho ha semplicemente rimosso e non ci ha fatto nemmeno caso. In un’intervista concessa al Guardian nel dicembre del 2014 ha dichiarato di non aver mai più rivisto quella partita: «E penso che non lo farò mai». Alla domanda se si fosse finalmente spiegato cosa fosse successo quella notte, ha risposto: «Credo che non fossimo preparati all’idea di poter perdere».