«Il miglior momento della Nazionale? Credo sia ora». La sensazione di Neymar, che questo che sta vivendo la nazionale brasiliana sia il miglior momento degli ultimi otto anni (da quando lui ha esordito in verde-oro, cioè), è così condivisa che possiamo dirlo in modo ancora più chiaro: non c’è una nazionale favorita per la vittoria di questo Mondiale quanto è favorito il Brasile (a maggior ragione dopo il tentativo di autosabotaggio della Spagna con l'esonero di Lopetegui).
Da quando è allenato da Tite (cioè Adenor Leonardo Bacchi) il Brasile ha perso una sola partita, l’amichevole con l’Argentina di Sampaoli di un anno fa: ha vinto 17 volte, pareggiato 3, segnando una media di 2.2 gol a partita e subendone 5 in tutto (che in media su 21 partite fa 0.2). Tite lo ha preso che era sesto nel suo girone a giugno 2016, e meno di un anno dopo, a marzo ‘17, la sua squadra è stata la prima a qualificarsi per il Mondiale, con 10 punti di vantaggio sull’Uruguay.
Alla vigilia dell’inizio il Brasile era favorito dai calcoli di FiveThirtyEight (con il 19% delle possibilità di vincere, la Spagna si ferma al 17% e la Germania al 14%) e dai bookmakers. Ha battuto la Germania a marzo (unica sconfitta dopo una striscia di 22 risultati positivi per la squadra di Löw) e la Croazia a giugno; è ricco di purissimo talento individuale (forse solo la Francia si avvicina al potenziale offensivo a disposizione) ed equilibrato tatticamente.
E poi, lontano dalle pressioni e dalle aspettative di casa - comunque minori rispetto al passato: secondo un sondaggio a più della metà dei brasiliani non interessa la gita in Russia dei loro calciatori - sembra persino più leggero, più vicino alla nostra idea di Brasile. Persino il fatto che Neymar abbia saltato la parte finale della stagione per infortunio, almeno a giudicare dalle ultime amichevoli con i gol contro Croazia e Austria, sembra essersi rivelato un vantaggio, restituendo a Tite il proprio giocatore migliore al massimo della freschezza.
Ma quanto conta tutto questo, quando in un Mondiale basta una partita storta su sette per non vincere? Quando basta un solo gol per mandare mandare a monte il lavoro di due anni fantastici?
Breve storia del rinascimento brasiliano
Ovviamente, il momento peggiore degli ultimi anni per Neymar e per la nazionale brasiliana corrisponde a quei quattro giorni di inizio luglio 2014 in cui, dopo che il numero 10 ha rischiato di rimanere paralizzato per colpa di una ginocchiata di Zuniga, nei quarti contro la Comlombia, la squadra allenata da Scolari ha subìto 7 gol dalla Germania (5 nel primo tempo, di cui 4 in 6 minuti) in semifinale.
Tite, che in quel periodo si era preso un anno sabbatico per studiare (a più di cinquant’anni, dopo aver vinto tutto gli anni prima con il Corinthians, compreso il Mondiale per Club, in finale contro il Chelsea di Benitez) ricorda che persino sua moglie non riusciva a smettere di piangere: «Si stava mettendo nei panni della moglie dell’allenatore. Sapeva cosa volesse dire, non solo per i giocatori e per lo staff ma anche per le loro famiglie».
Dei titolari di quella sera sfortunata e tragica solo Marcelo e Fernandinho sono sopravvissuti fino a questo Mondiale. Paulinho e Willian sono entrati nel secondo tempo, mentre Thiago Silva era squalificato. Quattro anni, calcisticamente parlando, possono sembrare lontanissimi, basti pensare che Dani Alves aveva perso il posto a competizione in corso in favore di Maicon; ma il Brasile deve anche smaltire gli altri due traumi, più recenti, delle due Copa America consecutive.
Nel 2015 la squadra di Dunga - subentrato a Scolari per sommo dispiacere di Tite che a quel punto si sentiva già pronto per allenare la Seleçao - arrivava con 11 partite vinte di seguito, con solo 3 gol subiti, prima di perdere con la Colombia nel girone e farsi eliminare ai rigori dal Paraguay nei quarti (in campo c’era Robinho).
Un anno dopo, in occasione della Copa America Centenario giocata negli Stati Uniti, il Brasile non è neanche uscito dai gironi, pareggiando con l’Ecuador e perdendo con il Perù (eliminato da un gol di mano di Ruidiaz).
La storia recente del Brasile, quindi, parla di una squadra che si sfalda in maniera imprevedibile nei momenti decisivi, una squadra che forse emotivamente si sente ancora vittima di quella notte di luglio di quattro anni.
Il Brasile del 2018, per forza di cose, non è una squadra rivoluzionata rispetto a quella del 2016. Ma se “un allenatore deve conoscere la sua macchina”, come ha detto Tite, e quindi una squadra è come una macchina, anche un meccanico principiante sa che a volte basta cambiare un pezzo secondario, o stringere meglio una vite, per sistemare un problema che sembrava irreparabile.
In questo senso, Tite non ha dovuto inventare niente di troppo originale. Il suo Brasile non è molto diverso dal Corinthians con cui ha vinto il campionato brasiliano nel 2015 - con il record di vittorie, ottenuto per giunta in una situazione economica difficile, rinunciando al proprio stipendio e mostrando una capacità di gestire l’emotività e l’aspetto psicologico della squadra che a volte conta più di quello tattico. E va detto che Dunga gli aveva agevolato il compito, impostando già il suo Brasile sull’esempio di quella che era la migliore squadra brasiliana del momento.
Il 4-3-3 del Brasile è ovviamente molto più offensivo del 4-1-4-1 del Corinthians di Tite, ma l’importanza delle catene di fascia, il pressing alto, la compattezza in fase difensiva sono ancora i suoi princìpi di base. La sfida più grande, però, consisteva nell’adattare quelle idee al livello e alle peculiarità dei giocatori a disposizione.
E dato per scontato il modulo, scegliere un giocatore o un altro, con giocatori del genere, significa modificare anche la struttura di gioco.
Una squadra di giocatori unici
Oltre a poter contare su due dei singoli giocatori più in grado di influenzare il gioco della propria squadra, Marcelo e Neymar, entrambi sullo stesso lato del campo, Tite ha un’abbondanza tale di talento che in alcuni ruoli avrà a disposizione due giocatori entrambi di livello altissimo.
Con Alisson titolare, Ederson siederà in panchina; così come dovrà fare Firmino se Gabriel Jesus verrà confermato al centro dell’attacco. Se Willian sarà in campo sull’esterno destro, allora Douglas Costa dovrà stare fuori (se non per un infortunio di Neymar, che nessuno che ami veramente il calcio può augurarsi), ma rischiano di sedere entrambi contemporanemente in panchina, qualora Coutinho giocasse esterno destro, come lo scorso novembre in amichevole con l’Inghilterra (con Neymar a sinistra, ovviamente).
E se invece Coutinho giocasse mezzala sinistra, come nell’ultima amichevole con l’Austria o nel secondo tempo con la Croazia (le sole due occasioni recenti in cui Neymar è stato in campo) sarà probabilmente Fernandinho a stare fermo. Come, per giunta, Renato Augusto, che Tite ha allenato al Corinthians; o i brasiliani dello Shaktar, Fred (neo-acquisto del Manchester United) e Taison.
Con tutto questo talento può sembrare paradossale, ma l’ossatura centrale della squadra di Tite si regge su Casemiro e Paulinho, due giocatori più abili senza palla che in possesso e perfettamente complementari nei movimenti. Il che, però, dimostra l’armonia tra le idee di Tite e le caratteristiche dei migliori giocatori a disposizione.
Con Paulinho dentro l’area e la necessità costante di raddoppiare in fascia per la squadra che difende si crea spesso l’inferiorità al centro dell’area di rigore. Qui, dopo pochissimo, Gabriel Jesus segnerà di testa battendo il proprio marcatore tagliando sul primo palo. Notare anche Neymar da solo sul secondo e Fernandinho in anticipo su Goretzka.
Paulinho e Tite, nel 2012, hanno vinto il Mondiale per Club e la fortuna per il Brasile è che i due si siano ritrovati non quando Paulinho era ancora in Cina, ma dopo la stagione passata a Barcellona, a giocare proprio da trequartista/mezzala incursore. Paulinho è il centrocampista con il più spiccato istinto offensivo tra quelli in rosa, pur non essendo il più tecnico (nel Barça quest’anno ha segnato 9 gol, meglio di lui solo Suarez e Messi).
«È un giocatore speciale, unico», ha detto Tite. «Quando con il Brasile ci alleniamo sui cross gli altri giocatori mi dicono: Ok Professore, noi facciamo del nostro meglio per prendere la palla ma tanto, in ogni caso, sbuca Paulinho dal nulla e segna».
Paulinho garantisce presenza in area in una squadra di portatori di palla che rischia di isolare la punta (il titolare per ora sembra essere Gabriel Jesus, ma con un giocatore come Firmino abituato a venire incontro il problema si acuirebbe) e dare riferimenti troppo chiari alla difesa; ma è anche una risorsa pressoché insostituibile a palla persa, con la sua tendenza naturale a difendere in avanti.
Il Brasile è una delle squadre che durante il Mondiale vedremo provare a recuperare palla anche in zone molto alte di campo, pur non avendo una strategia fissa da seguire, tenendo come riferimento talvolta l’uomo, talvolta la palla.
Il pressing brasiliano non è intenso (addirittura il 44% del totale dei palloni vengono recuperati nel terzo di campo difensivo) e segue più che altro le difficoltà della squadra che ha davanti: se i difensori vanno nel panico, il Brasile sale e li spinge a lanciare lungo, per recuperare poi la palla all’altezza della metà campo o sulla linea difensiva.
Contro il 4-2-3-1 della Germania le due mezzali brasiliane seguivano i due centrocampisti avversari, con Paulinho che si spingeva anche molto in alto per seguire Kroos e Fernandinho che teneva d’occhio Gundogan. Se si abbassava un trequartista, ad esempio Goretzka, il terzino corrispondente, Marcelo, lo seguiva.
Il lavoro di Paulinho è perfettamente complementare a quello di Casemiro, che oltre a coprire le spalle ai terzini quando spingono (e andrebbe approfondito l’apporto benefico che il suo gioco ha avuto su quello di Marcelo negli ultimi anni) ha una capacità di leggere il gioco e scalare con aggressività nella zona o sull’uomo giusto davvero fenomenale. Casemiro, come nel Real Madrid, è l’ago della bilancia di una squadra che altrimenti tenderebbe a sbilanciarsi nella metà campo offensiva.
A differenza del Real Madrid, però, dove alle spalle ha due difensori centrali aggressivi abituati a difendere lontani dalla propria porta, deve coprire più spazio, mostrando a volte dei limiti di dinamismo quando è costretto a difendere all’indietro. Cosa che, comunque, capita molto di rado, per via della prudenza con cui il Brasile si lancia alla ricerca del pallone.
Una volta finito lo slancio, se l’avversaria gioca bene la palla dal basso (come è stato con la Germania), il Brasile copre il centro con attenzione con i cinque giocatori più avanzati e con Casemiro tra le linee, spingendo il gioco avversario sulle fasce. Anche quando viene costretto ad abbassarsi il Brasile non perde la pazienza, si schiera con un 4-1-4-1 mobile e scivola da un lato all’altro del campo.
Il rombo formato da mezzali, trequartisti e punta copre il centro e ingabbia Kroos e Gundogan; Casemiro dietro fa da battitore libero. Contro la Germania il Brasile ha avuto la palla il 42,1% del tempo e ha tenuto un baricentro medio piuttosto basso a 45 metri dalla propria porta.
Ma sia Paulinho che Casemiro hanno anche degli effetti collaterali di cui tenere conto. E ovviamente sto parlando della fase di impostazione. Il primo si muove sempre su una linea più avanzata e il solo fatto che si abbassi a ricevere palla dalla difesa, come si è visto a tratti contro la Croazia, è sintomo che qualcosa non va. Il secondo, invece, pur sfruttando maggiormente la sua tecnica in fase di possesso rispetto a quando faccia con il Real Madrid (contro la Germania ha toccato 89 palloni, per dire), non sarà mai un playmaker a suo agio spalle alla porta, con un uomo a pressarlo dietro, e non fa praticamente nessun movimento per smarcarsi quando la palla è ai centrali di difesa.
Neanche Fernandinho ha un primo controllo e una capacità negli smarcamenti in grado di permettergli di ricevere palla e girarsi verso la porta avversaria (piuttosto si limita a giocare di sponda) e se i tre sono contemporaneamente in campo le difficoltà del Brasile nel far salire la palla diventano vistosissime, con l’unico sbocco possibile sulle fasce e i terzini costretti a lanciare o a difendere palla dalla pressione avversaria.
Per questo Tite ha provato Fernandinho anche come centrale di centrocampo (perché comunque garantisce più fluidità di Casemiro) e, soprattutto, Coutinho come mezzala sinistra, ruolo che ha ricoperto anche nel Liverpool e nel Barça nelle ultime stagioni.
In panchina ci sono anche alcune vie di mezzo tattiche a disposizione, come Fred che darebbe un’opzione più tecnica davanti alla difesa, e Taison, entrato sempre come mezzala sinistra, più fisico di Coutinho ma più offensivo di Fernandinho. La gestione di Tite, in questo senso, farà (o meno) la differenza.
Sapere di poter segnare in ogni momento
Non ho sottolineato l’attenzione difensiva solo per ribadire quanto questo Brasile non corrisponda allo stereotipo della squadra sudamericana sbilanciata, o spezzata in due, ma perché per Tite le scelte offensive sono molto più semplici. «Mi affascina il Brasile del 1982», ha detto il tecnico. «Giocavano quasi senza pensare».
L’idea di una squadra che giochi con totale naturalezza, al di là degli stereotipi sul calcio brasiliano, è adatta a definire lo stile offensivo anche del Brasile di Neymar, Gabriel Jesus e Willian (o Douglas Costa). Naturalezza ovviamente non significa anarchia, quanto piuttosto avere a disposizione più di un modo con cui attaccare e poter scegliere seguendo il proprio istinto. Un’idea, tra l’altro, perfettamente in linea con le avanguardie dei club (penso soprattutto al Real Madrid di Zidane).
Il Brasile si trova benissimo ad attaccare in transizione - è devastante, anzi, anche con solo due giocatori, Neymar e Gabriel Jesus ad esempio, in grado di scambiarsi la palla con triangoli lunghi e arrivare in porta con due passaggi - ma non ha problemi ad aprire le difese chiuse impostando anche con calma, facendo salire i centrali di difesa fin nella metà campo avversaria.
Forse la cosa più sorprendente di questo Brasile è proprio il controllo mentale e tecnico che esercita sulle gare, tanto più raro per una nazionale. Fa uno strano effetto, in alcuni casi, vedere il Brasile far tornare indietro la palla ai centrali di difesa, o aspettare pazientemente nella propria metà campo tenendo le distanze orizzontali molto corte e la difesa non lontana dal centrocampo, ma è proprio questa la differenza più significativa rispetto al Brasile del 2014, che si buttava in avanti sperando di non farsi male (ma se l’è fatto).
La squadra di Tite può essere paziente perché sa di avere semplicemente troppe soluzioni individuali capaci di avere un impatto sulla struttura delle sue avversarie. Basta un dribbling di Neymar o di Douglas Costa a sbilanciare completamente la difesa avversaria; una progressione di Coutinho o Willian ad attirare fuori posizione un giocatore; un taglio di Gabriel Jesus o una giocata di Firmino tra le linee ad aprire uno spazio. Non mancano i tiratori da fuori (Casemiro, Coutinho, Willian) e se le squadre si chiudono il Brasile fa salire i terzini e Paulinho riempie l’area aspettando il cross.
Sulla solidissima base del talento individuale, Tite ha costruito un sistema di gioco semplice, basato sui triangoli in fascia per risalire il campo. Contro la Germania le linee di passaggio più tracciate sono state quelle da Dani Alves a Willian (13 passaggi), da Marcelo a Coutinho (16) e dai centrali difensivi ai terzini (14 per uno). È un gioco adatto a coprire i punti deboli di almeno due centrocampisti su tre, e ad esaltare le qualità di un terzino-regista come Marcelo, ma d’altra parte l’infortunio di Dani Alves di fatto ha reso il Brasile ancora più asimmetrico.
Adesso c’è un lato sinistro troppo più forte (la catena Marcelo-Coutinho-Neymar sarebbe per distacco la più tecnica e imprevedibile del Mondiale) del destro e difficilmente una delle squadre che dovrà affrontare al Mondiale scenderà in campo senza tenerne conto. Se a sinistra tutti i giocatori vogliono la palla sui piedi, a destra Paulinho si allontana quasi sempre dalla zona della palla, mentre Danilo e Fagner, al di là dei problemi difensivi, sotto pressione non sono una garanzia al livello di Dani Alves per conservare il possesso. È facile immaginare che sarà da quel lato che le sue avversarie cercheranno di spingere il possesso brasiliano.
Per questo sembra difficile che Tite rinunci a Willian in alto a destra. Pur essendo destro di piede, Willian ama venire dentro al campo, ricevendo nello spazio di mezzo, anche molto in basso, per far sovrapporre il terzino esternamente.
Willian è uno dei giocatori più sottovalutati tra quelli di prima fascia e dal punto di vista tattico è un coltellino svizzero, autosufficiente quanto Neymar (seppur meno influente) grazie alla sua straordinaria qualità in ricezione (un primo controllo al velcro che a volte basta a togliergli la pressione dell’avversario di dosso) e alle conduzioni palla al piede con cui muove le linee avversarie.
Con Willian, Coutinho e Neymar è impossibile garantire sempre il raddoppio. Qui Coutinho, dopo aver ricevuto nello spazio, si limita a mandare Neymar nell’uno contro uno. Neymar, da parte sua, aspetta che tornino altri difensori così da poterli dribblare tutti nel cuore dell’area prima di scagliare un missile sotto la traversa. Il primo gol di Neymar dopo essere rientrato dall’infortunio al metatarso.
Le alternative sono Coutinho, che però non si avvicina neanche alla pericolosità di Willian in transizione, e Douglas Costa, un giocatore più diretto che forse Tite terrà come soluzione per i secondi tempi quando gli spazi si apriranno. Non va neanche sottovalutata l’attenzione di Willian in fase di non possesso, soprattutto perché dall’altra parte Neymar non difende per niente e lo schieramento difensivo del Brasile diventa una specie di 4-4-2 asimmetrico, con le distanze più lunghe e Willian che deve difendere da esterno di centrocampo.
Neymar è esentato da compiti difensivi perché le fortune offensive del Brasile dipenderanno molto dalla sua vena (e anche perché sarebbe comunque difficile provare a insegnargli a difendere). Neymar viene da un anno pieno di polemiche e, a livello europeo, calcisticamente insoddisfacente, ma con il suo Brasile sembra più disponibile a giocare con i compagni e meglio inserito nel contesto di squadra. Un po’ perché lui gioca con uno spirito diverso, meno conflittuale rispetto al PSG, un po’ perché sembra che ai compagni di squadra non pesino i suoi difetti.
Certo, Neymar tira e dribbla moltissimo (contro l’Austria gli sono riusciti 6 dribbling e 6 ne ha sbagliati) e perde troppo spesso palla (26 volte, sempre contro l’Austria, l’unica amichevole giocata dal primo minuto), ma le sue corse elettriche palla al piede si incastrano bene con la tendenza di Gabriel Jesus a tagliare il campo in profondità, dettandogli il passaggio o, alle brutte, facendogli spazio. Così come Willian e Paulinho sono sempre disponibili per uno scarico o uno scambio rapido, magari al limite dell’area, provando a costruire un tiro o una penetrazione in area.
Neymar, oggi, non è ancora il giocatore che probabilmente lui immagina di poter essere, il playmaker che si abbassa a iniziare l’azione quando c’è troppa pressione e poi, dopo essersi liberato della palla, riappare nel posto giusto al momento giusto per concluderla. Si abbassa spesso anche quando non ce n’è bisogno ed è sempre troppo verticale sia quando porta palla sia nel passarla.
Neymar è molto più vicino ai suoi due eroi brasiliani, Romario e Ronaldo, e sembra istintivamente voler concludere ogni azione con pochi passaggi. Il punto è che l’idea di un calcio così facile, che non esiste se non per alcuni rari momenti, non è solo espressione del suo egoismo, ma anche del fatto che in effetti lui è abituato a far succedere le cose facilmente non così di rado.
Il gol contro l’Austria, in cui i difensori cadono per effetto delle sue finte, o la serpentina contro la Croazia, danno l’idea di un giocatore che da solo può risolvere qualunque partita. Non è così, e Tite lo sa, ma ha pensato con grande attenzione al cast che condividerà il palco con Neymar, dandogli un copione che sembra scritto apposta per far brillare la star principale.
Se questo Brasile non è solo di Neymar, le fortune brasiliane in questo Mondiale dipenderanno soprattutto da Neymar, tanto vale non rovinargli l’illusione che se le cose andranno come vorrà, sarà solo merito suo.
Cosa può andare storto?
Come detto all’inizio, in un Mondiale basta pochissimo perché il lavoro degli anni precedenti finisca in cenere. Ho omesso fin qui di parlare della difesa proprio perché è il più grande limite di questa squadra. Il dettaglio che da solo può rovinare la festa annunciata.
Thiago Silva è lontano dalla migliore versione di sé e viene da una stagione difficile, dove è stato messo in questione anche dal punto di vista del carattere. Fisicamente non garantisce più l’esplosività in marcatura di un tempo e con Miranda (che sembra favorito su Marquinhos) forma una coppia di difensori che non deve assolutamente trovarsi a difendere in spazi troppo grandi.
L’idea è che, grazie alle coperture profonde di Casemiro o Fernandinho alle spalle dei terzini, e in raddoppio nelle fasi più statiche (Danilo e Fagner hanno entrambi grossi limiti negli uno contro uno difensivi), Thiago Silva e Miranda debbano difendere in area di rigore, dove ancora possono dire la loro (la Germania ha fatto 23 cross, 12 dei quali dei terzini). Ma in realtà finiscono troppo spesso per scappare all’indietro.
Basta un passaggio a Toni Kroos per far scappare tutto il Brasile verso la propria area. E non è un caso che azioni di questo tipo succedano dalla parte di Marcelo.
È anzitutto la presenza di Casemiro a dilatare la distanza tra le linee di difesa e centrocampo ed esporre i centrali direttamente. Dal punto di vista tattico il vero punto debole del Brasile sono le ricezioni nello spazio dietro le mezzali e forse sarebbe più semplice schierarsi con due linee piatte e compatte, almeno nelle partite contro squadre di alto livello.
Se la palla filtra attraverso il pacchetto centrale a venire esposte sono direttamente la scarsa aggressività di Thiago Silva e Miranda e i limiti storici di Marcelo in fase difensiva. Le squadre avversarie lo sanno benissimo e già la Croazia in amichevole ha cercato costantemente il 2vs2 con Rebic nello spazio dietro a Marcelo. Va da sé che se la mezzala da quel lato è Coutinho le possibilità che gli attacchi avversari passino di lì aumentano.
Così, se Tite sceglierà la versione più conservativa del suo Brasile, proteggendo meglio il centro-sinistra con Fernandinho, la sua squadra rischierà di faticare a far uscire la palla dalla difesa e di subire il pressing avversario; se invece vorrà impostare una partita di possesso e controllo con Coutinho, scoprirà il fianco sinistro alle transizioni avversarie e metterà in difficoltà i centrali difensivi. A questo va aggiunto il fatto che qualsiasi terzino destro giocherà (Danilo sembra favorito) sarà una specie di corpo estraneo nel sistema brasiliano, una fragilità in fase difensiva e in possesso pallo.
Tutto sommato, neanche il Brasile può essere certo di mantenere l’equilibrio costruito a fatica in questi anni nel corso del Mondiale. Il girone offrirà un buon banco di prova, a cominciare dalla partita di esordio con la Svizzera, ma non è certo dei più semplici per una squadra che al momento non possiamo sapere come reagirà trovando intoppi sul suo percorso. Come reagirà il Brasile se dovesse andare in svantaggio durante la fase eliminatoria? Manterrebbe la sua compostezza o finirebbe per affidarsi a un tentativo di sfondamento di Neymar dopo l’altro?
L’abito tattico di Tite è adattato sulle misure di otto uomini più la stella della squadra, giocatori che se tutto va bene saranno in grado di vincere la Coppa del Mondo e cancellare il ricordo di quattro anni fa. Ma in un Mondiale non c’è grande margine di errore, neanche per la squadra che tutti danno come favorita del torneo.