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Breve introduzione a League of Legends
22 dic 2016
Il primo videogioco diventato davvero uno sport.
(articolo)
18 min
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Tra tutti i videogiochi in circolazione, l’unico che si è per adesso affermato come un fenomeno eSportivo duraturo e istituzionalizzato sembra essere League of Legends. LoL, come viene chiamato dagli appassionati, in alcuni paesi riempie già oggi gli stadi allo stesso modo, se non di più, degli sport tradizionali ed ha un seguito in crescita costante su cui si sta sviluppando una vera e propria industria. È uno sport a tutti gli effetti, insomma, anche se è ancora praticamente sconosciuto al grande pubblico.

Le origini

League of Legends nasce dallo sviluppo di un’idea di Brandon “Ryze” Beck e Marc “Tryndamere” Merrill. I due sono compagni di stanza all’University of Southern California e soprattutto fondatori, nel 2006, di Riot Games, l’azienda che negli anni della crisi più nera del recente passato realizzerà il videogioco numero uno al mondo. Il loro progetto innovativo risiede nella creazione di un videogioco che non si esaurisca nell’arco di poche ore e che anzi invogli gli utenti a proseguire, giorno dopo giorno, utilizzando personaggi virtuali che si affrontano su una mappa per il controllo della base avversaria.

Per muovere i primi passi si affidano a Steve “Guinsoo” Feak, designer della mappa Defense of the Ancients dell’allora popolare videogioco Warcraft III. All’interno del titolo di casa Blizzard, azienda già leader del mondo videoludico, era possibile creare delle mappe personalizzate dagli utenti. La più comune era proprio DotA, l’archetipo di tutti gli attuali MOBA, acronimo per Multiplayer Online Battle Arena: un videogioco cooperativo online ambientato in una mappa delimitata da confini il cui obiettivo primario non è eliminare gli avversari ma portare a termine determinati obiettivi di squadra. Insieme ai tre anche Steve "Pendragon" Mescon, responsabile del servizio di supporto per le mappe. Nel 2006 negli uffici di Santa Monica, in California, arrivano anche i primi due stagisti per la neonata startup Riot Games. La prima impressione in quei locali pieni di polvere e scatoloni non è certo la migliore.

Lo stesso approccio con i primi timidi esempi del videogioco non è il massimo: il problema principale, raccontano, è che spesso non hanno idea di come debbano esattamente lavorare per migliorarlo. Le indicazioni sono poche e l’unico suggerimento che arriva dall’alto è di giocare il più possibile per capire dove è necessario intervenire. Nuovi stagisti arrivano ma abbandonano in fretta, mentre quelli che restano iniziano a passare sempre più tempo sulla versione embrionale di League of Legends. Finché, modifiche dopo modifiche, sviluppatori e tester iniziano a giocare anche dopo l’orario di lavoro perché è effettivamente divertente. È in quel momento che Steve Snow, uno dei producer del gioco, si rende conto per primo che l’azienda ha raggiunto l’obiettivo primario: creare un titolo che vada oltre i canoni di un videogioco tradizionale. La strada per diventare un eSport, tuttavia, è ancora lunga.

I primi passi, dal punto di vista degli stagisti.

Come si gioca

La prima modalità creata, e ancora la più giocata, ricalca quella della già citata mappa Defense of the Ancients: cinque giocatori che ne sfidano altrettanti per distruggere il nucleo, o Nexus, della squadra avversaria in un’ambientazione fantasy. Il gioco in sé è semplice: un quadrato diviso in quattro quadranti, esattamente come i punti cardinali nord, sud, est e ovest. Le basi sono situate rispettivamente nell’angolo in basso a sinistra e in quello in alto a destra e possono essere raggiunte attraverso tre direttrici principali rappresentate da strade lastricate chiamate corsie (o lanes in inglese): due coincidono con i lati del quadrato, sud-est, o corsia inferiore, e nord-ovest, o corsia superiore, mentre la terza non è altro che la diagonale che collega le due basi, la cosiddetta corsia centrale. Nella parte restante di mappa si trovano dei percorsi alternativi, tortuosi, all’interno della zona chiamata Giungla.

Rappresentazione dall’alto della mappa con i vari mostri della giungla.

Come ogni ambientazione fantasy che si rispetti, nella Giungla sono presenti creature mostruose: draghi, lamabecchi, luposcuri, gromp, krug e draghi. Senza dimenticare l’argogranchio, all’anagrafe italiana Giorgio, abitante del fiume che coincide con l’altra diagonale del quadrato. A difesa della propria base e della propria metà di mappa sono posizionate sia delle torri magiche, che colpiscono con raggi luminosi chiunque si avvicini, sia i cosiddetti Inibitori. Un’ulteriore protezione è garantita dai Minion, servitori creati dai rispettivi Nexus che percorrono le tre strade principali in aiuto dei cinque giocatori. Ogni giocatore, che prende il nome di evocatore, sceglie di utilizzare un determinato personaggio che si distingue per abilità e natura dei danni, magici o fisici, ma anche per ruolo all’interno della partita: ad esempio un assassino, rapido e letale, o un tank, difficile da uccidere e utile per proteggere i personaggi più fragili. Il personaggio, o campione, ha a disposizione tre abilità più una suprema che potrà attivare solo a partire dal sesto livello.

All’interno della partita ogni campione parte dal livello 1 per poter arrivare, al massimo, fino al livello 18 attraverso l’esperienza accumulata. Guadagnata, quest’ultima, attraverso l’eliminazione dei minion, dei mostri della giungla e dei campioni avversari. Oltre all’esperienza, le uccisioni garantiscono anche una quantità di oro, necessaria per comprare oggetti di potenziamento del campione una volta tornati in base. Morire non significa aver terminato la partita ma solamente attendere un certo numero di secondi, crescente in base al livello, prima di poter tornare a combattere.

Le basi tattiche

Come in tutti gli sport, conoscere le meccaniche e le regole di un gioco non garantisce la vittoria. Anche su League of Legends la distruzione del Nexus nemico è legata a conoscenze ulteriori: è qui che si introduce la parola meta, cioè sostanzialmente l’insieme delle strategie e delle scelte tattiche a disposizione di ogni giocatore.

Lo schema ormai tradizionale, e utilizzato nella stragrande maggioranza delle partite competitive, almeno nelle fasi iniziali, è, se così si può dire, l’1-1-2: il toplaner nella corsia superiore, il midlaner nella corsia centrale e la coppia tiratore&support nella corsia inferiore. Il quinto, e ultimo membro della squadra chiamato jungler, rappresenta il jolly: nelle prime fasi di gioco percorre la giungla, sia nella propria metà di mappa che in quella avversaria, tentando quando possibile di creare superiorità numerica nelle varie corsie.

Jhin, uno dei tiratori più utilizzati.

Una strategia speculare da ambo le parti, tranne nei casi in cui una squadra, sapendo di avere un matchup sfavorevole, non decida di invertire la corsia superiore con quella inferiore creando uno schema 2-1-1 e puntando alla conquista della prima torre nord, consapevoli che perderanno la loro prima torre sul lato sud. Parliamo di tattiche che vengono applicate nei primi 10-15 minuti di gioco perché la strategia non è statica ma dinamica: si evolve con il passare del tempo, spesso decisa da chi è in vantaggio in quel determinato momento. La più comune, chiamata splitpushing, è indubbiamente la 1-3-1 con il toplaner e il midlaner che proseguono la loro spinta solitaria rispettivamente sulle corsie superiori e inferiori, lasciando jungler, support e tiratore in quella centrale. In alternativa si utilizza l’1-4-0 o lo 0-4-1: quattro evocatori in corsia centrale e un singolo evocatore in una delle altre due. Gli avversari saranno costretti a fronteggiare una pressione costante senza possibilità di iniziativa a meno di errori avversari.

La Vision War

Le fasi iniziali di gioco, a prescindere dallo schema tattico utilizzato, possono variare a seconda delle caratteristiche dei giocatori. L’aggressività o il suo contrario determinano situazioni di gioco differenti, basate su strategie di tensione. Esattamente come negli scacchi, è favorito chi riesce a mantenere i nervi saldi. Per questo motivo, su League of Legends diventa fondamentale conoscere i movimenti degli avversari: non è un caso che la prima vera strategia ufficiosa è il controllo della visione di mappa.

Riot Games ha dotato ogni campione della possibilità di posizionare degli oggetti sul terreno, chiamati Lumi, che permettono di avere visione di una porzione di mappa altrimenti invisibile. Contrariamente alla scacchiera, dove la posizione dei pezzi è chiara e limpida, su LoL sono infatti visibili solo le zone dove sono presenti campioni, torrette e servitori alleati. I Lumi danno quindi la possibilità di conoscere gli spostamenti dei nemici e la posizione del jungler avversario, un fattore fondamentale per evitare agguati e sorprese ma, soprattutto, per invadere la giungla avversaria o contrattaccare. La figura predisposta a consentire la visione di mappa di solito è il support: un campione con un basso output di danno ma che è utile a tutto il team con scudi, cure e controlli dei movimenti degli avversari.

“A new dawn”, alcuni dei personaggi di League of Legends all’opera.

Da videogioco a eSport

Sia il meta tradizionale che il controllo di mappa sono due strategie base introdotte dai Moscow5, un team russo che stravolse totalmente, e definitivamente, le tattiche di League of Legends nel gennaio 2012, in occasione della tappa di Kiev dell’Intel Extreme Masters, un circuito di tornei gestito da ESL, la più importante azienda organizzatrice di eventi eSportivi al mondo.

A giugno 2011 si era disputata la prima edizione dei mondiali di LoL a Jonkoping, Svezia, organizzati da Riot Games stessa. Otto squadre si erano contese il titolo, vinto dai Fnatic, in una stanza con 100 spettatori dal vivo, 210mila in streaming e 100mila dollari di montepremi totale. Un evento seguito dagli appassionati e poco più, passato quasi in sordina ma destinato a diventare l’evento eSportivo per eccellenza.

Un anno e mezzo dopo, a ottobre 2012, il montepremi della seconda edizione è già lievitato a due milioni di dollari con 1.1 milioni di spettatori unici per la finale. Le squadre partecipanti sono diventate dodici e i vari circuiti regionali hanno iniziato ad assumere una struttura organizzativa ben precisa.

Le finali del 2011 e del 2012 a confronto.

Nel gennaio 2013 nascono i principali campionati: i League of Legends Championship Series debuttano in Europa e Nord America, seguiti a ruota dagli LPL cinesi e dall’LCK coreano. È, a tutti gli effetti, l’anno in cui LoL assume le sembianze di uno sport. Non solo per la profondità organizzativa con cui Riot Games gestisce i campionati (dai compensi alla diretta delle partite), ma soprattutto perché si crea, per la prima volta, il tifo. A seguire le partite non sono più esclusivamente i giocatori più accaniti ma anche semplici casual gamer che hanno individuato in una delle squadre partecipanti la loro favorita. I match di campionato non servono più solamente come riferimento per conoscere strategie e tattiche, ma anche per ammirare i propri beniamini: entrano in gioco le emozioni che solo uno sport può trasmettere. Pianti di gioia e di delusione diventano protagonisti: gli evocatori non stanno semplicemente giocando, vogliono vincere.

La storia

Sono due i momenti che più hanno segnato la storia di League of Legends e hanno in questo senso rappresentato dei punti di svolta. Uno lo conosciamo già. A fine agosto 2013 SK Telecom e KT Rolster stanno disputando il quinto game della partita decisiva per l’accesso ai mondiali. Nella corsia centrale si fronteggiano rispettivamente Faker e Ryu che scelgono lo stesso campione: Zed. È un momento che determina la fortuna del primo e il declino dell’altro dando vita al più alto momento competitivo della storia di LoL.

Faker vs Ryu.

Il secondo avviene qualche mese prima, a gennaio 2013, quando si consuma una vera e propria tragedia sportiva che rappresenta il punto di non ritorno, la svolta: per la prima volta le emozioni entrano, di prepotenza, in una competizione di LoL. Intel Extreme Masters Katowice, girone B. SK Gaming e Fnatic si sfidano in una partita secca per il passaggio del turno. Le due sono le migliori formazioni europee ma, ancor di più, rappresentano due mondi differenti, due stili diversi, incanalati dalle figure dei due capitani, entrambi spagnoli: da una parte Carlos “Ocelote” Rodriguez, eccentrico, estroverso, irascibile, stella degli SK; dall’altra Enrique “xPeke” Cedeno Martinez, mai scomposto, sempre sorridente, il classico bravo ragazzo.

Il primo ha scelto Elise, una sorta di donna-ragno, il secondo Kassadin, un mago-guerriero. Dopo 50 minuti di partita nessuna delle due squadre sembra in grado di prendere il sopravvento. Le fasi finali sono concitate ma equilibrate. Il pareggio, però, non è contemplato. Il primo spiraglio sembra aprirsi quando gli SK forzano lo scontro per la conquista di un inibitore ma perdono due membri, con i rimanenti costretti a fuggire con pochissima vita. È il momento che i Fnatic attendevano: in quattro contro tre possono spingere quasi liberamente nella corsia centrale verso la base nemica a sud-ovest. Gli SK, tuttavia, sono abili a temporeggiare e, nonostante la distruzione delle ultime due torrette rimaste a protezione, il Nexus rimane integro. Grazie al ritorno dei due compagni precedentemente uccisi, inoltre, riescono anche a ricacciare indietro gli avversari.

Sul contrattacco la partita si ribalta. I Fnatic perdono due membri, la loro base è invasa dai super-minion, gli SK sono pronti a terminare, finalmente, una partita all’apparenza interminabile. Il Kassadin di xPeke decide di non tornare, di tentare il tutto per tutto per ribaltare una partita già persa. È il classico racconto di un eroe che non si arrende davanti all’evidenza: seppur con poca vita, si nasconde nella giungla e nel momento più propizio utilizza l’abilità di teletrasporto all’interno della base degli SK per provare a distruggere il Nexus da solo. L’Olaf guidato dal toplaner Kevin "kev1n" Rubiszewski capisce le sue intenzioni ma non riesce a raggiungerlo grazie all’abilità di Kassadin di potersi spostare istantaneamente in una porzione di spazio a lui vicina. I compagni di squadra di Kevin capiscono la gravità della situazione e mandano il Cho’gath (un campione, nella narrazione di League of Legends, dall’aspetto mostruoso proveniente da un’altra dimensione che cresce di volume per ogni uccisione ottenuta e che permette di controllare i movimenti avversari) del giocatore John "hyrqBot" Velly in aiuto. Né Cho’gath né Olaf riescono a fermare xPeke, che riesce incredibilmente a raggiungere lavittoria. Esplosione di gioia da una parte, disperazione dall’altra.

Il backdoor di xPeke.

Cyanide, il jungler dei Fnatic, scatta in piedi e corre ad abbracciare xPeke, letteralmente sommerso dai propri compagni. Gli SK Gaming sono increduli, Ocelote nasconde dietro la consueta sciarpa il proprio in lacrime: è il simbolo della chiave di volta di un videogioco che semplice videogioco, ormai, non è più. La folla non si trattiene più e diventa un unico immenso boato. È il primo momento in cui tifo e videogiochi diventano un momento globale. Anche chi non ha seguito la partita, o chi ha iniziato a seguire LoL in seguito, conosce quest’azione, che da quel momento in poi rimarrà scritta sulla storia del videogioco come “ilbackdoor di xPeke”.

La crescita fino ad oggi

Le successive edizioni dei Worlds sono un successo dopo l’altro: nel 2013 la finale si gioca allo Staple Center di Los Angeles, la casa dei Lakers e dei Clippers. Il montepremi resta pressoché immutato ma il numero di spettatori vive una crescita costante, sia dal vivo che attraverso la diretta streaming in rete: si è passati dagli 1,1 milioni del 2012 agli 8,5 utenti unici del 2013 per un audience totale di 32 milioni. Nel 2014 si vola in Corea del Sud nello stesso stadio che ha ospitato la finale dei mondiali di calcio del 2002: a condire la scena anche il concerto degli Imagine Dragons che hanno prestato il loro talento a Riot Games creando la sigla dei Mondiali. Nel 2015 gli spettatori unici per la finale salgono dagli 11 del 2014 a 14 milioni. Numeri che fanno di League of Legends l’eSport più seguito al mondo, ormai alla pari dell’interesse mediatico di altri sport tradizionali come la finale NBA tra Cavaliers e Warriors.

Nel 2016 i Mondiali tornano negli Stati Uniti: un tour itinerante che passa anche attraverso Chicago e New York, e che si conclude ancora una volta allo Staple Center di Los Angeles con la finale tra due formazioni coreane. Da una parte gli SK Telecom T1, due volte vincitori dei Worlds e detentori del titolo; dall’altra i Samsung Galaxy (SSG), trionfatori nel 2013 in patria. Un match al cardiopalma che ha rappresentato il meglio che LoL al momento può offrire, giocato al meglio dei cinque game.

Gli SKT sono partiti forti con la stella Lee ”Faker” Sang-hyeok, agguantando in poco tempo i primi due giochi e portandosi quindi sul 2-0. La partenza fulminante della squadra composta da Duke in corsia superiore, Bengi in giungla (con Blank pronto a sostituirlo), Faker in corsia centrale, e Bang e Wolf in quella inferiore, sorprende gli stessi SSG che iniziano il terzo e decisivo game nel peggiore dei modi. La prima uccisione va nelle mani di Elise, la donna ragno guidata da Bae "bengi" Seong-ung. L’aria è tesa, i Samsung sono sfiduciati: la partita sembra aver già preso una direzione ben precisa. Al minuto 24 il punteggio è già di 7-0 in favore degli SKT: una disfatta.

Ma improvvisamente il vento cambia. A suonare la carica è il tiratore Ruler, che al trentesimo si rende protagonista di una doppia uccisione sui principali nemici. Aver conquistato quattro draghi nei minuti precedenti, inoltre, consente loro di sfruttare bonus aggiuntivi che li portano a recuperare scontro dopo scontro tutto lo svantaggio iniziale. Senza, tuttavia, riuscire a imporsi definitivamente: né l’una né l’altra formazione prende il sopravvento, creando una situazione di stallo che fa scorrere i minuti fino al 72esimo. È momento in cui, finalmente, i SSG concludono la rimonta e distruggono il Nexus avversario per la gioia del pubblico in visibilio, che sa che sta per assistere ad almeno un altro game.

Gli highlights del terzo game.

I SSG riescono a vincere anche il quarto game, guidati dal toplaner Cuvee in stato di grazia: il titolo mondiale si giocherà quindi alla quinta e ultima partita. Ma a vincere, come sempre, sono i migliori: gli SK Telecom conquistano il terzo titolo mondiale della loro storia su tre partecipazioni. Un record che, con ogni probabilità, rimarrà imbattuto per lungo tempo non solo nella storia di League of Legends ma in quella degli eSports. Ancora di più se si pensa che, anche se i giocatori sono cambiati rispetto al 2013, anno della prima vittoria iridata, escluso Faker e il coach Kim "kkOma" Jung-gyun, sono sempre rimasti al vertice fin dalla loro fondazione.

Il futuro e le possibili riforme

L’incertezza del futuro e la stabilità nel tempo rappresenta in realtà per molte squadre, in particolare europee e nord americane, uno degli argomenti più delicati del momento in casa Riot Games. Per i team è una questione di investimenti e di controllo dei ricavi: l’imprevedibilità legata alla retrocessione dalla massima serie non assicura un sufficiente numero di investitori, costringendo molto spesso le multigaming a utilizzare gli utili di un altro titolo per compensare le perdite su League of Legends. Senza dimenticare che Riot Games stessa detiene il controllo sull’approvazione delle sponsorizzazioni per il merchandising.

Il Team SoloMid si è issato a portabandiera dei diritti delle squadre che chiedono a gran voce l’introduzione di un sistema identico a quello dei campionati nord americani: aumentare il numero di squadre partecipanti ma eliminare le retrocessioni. Creare quindi quei circuiti chiusi in cui proventi e investimenti sono distribuiti e gestiti sempre dalle stesse squadre in accordo, ovviamente, con Riot Games. Una soluzione che non tutte le realtà eSportive, soprattutto quelle emergenti, vedono di buon occhio, compresa la stessa casa produttrice di League of Legends che preferirebbe continuare a gestire il tutto in prima persona senza ingerenze esterne.

Non che manchi la volontà di migliorare la situazione attuale, come dimostrato in occasione dei Worlds 2016: la Riot ha deciso di utilizzare un meccanismo di redistribuzione dei ricavi dei contenuti in gioco simile a quello utilizzato dai rivali di Dota2. Una percentuale dei profitti che ha direttamente contribuito alla formazione del montepremi, che ha raggiunto i cinque milioni di dollari contro i due degli anni precedenti.

Un secondo importante argomento è legato all’allargamento delle squadre partecipanti ai Worlds. Una lezione che abbiamo imparato con l’ultima edizione è che i rapporti di forza tra le varie regioni non sono immutabili. La formazione brasiliana degli INTz ha avuto la meglio sui cinesi EDG, un risultato storico ma non tanto quanto il passaggio del turno dei russi Albus NoX Luna, la prima squadra al di fuori delle cinque grandi regioni a riuscire nell’impresa.

Ai mondiali partecipano infatti 16 squadre, provenienti per l’appunto da cinque regioni: tre dell’Europa, tre del Nord America, tre della Cina, tre della Corea del Sud e due dal campionato di Macao/Hong Kong/Taiwan. Gli ultimi due posti sono assegnati alle vincitrici del torneo per le Wildcard tra le rimanenti regioni: Sud-Est Asiatico, Giappone, Oceania, America Latina, Turchia, Brasile e Russia. I risultati ottenuti nel 2016 dalle due Wildcard suddette fanno comprendere quanto sia necessario dare più spazio anche alle altre regioni cosiddette minori. Non solo per consentire loro più visibilità ma anche per giustificare la presenza di regioni ormai in declino.

La Master Series, ovvero il campionato di Macao, Hong Kong e Taiwan, non riesce più a proporre un livello competitivo adeguato per stare tra le cinque grandi. Lo stesso discorso vale per la Cina che quest’anno è almeno riuscita a piazzare due squadre ai quarti, salvo poi essere eliminate. Europa e Nord America hanno fatto anche peggio: una sola rappresentativa per parte è riuscita a superare i gironi. La crescita delle altre regioni è innegabile, tanto quanto risulta ormai chiara la necessità di aprire i Worlds a più squadre: 24 sarebbe probabilmente un ottimo compromesso per tutti.

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