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Bret Hart, il wrestler senza personaggio
11 lug 2024
11 lug 2024
Una delle figure più influenti nella storia del wrestling professionistico.
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Il 5 maggio del 2002 va in onda Sunday Night Heat. È l’ultimo show targato WWF prima di cambiare nome in WWE, dopo che l’altra WWF, quella dei panda, aveva avviato una controversia legale. Con il nuovo acronimo arriva anche una nuova narrazione: si passa dalla Attitude Era alla Ruthless Aggression Era.

La stagione si è chiusa portandosi via diverse icone e faide memorabili: Hulk Hogan, capofila della Golden Era, Stone Cold” Steve Austin, “The Heartbreak Kid” Shawn Michaels, leader della New Generation Era. Proprio questi ultimi due condividono un personaggio attorno a cui si sviluppano le loro carriere: Bret “The Hitman” Hart. L’unico capace di sopravvivere al passaggio delle generazioni da dilettante, diventando pietra d’angolo per la costruzione di nuovi idoli.

Hart si guadagna il soprannome di “The Hitman” grazie alla sua precisione, all’abilità tecnica e alla meticolosità che attribuiva ad ogni sua prestazione sia fuori che dentro il ring. Hart, però, è più di questo. Il fighter canadese è qualcosa di nuovo perché in realtà non interpreta niente, cercando di portare i suoi valori nella gimmick. L’incorruttibile, senza paura ed eroico “Hitman” riflette la sua personalità animata dall’importanza degli affetti, della famiglia, il rispetto delle tradizioni, l’amore per l’arte. In un ambiente che mette sullo stesso piano sport e spettacolo, nel quale pagano le personalità eccessive, Bret Hart non è un personaggio e non si sforza di esserlo. È il ring a parlare per lui.

Sangue blu

«Il wrestling non è mai stato il mio sogno, e troppo spesso è stato il mio incubo. Eppure, radicato in me fin dalla nascita, era l'istinto di difenderlo come una religione. [...] A differenza di tanti wrestler con i loro vari nomi inventati e personaggi adottati, ero autentico, nato Bret Hart in un mondo del wrestling dal quale non potevo scappare. Non posso dire che la vita sia stata facile, ma posso dire che è stata interessante»

L'arco di Bret Hart corre accanto a quello del professional wrestling, come se fosse destinato a seguirlo. D’altra parte, nasce in una famiglia di wrestler. Il padre è Stu Hart, wrestler professionista, proprietario della federazione di wrestling Stampede e fondatore della scuola di wrestling Dungeon. È da lui che apprende la disciplina e la dedizione necessari per sopravvivere nell’ambiente.

La casa degli Hart era un ecosistema a sé stante nel quale si mangiava, beveva e respirava solo wrestling. Nel seminterrato era situata la scuola, dunque, e i più piccoli potevano sentire dal soggiorno lamenti, rumori di bump e rimproveri da parte di Hart padre ai suoi studenti. Stu era molto duro, quasi sadico: provava un oscuro piacere nel contorcere le articolazioni e disallineare le giunture dei suoi apprendisti.

Bret ricorda in più di un’intervista di quando si allenava col padre che gli stringeva così tanto il corpo da fargli scoppiare i vasi sanguigni nel retro dei bulbi oculari. «Questo è il tuo ultimo respiro, questa è la tua ultima visione!», gli diceva.

La famiglia era composta da dodici figli di cui otto fratelli e quattro sorelle. I ragazzi sono diventati presto tutti wrestler, le ragazze i wrestler li hanno sposati. E pensare che Stu aveva promesso alla moglie che il business sarebbe rimasto in piedi per massimo altri due anni. La situazione finanziaria in casa era pesante. Si alternavano velocemente periodi di magra - per via della scarsità di performer, della poca creatività delle storyline (la trama narrativa che coinvolge i wrestler e gli eventi sviluppati attraverso segmenti di spettacoli, interviste e match) o dell’impossibilità di trasmettere in televisione gli show settimanali - a fugaci periodi di opulenza e nuovi investimenti.

Quando Stu vende la Stampede a Vince McMahon, Bret, i suoi fratelli e i cognati - “British Bulldog” Davey Boy Smith e Jim “The Anvil” Neidhart - entrano tutti a far parte, nel 1984, del nuovo roster della WWF.

L’ascesa in WWF

«Ho passato tutta la mia vita a dimostrare a mio padre che ero capace e l’ho fatto anche con Vince in WWF. Erano due figure paterne per me, capaci di strabiliarmi ma anche intimidirmi»

Bret ha una relazione complicata tanto con suo padre quanto con il patron della WWF, Vince McMahon. Le divergenze creative iniziano a farsi sentire già dal primo incontro: Vince lo vuole cowboy, Bret rifiuta categoricamente chiedendo invece di unirsi alla stable - cioè un gruppo di wrestler - di Jimmy Hart in cui era già presente “The Anvil”. Si forma così la storica Hart Foundation e iniziano a piovere i primi successi nella divisione Tag Team.

Il canadese inizia un’operazione di rebranding che va dall’attire, cioè il vestiario, alla gimmick (il personaggio)passando per le abilità in-ring. I suoi costumi iniziano a colorarsi di rosa e nero aggiungendo i caratteristici occhiali da sole utilizzati dapprima per mascherare il nervosismo e poi divenuti parte integrante dell’hitman-fashion. Nel ring, invece, si distingue per la tecnica pulita, precisa e il lavoro mirato che svolge sull’avversario guadagnandosi il soprannome di “The Excellence of Execution” dato da un ammaliato Gorilla Monsoon.

Ma Hart fa anche un lavoro tecnico sul suo immaginario. L’Hitman è un assassino che necessariamente ha bisogno di un’arma, e Hart la trova nella cosiddetta Sharpshooter, ideata in Giappone (dove viene chiamata Sasori gatame) e rinominata così proprio da lui. È una mossa di sottomissione che, grazie alla forte leva operata sulle gambe, riesce a creare una torsione tale da imporre un carico di tensione insopportabile nella parte bassa della schiena. Il dolore diventa eccessivo anche per il modo in cui Hart lavora sulla schiena dell’avversario, dopo aver fiaccato la sua resistenza per tutta la durata dei match. Sono innumerevoli gli headlocks, gli sleeper holds, gli half nelsons, gli hammerlocks, i backbreakers, i russian legsweeps, i back body drops che sfiniscono l’avversario.

Questo stile così tecnico e incalzante è stato sicuramente influenzato dal background di wrestler amatoriale che possedeva Hart prima ancora di diventare wrestler professionista, un po’ come Kurt Angle. Hart, infatti, ha vinto numerosi campionati in giro per il Canada, prima di arrivare alla WWF. Nel 1974 da underdog vince il campionato cittadino di Calgary portando a casa una bellissima medaglia. Quando la mostra a suo padre commosso, Bret capisce di potercela fare. La carriera nel wrestling amatoriale termina dopo essersi fermata a un passo dalla partecipazione ai Giochi del Commonwealth, a cui rinuncia per seguire la strada del pro-wrestling.

Le soddisfazioni non tardano ad arrivare. Prima vince il prestigioso titolo di Campione Intercontinentale in un superlativo match contro Mr. Perfect a Summerslam del 1991, poi lo cede al cognato "British Bulldog" in un altro capolavoro tecnico di lotta allo stesso evento l’anno successivo. Nel 1992 riesce a catturare la cintura WWF da un tenace Ric Flair in Canada e decide di essere un fighting champion. Ora “Hitman” luccica nel panorama del wrestling, imprimendo la sua immagine con incontri indimenticabili. Prima la vittoria con Razor Ramon, poi il titolo perso per mano di Yokozuna.

Nel frattempo, diventa nuovamente King Of The Ring. È il primo nella storia a vincere per due volte il prestigioso torneo iniziando una leggendaria faida con suo fratello Owen, che iniziava a covare un sentimento di invidia e frustrazione nei suoi confronti. Lo scontro culmina in un memorabile incontro a WrestleMania X, dove Owen riesce a sconfiggere Bret dimostrando al pubblico di essere all’altezza del fratello.

Nei due anni seguenti la carriera di Bret Hart è caratterizzata da altri incontri memorabili. La faida con Diesel, tra cui il violento No Holds Barred alle Survivor Series 1995. La chiusura definitiva della rivalità con Owen in uno Steel Cage incredibile che gli vale il premio di “Feud of the Year” dal WON (la storica Wrestling Observer Newsletter gestita dal giornalista Dave Meltzer) e l’incontro con Shawn Michaels nel famoso 60-minutes Iron Man Match.

Madison Square Garden isn’t a church but it’s Holy Grail

Nell'aprile del 1996, Bret si prende un periodo di pausa dagli show, forse deluso per le recenti sconfitte o più probabilmente per via di offerte più vantaggiose da altre promotion, come per esempio la WCW. Alla fine, però, il canto della sirena di Ted Turner - un canto da 9 milioni per tre anni - viene ignorato preferendo rimanere leale a McMahon, accettando un contratto ventennale in WWF per una somma molto minore.

Durante la sua assenza, a King Of The Ring 1996 accade una vera e propria rivoluzione, che segna l’inizio dell’Attitude Era: l’ascesa di Steve Austin. Il nuovo “Stone Cold” vince il torneo battendo il cristiano rinato Jake “The Snake” Roberts e al momento dell’incoronazione si pronuncia in maniera tagliente.

"You sit there and you thump your Bible, and you say your prayers, and it didn’t get you anywhere. Talk about your psalms, talk about John 3:16… Austin 3:16 says I just whipped your ass".

Nei mesi successivi, il cattivissimo “Stone Cold” sembra essere animato da una furia vendicatrice mista a voglia matta di affermarsi tra i performer che contano davvero. Dimostrare di esser pronto ad ambire ai titoli più prestigiosi ed essere riconosciuto come una vera e propria leggenda. E cosa può garantirgli di raggiungere quello status più di riuscire a sfidare e battere quello che veniva definito “il migliore che è stato, che è e che per sempre sarà”?

Il guanto di sfida viene lanciato davanti al fedelissimo di Hart, Brian Pillman, in un episodio di Superstars nel quale Austin annuncia di esser il migliore al momento. La risposta non tarda ad arrivare e i due si sfidano due settimane dopo. Sebbene Bret fosse fermo da un po’ e poteva in teoria accusare un po’ di ruggine, Austin, intimidito, cerca di evitare il più possibile i suoi colpi insultando la folla, uscendo dal ring, colpendolo illegalmente con un pericoloso piledriver sul pavimento. Hart risponde utilizzando tutte le armi a sua disposizione. Le numerose sottomissioni, le gomitate dal paletto, enfatizzando ogni controffensiva di Steve Austin come se fossero dei colpi mortali. Certo, non vengono portate a termine né la Stunner né la Sharpshooter ma il canadese riesce ad effettuare un roll-up improvviso che gli regala la prima vittoria.

Nelle successive settimane, essendo Hart ancora lontano dagli schermi, i conflitti tra Brian Pillman e Steve Austin si intensificano. La faida sfocia nel segmento “Pillman’s got a gun”, fondamentale per stabilire la gimmick di Austin come quella dell’inarrestabile “Rattlesnake”, pronto a varcare ogni limite.

Hart ritorna nell’ottobre del 1996 e si dimostra disponibile a disputare una rivincita alle Survivor Series, a New York, avvertendo Stone Cold che il Madison Square Garden non è una Chiesa ma comunque un terreno sacro, un luogo di culto. Insomma: ci sono dei limiti da rispettare.

Il match viene fissato per novembre aggiungendo la possibilità, per il vincitore, di sfidare il campione WWF in carica. I promo continuano a intensificarsi, Stone Cold attacca Hart su qualunque aspetto del suo personaggio: il vestiario rosa - dice lui in maniera misogina - quasi femmineo, l’età avanzata, la possibilità che la sua carriera finisca con quella sconfitta.

L’incontro arriva ed è un crescendo memorabile. I due si ritrovano faccia a faccia sul quadrato con gli spettatori che si sgolano al suono di “Let’s go Bret”. Nella fase iniziale le classiche prove di forza, lavoro tecnico di Hart con le sue sottomissioni e qualche controffensiva di Austin. Il selling (l'arte di far sembrare reali i colpi ricevuti, convincendo il pubblico della loro autenticità) è impeccabile, entrambi lottano a terra come se fosse il loro ultimo match in federazione. La contesa prende una piega pericolosa per il canadese quando viene trascinato fuori dal ring, dove la sua tecnica non può più aiutarlo. Austin inizia a incalzare con il suo striking pesante e, dopo una fase molto dura, il canadese riesce a tornare nel ring col fiato corto e dolorante. Non siamo più nel 1991 contro Mr. Perfect, dice Jim Ross al commento, qui è alle prese con un nemico ben più tenace.

Entrambi sfiniti, riescono a rialzarsi e per Austin è l’occasione della vita per effettuare la Stunner. Schienamento: 1, 2… ma Hart si rialza. Incredulo, effettua un altro, altri due schienamenti prima di vedere Hart rialzarsi ogni volta. C’è un tentativo di Sharpshooter che viene negato, una jawbreaker di Austin e infine una sequenza frenetica. “Stone Cold” attacca con una sleeper hold, Bret mette insieme le ultime forze e capovolge la presa in uno schienamento fortuito. È la mossa che lo porta alla vittoria, al Madison Square Garden. Hart è sfinito, “Stone Cold” si sente derubato. Nel professional wrestling non bisogna mai sottovalutare l’astuzia degli avversari, specie di un maestro come “Hitman”.

Non è l’ultimo capitolo della loro rivalità. Nel gennaio 1997 sia Hart che Austin si qualificano per il Royal Rumble Match. Steve Austin viene eliminato da Bret Hart ma gli arbitri, distratti da una rissa extra-ring provocata da “Mankind”, non se ne accorgono: il texano si nasconde furtivamente sotto al ring per ben 35 minuti così da risultare ancora un partecipante del match e ricomparire nella sequenza finale. Quando rientra nel ring di nascosto, ci sono Hart e Diesel che si scontrano da un lato, e Undertaker e Vader dall’altro. Elimina quindi gli ultimi due e, poco dopo che quello ha eliminato Diesel, butta Hart giù dal ring. “Stone Cold” Steve Austin vince così la Royal Rumble 1997. Hart, furioso, nei giorni seguenti non si presenterà agli show per protesta.

Per provare a calmare le acque, la WWF indice un Fatal Four Way a In Your House: 13 con gli ultimi tre eliminati da Austin: oltre a lui, quindi, ci sono Vader, The Undertaker e Hart. Il vincitore si gioca la presenza al Main Event di Wrestlemania 13 e di lì a poco anche l’assegnazione vera e propria del titolo, dopo che il campione Shawn Michaels rende vacante la cintura (per alcuni proprio per non essere sconfitto da Hart). "The Hitman" elimina tutti e tre i contendenti e si prende la possibilità di diventare campione ma la sua speranza dura poco. Austin, infatti, gli farà perdere la cintura grazie alle sue interferenze nella difesa titolata il giorno seguente a Raw favorendo Sycho Sid che diventa il nuovo campione.

Rivoluzione narrativa

Bret Hart ha ormai raggiunto il punto di saturazione. Non ne può più di Steve Austin, dei suoi sotterfugi e del suo tormento. Se ne lamenta pubblicamente, prendendosela con la dirigenza WWF, e in particolare con Mr. McMahon che permette al “Rattlesnake” di sabotarlo continuamente senza prendere provvedimenti. Durante un’intervista lo aggredisce, lo colpisce e gli urla contro, accusandolo di essere un tiranno. È il promo shoot fuori dal copione che metterà la prima pietra per l’evoluzione del personaggio di McMahon, che diventerà un tiranno a tutti gli effetti, una figura che caratterizzerà l’Attitude Era seguente. Di conseguenza, la card di Wrestlemania 13 viene aggiornata: nel Main Event ci saranno Taker contro Sid per il titolo WWF ma ci sarà anche il rematch tra Austin e Hart.

Sì, perché la faida tra Austin e Hart non può risolversi con un semplice schienamento: deve esserci una resa totale. Per questo si opta per un No Disqualification Submission Match che, da una parte favorisce il maestro delle sottomissioni, “The Hitman”, ma dall’altra anche l’ingegno rissoso di Austin. L'arbitro scelto per la contesa è Ken Shamrock, considerato un giudice neutrale ed esperto di sottomissioni per via del suo background nelle arti marziali miste.

Questo ennesimo capitolo della faida tra Austin e Hart segna un cambiamento epocale per la storia del wrestling. "Stone Cold” infatti si presenta in maniera così negativa, caotica e violenta da iniziare ad apparire cool agli occhi del pubblico. Le arene iniziano a riempirsi di cartelli in onore di “Austin 3:16”, le sue gesta violente cominciano a venire elogiate. “Stone Cold" è un fenomeno in ascesa: al microfono è esageratamente carismatico, ironico e fin troppo portato per quella parte. Bret Hart, di conseguenza, inizia ad essere percepito con meno calore: gli spettatori sono annoiati dall’incorrutibile eroe che riesce a sconfiggere il male, dal bravo ragazzo col talento che rispetta le regole ed è leale. Il pubblico del wrestling ormai è più maturo e chiede le sfumature di grigio, non più il netto bianco e nero. Le cose non saranno più come prima e Bret Hart entra in crisi.

Per provare a risollevarlo, Vince McMahon chiama Hart d’urgenza e gli chiede di diventare heel a Wrestlemania. Il fighter canadese è addolorato ma alla fine accetta. Da parte della WWF è una trovata geniale. Sarà un doppio turn contemporaneo nel quale Austin diventerà face e “Hitman” heel, con una vera rivoluzione per la narrazione di wrestling.

La notizia viene tenuta segreta fino al giorno di Wrestlemania XIII, anche allo stesso “Stone Cold”. I due atleti si interrogano su che tipo di storia possano raccontare insieme per rendere omaggio a questa lunga faida. Hart, da vero visionario, suggerisce che nel finale “Stone Cold" non debba cedere alla Sharpshooter ma semplicemente far terminare il match in un No Contest, così da far vincere Hart ma non far cedere Austin. Hart aggiunge che sarebbe bello se Steve Austin perdesse un po’ di sangue con un bladejob, (un espediente drammatico per provocarsi delle ferite nei match con delle lame nascoste) che però l’altro non ha mai provato prima. Hart gli giura di andare cauto e che di un veterano come lui può fidarsi: d’altra parte in più di dieci anni di carriera non ha mai infortunato nessuno, figuriamoci in un palcoscenico come quello di Wrestlemania.

Il 23 marzo del 1997, a Chicago, si consuma così ciò che può essere considerato una delle più grandi lettere d’amore per il pro-wrestling. In questo instant classic, c’è tutto: rivalsa, orgoglio, rettitudine, dedizione che si mischiano e affrontano quasi come alter ego, entità che aleggiano in un duello al di sopra degli stessi fighter. L'incontro è pieno di momenti di alta qualità come le risse extra-ring, il lavoro meticoloso di Hart sulle leve inferiori di “Stone Cold” e l’utilizzo di sedie, cavi, bell-ring per tentare di estorcere una resa a vicenda.

Austin non cede alla Sharpshooter, piuttosto si dimena, urla, resiste, prova ad avvicinarsi alle corde ma Hart incalza, quindi, ormai ridotto ad una maschera di sangue, smette. Sembra perdere i sensi, non risponde all’arbitro che continua a chiamarlo. Ormai "Stone Cold" è a terra esanime. L'arbitro determina finita la contesa: Hart ha vinto ma Austin non ha mai ceduto.

Nel post-match avviene ciò che è stato pattuito, Hart infierisce con violenza su Steve Austin tramutando i cori di incoraggiamento in fischi di disapprovazione. I commentatori sono sconvolti, il pubblico è stupito, nessuno aveva mai visto Bret Hart così colmo d’ira, tanto che Shamrock è costretto ad allontanarlo. Steve Austin fa appena in tempo a riprendersi che Bret Hart è già tornato nel backstage. Da lì, per l’Hitman, nulla sarà più come prima.

Molti dicono che “Stone Cold” Steve Austin non sarebbe esistito senza Bret Hart - non solo un prestigioso talento ma soprattutto un uomo che comprende fino in fondo lo spirito del wrestling, i suoi meccanismi, le emozioni dei fan. Bret Hart sapeva di dover consacrare Steve Austin ed è riuscito a farlo, vincendo. Che c’è di meglio? Ogni colpo di Austin sembrava assolutamente reale, le divergenze tra gli atleti in linea coi personaggi. Erano tempi in cui la kayfabe (rispettare le storylines anche nella vita reale preservando l’illusione dello sport-spettacolo)veniva al primo posto e rispettata come una legge divina. Il legame tra i due atleti è tuttora saldissimo, fatto di gratitudine e stima reciproca, tanto che è stato proprio il “Rattlesnake” a chiedere che “The Hitman” venisse inserito nella WWE Hall Of Fame.

La formulazione del personaggio heel di Hart è un lampo di genio anche perché sarebbe stato benvoluto ovunque ma fischiato negli Stati Uniti. Il suo personaggio positivo, insomma, non è stato completamente stravolto con quest’ultima svolta. Un cambio di rotta ancora una volta motivato da un sentimento che provava davvero: il fatto di sentirsi tradito dai suoi fan e dal business nel quale era cresciuto e che aveva da sempre idealizzato. In questo senso, il modo più facile e sempreverde di suscitare reazioni negative dal pubblico americano è quello di attaccare il loro lato più patriottico: gli Stati Uniti e le loro tradizioni, le istituzioni e il loro modo di vivere sarebbero stati d’ora il bersaglio di Bret Hart nei promo. Il Canada e la sua mentalità più “europea” sarebbe diventata la sua bandiera.

La Hart Foundation diventa una specie di spazio extraterritoriale dentro la WWF: la loro entrata in gruppo e quella in singolo di Hart vengono accompagnate da bandiere e striscioni canadesi; perfino l’attire viene costellato da foglie d’acero prima assenti. “The Hitman” diventa il top heel della federazione negli Stati Uniti continuando ad essere un top face in tutte le restanti aree del mondo.

Il suo lavoro al microfono in questo periodo è il migliore della sua carriera. Celebre è il promo da più di 20 minuti nei quali Hart attacca il sistema sanitario americano, la mancanza di controllo delle armi e la tendenza degli americani ad idolatrare criminali come Steve Austin. Ogni settimana le dichiarazioni si facevano più pesanti, la recitazione più intensa e le provocazioni più acute. Hart è riuscito a creare un’evoluzione del suo personaggio unica restando pur sempre se stesso.

Tramonto e legacy

Come in tutte le storie, anche in questa l’apice contiene al suo interno il germe della sua fine. In questo caso è il turn heel di Shawn Michaels, che finisce per incrinare la brillantezza del personaggio antistatunitense facendo vacillare l’interesse nella sua scrittura anche da parte di Vince McMahon. La goccia che fa traboccare il vaso è la formazione della D-Generation X che, insieme a Steve Austin, diventa il cavallo da battaglia della WWF per assicurarsi la vittoria degli ascolti contro la promotion concorrente WCW.

La D-Generation X viene creata da Vince McMahon come risposta alla New World Order (NWO), che si era formata in WCW pochi anni prima. La NWO era una stable heel che dominava gli show incontrastata creando molto interesse nel pubblico e tenendo alti gli ascolti; dunque, alla WWF serviva una degna antagonista più feroce. La Hart Foundation era sì una stable heel, ma più debole a livello di character in quanto i suoi componenti erano bravissimi solo a farsi odiare negli Stati Uniti, senza riuscire a farsi apprezzare. Serviva insomma un prodotto americano e carismatico a sufficienza.

Il personaggio del degenerato ormai funziona benissimo, seguendo la stessa parabola di Steve Austin. Un uomo che si rifiuta di rispettare ogni autorità, di seguire le regole, che utilizza linguaggio offensivo e provocatorio, che crea scenette conturbanti che catalizzano l’attenzione del pubblico. Un tipo di immaginario che richiede personaggi sopra le righe, così diabolici da diventare affascinanti.

In questo mondo, Bret Hart è il passato. Per uno cresciuto nell’industria da quando ne aveva memoria, era molto difficile inserirsi in questo nuovo filone narrativo colmo di eccessi. Non esisteva più la contrapposizione del bene al male definiti in maniera chiara e distinta, e il target delle trasmissioni non era più accessibile a bambini, preadolescenti o addirittura adolescenti. A questo punto la stessa permanenza di Hart in federazione viene messa in discussione.

I rapporti con McMahon si logorarono definitivamente prima ancora della tragica morte del fratello Owen e del trauma del cosidetto Montreal Screwjob. Bret Hart richiama allora Ted Turner e poco dopo approda in WCW. La sua carriera ad alti livelli, però, di fatto finisce qui.

Per Bret Hart, però, non è solo questione di vittorie e sconfitte.L’eredità che la sua faida con Steve Austin lascia ai posteri è gigantesca e ancora oggi, a circa trent’anni di distanza, è ben visibile. Un esempio è la faida tra Roman Reigns e Cody Rhodes. La costruzione della storia tra i due, sviluppata in un lungo arco di tempo (long-term booking) in maniera simile a quella tra il canadese e il texano, ha fatto sì che Cody Rhodes, anche nelle sue disfatte, mantenesse uno status positivo, tale da non far perdere l’attenzione sulle sue abilità e a non mettere in pericolo un campione dominante come il "Tribal Chief". D'altro canto, la ricostruzione del personaggio heel del samoano ricorda un po’ l’evoluzione da heel di Hart: Reigns è passato dall’essere un top face da dover ingoiare a tutti i costi (quasi come John Cena) all’essere un acclamato top heel grazie ad un personaggio più definito e innovativo.

La scuola canadese, inoltre, ha sfornato alcuni tra i performer più carismatici delle generazioni seguenti: Chris Benoit, Lance Storm, Chris Jericho, Adam “Edge” Copeland, Christian Cage e Mark Henry. E se è vero che non li ha allenati direttamente, di certo li ha influenzati molto. Altri esempi della sua influenza sono Bryan Danielson (l’ex WWE Daniel Bryan) e CM Punk, due dei wrestler più rilevanti degli anni 2000. La personalità carismatica senza degenerazioni del primo, il suo stile tecnico serrato e preciso, il talento nel tessere una storia tra le corde più che al microfono ricordano moltissimo la figura di Bret Hart. Per il secondo, invece, la gimmick adottata non è altro che una trasposizione del suo carattere reale e quotidiano nel pro-wrestling, proprio come Bret Hart.

Ma la sua eredità va al di là dei nomi. I lottatori di oggi, infatti, non lottano più come Hulk Hogan - i loro incontri, cioè non seguono più un copione statico, che dà poca libertà d’azione a chi li interpreta - ma come Bret Hart. La sua rilevanza non è solo legata ai titoli vinti, alle faide disputate, ai soldi guadagnati ma nel cambiamento che ha impresso al pro-wrestling. Insomma, è merito soprattutto suo se oggi lo possiamo considerare «una forma d’arte, un modo per raccontare ed evocare emozioni nel pubblico», come ha detto lui stesso una volta.

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